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44: Imparare l’obbedienza

Marco 14:32-42

In Ebrei 5:8 ci è detto che, sebbene Cristo fosse il Figlio di Dio, imparò l’obbedienza dal suo patire al Getsemani. Raggiunse la perfetta obbedienza dopo essere passato attraverso una severa prova.  Al Getsemani, in qualità di secondo Adamo, coprì ed espiò il peccato del primo Adamo e per il peccato che noi abbiamo commesso per mezzo di Adamo. Con la sua obbedienza restaurò il patto che era stato infranto dalla nostra disobbedienza.

E tuttavia, il suo patire al Getsemani fu solo un preludio alla vera sofferenza sulla croce. Al Getsemani il Padre lo mise di fronte al suo patire e lui lo guardò dritto negli occhi. Questo addolorò terribilmente la sua anima al punto che tutte le sue sensazioni e sentimenti furono gravemente intaccati dal pensiero del dolore e della morte (Sl. 103:1).

Fin dal Getsemani il pieno orrore della sofferenza che lo attendeva soverchiò Gesù. Questo avvenne affinché egli fosse pienamente consapevole in anticipo di ciò che stava prendendo su di sé. Era messo alla prova per vedere se fosse ancora disposto ad offrirsi proprio come nei precedenti servizi cerimoniali l’agnello sacrificale veniva esaminato prima dal sacerdote per constatare se fosse senza difetto.

La primissima parola che Gesù pronunciò nella sua preghiera trattò proprio di obbedienza e vittoria. Non rifiutò di bere il calice ma si chiese solo se il Padre fosse disposto a toglierlo. La decisione del Padre era tutto per lui.

Come Gesù si poneva in relazione a questo soffrire è reso chiaro da ciò che disse ai discepoli: “Certo lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. “Carne” qui non significava l’uomo nel suo peccato perché Gesù non aveva peccato, ma significava l’uomo nella sua debolezza. La debolezza, ovviamente, è il risultato del peccato ma non è il peccato stesso. Così, la Parola divenne anche carne, ed Ebrei 5 parla dei giorni della sua carne, i giorni della sua umiliazione.

“Spirito” è l’uomo nella sua costante comunione con Dio a risultato di essere nato dallo Spirito (Gv.3:6). In questa comunione con Dio, l’uomo deve controllare la debolezza della sua carne. I discepoli, nella misura in cui avevano comunione con Dio, volevano realmente vegliare e pregare. Ma erano anche carne e ancora soggetti alla sofferenza e alla morte. In questa misura erano deboli, incapaci di reggere la soverchiante emozione e la sofferenza comunicata loro da Cristo. Luca ci dice che “dormivano per la tristezza” (Lu. 22:45). Lo spirito, o vita in comunione con Dio, non governava la loro debole carne. Nel punto in cui il loro spirito mancò di trionfare sulla carne la loro debolezza divenne peccato.

Cristo chiese loro di vegliare con lui sebbene tutto il suo popolo avrebbe dovuto adunarsi a suo sostegno in quel momento. Tuttavia, avrebbero potuto sostenere Gesù solo se fossero stati uno con lui, cosa che invece era impossibile. Lui da solo ottenne la vittoria e lui da solo fu capace di sottostare al patimento necessario.

Era carne pure lui, era suscettibile a qualsiasi tipo di sofferenza. Qualsiasi orrore ed emozione poteva inondare la sua anima. L’elemento innaturale e violento che c’è nella morte; il giudizio che c’è nella morte; l’abbandono nella morte; tutte queste paure lo assalirono lì nel Getsemani. Come deve essersi tirato indietro dal prospetto di morire!

Anche la sua carne era debole. Egli dovette sopportare questa debolezza della carne nella piena misura rabbrividendo di paura per ciò che stava per avvenire. In quella paura dovette pregare che quel calice fosse allontanato da lui. Non sarebbe stato umano se non l’avesse pregato; non sarebbe realmente stato nelle profondità della nostra debolezza.

