INDICE:

Introduzione del traduttore

La pubblicazione del III Volume di Promessa e compimento, di  S. G. De Graaf, lancia una nuova fase di questo notevole impegno. Ci porta al Nuovo Testamento, dove la proclamazione del Regno della grazia di Dio e del suo Unto (il Messia, il Cristo) giungono in piena vista.

È solo naturale che i cristiani vogliano passare immediatamente alla porzione neotestamentaria delle sacre Scritture. E in un’opera come quella di De Graaf, saranno impazienti di leggere ciò che l’autore ha da dire sul Nuovo Testamento. C’è, ovviamente, ampia giustificazione per questa inclinazione. Nella sua introduzione all’opera intera, De Graaf scrive: “L’interezza delle Scritture è la rivelazione di Dio di se stesso …” e, “come conseguenza del peccato non c’è rivelazione di grazia al di fuori del Mediatore” e inoltre: “… il Mediatore è anche il Capo del patto, il secondo Adamo” (Vol. I, pp. 21-23). Da questo vediamo che è nel Nuovo Testamento che troviamo la più piena, la più chiara rivelazione di queste cose. È in questa luce che dobbiamo intendere la dichiarazione di Gesù, in qualche modo enigmatica, che il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di Giovanni Battista (vedi sotto, p. 75).

Difatti, visto che noi tutti viviamo nel periodo della storia che viene dopo la piena rivelazione della grazia di Dio, è solo naturale che chiunque, sia egli un credente o uno alla ricerca, che voglia imparare il significato della religione cristiana andrà automaticamente al Nuovo Testamento.

Senza dubbio, dunque, ci saranno persone che cominceranno a leggere De Graaf proprio qui. E questo è buono e corretto, solo che scopriranno quasi immediatamente non solo che “la Scrittura è una unità” ma che la rivelazione di sé che Dio fa nel Mediatore e nel suo patto col suo popolo ha una lunga storia, una storia che nel Nuovo Testamento è presupposta e che semplicemente deve essere compresa dai lettori del Nuovo Testamento se questa debba illuminarsi per la rivelazione che è. Perfino il regno di grazia che Giovanni annunciò e che Gesù venne a proclamare è fermamente fondato nel patto che Dio stabilì con l’uomo al principio [1].

A questo proposito De Graaf mette in guardia contro la ricerca di semplici storie su “Gesù e l’anima” nel Nuovo Testamento. Ciò serve a ricordarci che né l’individualismo né il misticismo, che sono entrambi così diffusi, oggi, rappresentano una corretta comprensione delle rivelazione biblica. Per quanto concerne l’individualismo, scrive: “Nel patto, Dio si accosta sempre al suo popolo come un insieme, mai solo a individui. A motivo del patto, il popolo intero riposa sicuro nella fedeltà di Dio ed ogni membro individuale del patto condivide in quel riposo in quanto membro della comunità. Non è necessario che usiamo sempre la parola patto, al principio la bibbia non lo fa, purché ai ragazzi sia raccontato della relazione pattizia” (Vol. I, p. 24).

All’inizio del suo terzo volume, spiega: “…il Nuovo Testamento pone molta più enfasi sulla vita individuale del credente di quanto faccia il Vecchio. Ma questa enfasi deve essere vista nella giusta prospettiva. Non significa che la comunione del popolo nel patto, come rivelata specialmente nel Vecchio Testamento, sia negletta. Anche qui, la rivelazione divina segue linee pedagogiche. Dopo che la comunione del popolo nel patto è stata sufficientemente stabilita nel Vecchio Testamento, il valore di ciascun individuo all’interno di quella comunità diventa il centro dell’attenzione del Nuovo Testamento (p. 25 qui sotto). Nondimeno, per citare di nuovo Ridderbos: “ …la cosa di speciale importanza per l’intera struttura della predicazione del Regno da parte di Gesù [è] che la venuta di Cristo, la salvezza da lui data, e la comunità di quelli che credono in lui, rimane qualificata dal patto di Dio e dalla relazione con Israele stabilita in esso”[2]. Proprio alla fine di questo volume, De Graaf, in accordo con questo principio, solleva una domanda interessante: “Perché Gesù [dopo che fu riconosciuto dai due uomini di Emmaus] sparì improvvisamente?” (p. 451). Risponde così: “Non volle darsi qui e là a individui isolati ma volle radunare insieme la sua cerchia, la comunità del suo popolo” (p. 451).

