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77: Il suo sacrificio

Luca 23:32-56

Cristo si diede come sacrificio per il peccato. Il suo patire si può anche considerare come il suo sacrificio di se stesso. È così che è mostrato, specialmente nel vangelo di Luca. Quando il Cristo morente disse: “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito” depose la sua vita obbediente come un sacrificio nelle mani di suo Padre. Anche questo fu l’atto di un mediatore.

Nel peccato dell’uomo, e pertanto nel peccato dei capi del popolo, c’è sempre un elemento d’ignoranza (Atti 3:17). Gli anziani non  sapevano quello che stavano facendo perché non conoscevano Cristo come il Signore della gloria. Ma l’ignoranza non scusa il peccato perché l’ignoranza, cioè non conoscere la grazia di Dio che si rivela a noi, è essa stessa peccato. E tuttavia, quest’ignoranza è un peccato che può essere perdonato. Nel peccato satanico e nel peccato contro lo Spirito santo quell’elemento di ignoranza non è presente. Cristo, pregando per il perdono di questa ignoranza, prese la colpa di quell’ignoranza su di sé. Quindi, l’intento di quella petizione fu che gli anziani potessero vedere e sapere cosa stavano facendo, potessero giungere a conoscere Cristo e così fossero salvati.

Il criminale sulla croce pregò per la salvezza nel Regno eterno, intorno al quale lui, in quanto giudeo, aveva qualche conoscenza. Per lui, però, la venuta di quel Regno forse si trovava in un futuro ancora distante, alla resurrezione dei morti. La sua fede esibì molta perspicacia quando confessò che Cristo, che stava morendo sulla croce, sarebbe stato Re. In risposta, ricevette una promessa, il cui compimento era molto più vicino, proprio alle porte: quel giorno stesso sarebbe stato con Gesù in paradiso. Con la parola “paradiso”, Cristo stava ovviamente alludendo alla benedetta comunione con lui che i credenti godranno tra la morte e la resurrezione della carne. Paradiso e Regno hanno ciascuno la propria gloria. “Paradiso” è essere orientati a Cristo, alla nostra nascosta comunione con lui, qualcosa che continua dopo la resurrezione della carne. “Regno” promette il governo sovrano nel suo nome su tutte le opere delle mani di Dio. Nella sua promessa Cristo adottò quel criminale e si offrì come sacrificio per una vita che era stata spesa nel crimine.

          Concetto principale: Cristo si offre come sacrificio per la
                                                   salvezza della vita.

          Un sacrificio in espiazione per l’ignoranza. Insieme a Gesù, sul Golgotha furono condotti due criminali. Furono crocefissi con lui, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra. Mentre veniva crocefisso, Gesù pregò: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Non stava pensando tanto dei soldati che stavano eseguendo i loro ordini quanto degli anziani del popolo che lo avevano consegnato per essere crocefisso.

Ma veramente questi anziani non sapevano quello che stavano facendo? Non aveva confessato di essere il Cristo? Certo che lo aveva confessato, ma essi non lo avevano conosciuto come il Cristo perché lo si può conoscere solo in fede. I loro occhi erano accecati. Solo satana sa perfettamente chi il Cristo sia. Satana non è ignorante: commette peccato solo per odio verso Dio. A motivo di questo elemento di ignoranza tra i capi, Gesù poté ancora pregare per quelli che erano responsabili della sua morte. Ma quell’ignoranza è essa stessa peccato. È cosa terribile non riconoscere la grazia di Dio quando ci è rivolta. Il Signore Gesù poté pregare per questo solo perché prese su di sé la colpa di quell’ignoranza. In quella petizione si offrì in sacrificio per espiare la loro colpa di ignoranza.

Ovviamente significava che non potevano rimanere nella loro ignoranza. Se la grazia di Dio è rivelata agli uomini perché egli vuole concedere loro il perdono devono giungere a vedere sia la colpa della loro ignoranza e i peccati che hanno commesso nella loro ignoranza. La preghiere di Cristo per il perdono può non essere stata efficace per tutti i capi coinvolti ma alcuni, più tardi, sono giunti a pentimento. Cristo intercede ancora per gli ignoranti perché un tempo ha preso su di sé la loro colpa affinché potessero pervenire alla conoscenza.

Quanto poco il popolo e i suoi capi si rendessero conto di ciò che stavano facendo era evidente dai loro scherni e dalle loro beffe. Nella loro ignoranza, vi si unirono anche i soldati. Trovarono ragione per schernirlo nell’iscrizione che era stata posta sopra la sua croce. Egli sopportò la sofferenza di quella colpevole ignoranza per effettuare la sua espiazione.

          Un sacrificio per fare espiazione per una vita sprecata. Uno dei criminali cominciò a unirsi nel deriderlo. Nell’ombra della morte, si mise a ingiuriare Gesù dicendo: “Non hai detto di essere il Cristo? Salva te stesso e noi!”. Tutta la sua cinica sfiducia verso la bontà e la compassione nella vita fu rigurgitata fuori in questa frase. Una tale persona scaccia lontano la salvezza con la sua derisione e affonda dentro a tenebre eterne.

