INDICE:

Ottavo Comandamento

13. Leggi del lavoro

 

Le svariate leggi del lavoro sono come segue:

Non opprimerai il tuo prossimo e non lo deruberai; il salario dell’operaio non rimanga presso di te fino al mattino seguente (Le. 19:13).
Non defrauderai il bracciante povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno degli stranieri che stanno nel tuo paese, entro le tue porte;
gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e a questo va il suo desiderio; così egli non griderà contro di te all’Eterno e non ci sarà peccato in te (De. 24:14, 15).

Di queste leggi, le prime due proibiscono la frode e l’oppressione nei confronti dei lavoratori. È prescritto il pronto pagamento del salario. L’interpretazione rabbinica di questa legge durante il secondo Tempio diceva: “Chi tratta un operaio con durezza pecca gravemente come se avesse tolto la vita e trasgredito cinque precetti”[1]. Questa legge dunque chiaramente richiede, primo, che tutti quelli che sono datori di lavoro, tutti quelli che sono in una posizione di superiorità, usino quel potere con gentilezza, considerazione e misericordia. I reati contro il lavoro sono reati penali. È la legge penale e non quella civile a governare le relazioni lavorative. Mancare di corrispondere il salario dovuto è frode o furto, e deve essere perseguito come tale.

Secondo, Dio dichiara che la sua corte suprema è l’appropriata corte d’appello per il lavoro. Questa è chiaramente una promessa di giudizio contro i ladri tra i datori di lavoro e contro uno stato ladresco che non promuove azioni penali contro il furto.

Il forte senso di avversione contro l’abuso di potere da parte di datori di lavoro è evidente nella dichiarazioni bibliche e in Ben Sirach, il quale scrisse: “Uccide il prossimo chi gli toglie il nutrimento, versa sangue chi rifiuta il salario all’operaio” (Ecclesiastico 34:22). Contro tali persone la parola del Signore mediante Geremia fu di giudizio: “Guai a chi costruisce la sua casa senza giustizia e le sue stanze superiori senza equità, che fa lavorare il prossimo per nulla e non gli retribuisce il suo lavoro” (Gr. 22:13). Per mezzo di Malachia la parola è simile:

Così mi avvicinerò a voi per il giudizio e sarò un testimone pronto contro gli stregoni, contro gli adulteri, contro quelli che giurano il falso, contro quelli che frodano il salario all’operaio, opprimono la vedova e l’orfano, allontanano lo straniero e non temono me». dice l’Eterno degli eserciti (Ml. 3:5).

La stessa nota ricompare nel Nuovo Testamento:

Ecco, il salario da voi defraudato agli operai che hanno mietuto i vostri campi grida, e le grida di coloro che hanno mietuto sono giunte agli orecchi del Signore degli eserciti (Gm. 5:4).

Il riferimento in questi testi è al mancato pagamento, alla truffa, o al ritardo nella corresponsione di salari. Il ritardo nel pagamento allora e ora era ed è un mezzo di frode. In questo modo, una piccola ditta che aveva corrisposto materiali e servizi ad una grande società per azioni, nella gioia per aver avuto il suo singolo contratto più importante, più di un milione di dollari, non fu saldata per più di un anno. L’interesse sul denaro preso in prestito per pagare i propri obblighi fece quesi scomparire la piccola azienda; l’azienda più grande aveva usato questa strategia di mancato pagamento con diverse ditte tutte insieme in modo da accumulare capitale senza interessi; aveva giustamente calcolato che, prima che la legge li obbligasse a pagare nel caso ci fosse stato un processo, avrebbero saldato e il caso contro la ditta sarebbe decaduto senza ulteriori problemi.

Terzo, mentre l’intento della legge è di promuovere un pio uso del potere, il trattamento onesto nei confronti dei lavoratori non è un favore fatto loro ma un obbligo. San Paolo riassume il principio della legge in modo succinto: “Ora a colui che opera, la ricompensa non è considerata come grazia, ma come debito” (Ro. 4:4), reso dalla Versione Berkeley con: “Ora, al lavoratore il salario non è considerato un favore ma un obbligo”. Del lavoro fatto per noi o da noi è un debito che deve essere pagato prontamente come da contratto, oppure è furto e de perseguirsi come tale.