Il misticismo, il secondo diffuso errore contro cui De Graaf mette in guardia, è come minimo una mala-comprensione del vangelo di Cristo quanto l’individualismo, e i due si trovano frequentemente insieme. Mentre c’è certamente una mistica unione o comunione tra Cristo e il suo popolo, il misticismo deroga dalla Parola scritta di Dio quando fissa la mente del credente sulla propria esperienza interiore. La certezza di fede del credente è fatta risiedere esclusivamente in qualche intima consapevolezza di un’esperienza spirituale (Gesù e l’anima”) anziché essere ancorata alla Parola profetica di Dio. E quando gli aderenti al misticismo studiano la bibbia, lo fanno più per rinforzare questo senso religioso innato.

Le Scritture insegnano diversamente. Pietro dice: “E noi udimmo questa voce recata dal cielo, quando eravamo con lui sul molte santo” facendo ovvio riferimento all’esperienza spirituale della cerchia intima dei discepoli (Pietro, Giacomo e Giovanni) sul monte della trasfigurazione. Ma immediatamente continua: “Noi abbiamo anche la parole profetica più ferma” (2Pi. 1:18-19). L’esperienza spirituale non viene negata, ma la certezza della sua validità è collegata alla Parola di profezia per il compimento e conferma di quella Parola. Similmente, alle donne alla tomba la domenica della resurrezione, fu detto di correlare la loro esperienza personale della tomba vuota con ciò che Gesù aveva detto in Galilea, dove aveva predetto la sua sofferenza, morte e resurrezione. Come illustrazione finale di questo punto, si considerino i due seguaci di Cristo di Emmaus che lo riconobbero infine quando ruppe il pane ma furono fin lì trattenuti dal riconoscerlo. De Graaf commenta così: “Non avrebbero dovuto credere che era risorto solo sulla base della sua apparizione ma avrebbero dovuto riconoscere  he Dio l’aveva detto. Dovevano credere la Parola di Dio. La Parola di Dio è il fondamento di tutta la nostra certezza” (p. 449, sotto). “Credere nella resurrezione di Cristo non deve dipendere dal suo apparirci ma dalla Parola di Dio che è la stessa cosa che la Parola di Cristo. È notevole quante spesso siamo rimandati alla Parola di Cristo in questo capitolo (Luca 24) e alla Parola di Dio nel Vecchio Testamento” (p. 447).

Il misticismo aggira questa Parola di Dio che giunse profeticamente nel passato. Ignora i potenti atti di Dio nella storia coi quali si rivelò al suo popolo nel Mediatore e nel suo patto, e così trascura completamente l’importanza fondamentale nella religione cristiana del dispiegarsi storico di quella auto-rivelazione e della relazione e comunità pattizie che porta in esistenza. Ma queste cose costituiscono l’essenza dell’unicità della religione cristiana. Ci danno anche un fondamento biblico per trattare seriamente con le religioni del mondo, ma questo è un soggetto che non possiamo trattare qui.

Siccome la rivelazione che Dio fa di se stesso può essere compresa solo alla luce della preziosa accumulazione e preservazione della rivelazione all’interno della comunità pattizia, i lettori che comincino col presente volume vorranno tornare spesso ai primi due volumi. Spesso la discussione di De Graaf suggerirà modi fruttuosi per farlo. E questo è anche per me il posto per esprimere la mia convinzione che sia altamente desiderabile fare riferimento alla prefazione e introduzione di De Graaf (Vol. I, pp. 15-26) continuamente quando si utilizzi uno di questi quattro volumi.