Ma in lui lo spirito governava la carne talché questa debolezza non divenne peccato neppure per un attimo. E per mezzo della padronanza del suo spirito sulla sua carne fu in grado di pregare quella notte in cui nessuno  era più in grado di farlo. Il fatto che potesse pregare segnalava già la vittoria. Si aggrappò ai suoi legami col cielo. Pregando riuscì ad ottenere la completa vittoria sulla sua paura che lo mise in grado di arrendersi completamente di sua volontà a quelli che lo fecero prigioniero. Pertanto Ebrei 5 può dire che la sua preghiera fu esaudita a motivo del suo timor di Dio. Per lui, anche la sua vittoria sulla paura fu un risposta alla sua preghiera.

Le parole: “Dormite pure, ora, e riposatevi” probabilmente non furono ironiche ma furono una domanda: “State ancora dormendo e riposando?”

          Concetto principale: Dal suo patire nel Getsemani, Gesù impara l’obbedienza.

          L’agnello che fu esaminato. La tensione tra il Signore Gesù e gli anziani del popolo di Gerusalemme continuò a salire. Gli anziani avevano già deciso di farlo morire. Ricevettero aiuto da una fonte inaspettata: uno dei discepoli, Giuda, era andato da loro in segreto e aveva loro offerto di consegnare Gesù nelle loro mani in un modo che la cosa non avrebbe provocato un tumulto. Gesù sapeva che tipo di trame stavano covando. Ciò nonostante, rimase a Gerusalemme e si consegnò volontariamente alla morte.

Trascorse la prima notte della settimana in cui sarebbe morto a Betania, vicino a Gerusalemme. A quanto pare, quando la settimana stava per finire, l’andare avanti e indietro era diventato troppo stancante. Comunque sia, l’ultima notte non ritornò a Betania ma passò la notte coi suoi discepoli all’aperto in un uliveto sul pendio del Monte degli Ulivi. Quel luogo era chiamato Getsemani.

Quando giunse all’uliveto sapeva che il sinedrio avrebbe mandato una banda di soldati a cercarlo e che lo avrebbero trovato lì. Poi il Padre lo avrebbe consegnato nelle mani dei peccatori che lo avrebbero ucciso. Quando entrò nel giardino, fu assalito dal terrore di quei patimenti. Sentì che quella notte avrebbe dovuto combattere per passare attraverso il terrore.  Perciò, lasciò otto dei suoi discepoli all’ingresso e s’inoltrò nel giardino con i soli Pietro, Giacomo e Giovanni.

A loro confessò ciò che stava succedendo in lui. Era stupito e molto tormentato. Dio gli aveva mostrato tutto ciò che gli stava per succedere ed egli lo accettò completamente. Sarebbe stato abbandonato da Dio e la morte, quella terribile punizione per il peccato, lo avrebbe sopraffatto. Se mai ci fu un uomo assetato di vita, che bramava avere legami con questo mondo intero, che ne bramava il sapore della benignità di Dio, questo era lui. La morte, con le sue tenebre e il suo abbandono gli era così estranea che era atterrito davanti a tale orrore, e molto turbato. Ai suoi tre discepoli disse: “L’anima mia è grandemente rattristata, fino alla morte”. La sua intima consapevolezza e i suoi sentimenti erano così gravemente colpiti da tutto quanto della morte è così terribile. Il suo dolore era così grande che Gesù correva l’immediato pericolo di morirne.

Perché Dio permise che fosse assalito da tutto questo? Perché doveva prima sperimentare quest’orrore completamente. Se non avesse conosciuto questo patire, come sarebbe potuto essere chiaro fin dall’inizio che lui era preparato ad assumerlo su di sé e a essere obbediente fino o alla morte? Egli dovette prima lottare per passare attraverso quest’orrore per poter essere un sacrificio volontario nel suo patire e morire. Che non ci fosse nulla di mancante nella sua obbedienza doveva essere stabilito in anticipo con certezza. Diversamente il suo sacrificio non sarebbe valso. In modo simile, nel tempo dell’AT un sacerdote doveva esaminare in anticipo l’agnello sacrificale per accertarsi che fosse senza difetto. Diversamente non avrebbe potuto essere sacrificato.

