INDICE:

1

IL PRIMO COMANDAMENTO

1. Il Primo Comandamento e lo Shema Israel

Il prologo ai Dieci Comandamenti introduce non solo la legge nella sua interezza ma porta direttamente al primo comandamento:

Allora Dio pronunciò tutte queste parole, dicendo:
Io sono l’Eterno il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù.
Non avrai altri dèi davanti a me. (Es. 20:1-3).

In questa dichiarazione, Dio si identifica, primo, come l’Eterno, l’Uno assoluto ed auto-esistente. Secondo, egli ricorda ad Israele che è il suo Salvatore, e che la loro relazione nei suoi confronti (“il tuo Dio”) è perciò una relazione di grazia. Dio scelse Israele, non Israele Dio. Terzo, la legge è data al popolo della grazia. Tutti gli uomini sono già giudicati, decaduti e perduti; tutti gli uomini sono sotto l’ira di Dio, un fatto che fu sottolineato dal tremare del monte e dalla minaccia di morte per l’avvicinamento non concesso (Es. 19: 16-25). La legge è data al popolo salvato per grazia come loro via di grazia, per esporre loro i privilegi e le benedizioni del patto. Quarto, ne consegue dunque che la prima risposta alla grazia, quanto il primo principio della legge è questo: “Tu non avrai altri dèi davanti a me”.

Nell’analizzare questo comandamento, dobbiamo esaminare le sue implicazioni citate da Mosè:

Or questo è il comandamento, gli statuti e i decreti che l’Eterno, il vostro Dio, ha ordinato d’insegnarvi, perché li mettiate in pratica nel paese del quale state per entrare per prenderne possesso; affinché tu tema l’Eterno, il tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, tuo figlio, e il figlio di tuo figlio, tutti i suoi statuti e tutti i suoi comandamenti che io ti do, e affinché i tuoi giorni siano prolungati. Ascolta dunque, Israele, e abbi cura di metterli in pratica, affinché ne venga del bene a te e vi moltiplichiate grandemente nel paese dove scorre latte e miele, come l’Eterno, il Dio dei tuoi padri, ti ha detto. (De. 6:1-3).

Primo, la ragione per cui furono dati questi comandamenti fu per risvegliare il timore di Dio, e che il timore motivasse l’obbedienza. Poiché Dio è Dio, l’assoluto signore e legislatore, il timore di Dio è l’essenza del senno e del senso comune. Allontanarsi dal timore di Dio è mancare di qualsiasi senso di realtà. Secondo, “Il mantenimento del timore di Dio avrebbe portato prosperità, e la crescita della nazione promessa ai padri. … La crescita della nazione era stata promessa ai patriarchi fin dal principio (Ge. 12:1: …cf. Le. 26:9.”)1 È perciò necessario mantenere questi timore e obbedienza di generazione in generazione.

In Deuteronomio 6: 4-9, si giunge ad una centrale e basilare dichiarazione del primo principio della legge:

Ascolta, Israele: l’Eterno, il nostro DIO, l’Eterno è uno. Tu amerai dunque Eterno, il tuo DIO, con tutto i tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza. E queste parole che oggi ti comando rimarranno nel tuo cuore; e inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando sei seduto in casa tua, quando cammini per strada, quando sei coricato e quando ti alzi.Le legherai come un segno alla mano, saranno come fasce tra gli occhi, e le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.

I primi due versi (6: 4,5) sono lo Shema Israel, recitato come preghiera del mattino e della sera di Israele, e dai rabbini considerato contenere i principi del decalogo.2  La seconda porzione dello Shema, vs. 5, riecheggia in Deuteronomio 10:12, 13:

E ora, o Israele, che cosa richiede da te l’Eterno, il tuo Dio, se non di temere l’Eterno, il tuo Dio, e di camminare in tutte le sue vie, di amarlo e di servire l’eterno il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, e di osservare per il tuo bene i comandamenti dell’Eterno e i suoi statuti che oggi ti comando?3

Deuteronomio 6:5 è citato da Cristo come “Il primo e grande
comandamento” (Mt. 22:37; Mc. 12:30; Lc. 10:27), vale a dire come il principio essenziale e basilare della legge. La premessa di questo comandamento, però, è Deuteronomio 6:4 “Ascolta, Israele, l’Eterno il nostro Dio, l’Eterno è uno”. La conferma cristiana di questa verità è la dichiarazione: “Noi adoriamo un Dio nella trinità, e la Trinità nell’Unità”. È la fede nell’unità della divinità in contrapposizione con la credenza in “ molti dii e molti signori”.4

