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65: La rivelazione della necessità della  vita

Luca 13:1-17

Quando viviamo credendoci giusti siamo ciechi alla colpa comune. In particolari catastrofi questo ci porta a cercare una colpa particolare nella vittima. Ma i Galilei erano periti come segno della colpa comune di tutto Israele. Non possiamo chiederci se ci possano essere stati tra quei Galilei, dei credenti che erano salvati per l’eternità. Il disastro che li colpì rivelò il giudizio su tutto Israele. Il giudizio può colpire in un luogo o in un altro secondo il decreto di Dio: può pertanto colpire anche credenti. Lo scopo era far tornare in sé tutto il popolo.

Era sicuramente applicabile prima di tutto all’Israele di quel tempo che aveva abbandonato il patto del Signore. Vedi, per esempio, la parabola del fico sterile. Tuttavia, se non c’è un caso di generale abbandono del patto, non possiamo comunque dire che tale calamità non fosse designata a far tornare in sé la gente. Sempre, e in modo sempre più profondo, deve esserci la confessione di Paolo: “Misero me!”

D’altra parte c’è la confessione della redenzione. Anche la redenzione ci mostra la nostra miseria nel senso più profondo. La guarigione della donna che era curvata dalla sua malattia rivelò così il bisogno della vita. Colpisce leggere qui di uno spirito d’infermità e che il Signore Gesù abbia detto che Satana l’aveva legata per diciotto anni. Dietro l’infermità c’era la colpa, non una colpa personale ma la colpa comune e il regno di Satana. La liberazione di questa figlia di Abrahamo, di questa figlia del patto, rivelò il bisogno d’Israele e quello della razza umana in generale.

Il capo della sinagoga, che viveva per la sua giustizia autonoma, non vedeva il bisogno della vita né conosceva la liberazione e perciò non conosceva il sabato come segno di redenzione del patto. Vedeva, nell’osservare il sabato, un atto meritorio.

          Concetto principale: Cristo rivela la necessità della vita.

          Colpa comune. Alcune persone riferirono a Gesù che Pilato, il governatore del paese, aveva fatto uccidere un gruppo di persone nel cortile anteriore del tempio dove stavano facendo dei sacrifici e che il loro sangue era stato mescolato con quello degli animali sacrificati. È evidente che si trattava di zeloti, dei nazionalisti che facevano costantemente adirare Pilato. In violazione di ogni legge, i suoi soldati erano penetrati nel cortile del tempio dove i sacerdoti sgozzavano gli animali sacrificati, luogo che non era mai stato concesso ai gentili di frequentare, e quivi avevano ucciso i Galilei. Che il loro sangue fosse stato mescolato con quello dei sacrifici aveva fatto profonda impressione sul popolo. La gente lo vide come un giudizio divino su di loro e sospettarono che i Galilei avessero commesso qualche particolare peccato. A quanto pare, quelli che riportano la cosa a Gesù volevano sapere cosa ne pensasse lui.

La sua risposta fu completamente inattesa. Si trattava certamente di un giudizio di Dio, tuttavia non dovevano pensare che quelli che erano stati uccisi fossero peccatori peggiori degli altri Galilei. In questo giudizio Dio aveva rivelato la sua collera contro tutto Israele per aver abbandonato il patto e aver rigettato le parole di Giovanni Battista e di Gesù. Se gli astanti non avessero smesso di gloriarsi della loro propria giustizia, se non si fossero pentiti dei loro peccati e contato solo sulla grazia di Dio, sarebbero periti anch’essi.

La stessa cosa valeva per un disastro avvenuto a Gerusalemme e che era ancora fresco nella memoria collettiva. Una torre vicina alla galleria di Siloe era crollata e diciotto persone ne erano rimaste uccise. Quei diciotto non erano peccatori peggiori degli altri abitanti di Gerusalemme. Il giudizio di Dio su tutto Israele era stato rivelato e se la gente non si fosse pentita, anch’essi sarebbero tutti morti.

Ogni qualvolta udiamo di particolari calamità, non dobbiamo sospettare peccati particolari nelle vittime. Se lo facciamo non abbiamo conoscenza del peccato generale e di come si manifesti anche nella nostra vita. Allora nemmeno noi siamo giunti alle redenzione dal peccato e allora la nostra vita diventa una di superstiziosi timori e ansietà. Ogni qualvolta viene una calamità, l’ira di Dio è rivelata contro il peccato in generale. La sua ira può colpire in un luogo o in un altro secondo il suo beneplacito sovrano. L’intenzione di Dio è far sì che ci chiediamo come il peccato, che regna ovunque, operi nella nostra vita. La nostra confessione deve mostrare una conoscenza sempre più profonda della presenza  e della natura del peccato. Ma conosciamo anche la grazia e la redenzione che ci affrancano dalla paura e ci rendono liberi.