          Spirito e carne. Dovette lottare con questo orrore per vincerlo completamente. Perciò, lasciò perfino indietro i suoi tre discepoli per poter lottare da solo in preghiera. Non si ritirò molto lontano da loro; potevano ancora vederlo e sentirlo pregare. Ci sarebbero infatti dovuti essere testimoni di questo combattimento a cui lui, come nostro Capo federale, si sottopose per noi. Volle anche che loro lo conoscessero in questo combattimento, che ne comprendessero qualcosa. Di fatto, tutti quelli che sono suoi avrebbero dovuto condividere, avere una parte, in questa lotta. Ecco perché chiese loro di vegliare con lui.

Com’era genuinamente umano il Signore Gesù! Aborriva quella sofferenza, quella morte con tutto ciò che c’era in lui. Non poteva fare a meno di pregare di esserne liberato. Fino alla fine avrebbe potuto pregare che quella sofferenza gli fosse risparmiata — e doveva fare quella preghiera. Quando la sofferenza giunse, questo lo rese capace di sopportarla volontariamente di modo che divenne un sacrificio d’obbedienza.  Questa è la ragione per cui chiese che questo calice venisse allontanato da lui se era possibile.

Quel “Se fosse possibile” non è un’espressione d’incredulità. Al contrario, egli cominciò dicendo: “Abba, Padre, ogni cosa ti è possibile”, cioè ogni cosa che è in accordo col tuo nome, col tuo onore e che serva al compimento della tua Parola. Se è in accordo con queste cose, allora questo calice sia rimosso.

Anche Gesù era un debole essere umano, proprio come noi, un debole essere umano che avrebbe naturalmente sofferto terribilmente al pensiero della morte che stava giungendo. Era carne, come lo siamo noi. Ma era anche spirito e conosceva la vita di comunione con Dio.

In quella comunione doveva essere forte e doveva superare l’orrore ed essere completamente pronto a essere sacrificato. Lo spirito in lui avrebbe dovuto vincere la carne completamente. Fu in questo modo che lottò contro l’orrore e controllò la debolezza della sua carne. La carne in lui non ebbe il sopravvento nemmeno per un momento. Non  fuggì da quel patire ma ne parlò col Padre. Il fatto che pregasse era già una vittoria. E che abbia pregato che fosse fatta la volontà del Padre per la redenzione fu particolarmente una vittoria. Nel suo desiderio per la redenzione del mondo era in completo accordo col Padre.

Pregando, ebbe la carne sotto il suo controllo. Poi si alzò e andò dai  tre discepoli. Non avevano vegliato con lui; non lo avevano conosciuto nella sua lotta. Si erano invece addormentati. L’emozione e l’angoscia del Signore era entrata in loro. Anche loro erano carne: erano terrorizzati dalla cosa terribile che evidentemente stava per accadere. Ovviamente, erano anche spirito e conoscevano la vita di comunione con Dio, ma nel loro caso la debolezza della carne, l’orrore, ebbe il sopravvento. Furono vinti dalla tristezza e dalla disperazione e perciò non riuscirono a pregare. In quel momento, qualsiasi contatto con Dio era per loro fuori discussione. Tristezza e disperazione li fecero addormentare.

Avrebbero dovuto vegliare con lui. Sarebbero stati capaci di farlo solo focalizzando la loro fede sulla forza di Colui che stava lottando per loro. Da sé non sarebbero mai stati capaci di vincere questo orrore. Uno solo poteva farlo. Lui pregò quella notte, in quell’ora di tenebre in cui nessuno più poteva pregare. Con quella preghiera vinse tutte le debolezze della carne. Per fede, in comunione con lui, i suoi discepoli sarebbero stati capaci di rimanere svegli e di pregare, e avrebbero dovuto farlo.