Il Nuovo Testamento colpisce nel suo annuncio della piena liberazione della vita. Questo è il significato della proclamazione del regno nel quale regna la grazia di Dio, quel regno del quale il Cristo, l’Unto da Dio, è Re. La promessa del Vecchio Testamento è diventata il reale compimento del Nuovo. Questo parla ai nostri bisogni umani più profondi.

Attraverso gli ultimi cinque secoli “Libertà” è stato il motto del moderno umanismo di cui Rousseau è uno dei maggiori profeti. Al tempo della Rivoluzione Francese, la gente danzò attorno all’ “albero della libertà”, e da allora il liberalismo progressista e il socialismo marxista hanno in successione promesso ciò che volevano maggiormente: libertà. “Liberazione” è ancora il termine chiave quando la gente parla di “lotte per la liberazione nazionale” e di “teologia della liberazione”. Ma la libertà promessa continua ad eludere la gente perché è mal-concepita fin dal principio.

Ad un certo punto, lo sforzo per conquistare la libertà fu diretto contro la chiesa medievale che era diventata una minaccia totalitaria al libero sviluppo delle varie sfere o settori di vita. Altre volte fu diretto contro uno stato leviatano che ha tolto alle altre aree di vita la libertà di svilupparsi secondo la loro natura, o contro una società capitalistica nella quale il settore economico aveva preso il potere e ha cominciato a signoreggiare sui settori non-economici in una maniera che procede contraria alla loro natura. Ma tutti questi sforzi dell’uomo per salvarsi, per essere libero, cioè per essere liberato da qualsiasi cosa minacci il corretto sviluppo della sua intera vita in modo da realizzare e sviluppare tutte le sue potenzialità — tutti questi sforzi hanno fallito, e continueranno a fallire perché l’agente umano in tutti questi sforzi per la libertà è egli stesso schiavo del peccato.

Di fatto, la chiesa non era il cattivo, né lo era lo stato. Chiesa, stato, matrimonio, famiglia, il mondo del lavoro e degli affari, sono tutte sfere che insieme costituiscono l’un ordine creazionale di Dio. Senza di essi non c’è vita sulla terra; costituiscono la vera struttura della creazione che è uno splendore dalle molte sfaccettature. Quando le persone, in questi vari settori delle loro vite, funzionano secondo l’ordine della creazione che dà ad ogni sfera il suo mandato limitato, il risultato è un regno di pace (shalom) e benedizione, un tempio santo al Signore. Non c’è parte della struttura creazionale che sia malvagia. Ogni pezzettino dell’ordine creazionale procede da Dio, e non esiste lato oscuro di Dio.

Il colpevole in ogni situazione è il peccato, e il peccato è una questione della direzione del cuore umano relativa all’ordine della creazione e della relazione pattizia che caratterizza tutta la religione. Il peccato risiede nel nostro intimo, è l’uomo stesso nell’unità del suo io, che risponde disubbidientemente alle condizioni creazionali-pattizie della nostra vita. Il peccato è la nostra personale ribellione contro l’ordine di Dio, l’ordine della sua buona creazione. Dio, però, rimane sovrano: mantiene la sua Parola nella quale è fondato l’ordine creazionale. Il peccato, come modo di relazionarsi a quell’ordine, fa sentire la sua presenza ogniqualvolta agiamo all’interno di quell’ordine. È la peccaminosità del cuore umano  che conduce a tentativi di costruire una chiesa totalitaria, o uno stato totalitario, o un’economia totalitaria, ed è la peccaminosità del cuore che spinge l’uomo a ricercare un’esistenza indipendente nella quale vuole solo essere il Numero Uno. La parola totalitario fa qui riferimento ai cocciuti tentativi di sostituire l’una o l’altra delle sfere limitate d’autorità che costituiscono l’ordine creazionale di Dio per il regno di Cristo, mentre la parola della grazia di Dio che richiama gli uomini all’ordine domina sull’intera creazione. Solo a Cristo è stata data ogni autorità, ovvero la pienezza dell’autorità.

