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27: Cristo come Re.

Marco 1:1-13

Marco descrive il Cristo come Re. Qui pensiamo non solo dello speciale potere temporale che Cristo ha ottenuto per poter conferire i benefici della grazia e condurre alla vittoria il suo regno, ma anche dell’ufficio regale che Adamo aveva ricevuto. Proprio come Adamo era stato il primo, il capo, così ora Cristo è il primo, affinché tutti possano avere una parte in quel potere. Dopo che l’uomo era caduto nella schiavitù al peccato, in Cristo appare di nuovo come re. Cristo, in virtù della sua obbedienza, ottenne il potere di condurre alla vittoria il suo Regno.  Marco raffigura per noi il Cristo in contrasto con re e imperatori terreni che, lungi dal governare se stessi, erano spesso schiavi delle loro passioni. Marco scrisse per il mondo romano, pertanto, mentre i beni del regno ricevono in Matteo maggiore attenzione, Marco evidenzia il regno della grazia.

Giovanni Battista appare qui come l’araldo del Re. Predica il battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati. Il ravvedimento è sempre un voltare le spalle al peccato, specialmente al peccato di riporre la fiducia in se stessi, al fine di arrendersi alla grazia di Dio. Il ravvedimento è dunque dalla fede e alla fede. Il battesimo per immersione era un segno di ravvedimento che ha le radici nella rigenerazione. Il vecchio uomo per il quale confidiamo in noi stessi  scende nell’acqua e ne esce l’uomo nuovo per il quale traiamo la vita da Dio. Siccome il ravvedimento è un volgersi verso la grazia di Dio, è anche per il perdono dei peccati.

Cristo proclama: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Ravvedetevi e credete all’evangelo”. Non c’è prima di tutto una minaccia di giudizio in questo proclama? Il Regno della grazia è vicino: arrendetevi a quella grazia nel ravvedimento! Che questo fosse il significato è evidente dal fatto che attaccato al “ravvedetevi” c’è il “credete all’evangelo”.

          Concetto principale: Cristo appare in veste di Re.

          L’araldo del Re. Al tempo in cui il Signore stava per compiere la promessa fatta al suo popolo, i romani, un popolo che aveva conquistato il mondo intero, dominavano su Israele. Il proclama che Cristo era venuto sarebbe andato anche ai romani. Ma come avrebbero ricevuto quel proclama? Anche loro riconoscevano un uomo che riverivano e accettavano come loro redentore. Costui era l’imperatore nel quale era concentrato ogni potere terreno. Mediante quel potere avrebbe dovuto redimere il mondo.

Ma l’imperatore era in grado di farlo? Non solo non era capace di rimuovere la miseria del mondo ma lui stesso era ben lungi dall’essere un re. Non era neppure in grado di governare se stesso; come ogni altro essere umano era uno schiavo al peccato ed era in potere del maligno. Sarebbe dovuto venire qualcuno che era realmente un re, qualcuno che nel nome di Dio dominava se stesso. Solo un uomo così sarebbe stato capace  d’essere re su altri. Quell’uomo era il Signore Gesù Cristo che fu proclamato ai romani proprio in questa veste.

Un re è spesso preceduto da un araldo che annuncia il suo arrivo. Perciò ci fu un araldo anche a precedere il Signore Gesù quand’egli stava per apparire in mezzo agli uomini. Quell’araldo era Giovanni Battista che era stato mandato da Dio per annunciare che il Cristo stava per venire.  Giovanni avrebbe fatto i preparativi per il suo arrivo.

La venuta di questo araldo era già stata predetta nel Vecchio Testamento. Dio avrebbe mandato il suo angelo, o messaggero, a precedere il Re Gesù che è anche Dio. Quel messaggero era Giovanni. Stando nel deserto avrebbe dovuto impartire al popolo una chiamata: dovevano preparare la via del Re perché il Re sarebbe venuto di lì a poco. Quel Re era un Re spirituale che voleva regnare nel cuore degli uomini. Di conseguenza, preparargli la via significava preparare i cuori a riceverlo. Egli è il Re della grazia e gli uomini si preparano alla sua venuta voltando le spalle al peccato, ovvero, voltando le spalle a una vita vissuta da se stessi e per se stessi ponendo invece la loro fiducia nella sua grazia. Questo fu il messaggio con cui Giovanni si presentò al popolo.