Forse dapprincipio anche l’altro criminale si accomunò allo scherno nella speranza di soffocare la propria paura. Però, la rivelazione del Signore Gesù, la sua petizione in favore dei responsabili della sua morte, e la sua signorilità nella sofferenza lo colpirono. Giunse a vedere Cristo come Colui che era stato mandato da Dio: il Redentore. Nel Cristo crocefisso vide il Re. Nella sofferenza di Gesù vide la magnificenza della grazia di Dio. Per lui quella fu una rivelazione da parte del Padre: lo Spirito santo gli aprì gli occhi. Rimproverò il suo compagno di scorribande e confessò che loro stavano soffrendo giustamente la loro condanna a morte ed espresse la propria opinione che Cristo invece era innocente. Vide la sua giustizia (rettitudine) e deve aver avuto la sensazione del fatto che Gesù stesse subendo questa sofferenza volontariamente per il bene di altri.

Poi si rivolse a Gesù e gli chiese di ricordarsi di lui quando fosse stato nel suo Regno. Confessò Gesù come il Re che un giorno avrebbe rivelato la gloria del suo regno e avrebbe resuscitato i morti lui incluso. Che poderosa confessione riguardo al Cristo che in quel momento stava sprofondando nella morte!

Quanto deve essere stata grande la gioia di Gesù quando udì questo segno dell’opera del Padre nel cuore di quel criminale! Vide una vita interamente sprecata nel crimine. Avrebbe accettato quella vita? Se lo avesse fatto, avrebbe preso quella colpa su di sé. Non esitò un solo momento ma si offrì un sacrificio espiatorio accettando il criminale.

L’uomo aveva chiesto misericordia alla resurrezione dai morti quando Gesù sarebbe venuto nel suo Regno. Probabilmente questo per lui significava qualche evento lontano nel futuro. Gesù gli promise che sarebbe stato con lui in paradiso quel giorno stesso. Per un tempo sarebbe stato nascosto in benedetta comunione con Cristo, per risorgere di nuovo alla resurrezione.

La gioia di Cristo al prospetto del paradiso dimostrò quanto anelasse quel paradiso. La sua anima veniva arsa nel deserto dell’abbandono di Dio e lui bramava un sorso di sollievo. Questo ci dà anche uno scorcio di ciò che soffrì per amore nostro. Offerse se stesso in sacrificio perfino per una tale vita vissuta nel crimine. Che tale vita fosse salvata era a maggior gloria della grazia del Padre. Perciò neanche quella vita era stata completamente vana. Il criminale confessò Gesù come Re e rimproverò l’altro criminale crocefisso con lui rompendo così con il vuoto e la blasfemia di una vita empia.

          Il sacrificio offerto al Padre. Gesù fu completamente abbandonato dal Padre, specialmente durante le tenebre che coprirono il Golgotha da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Queste furono le ore del suo patire più intenso: soffrì le fiamme dell’inferno. Durante tutto quel tempo continuò volontariamente a offrirsi un sacrificio per i nostri peccati adempiendo con ciò tutto quello che i sacrifici del Vecchio Testamento  avevano preluso.  Col suo sacrificio tutti i sacrifici precedenti e l’intero servizio del tempio erano giunti alla fine. Come segno. La cortina del tempio che separava il “luogo santo” dal “santissimo” si lacerò in due.

Finalmente era giunto il momento della sua morte. Offrì la sua intera vita obbediente, orientata a Dio, a suo Padre come sacrificio. Mise nelle mani di suo Padre tutti i frutti della sua vita e della sua morte quando gridò: “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito”. Quando ebbe invocato il Padre con quell’urlo, morì.

La sua morte vittoriosa fece una profonda impressione sui presenti. Il Centurione romano riconobbe: “Veramente quest’uomo era giusto”. Contemplò la morte innocente di Cristo e senza rendersene conto, mostrò la natura vicaria del suo soffrire come sacrificio per i peccati degli uomini. Così l’ufficiale romano glorificò Dio. La folla ritornò a Gerusalemme battendosi il petto e inconsciamente testificando il reale significato del suo patire, che per loro era un mistero.

          Aspettando che il sacrificio fosse accettato. Gesù aveva offerto la sua vita e la sua sofferenza al Padre come sacrificio per i nostri peccati. La risposta del Padre che il sacrificio di Cristo ci aveva liberato dal peccato sarebbe venuta qualche giorno più tardi quando il Padre lo resuscitò dai morti.

Per tre giorni fu riposto nella tomba. Giuseppe d’Arimatea, un membro del Sinedrio, aveva provveduto a che venisse sepolto in una tomba nuova. Nel suo cuore Giovanni confessava Cristo come Re e attendeva il suo regno. L’onorevole sepoltura per mano di amici dimostrò anche che aveva sofferto da uomo giusto, come espiazione per altri. Alla sepoltura, oltre a Giuseppe, c’erano le donne che avevano accompagnato Gesù dalla Galilea.

Nella tomba Gesù attese la risposta del Padre. Tuttavia anche la sepoltura parlava di abbandono. Era scomparso dalla terra e le tenebre lo avevano ricoperto. Si era volontariamente offerto a quell’indegnità nel suo soffrire e morire. Sarebbe stato il giusto giudizio sui nostri peccati se quelle tenebre ci avessero sepolti eternamente. La risposta del padre al suo sacrificio sarebbe arrivata. Gesù sarebbe attualmente ritornato alla luce dell’eterna comunione con Dio e noi con lui.


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