È della massima importanza distinguere tra struttura e direzione e vedere che la disobbedienza della nostra caduta e l’obbedienza della nostra nuova natura redenta in Cristo, presuppone un’ordine creazionale e le condizioni del patto, dal quale obbedienza e disobbedienza, come modi di relazionarsi a quell’ordine e a quelle condizioni, acquisiscono il loro significato. Quando la Scrittura contrappone “carne” e “spirito”, questi termini fanno riferimento a due possibili direzioni delle nostre vite in tutti i settori dell’un ordine della creazione, non a un supposto mondo strutturalmente inferiore di materia e corpo e uno superiore di anima e spirito come a volte notiamo in sistemi di pensiero — anche di pensiero teologico — che sono stati influenzati dai filosofi greci pagani.

Siccome è la peccaminosità dei nostri cuori a minacciare le nostre esistenze, la vittoria sul peccato è la via alla vera libertà. Quella vittoria fu conquistata da Cristo. Cristo è il Salvatore, il Redentore, Colui che ha fatto espiazione per il peccato. Non solo in Cristo i nostri peccati sono perdonati, ma noi siamo liberati dalla servitù al peccato. Ci è data una nuova natura: siamo nati di nuovo.

La vera libertà, libertà nel senso dischiusoci dalla rivelazione di Dio, è più che libertà da. Qui vediamo la superiorità della vera libertà a tutto il contemporaneo parlare di “liberazione” tra rivoluzionari i quali mancano di vedere con cosa rimangono dopo la rivoluzione: l’uomo peccatore. La libertà che Cristo dà è una libertà dalla nostra servitù al peccato (mediante il rinnovamento del cuore), in modo che possiamo vivere per ogni parola che procede dalla bocca di Dio. Quella è vera libertà: vivere secondo la volontà di Dio. Questo include le parole (-legge), spesso chiamate ordinamenti o decreti mediante i quali Dio ha dato struttura alla sua creazione nel principio (vedi Salmo 119:91; Proverbi 8:29). Mediante lo Spirito di Cristo, che è uno Spirito di santità, riceviamo un cuore nuovo sulla base dell’opera di Cristo, un cuore che ama Dio per amore di Dio e che perciò è sottomesso ad ogni parola di Dio pronunciata per la nostra salvezza e benessere. Mediante questa sottomissione giungiamo a essere uno con la volontà di Dio e ciò porta pacifica armonia dappertutto nella creazione. Solo allora godiamo shalom, benedizione e libertà.

Per comprendere questo punto e ciò che De Graaf ha da dire al riguardo è necessario fare un breve commento su due aspetti dell’opera di Cristo. Ambedue richiamano il carattere pattizio della religione biblica ricordandoci così di considerare il Nuovo Testamento come la parte più nuova del Libro del Patto. Il fatto che la parola patto ricorra meno spesso nel Nuovo Testamento significa poco perché la relazione pattizia continua. Inoltre, la parola di fatto compare in alcuni passi cruciali come Matteo 26:28 e passi paralleli (si paragoni Esodo 24:8 ed Ebrei 10:29), I Corinzi 11:25; Efesini 2:12, ed Ebrei 8:6. Diathéké, la parola greca usata per tradurre quella ebraica berith (patto) indica l’iniziativa di Dio nel patto (vedi Vol. I, p. 295 e note, e p. 142 sotto).

De Graaf ci dice che una ragione per cui la parola patto è usata con meno frequenza nel Nuovo Testamento è che “i vangeli si occupano del Cristo, il Capo del patto. Tutta la luce cade su di lui” (p. 25, sotto). Cristo entrò in questo mondo in qualità di Mediatore della nostra redenzione. È il secondo e ultimo Adamo. Fu il nuovo Rappresentante del suo popolo pattizio. Portò il giudizio di Dio sul peccato per tutti quelli che sono in lui perché credono in lui. Ma visse anche una vita completamente giusta. Quella vita di rettitudine che le condizioni del patto richiedevano, le ha offerte al Padre da parte del suo popolo. Benché fosse nato da Maria, fu capace di vivere una vita completamente giusta perché era stata generato da Dio. Sentite ciò che l’angelo disse a Maria: “Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà, pertanto il santo che nascerà da te sarà chiamato figlio di Dio” (Luca 1:35).