          Posporre il giudizio. Se questi disastri non piombano addosso a noi o su tutto Israele, non dobbiamo concludere che non ci sia colpa in noi o nella nazione nel suo insieme. È possibile che il peccato sia presente nelle nostre vite ma che Dio per ora posponga il giudizio. È ciò che fece in quei giorni nei confronti di Israele che continuava a rigettare il patto.

Gesù lo chiarì con una parabola. Uno aveva piantato un  fico nella sua vigna. Siccome era l’unico fico, lo guardava con grande interesse. Per tre anni di seguito aveva cercato frutti durante l’estate, ma non ne aveva trovati. Comandò al vignaiolo di tagliarlo. Il vignaiolo, però, chiese una proroga di un  ulteriore anno. Avrebbe dato all’albero delle cure speciali e l’avrebbe fertilizzato. Se anche questo non avesse sortito effetto, l’avrebbe tagliato.

Queste parole erano intese principalmente per Israele che aveva udito le parole di Giovanni Battista e di Gesù per tre anni ma non si era pentito. Ma nessuno di noi deve giungere alla conclusione che la sua vita sia completamente in ordine se in giudizio non arriva. Tutti noi meritiamo il giudizio. Se ce ne rendiamo conto di nuovo ogni giorno e cresciamo nella nostra  consapevolezza, impariamo continuamente a vivere per grazia  mediante la fede. Allora porteremo realmente frutto, frutto che talvolta potremo non vedere ma che è visto dal Signore.

          Il potere di satana. In un giorno di sabato Gesù stava insegnando in una delle sinagoghe. C’era una donna piegata da una infermità, incapace di raddrizzarsi. Era stata in quella morsa per diciotto anni. Era un potere che governava la sua vita. Era una manifestazione del potere di satana come lo è qualsiasi malattia. Infatti, per mezzo del nostro peccato satana ottenne il potere di distruggere la vita. È vero che nel suo utilizzo di questo potere satana è nelle mani di Dio e Dio può usare il flagello di satana per santificare i propri figli ma nondimeno si tratta del potere di satana all’opera nelle nostre malattie.

Questo era immediatamente evidente in quella donna così deforme che non riusciva per niente a raddrizzarsi. Era come se la mano di satana premesse forte su di lei. La sua pena commosse Gesù ed egli vide il suo nemico. Nella sua grazia Gesù si attivò immediatamente contro di lui. Chiamò a sé quella donna e le disse che era guarita dalla sua infermità. Proclamò la propria vittoria prima ancora di fare alcunché. Poi le impose le mani ed ella immediatamente si raddrizzò e glorificò Dio. Che gioia per il Signore Gesù vedere che poteva redimere la vita dal potere di satana!

Non avrebbero dovuto tutti gioire con lui? Ma non fu così. Uno spocchioso capo della sinagoga se la prese veramente a male che Gesù avesse guarito in giorno di sabato. Ma non osò rivolgersi a lui direttamente. Disse dunque alla folla che c’erano sei giorni nei quali lavorare e che la gente avrebbe dovuto venire a farsi guarire in quei giorni, non nel sabato. Per quest’uomo, osservare il sabato era un’opera meritoria. Se è così che osserviamo la legge, essa schiavizzerà la nostra vita.

Proprio mentre Gesù stava mettendo la vita in libertà, il capo sopraggiunse trascinando le sue catene. Gesù glielo contestò. Come poteva la gente, come questo capo, godere nel ridurre la vita in schiavitù? Lo facevano perché non vedevano le reali catene che tengono la vita in schiavitù, cioè il potere di satana. Altrimenti, prima di tutto, avrebbero voluto esserne liberati per far fiorire di nuovo la vita, anche di sabato. Non slegavano anch’essi il loro bue e il loro asino per abbeverarli in giorno di sabato? E Gesù non avrebbe dovuto liberare questa donna, che era una figlia del patto, un membro del popolo pattizio e che, secondo la promessa di Dio, aveva diritto alla vita ed era stata legata da satana per diciotto anni? Il capo, tuttavia, non aveva mai visto il potere di satana sebbene fosse così ovvio in questa donna. Tutto questo perché non ebbe mai la sensibilità di capire cosa il peccato veramente sia.

Tutti gli oppositori di Gesù furono svergognati dalla sua risposta. E tutta la gente gioì alle cose meravigliose che Gesù stava facendo. Compresero tutti il suo proposito? Videro tutti il potere di satana da cui li aveva liberati? E confessarono forse tutti i loro peccati, mediante i quali satana otteneva il suo potere?


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