INDICE:

Il Settimo Comandamento

9. Sesso e Crimine

 

Un’opinione piuttosto comune non solo associa il sesso col peccato originale ma assai logicamente collega sesso e crimine. Se il sesso è la scaturigine della caduta, allora, logicamente, il sesso è la causa del crimine. Questa opinione è letta dagli atei dentro la bibbia, malgrado non abbia assolutamente alcun legittimo fondamento. In realtà, l’origine di questa credenza è pagana, non biblica. Molti miti pagani indicano una credenza nell’origine sessuale del peccato. Il mito di Platone dell’uomo originale androgino ne è un familiare esempio.

L’origine sessuale della criminalità si osserva nei neo-Freudiani come in molti altri. L’ex direttore carcerario di San Quintino, Clinton Duffy ha scritto un’esposizione di quest’idea intitolata Sex and Crime, nella quale sostiene che:

Il sesso è la causa di quasi ogni crimine, è la forza dominante che muove quasi tutti i criminali. Dopo trentacinque anni di esperienza correzionale come direttore del carcere di san Quintino, e come membro della California Adult Autority e direttore esecutivo del Consiglio sull’Alcolismo di San Francisco, sono convinto che sia raro il crimine che non possa essere collegato a qualche sorta di inadeguatezza sessuale. …

I criminali sono tormentati e disorientati e turbati da tensioni sessuali, dubbi, fantasie, ansietà e appetiti. È mia opinione che il 90 per cento degli uomini nelle prigioni della nostra nazione sono lì perché non sono riusciti ad affrontare il problema.[1]

Avremo sesso finché avremo vita, e crimine finché abbiamo civilizzazione. Non possiamo eliminare il sesso e perciò non possiamo eliminare il crimine. Finché non accetteremo la relazione tra i due non potremo fare progressi nell’eterna lotta contro le forze del male. Dobbiamo comprendere che la maggior parte del crimine è una conseguenza del sesso e deve essere trattato come un problema di sesso.[2]

Se questa credenza fosse vera, la logica richiederebbe una radicale alterazione degli standard e del comportamento sessuale per poter rimuovere le cause del crimine. In conformità, i difensori dell’amore libero domandano l’abolizione delle regole sessuali come passo necessario verso una società libera e umana. Gli anarchici sessuali sono degli utopisti sociali. Una traccia di questa opinione è presente nel Duffy, il quale propose di provvedere dei partner sessuali per i prigionieri. Il Mississippi permette ad un prigioniero di ricevere “visite coniugali” con sua moglie; il Messico non le limita alle mogli.[3]

Lo stesso resoconto del Duffy dà invece evidenza della natura non sessuale del crimine. I gruppi etnici mostrano delle forme ben definite: così, gli Orientali, con la loro cultura fortemente famigliare “raramente si mettono nei guai”, meno di tutti i giapponesi. Gli scandinavi in prigione sono pochi. Gli ebrei di solito sono ligi alla legge: usualmente i loro problemi con la giustizia coinvolgono il denaro, secondo il Duffy: “la maggior parte dei carcerati ebrei sono imbroglioni, truffatori, falsari”. In principio gli irlandesi a volte si mettevano nei guai per ubriachezza e combattimenti, i tedeschi sono raramente in prigione e quando lo sono è per aggressione; gli italiani sono stati nei guai dove sono forti le attività di cosca; quando i francesi sono in prigione, è quasi sempre “per reati sessuali”; i messicani sono spesso coinvolti con reati di violenza e narcotici, ma pochi messicani oltre i quaranta sembrano mettersi nei guai”. In proporzione i neri hanno percentuali molto alte di popolazione carceraria. Nel Sud “Più della metà dei carcerati sono neri, e ciò è vero anche di alcune prigioni del Nord”.[4]  Il Duffy credeva che il pregiudizio contro i neri avesse una parte in tutto questo, benché riconoscesse che questi carcerati neri erano colpevoli. È assai probabile che qualche volta un nero colpevole dovesse affrontare una maggiore severità a motivo della sua razza, ma è altrettanto vero che per la stessa ragione molto in loro è tollerato e scusato. La formula usata a Sud per decenni fu la severità in alcune cose (come lo stupro) e l’indulgenza in molte altre (come piccoli furti, violenze tra neri, ubriachezza, e simili).

Il collegamento razziale col crimine è molto reale, ma lontano dall’essere la risposta. Non si può dire che la razza porti al crimine più di quanto lo si possa dire del sesso. Dai tempi in cui Duffy era Direttore Carcerario, la quantità di attività criminali di minorenni bianchi è aumentata molto rapidamente. È ovvio che la loro razza non costituì un’immunizzazione contro il diventare criminali. La causa va cercata altrove.

San Paolo dichiara la causa con chiarezza. L’uomo non rigenerato, l’uomo in guerra contro Dio, è ostile a Dio e lo odia; tale uomo “non è sottomesso alla legge di Dio e nemmeno può esserlo” (Ro. 8:7). Tali persone perseguono un corso di religiosa avversione alla legge (Ro. 1:18-32). Soffocano la verità a motivo della loro ingiustizia e adorano la creatura al posto del Creatore.