Le conseguenze di questo fatto per la legge sono totali: significa un Dio, una legge. La premessa del politeismo è che viviamo in un multiverso, non un universo, che esistono una varietà di ordinamenti giuridici e perciò di signori, e che l’uomo non può perciò essere sotto una legge se non in virtù dell’imperialismo. Il moderno positivismo giuridico nega l’esistenza di qualsiasi assoluto; è ostile, a motivo del proprio relativismo, al concetto di un universo e di un universo di legge. Esistono, invece, società di uomini, ciascuna col proprio ordinamento di legge positiva, e ciascun ordinamento giuridico manca di qualsiasi validità assoluta o universale. La legge degli stati buddisti è intesa come valida per le nazioni buddiste, la legge dell’Islam per gli stati Islamici, la legge del pragmatismo per gli stati umanisti, e le leggi delle Scritture per gli stati cristiani, ma nessuno, si sostiene, ha il diritto di affermare che la loro legge rappresenti il vero in alcun senso assoluto. Ciò, naturalmente, milita contro la dichiarazione biblica che l’ordinamento di Dio è assoluto e assolutamente vincolante su uomini e nazioni.

Ancor di più, poiché una legge assoluta è negata, ciò significa che la sola possibile legge universale è una legge imperialistica, una legge imposta con la forza e senza validità altra che quella della coercizione impositiva. Qualsiasi ordinamento mondiale con tali premesse è necessariamente imperialistico. Avendo negato la legge assoluta, non può appellarsi all’uomo che ritorni al vero ordinamento dal quale l’uomo è decaduto. Una legge relativista, pragmatica, non ha premesse per un’attività missionaria: la “verità” che proclama non ha maggiore validità della “verità” creduta dalla gente che cerca di unire a sé. Se sostiene: “Stiamo meglio da soli” non può giustificare quest’affermazione eccetto dicendo: “Io sostengo che sia così”, a cui, colui che oppone resistenza, può rispondere: “Stiamo meglio in molti”. Sotto la legge pragmatica, si sostiene che ogni uomo sia il proprio sistema giuridico perché non c’è nessun ordinamento giuridico globale assoluto. Ma ciò significa anarchia. Perciò, mentre il pragmatismo o relativismo (o esistenzialismo, positivismo, o qualsiasi altra forma di questa fede) sostiene l’assoluta immunità dell’individuo implicitamente o esplicitamente, in effetti il suo unico argomento è la coercizione dell’individuo, perché non ha nessun altro ponte tra uomo e uomo. Può parlare d’amore, ma non c’è fondamento per chiamare l’amore più valido dell’odio. Di fatto, il Marchese De Sade logicamente non vide crimine nell’assassinio; su fondamento nominalista, relativista, cosa può esserci di sbagliato con l’assassinio?5 Se non c’è legge assoluta, ogni uomo è la propria legge. Come dichiarò lo scrittore di Giudici. “In quei giorni non c’era re in Israele (cioè la gente aveva rigettato Dio come Re); ogni uomo faceva ciò che sembrava giusto ai suoi occhi” (Gc. 21:25; cf. 17:6; 18:1; 19:1). La legge proibisce che l’uomo sia legge a se stesso: “Non farete secondo tutto ciò che facciamo oggi qui, dove ognuno fa tutto ciò che è giusto ai propri occhi” (De. 12:8), e questo vale per il culto quanto per l’ordinamento morale. Il primo principio dello Shema Israel è perciò un Dio, una legge. È la dichiarazione di un ordinamento morale assoluto al quale l’uomo deve conformarsi. Se Israele non può ammettere un altro Dio e un altro ordinamento giuridico, non può riconoscere alcun altra religione o ordinamento giuridico per sé o per chiunque altro. Siccome Dio è uno, la verità è una. Altri popoli periranno per via a meno che si volgano a Dio e si convertano (Sl. 2:12). La coercizione basilare è riservata a Dio.

Poiché Dio è uno, e la verità è una, l’una legge ha una coerenza interna. L’unità della Divinità appare nell’unità e coerenza della legge. Anziché essere fatta di diversi strati di diverse origini e utilità, la legge di Dio è essenzialmente una parola, un insieme unificato.