Quarto, Il padrone della proprietà è il solo governatore della sua proprietà e, una volta che abbia trattato onestamente i propri lavoratori, con ciò ch’è suo può fare ciò che vuole. Così, nella parabola del padrone di casa che assunse uomini a diverse ore del giorno, alcuni al mattino, altri alla terza, sesta, e nona ora, eppure li pagò tutti allo stesso modo, il Signore dichiarò: “Non mi è forse lecito fare del mio ciò che voglio? O il tuo occhio è cattivo, perché io sono buono?” (Mt. 20:15). Il padrone aveva detto a ciascuno: “Riceverete ciò ch’è giusto” (Mt. 20:7), e se alcuni lavorarono solo un’ora ma ricevettero il salario di un’intera giornata, non fu fatta alcuna ingiustizia nei confronti di quelli che avevano lavorato tutto il giorno ed avevano ricevuto il salario per il giorno intero. Il padrone è in debito nella misura del lavoro fatto; con ciò, però, il controllo del suo denaro e della sua proprietà, non passano al lavoratore.

Quinto, riguardo alla paga in Deuteronomio 25:4 è stabilito un principio: “Non metterai la museruola al bue che trebbia il grano”. Questo, naturalmente è un classico esempi di casistica, un principio generale della legge illustrato da un caso minimo. Se il bue merita il suo salario, il suo cibo, quanto più l’uomo? Perciò, “L’operaio è degno del suo nutrimento” (Mt. 10:10) o “L’operaio è degno della sua ricompensa” (Lu. 10:7). Nel parlare del salario dei pastori san Paolo riassume così:

Gli anziani che esercitano bene la presidenza siano reputati degni di un doppio onore, principalmente quelli che si affaticano nella parola e nell’insegnamento. La Scrittura infatti dice: “Non mettere la museruola al bue che trebbia”, ed ancora: “L’operaio è degno del suo salario” (1 Ti. 5:17-18).

Questa è una legge di estrema importanza, e la sua comprensione è di cruciale importanza. Dal lato economico, viene affermata una correlazione tra il lavoro fatto e il salario ricevuto. Siccome il lavoro è un debito contratto da un datore di lavoro, la misura del debito dipende dalla natura e la misura dei servizi. Un bue riceve il proprio cibo e la propria cura; un operaio è degno della propria paga; la natura del servizio determina la misura del debito. Pertanto, a chi scava un fosso non compete la paga di un ingegnere; il debito contratto per il suo servizio è uno ovviamente inferiore virtualmente su qualsiasi mercato o società. Non ci può essere eguaglianza di salario perché non c’è eguaglianza di debito. Non ci può essere “prezzo equo” per un particolare tipo di servizio, perché il valore del servizio varia nella natura del debito che contrae nei termini della necessità per quel servizio.

Dal lato non-economico, è chiaro che, mentre l’aspetto economico non viene eluso, la relazione tra padrone e operaio non è ridotta solo all’aspetto economico. Al bue non deve essere messa la museruola; ma il bue è anche addestrato dal padrone e accudito. Gli apostoli e i ministri hanno più che una relazione economica nei confronti di quelli che servono; la relazione non è decisamente una questione di carità, ma non è meramente economica. La legge chiama il lavoratore “tuo prossimo”, indicando una relazione sociale oltre a quella economica. La relazione tra lavoratore e datore di lavoro non può essere ridotta all’aspetto economico nudo e crudo, né può sfuggirgli. Tra i due c’è un vasto mondo di relazioni personali. La relazione giapponese tra capitale e lavoro è stata definita paternalistica e feudale, ma è una relazione economica sana e allo stesso tempo personale. L’umanismo occidentale ha depersonalizzato e atomizzato le relazioni con infelici risultati. Una varietà di istituzioni e organizzazioni oggi intrude nella relazione: agenzie amministrative statali, gilde e sindacati, e organizzazioni imprenditoriali. Se non basta, l’imprenditorialità si è sistematicamente depersonalizzata e ha allargato il divario.

La correlazione tra la natura del lavoro e la retribuzione per quel lavoro è affermata nuovamente da san Paolo in 1 Corinzi 3:8: “ma ciascuno riceverà il proprio premio secondo la sua fatica”, o, come nella Versione CEI: “ …ma ciascuno riceverà la sua mercede secondo il proprio lavoro”. Quest’affermazione è fatta riguardo ai ministri che servivano la chiesa di Corinto, un ministero non-economico eppure con un principio economico a cui Paolo fa appello. Perciò questo principio economico non è mai eluso, come non è mai eluso il fatto che c’è una relazione personale.