Cristo fu il Santo, sottoposto nel cuore e nella vita a ogni parola di suo Padre. Egli venne, come disse al suo battesimo, per compiere ogni giustizia, adempiere tutte le richieste della legge, osservare tutte le condizioni del patto e in questo modo, come uomo, guadagnare la vita eterna. Ma lo fece come Capo del patto; lo fece come nostro Rappresentante e Sostituto. Sul fondamento della sua fedeltà pattizia quale nostro Mediatore, il suo santo Spirito ci da un cuore nuovo, unendoci per fede a Cristo nella sua santità. Le nostre vite qui ed ora devono in tutte le cose essere un crescere dentro a Colui che è il nostro Capo, cioè al Cristo (vedi Efesini 4:15). Pertanto egli è la nostra giustizia, e noi siamo uomini liberi, soggetti del Regno dove regnano la Parola e la grazia di Dio. Rivoluzionari di tutto il mondo, unitevi! Unitevi nel dare ascolto alla parola di liberazione di Cristo e nel sottomettervi al dominio della grazia e della giustizia della Parola di Dio! È una parola migliore di quella di Rousseau, o di Marx, o di Lenin o del Che, perché la Parola del Mediatore della nostra salvezza è la Parola di uno che è anche la Parola che ha creato.

Un secondo punto che dovremmo notare è che Cristo è anche l’Unto di Dio. Cristo e Messia sono titoli piuttosto che nomi. Il primo è il greco per l’unto, e il secondo, che ha lo stesso significato è in ebraico. In Atti 10:38 leggiamo che “Dio unse di Spirito santo e di potenza Gesù di Nazareth”. Questo titolo, dunque, esprime l’idea di ufficio come si trova nella Scrittura. Efesini 4, che ho citato sopra, parla di un numero di uffici benché la parola stessa non sia usata. Nel Vecchio Testamento leggiamo di uomini che venivano unti per essere profeti, sacerdoti e re. Benché siamo tutti più o meno familiari con l’idea di uffici ecclesiastici e tutti parliamo di persone che ricoprono uffici politici, il significato biblico di ufficio non è oggi ampiamente compreso. Perciò è qui d’uopo una parola su questa questione.

La parola latina officium, da cui deriva la nostra parola ufficio, significa “un servizio obbligato, un obbligo, un dovere”. Anche se di primo acchito possiamo pensare di un ufficio come di una stanza o un edificio dove uno svolge il proprio lavoro, i dizionari elencano anche significati come “servizio reso a qualcuno, dovere verso altri, dovere correlato ad una posizione o condizione”. In questi significati è ritenuto qualcosa del concetto biblico di ufficio.

Per arrivare a quel significato scritturale dobbiamo tornare indietro al Vecchio Testamento. Quando fu creato l’uomo, Dio stabilì con lui una relazione pattizia. Nel contesto di quella relazione gli assegnò un compito, un compito che solo l’uomo poteva compiere. Era un compito assai vasto. Essenzialmente, l’uomo doveva servire Dio nel mondo amministrando l’amore  e la sollecitudine di Dio alle creature (non solo ai suoi consimili). Doveva farlo a nome di Dio e alla sua gloria, che significava che avrebbe dovuto eseguire il proprio dovere in accordo con ogni parola di Dio per la quale era stata costituita la creazione. In breve, il dovere dell’uomo doveva essere eseguito in accordo con le condizioni del patto. Pertanto ad Adamo fu dato un mandato o incarico e gli fu anche data l’autorità delegata per eseguirlo. In aggiunta, siccome avrebbe eseguito il proprio compito come capo del patto, la direzione del cuore del suo lavoro sarebbe stato decisivo non solo per se stesso ma anche per la sua posterità e per l’intero mondo che amministrava.