Gli ordinamenti politici moderni sono degli stati imperialisti politeisti, ma le chiese non sono messe meglio. Sostenere, come fanno le chiese, Cattolica Romana, Greco Ortodossa, Luterana, Calvinista, e virtualmente tutte le altre, che la legge di Dio era per Israele, ma che i cristiani e la chiesa sono sotto la grazia e senza legge, o sotto qualche legge più alta o più recente, è implicitamente politeismo. L’eresia di Gioachino da Fiore ha infettato la chiesa profondamente. Secondo questa eresia, la prima età dell’uomo fu l’età del Padre, l’epoca della giustizia e della legge. La seconda età fu quella del Figlio, della cristianità, della chiesa e della grazia. La terza età è l’età dello Spirito, quando gli uomini diventano dii e la propria legge.

Il Dispensazionalismo anche è o evoluzionista o politeistico o entrambi. Dio cambia o altera le sue vie con l’uomo talché la legge è amministrata in un’epoca e non in un altra. Un’epoca vede la salvezza per opere, un’altra per grazia, e così via. Ma le Scritture ci danno un’affermazione contraria: “Io sono l’Eterno, io non muto” (Ml. 3:6). Cercare di contrapporre la legge alla grazia è politeista o come minimo Manicheo: assume due vie o poteri ultimi in contraddizione l’uno con l’altro. Ma la parola di Dio è una parola, e la legge di Dio è una legge, perché Dio è uno. La parola di Dio è una parola-legge, ed è una parola-grazia: la differenza sta nell’uomo, in virtù dell’elezione, non in Dio. La parola benedice e la parola condanna nei termini della nostra reazione ad essa. Pregare per grazia è anche pregare per giudizio ed è un affermare la verità e la validità della legge e la giustizia della legge. L’intera dottrina dell’espiazione di Cristo sostiene l’unità di legge, giudizio e grazia.

Ogni forma di antinomismo ha in sé elementi di politeismo. Degli antinomisti Fairbairn ha scritto:

Alcuni magnificano tanto la grazia per poter mettere a tacere le loro coscienze riguardo alle richieste di santità, e reclamano per sé una libertà di peccare affinché abbondi la grazia, o, ed è anche peggio, negano che qualsiasi cosa facciano possa avere il carattere del peccato, perché essi attraverso la grazia sono assolti dai requisiti della legge, e perciò non possono peccare. Questi sono antinomisti del tipo più indecente, che non hanno meramente qualche testo particolare della bibbia ma il suo intero tenore e spirito contro di essi. Altri, comunque, e questi sono i soli rappresentanti dell’idea che al tempo presente può considerarsi avere una notevole presenza, sono promotori di santità secondo l’esempio e gl’insegnamenti di Cristo. Sono pronti a dire: “La conformità alla volontà Divina, e ciò come fosse obbedienza ai comandamenti, somiglia alle gioie e ai doveri della mente rinnovata. Alcuni hanno timore della parola obbedienza, come se indebolisse l’amore e l’idea di una nuova creazione. La Scrittura non ne ha. L’obbedienza e l’osservanza dei comandamenti di uno che amiamo è la prova di quell’amore, e la delizia della nuova creatura. Se avessi fatto tutto bene, e non l’ho fatto in obbedienza, non avrei fatto bene niente, perché la mia vera relazione e il riferimento del mio cuore a Dio sarebbero stati lasciati fuori. Questo è l’amore, che osserviamo i suoi comandamenti” (Darby: “On the Law”, pp. 3,4). Fin qui tutto benissimo, ma poi c’informano che questi comandamenti non si trovano nella rivelazione della legge, così definita, distintamente. La legge, sostengono, aveva un carattere e uno scopo specifici, da cui non può essere dissociata, e che fa di essa un ministro del male in tutti i tempi. “È un metodo di trattare con gli uomini che necessariamente li distrugge e li condanna. Questo è il modo (continua l’autore) che lo Spirito di Dio usa in contrasto con Cristo, e mai, nell’insegnamento cristiano, pone l’uomo sotto di essa. Né la Scrittura pensa mai di dire: Tu non sei sotto la legge in un modo, ma lo sei in un altro; non lo sei per la giustificazione, ma lo sei come regola di vita. Essa dichiara: Tu non sei sotto la legge ma sotto la grazia, e se sei sotto la legge sei condannato e sotto maledizione. Come può essere obbligatoria se l’uomo non le è sotto ma ne è stato liberato?” (Ibid. p. 4). L’antinomismo di questa descrizione, che fa una distinzione tra gli insegnamenti o comandamenti di Cristo e i comandamenti della legge, che sostiene che i primi siano vincolanti la coscienza del cristiano e gli altri no, è apertamente nient’altro che parziale Antinomismo; essenzialmente non è diverso dal Neonomismo, poiché viene ripudiata solo la legge connessa con la precedente dispensazione, mentre è ricevuta come l’incarnazione dei principi della moralità cristiana ed associata con la vita e la potenza dello Spirito di Cristo.6

Un’ associazione “evangelistica” dedicata al lavoro tra universitari ha di fatto insegnato che “La legge fu data da Satana”. (Raccontato dalla figlia di questo scrittore, da un corso insegnato nel campus universitario da un leader di questo movimento.) Una tale posizione può essere descritta solamente come una bestemmia.