Svolse il suo ministero nel deserto della Giudea vicino ad un guado del fiume Giordano dove passavano molte persone. Lì chiamò il popolo a prepararsi per la venuta del Re ravvedendosi o voltando le spalle ai loro peccati mettendo la loro speranza nella sua grazia. Come segno del loro ravvedimento dovevano farsi battezzare. Questo significava farsi immergere nelle acque del Giordano per emergerne di nuovo. Quello era un segno che il “vecchio uomo” che viveva da se stesso e per se stesso era morto e che “l’nuovo uomo” era emerso, un uomo che poneva la propria speranza nel Re della grazia. Se speravano nella grazia, allora, mediante quella grazia i loro peccati erano perdonati. Il lavacro con l’acqua ne era un segno. Giovanni era stato mandato da Dio a battezzare. Quel battesimo era un segno dato da Dio che avrebbe concesso la conversione e il perdono dei peccati.

Voci del ministero di Giovanni presto raggiunsero Gerusalemme e si sparsero in tutto il paese. Grandi folle vennero a vederlo. Giovanni parlò a loro tutti e molti si fecero battezzare. Facendosi battezzare confessavano i loro peccati. Volevano dire che a causa dei loro peccati avevano perso il favore di Dio. Ora credevano che Dio perdonava  loro i peccati.

Giovanni parlò molto del popolo che viveva nel peccato. La sua predicazione fece molta impressione, in parte perché fu fatta nel deserto. Tutto lì parlava di abbandono. L’immagine del deserto ci ricorda quanto siamo soli a causa dei nostri peccati. Questa impressione era rafforzata dall’aspetto di Giovanni. Portava un ruvido abito intessuto di pelo di cammello e intorno ai fianchi aveva una cintura di cuoio. Inoltre, mangiava solo locuste e miele selvatico. Effettivamente era un araldo del Re assai strano! Col suo aspetto e il suo modo di vivere voleva dire al popolo che a causa dei nostri peccati abbiamo perso ogni lusso, ogni favore nella vita, tutto. In parte a motivo del suo stile di vita, molti decisero di confessare i loro peccati e chiedere il battesimo.

Ma Giovanni non si dimenticava di additare costantemente il Re. Qualcuno più potente di lui sarebbe venuto dopo di lui. Quello sarebbe stato l’uomo che avrebbe vinto il peccato e il diavolo e avrebbe ottenuto il favore di Dio per il suo popolo. Quel Re sarebbe stato sia uomo sia Dio allo stesso tempo. Era talmente eccelso che Giovanni non avrebbe mai potuto essere il suo adeguato servo; Giovanni non era degno neppure di slegare i lacci dei suoi calzari, perché anche Giovanni era un uomo peccatore.

Giovanni era così indietro rispetto a lui talché poteva amministrare solo il segno, l’immersione nell’acqua. Cristo, d’altro canto, conferiva la conversione del cuore, di cui l’immersione era il segno. Fece questo per mezzo dello Spirito santo. Avrebbe battezzato con lo Spirito santo e per mezzo di quello Spirito avrebbe successivamente dato anche molti altri doni e poteri.

          L’unzione del Re. Mentre Giovanni stava battezzando, il Re stesso, Il Signore Gesù Cristo, venne da Nazareth dove era cresciuto. Venne dalla gente che Giovanni stava radunando per lui. Sarebbe stato il loro Re spirituale.

Doveva essere lì, perché quelle persone scendevano nell’acqua e ne risalivano come segno che erano scesi come “uomo vecchio” e risalivano come credenti. Ma avrebbero mai potuto risalire a nuova vita nella loro forza? No, non avrebbero mai potuto farlo. Sarebbe dovuto venire qualcuno che sarebbe disceso per loro nella morte e avrebbe vinto il peccato, la morte e il diavolo nella sua propria forza — per poi resuscitare di nuovo dai morti. Solo uno così avrebbe potuto veramente essere Re e resuscitare il suo popolo.