La questione pressante riguardo alle relazioni di lavoro è “il diritto di sciopero”. Esiste un diritto morale di scioperare? Hazlitt ne ha sollevato la questione [2]. Read ha negato che tale diritto morale esista: “Nessuna persona, e nessuna combinazione di persone, ha il diritto morale di imporsi – al proprio prezzo — su alcun datore di lavoro, o di precludergli con la forza l’assunzione di altri”[3]. Come Read dice inoltre:

Dire di credere nel diritto di sciopero può essere paragonato a dire che si sottoscrive il monopolio del potere per escludere competitori nell’attività; significa dire, in effetti, che controlli di tipo governativo siano preferibili allo scambio volontario tra compratore e venditore, ciascuno dei quali è libero di accettare o rifiutare la miglior offerta dell’altro. In altre parole, dare il benestare a un diritto di sciopero è dichiarare che la forza fa il diritto (might makes right) — che equivale a rigettare il solo fondamento su cui può poggiare la civiltà. Profondamente alla radice dello sciopero c’è la nozione persistente che un impiegato, una volta che è stato assunto ha il diritto di continuare nella mansione come se fosse un oggetto di sua proprietà. Un lavoro è solo una questione di scambio, che ha esistenza solo durante la vita dello scambio. Cessa di esistere nel momento in cui una delle parti lascia o il contratto termina. Il diritto ad un lavoro che è stato terminato non ha validità maggiore del diritto ad un lavoro che non si è mai avuto [4].

L’interferenza da parte dello stato nell’economia ha portato all’ascesa di monopoli, monopoli nel commercio e nel lavoro. Le aree di monopolio sono esclusivamente le aree di interferenza statale.

Molti obbietteranno che, senza questa interferenza statale, il datore di lavoro sarebbe libero di derubare il lavoratore. Questo significa assumere che il mondo non sia sotto la legge di Dio; ma perché è sotto la legge di Dio, il furto in definitiva fa venire il giudizio.

Per citare un esempio: dopo la Seconda Guerra Mondiale, un imprenditore del settore dell’abbigliamento costruì un impianto di produzione in una comunità di pensionati. L’inflazione stava costringendo molte mogli e vedove a cercare impiego in una comunità che offriva poche opportunità di lavoro. L’imprenditore usò associazioni politiche per rendersi immune a vari codici ed ispezioni; corrispondeva il salario minimo, aveva una fila di donne in colonna per l’assunzione, e si era messo al sicuro da interferenze sindacali talché non furono fatti tentativi di sindacalizzare il suo impianto. I membri del sindacato lo citarono come un classico caso di “fabbrica di sudore”, dedita ad una concorrenza sleale nei confronti degli altri imprenditori; per loro era la “prova” della necessità della sindacalizzazione. L’imprenditore, comunque, finì bancarotta e fuori attività in pochi anni. Corrispondendo salari molto bassi, poteva impiegare solo quelli che non riuscivano ad ottenere lavori altrove. Il morale era basso, e la lavorazione di scarsa qualità. Benché usasse materiali di qualità, la qualità dei suoi prodotti era inferiore alla media e furono ben presto rifiutati da tutti i dettaglianti. Se addestrava un buon operaio, costui passava ad un lavoro migliore. Così, il tentativo di usare la politica e la sventura per approfittare dei lavoratori terminò in un grande disastro finanziario.

Ma esaminiamo lo stesso problema moralmente. Il tentativo d’usare la violenza per costringere un datore di lavoro a corrispondere una desiderata paga anti-economica è chiaramente furto. È una pretesa che il datore di lavoro derubi se stesso o i suoi clienti, che può significare collocarsi economicamente fuori dal mercato. Vero, molti datori di lavoro sono uomini malvagi, e anche molti lavoratori lo sono. Nessuno dei due ha il diritto di derubare l’altro. Se nessuno dei due sta violando una legge penale, nessuno dei due ha il diritto di far intervenire lo stato. Nessun individuo ha il diritto di cercare di rigenerare o convertire un’altro con la forza.