Così, “ufficio” nella Scrittura, implica che Dio assegna all’uomo, in qualità di suo servo, un compito che si accorda con la sua posizione di creatura che porta l’immagine di Dio. Significa anche che all’uomo è concessa l’autorità o il diritto di eseguire questo compito nel nome di Dio e in libertà. L’uomo è incaricato di preservare l’ordine, un ordine che era già costituito nella creazione. Dentro la cornice di quell’ordine, egli deve sviluppare liberamente i potenziali insiti nella creazione.

Quando Adamo cadde e fu quindi privato del suo ufficio, l’ufficio stesso non scomparve dalla vita umana. Fu immediatamente ripristinato perché nel consiglio di Dio, Cristo fu trovato disposto ad accettare l’ufficio di Mediatore e di Capo del patto. Questi furono i compiti che Dio gli affidò, che accettò volontariamente e per i quali ricevette autorità, Giovanni 10:18, per esempio, parla dell’autorità (greco: exousia) che Cristo ricevette dal Padre quale rappresentante commissionato a deporre la sua vita e di ripigliarla poi.

Cristo venne nel mondo con una missione, Egli disse: “Ecco, sono venuto a fare la tua volontà, o Dio”. Come nuovo incaricato dell’ufficio, Cristo fece tutto quello che il primo Adamo avrebbe dovuto fare e soffrì tutto quello che Adamo avrebbe dovuto soffrire per avere dissacrato il proprio ufficio. Uniti a Cristo, come membra del suo corpo, la nostra vita intera deve essere di servizio a Dio e un amministrare l’amore e la sollecitudine al creato (che in un mondo caduto richiede la pronuncia del giudizio, perché Dio è un Dio santo ed è geloso di quella santità).

Ciò che abbiamo discusso è spesso chiamato l’ufficio generale. A volte, quando parla di quest’ufficio generale la gente parla di tre uffici, ma in realtà ci sono solo gli aspetti profetico, sacerdotale e regale dell’unico ufficio. In momenti particolari, che sia nel ministero di Cristo o nelle nostre vite, uno di questi aspetti verrà più in rilievo. Quando il capofamiglia prega a nome della sua famiglia, come fece Giobbe (vedi Vol. I, pp. 150-1), emerge l’aspetto sacerdotale. Ma allo stesso tempo, tale preghiera è una profezia che indica il fondamento della vita del credente, e anche una forma di governo regale. Nessuno dei tre aspetti può mai essere separato dagli altri.

Quando la gente moltiplicò e le relazioni divennero più complesse, l’ufficio generale che l’uomo possiede in quanto uomo, con i suoi tre aspetti, divenne particolareggiato o specializzato. E benché i tre aspetti non si possano separare, gli uffici speciali di profeta, sacerdote e re si svilupparono. Questi tre uffici speciali sono fondati nell’ufficio generale. In una grande varietà di maniere, l’ufficio generale di una persona diventa particolareggiato o prende una forma più specializzata in questa vita in ragione dell’esperienza, formazione e particolare vocazione storica che determinano in quale area di vita renderà il suo più specifico servizio (senza perdere il suo pieno servizio). Questa particolarizzazione ha anche a che vedere con i vari settori o sfere dell’ordine creazionale. Pertanto abbiamo uffici ecclesiastici, politici, e così via. Gli uffici implicano la limitazione della sovranità delegata. Solo Cristo, in quanto il Mediatore, ha ricevuto completa sovranità delegata.