È ciò che il Signore Gesù avrebbe fatto. Come segno di ciò che sarebbe venuto, si fece ora battezzare da Giovanni. Sarebbe sceso nella morte, ma poi, nella propria potenza, sarebbe risalito. Avrebbe potuto farlo perché era sia uomo che Dio. Così, anche lui scese nell’acqua del Giordano e ne risalì di nuovo. Nella stessa maniera, sarebbe sceso nella morte sulla croce e poi ne sarebbe resuscitato, conquistando la morte. Avrebbe dato quella nuova vita anche a quelli che sono suoi. Per quel motivo essi potevano ora scendere nell’acqua  e risalirne.

Gesù sarebbe stato veramente Re e avrebbe dominato se stesso e dato la sua vita a Dio. Lo avrebbe fatto per mezzo dello Spirito santo che Dio gli aveva dato. Mediante quello Spirito l’intera sua vita sarebbe stata dedicata a Dio. Non appena uscì dal Giordano vide i cieli aprirsi. Vide la gloria del regno della grazia di suo Padre del quale desiderava essere servo. E vide lo Spirito santo scendere su di lui nella forma di una colomba. Quella fu la sua unzione con lo Spirito santo. Solitamente non si ungevano con olio i re? Quello era per loro un segno che erano dedicati a Dio per un servizio speciale e che Dio li avrebbe qualificati per il loro ufficio per mezzo dello Spirito santo. Il Padre avrebbe separato a sé la vita di suo figlio e il Figlio aveva il privilegio di dare se stesso al Padre. La sua vita sarebbe giunta alla piena realizzazione sebbene avrebbe dovuto arrenderla alla morte.

Oltre a ciò, il Padre glielo disse anche dal cielo perché si udì una voce che diceva: “Tu sei il mio amato Figlio nel quale mi sono compiaciuto”. Con ciò il Padre stava dicendo che secondo il suo eterno beneplacito, Cristo, in qualità di Re, sarebbe riuscito a liberare la vita dal dominio del peccato! Per mezzo del Figlio, il Padre avrebbe dimostrato il suo grande amore.

Pertanto il Cristo, sebbene sia Re, non assunse il lavoro di redenzione indipendentemente ma fu mandato a quello scopo dal Padre. Perciò possiamo essere certi che fece tutto nel nome di Dio e che la sua opera è realmente redentiva.

          La vittoria del Re. Immediatamente dopo l’unzione con lo Spirito santo, lo Spirito cominciò a condurlo nel suo lavoro di redenzione. Prima di tutto avrebbe incontrato satana, il nemico di Dio, che aveva il mondo in suo potere a motivo del peccato. Satana era quello che lui avrebbe dovuto vincere. Per questo scontro lo Spirito lo condusse nel deserto. Nella desolazione del deserto vide come la vita degli uomini fosse abbandonata da Dio a causa del peccato e come anche lui era e sarebbe stato abbandonato da Dio.

Satana colse l’opportunità. Non era Cristo assetato di comunione con Dio e con la stessa vita? Se solo fosse riuscito a tentare Cristo a cercare quella comunione per la via sbagliata! Satana lo tentò e tormentò il suo spirito per 40 giorni, ma il Re gli resistette. Rimase fedele alla propria unzione. Resistette tutti gli attacchi di satana  e spezzò il suo potere.

Così fu quella figura regale che aveva il controllo sui propri desideri e li dirigeva solo verso Dio. A tale personaggio regale appartiene il dominio. Un tempo Adamo cadde e noi cademmo in lui. Perciò non abbiamo più il controllo sui nostri desideri; noi non possiamo dominare noi stessi e perciò non siamo adatti ad avere il dominio sul mondo in cui Dio ci ha collocati.

Fu dato di governare al Cristo. In quel deserto era circondato da animali feroci ma non gli fecero male alcuno. Gli stettero in soggezione perché lui veramente è Re.  Qui ritornò qualcosa del paradiso. In paradiso anche gli animali erano volontariamente soggetti all’uomo. Anche gli angeli servirono Cristo nel deserto. Con la sua obbedienza ottenne il dominio dell’uomo sugli angeli talché gli angeli lo servono.

Il Re conquistò la vittoria per il suo popolo. Se noi crediamo in Colui che trionfò, un giorno tutte le cose ci saranno sottoposte, anche gli angeli. Per ora, però, dobbiamo ancora lottare con satana. Tuttavia, l’esercito di satana è un esercito sconfitto e il Re ci conduce e ci rafforza nel nostro combattimento. Se solo noi, col Re, staremo sempre dalla parte di Dio, in fede.


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