Li rimproverò per essersi addormentati — specialmente Pietro che aveva dichiarato energicamente di essere pronto a tutto. E li ammonì di vegliare e pregare affinché non cadessero in una tentazione da cui non ci sarebbe stata fuga, perché altrimenti l’orrore li avrebbe vinti senza che ne fossero preparati e non ci sarebbe stata speranza di vincere. Erano certamente figli di Dio. Per quanto concerne lo spirito, erano certamente pronti, ma la debolezza della loro carne dominava già e al presente avrebbe prevalso.

Il Signore Gesù di fatto controllava la carne in se stesso, ma questo non significa che l’orrore non lo attaccasse ripetutamente con nuova forza o che la carne non minacciasse di diventare troppo forte per lui. Sperimentò quella terribile ansietà del continuo. Perciò ritornò a combattere da solo. Pregò le stesse parole, e con la preghiera contenne la carne.

Quando ritornò, trovo di nuovo i suoi tre discepoli che dormivano. Erano stati vinti completamente dalla debolezza della carne. Non erano più capaci in fede di compenetrarsi con lui. Quando li svegliò, erano in completa confusione, come estranei, ed erano completamente imbarazzati davanti a lui. Non sapevano cosa rispondergli, questo era quanto erano ormai lontani da lui.

Di nuovo tornò a pregare da solo. Spaventosa era la lotta. Proprio perché combatteva contro lo spirito, la carne in lui si erse ancor più forte. L’agonia era insopportabile. Sudò sangue. E se un angelo non fosse venuto dal cielo a rafforzarlo sarebbe morto nella sua agonia. L’angelo non rimosse nulla dell’orrore ma solo rafforzò Gesù di modo che non perì. Fu sottoposto a una terribile lotta nella sua agonia ma si aggrappò al Padre in preghiera. La sua unità con la volontà del Padre di redimere il mondo prevalse in lui.

          Esaudito per il suo pio timore. Pregando ottenne anche la vittoria sul suo orrore. Venne il momento in cui potè bandire l’ansietà dal suo cuore e accettare la sua sofferenza in completa volontarietà. Questa volontarietà fu anche la risposta che ricevette dal Padre: fu una risposta alla sua preghiera. Nessun altro è mai stato capace di continuare a pregare in tale tormento, e nessun altro ha ricevuto una tale volontarietà. Solo Gesù è stato capace di fare questo.

In Adamo abbiamo mollato Dio in circostanze completamente diverse, quando non c’era nessun orrore ma solo favore e gloria. Come nostro Capo federale, Cristo coprì ed espiò i nostri peccati lottando in preghiera verso quella perfetta obbedienza nella quale diede se stesso per la redenzione del mondo, un’obbedienza nella quale fu in completa armonia col Padre.

Poi tornò dai discepoli di nuovo e chiese loro se stessero dormendo e riposando ancora un po’. Il tempo era andato. Era venuto il momento in cui Dio lo avrebbe consegnato nella mani dei peccatori affinché soffrendo e morendo redimesse il mondo. I discepoli adesso avrebbero dovuto alzarsi perché il traditore era vicino.

Come si diede consapevolmente e volontariamente! Lui era pronto, ma lo erano i suoi discepoli? Loro non avevano la carne sotto controllo. Per questa ragione sarebbero caduti in una tentazione che non potevano resistere.

La carne è sempre debole, Ma Gesù ha vinto questo fatto. Per fede in lui, per essere uniti a lui, al Vittorioso, è ora possibile stare svegli e pregare anche quando a noi pare impossibile. A volte l’ansietà sembra rimuovere lontano da noi la preghiera perché siamo deboli secondo la carne. Ma guardando a lui, siamo ancora capaci di pregare senza essere condotti in una tentazione che sarebbe troppo potente per noi.


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