È quest’aspetto dell’uomo che l’umanismo rifiuta di riconoscere. Apparentemente, la criminalità umana verrà guarita eliminando lo stato, la proprietà, religione, e leggi. Ma poiché gli empi sono per natura trasgressori della legge, possono abbassare lo standard quanto vogliono, ma trasgrediranno la legge lo stesso. Vivono per trasgredire la legge. Come risultato, più una generazione rivoluzionaria trasgredisce la legge, più diviene violenta, perché la violazione di uno standard progressivamente lassista richiede azioni progressivamente più flagranti.

Nietzsche credette giustamente che il mancare di credere in Dio e nell’immortalità avrebbe creato un mondo di uomini violenti. Alcuni umanisti hanno sostenuto che se gli uomini avessero solo questa vita e questo mondo, farebbero tesoro di questa vita e vivrebbero in pace. Ma, poiché Dio e l’immortalità danno a questa vita presente significato e scopo, il credere frena l’uomo, mentre l’incredulità deprezza la vita e conduce a maggiore violenza e omicidio. Quando l’uomo diventa il proprio dio, asserire questa rivendicazione violando tutte le leggi non di sua scelta diventa articolo di fede e necessità di vita. A quel punto l’essenza della vita è essere slegati, affrancati dalla legge o dalla responsabilità. Ciò conduce ad una radicale perversità, per la quale un amico un giorno rimproverò il conte di Gramount: “Non è forse un fatto che non appena una donna ti compiace, la tua prima cura è scoprire se abbia alcun altro amante, e la tua seconda è come tormentarla; perché il guadagnare il suo affetto è l’ultimo dei tuoi pensieri. Raramente ti dedichi ad intrighi se non per disturbare la felicità altrui; un amante che non ha amanti non avrebbe fascino per te”.[5]  Nel XVIII secolo, lo scopo principale delle avventure amorose è stato descritto come: “Un desiderio di sedurre e abbandonare, per perfido gioco”. La “corona della vittoria” per il seduttore era era di fare il proprio lavoro “senza il minimo coinvolgimento emotivo, cosicché quando la donna conquistata e sottomessa, implorava alla fine ‘Almeno dimmi che mi ami!’ Egli poteva rivolgerle un sorriso sdegnato e rifiutare”. Come risultato, commento La Rochefoucauld: “Se l’amore è giudicato dalla maggior parte dei suoi effetti, somiglia all’odio più che all’amicizia”.[6] Tale “amore” era infatti odio, e cominciava con l’odio verso Dio. Poiché l’obbiettivo dell’uomo, quando rivendica di essere dio, è l’auto-sufficienza, la dipendenza dall’amore viene negata. Fu l’Era della Ragione che anche ridusse lo statuto giuridico della donna a quello di una schiava come parte del suo “amore”. Avendo ridotto la donna ad un ruolo d’impotenza, questi uomini potevano poi essere romantici intorno a questa marionetta che potevano così facilmente distruggere. Keats borbottò intorno a questa “nuova donna”:

God! she is like a milk-white Lamb that bleats

For men’s protection.[7]

Non sorprende che l’ “ostilità” sia un aspetto basilare non solo dei pedofili, ma anche di queste “Lolita”, piccole bambine che accettano queste avance.[8]

Ma ogni ostilità ha come controparte una nuova area di simpatia. Quelli che sono ostili a Dio e alla sua legge saranno simpatetici e amichevoli verso i criminali. Sentono di avere un legame comune che li unisce nell’odio per la legge. Un avvocato europeo, la cui prospettiva è decisamente non-cristiana, ha osservato:

Il determinismo nella legge penale rappresenta un’apologia in maniera grandiosa. Dobbiamo fare la domanda successiva: apologia per che cosa? Chi scusa il criminale perora se stesso. “Madame Bovary, c’est moi” disse Flaubert. In un periodo in cui forti influenze stanno battendo un terreno ancora vergine, scusare il criminale deve portare a severi sensi di colpa. Uno sforzo viene fatto dalla società per allentare questo senso di colpa scusando sia se stessa che il criminale con cui è identificata. Nietzsche fece riferimento all’ondata di compassione che nella seconda metà del XIX secolo ha sommerso l’Europa da Parigi a San Pietroburgo.[9]

Simpatia verso il criminale significa ostilità verso Dio e il suo popolo. Come Reiwald osservò ulteriormente, in un altro contesto: “Dovunque ci sia qualche forma di vita sociale, lì deve esserci punizione”.[10]  La punizione nella società umanistica è progressivamente diretta contro l’innocente e il ligio alla legge. Che riguardi la tassazione, legislazioni discriminatorie, o aperta violenza, il popolo di Dio diventa l’oggetto di crescente violenza. Nella parole di Jouvenal: “Gli abissi della depravazione non si raggiungono con un solo passo”. Bronowsky ha notato, riguardo alle festività pagane: “Questa rivolta contro l’autorità è al cuore dei saturnali ovunque”.[11]

Il Rinascimento ha sguinzagliato una grande marea di violenza con la sua ostilità nei confronti della legge santa. Secondo Lo Duca:

La libertà cercata dalle arti (la nozione di bellezza in sé è inquietante, le arti sono sempre state le truppe d’assalto della vera rivoluzione), la libertà reperita dalla scienza (questa è già più pericolosa, per il potere stabilito quanto per quelli che idolatrano il passato), la libertà voluta nel linguaggio e nei costumi furono tutte parte di un fattore dinamico capitale: l’individualismo.