Mediante una grande varietà di ministeri, Dio sta riconciliando il mondo a sé. Alla Pentecoste il suo patto fu esteso a tutte le nazioni. Proprio il primo capitolo della bibbia, scrive De Graaf, rivela: “Prima di tutto e soprattutto … il Regno di Dio. … Questo Regno era un Regno di pace. Il mondo era come un grande tempio che Dio scelse di dimorare e di favorire con la sua benedizione” (Vol. I, pp. 29-34). Nell’opera di De Graaf, c’è un tema che ricorre costantemente: che a causa della redenzione compiuta da Cristo l’intera creazione, che ora geme sotto il peso del peccato, è nel procedimento di essere restaurata ad un tempio santo.

In questi volumi De Graaf si interessa di come la storia biblica debba essere raccontata ai bambini. Ciò è stato menzionato da molti recensori. Io vorrei richiamare l’attenzione ad una frase della Prefazione di De Graaf: “Questi lineamenti sono dunque intesi per persone che stanno guardando all’insieme delle Scritture per una comprensione della Parola di Dio prima di cominciare a raccontare la storia” (Vol. I, p. 16). Questo, io penso, indica l’ampia portata di questi volumi.

Quando introdussi il primo volume solo alcuni anni fa, suggerii che a motivo della prospettiva dell’autore, quest’opera sarebbe stata utile a nuovi cristiani e a giovani persone in America Latina e nelle nazioni emergenti dell’Africa e dell’Asia che spesso si vedono come rivoluzionari sociali ma in realtà stanno urlando nell’angoscia dell’anima per avere rettitudine e giustizia, pace sociale ed economica (Vol. I, pp. 13-14). Sono veramente grato al Dio che mantiene il suo patto, non solo perché in due anni sono state vendute 25.000 copie ma in particolare che quest’opera è già in traduzione in spagnolo e cinese. Posso solo sperare che presto udremo di sforzi per produrre traduzioni in giapponese, coreano, arabo e francese, e nelle lingua dell’Africa, India e Indonesia.

Mia moglie ed io vorremmo dedicare questo stadio del lavoro che abbiamo fatto insieme ai nostri preziosi nipoti, che stanno crescendo in numero, con la fervente preghiera che anche loro, nel mezzo del nostro tempo malvagio, “possano crescere in ogni cosa verso colui che è il Capo, cioè Cristo”.

H. Evan Runner

Note:

1 Su questo importante punto il lettore potrebbe voler consultare la discussione molto illuminante, così necessaria nel nostro tempo, che Herman Ridderbos offre nel suo magnifico libro The Coming of the Kingdom (Tradotto in inglese da H. De Jongste e pubblicato da Paideia Press, St Catharines, Ontario). La lettura anche di una sola pagina di quel libro (p. 192) sarà sicuramente sufficiente a stuzzicare l’appetito. Mi sia consentito citare un singolo paragrafo: “È la realtà del patto di Dio e della sua relazione teocratica con Israele come suo popolo che sta alla base della descrizione del vangelo come vangelo dei poveri. È il vero popolo di Dio quello cui si rivolgono le beatitudini e al quale è concessa la salvezza del regno come legittimo diritto. Ed è questa speciale relazione che fin dal principio determina i contenuti e la struttura del vangelo del regno dei cieli”.

2 The Coming of the Kingdom, pp. 197-198. Particolarmente puntuale è ciò che Ridderbos scrive sulle parole di Gesù circa il Salvatore, nelle quali indica che lo scopo della sua venuta fu di cercare ciò “che era perduto”, ovvero quell’unica pecora, il figlio prodigo, e così via. Ridderbos osserva: “ … questi pronunciamenti … sono stati citati per provare che Gesù ha sfondato l’idea particolaristica dell’elezione d’Israele come popolo di Dio. Si suppone che poi abbia insistito su un tipo di individualismo religioso e sul valore infinito della separata e singola anima umana (l’unica pecora, ecc.). Ma ciò è incorretto. Lo stato di perduti di pubblicani e peccatori che Gesù cercò per salvare consisteva proprio nel loro completo estraniamento dalla totalità del gregge, ovvero dal popolo di Dio. E questa è la ragione per cui correvano il pericolo di perdere la salvezza promessa a questo popolo di Dio” (p. 196).


Altri Studi che potrebbero interessarti