La falsa premessa delle politiche contemporanee è che per mezzo dell’azione statale l’utopia può essere fatta diventare realtà in breve tempo. La maggior parte delle persone, comunque, definisce l’utopia nei termini di ciò che vogliono loro. Così, intorno al 1900, le maggiori aziende società di capitali statunitensi, non riuscivano a sostenere la competizione di rivali minori, e stava avvenendo una decentralizzazione del mercato. La legislazione su scala nazionale contro i “monopoli” in realtà resero possibili i monopoli, e salvò le “grandi imprese” [5].  Questa concentrazione di potere economico è stata favorita dai monopoli sindacali. Apparentemente, l’utopia e la prosperità sono assicurate mediante queste mosse verso la stabilizzazione dello scenario economico. Il progresso economico non è stabilizzazione ma un processo di crescita e distruzione, competizione e avanzamento. Moralmente, nessuno può essere convertito con la forza e in una società la “conversione mediante la violenza” porta solo a divisioni ancora più profonde, e a maggiori conflitti irrisolti. Come una glassa su una torta di fango non ne fa un articolo di pasticceria, la forza non risolverà i problemi dell’uomo né convertirà gli uomini in santi.

La legge, come strumento proprio, richiede a forza, e la forza può essere usata legittimamente ove gli uomini violino la legge penale, dove rubino, uccidano, ecc.. la legge può governare il comportamento dell’uomo ove sia violata la giustizia, ma non può cambiare il cuore dell’uomo. Ancor meglio, la legge non può essere usata per privare un proprietario dei suoi diritti di proprietà. Possiamo concordare che un uomo sia malvagio, o che sia spiacevole trattare con lui, ma a meno che quell’uomo violi la legge, non possiamo toccarlo. La legge deve permetterci di recuperare della proprietà da un ladro, ma non può legittimamente permetterci di derubarlo. Quando impresa e lavoro usano la legge per derubare il consumatore, o derubarsi l’un l’altro, stanno negando lo stato di diritto in favore del diritto della forza, della violenza, perché la forza separatamente dal diritto è violenza. Il furto è furto, tanto che si rubi dal ricco, dal povero, o dal ceto medio. Il presupposto delle legislazioni a favore dell’impresa è questo: È giusto rubare a favore dell’impresa, perché l’impresa è buona per la nazione. Il presupposto delle legislazioni a favore del lavoro è: È giusto rubare a favore del lavoro, perché il lavoratore è povero, e anche perché porta molti voti. La parola di Dio è molto chiara: Tu non ruberai.

Un sindacato può farsi chiamare cristiano, ma se accetta i presupposti basilari del sindacalismo, diventa moralmente compromesso. Così, i “Principi e Prassi dell’Associazione dei Lavoratori Cristiani del Canada” equiparano i principi egalitari con le Scritture. Il suo secondo principio dice:

La discriminazione sul lavoro a motivo del colore, credo, razza o nazione d’origine contrasta col principio biblico dell’uguaglianza davanti a Dio di tutti gli esseri umani e con la legge dell’amore verso tutti gli uomini.

Gli uomini non sono tutti eguali davanti a Dio; i fatti di paradiso e inferno, elezione e riprovazione, rendono chiaro che non sono tutti eguali. Inoltre, un datore di lavoro ha il diritto di proprietà di preferire chi voglia nei termini di “colore, credo, razza, o nazione d’origine”. Una chiesa cristiana giapponese a Los Angeles ha il diritto di chiamare un pastore giapponese. Un datore di lavoro svedese o di colore ha il diritto di assumere chi vuole, nei termini di ciò che è più congeniale con i suoi propositi.

Il quinto principio dice:

Le risorse della creazione non possono essere sfruttate per il guadagno personale o l’arricchimento di un gruppo o di una comunità, ma devono essere sviluppate per l’uso al servizio di tutta l’umanità.

Questo è semplicemente socialismo, furto fatto diventare principio operativo. Non c’è una sola parola in tutta la Scrittura che dia fondamento per una tale asserzione.

Il fatto che un lavoratore sia povero non gli da maggior diritto di rubare di quanto il potere di un datore di lavoro gli dia il diritto di frodare. Il furto non è un privilegio o un diritto per nessuna classe di persone.

Note:

1 C. D. Ginsburg in Ellicott, I, 423..
2 Henry Hazlitt: Economics in One Lesson; New York: Pocket Books, 1948, p. 125 s.

3 Leonard E Read: The Coming Aristocracy; Irvington-on-Hudson, New York: The Foundation for Economic Education, 1969, p. 169.

4 Ibid., p. 170 s.

5 Gabriel Kolko: The Triunph of Conservatism, A Reinterpretation of American History; New York: The Free Press of Glencoe, 1963.


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