Mediante l’individualismo, la libertà cerca di raggiungere l’assoluto, di ciò che la conduce al di la dei concetti di bene e di male, all’autentica anarchia. La genialità del Rinascimento spesso nasconde un’anarchia profonda e funzionale, che non fu distruttiva, essendo dominata e tenuta sotto controllo dall’orgoglio. L’orgoglio da solo ha permesso questa lussureggiante anarchia che trovò la propria moralità nell’arte.

Il perfetto esempio di uomo rinascimentale è il condottiero. Un condottiero come Sigismondo Malatesta è il Rinascimento sintetizzato in un uomo. Il suo individualismo è eguale a quello di Bartolomeo Colleoni o di Galeazzo Sforza. L’ “anarchia” di questi uomini è basata sul rigetto di ogni legge, umana o divina.

Un altro famoso condottiero: Werner von Usslingen, indossava, inciso sulla sua corazza: Nemico di Dio, Compassione e Misericordia. Uomini di questo calibro, capaci di tale feroce odio, lasciarono un segno profondo nel mondo che stava nascendo dalle ceneri del Medio Evo.

La violenza del Medio Evo non fu mai scevra da ossessione e crudeltà, e soprattutto del bisogno di trovare una giustificazione invocando pretesti religiosi. La violenza del Rinascimento non cercò di giustificarsi nemmeno per un istante. Il sentimento di colpa era sparito, assorbito da quella disperata “voglia di potere” a cui sarà dato un nome quattro secoli più tardi.

Nondimeno questi condottieri introdussero nella loro società un elemento esteriore che devastò il continente: il soldato di fortuna — mercenario o Landsknecht — lanzichenecco, signore di saccheggio e stupro. Il loro esempio, insieme all’impunità dei loro crimini (la guerra è sempre stata un utile pretesto per sguinzagliare gli istinti più infami sotto la copertura della naturale “debolezza” dell’eroe) influenzarono fortemente i loro contemporanei.[12]

L’autore che ci offre questo sommario si sente attratto anche dai malcostumi dei greci antichi, e parla del “fatto” che “gli antichi ci affascinano con una filologia molto informata sulla prima serie di penetrazioni anali, sia di uomo che di donna”.13 Uomini e società in rivolta contro l’autorità di Dio trovano una base comune nella loro ostilità verso la legge e l’ordine morale. L’uomo moderno in questo modo sente con i Greci e col Rinascimento una continuità che per certo non sente col Medio Evo o con la Riforma.

Lo Duca paragona il condottiero del Rinascimento con l’uomo moderno rivelato da De Sade:

Ciò che il condottiero portò allo spirito del Rinascimento, De Sade lo portò all’era moderna…. Non solo De Sade ha dettato l’assioma che la vita non è nient’altro che la ricerca del piacere, e perfino per il piacere, ma introduce il principio che il piacere è legato alla sofferenza, cioè al tentativo di distruggere la vita: “ …il corpo …niente di più che uno strumento per infliggere dolore”.[14]

Dove non c’è sottomissione alla legge di Dio, c’è progressiva resistenza, sfida e violazione della stessa. La causa del crimine non è il sesso: è il peccato, la sfida dell’uomo all’autorità sovrana di Dio e il tentativo dell’uomo d’essere il proprio dio. Il tentativo degli uomini di trovare le cause del crimine nel sesso è una parte del loro tentativo di rovesciare l’ordinamento giuridico di Dio riordinando le relazioni sessuali. Come previsto non solo per de Sade ma per tutti quelli che negano la legge di Dio, la conclusione è la stessa: “Ma chi pecca contro di me fa male a se stesso; tutti quelli che mi odiano amano la morte” (Pr. 8:36).

Note:


1 Clinton T. Duffy con Al Hirshberg: Sex and Crime; New York: Doubleday; Pocket Books, 1965, 1967, p.1.

2 Ibid., p. 176.

3 Ibid., p. 154-176.

4 Ibid., p. 67-74.

5 Morton M. Hunt: The Natural History of Love; New York: Alfred A. Knopf, 1959, p. 263.

6 Ibid., p. 279.

7 Citato in ibid., p. 313. (Dio! Ella è come un candido agnellino che bela per la protezione dell’uomo).

8 Russel Trainer: The Lolita Complex; New York: The Citadel Press, 1966, pp. 36 s., 98 s.
9 Paul Reiwald: Society and Its Criminals; London: William Heinmann Medical Books, 1949, p. 59.

10 Ibid., p. 238.
11 J. Bronowsky: The Face of Violence; New York: George Braziller, 1955, p. 19.
12 Lo Duca: A History of Eroticism; Covina, California: Colectors Pubblications, 1966, pp. 139-142.

13 Ibid., p. 48.
14 Ibid., p. 117.


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