Un esempio di questo antinomismo da qualche circolo Luterano non ufficiale viene da un manuale di scuola domenicale. Il Vecchio Testamento è trattato, e pure il Nuovo, come un libro da scavare o da investigare per trovarvi delle “verità”, talché gli studi dei vari libri hanno una prefazione con alcune dichiarazioni sommarie intitolate: “Verità che troverete nel libro di Abakuk”, o “Verità che troverete nel libro di Matteo”, e così via. Dobbiamo assumere che il resto del libro sia fatto di menzogne? Nella “Introduzione al Nuovo Testamento” ci viene detto: “Il Nuovo Testamento è la presentazione della vita sotto la grazia nelle sue diversità dalla vita sotto la legge”7 Ma anche il Vecchio Testamento presenta la vita sotto la grazia, ed entrambi il Vecchio e il Nuovo Testamento presentano la vita sotto la grazia come vita sotto la legge, mai come in assenza di legge. L’alternativa alla legge non è la grazia; è l’assenza di legge. La grazia e l’elezione si muovono nei termini della legge e sotto la legge; i reprobi sono anti-legge e anti-grazia. Il proposito di uomini di chiesa è forse fare delle chiese delle scuole di riprovazione?

Tutto questo illustra un secondo principio dello Shema Israel: un assoluto, immutabile Dio significa una assoluta, immutabile legge. Le applicazioni sociali dell’uomo e la sua approssimazione della giustizia di Dio possono modificarsi, variare ed essere incerte, ma la legge assoluta non lo è. Parlare della legge come “per Israele” ma non per i cristiani significa non solo abbandonare la legge ma anche abbandonare il Dio della legge. Poiché c’è solo un vero Dio, e la sua legge è l’espressione delle sue immutabili natura e giustizia, abbandonare la legge biblica per un altro sistema giuridico è cambiare Divinità. Il collasso morale della cristianità è un prodotto di questo corrente processo di cambiamento di dii.

Il Barthianismo, nell’affermare la “libertà” di Dio di cambiare (implicando l’evolversi di un dio imperfetto), afferma il politeismo. Il politeismo afferma molti dii e molte vie di salvezza. Non sorprende che Carl Barth sia quantomeno implicitamente universalista. Per Barth tutti gli uomini possono essere o saranno salvati perché non c’è una assoluta, immutabile legge che giudica tutti gli uomini. Nella sua prospettiva politeista, tutti gli uomini possono trovare una strada per la salvezza tra tante, se, effettivamente, è la salvezza di cui hanno bisogno. Per Barth la salvezza dev’essere intesa più realisticamente come auto-realizzazione; è la gnosi dell’elezione, la realizzazione che tutti gli uomini sono eletti in Cristo, Vale a dire: liberi da un Dio assoluto e da un assoluto decreto e legge.

Un terzo principio dello Shema Israel è che un Dio, una legge, richiede una totale, costante, incondizionata obbedienza: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza” (De. 6:5). Il Talmud traduce “forza” con “denaro”.8 Il significato è che l’uomo deve obbedire Dio totalmente, in ogni e qualsiasi condizione, con tutto il suo essere. Poiché l’uomo è totalmente la creatura di Dio, e poiché non c’è una fibra del suo essere che non sia opera di Dio e perciò soggetto alla totale legge di Dio, non c’è un’area di vita e dell’essere d’un uomo che possa essere tenuta in serbo da Dio e dalla sua legge. Perciò, come dichiara

Deuteronomio 6:6: “E queste parole che oggi ti comando rimarranno nel tuo cuore”. Il commento di Lutero su questo verso è interessante perché contiene i semi dell’antinomismo che più tardi divenne così profondamente radicato nel luteranesimo:

Egli (Mosè) vuole che sappiate che il Primo Comandamento è la misura e il criterio di tutti gli altri, al quale essi devono dare ascolto e obbedienza. Perciò, se è a motivo di fede e carità, potete uccidere, in violazione del Quinto Comandamento, proprio come Abrahamo uccise i re (Ge. 14:15) e Re Achab peccò perché non uccise il Re di Siria (1 Re 20:34 ss.). Simile il caso per furto, imboscata, e inganno contro i nemici di Dio; potete prende le spoglie, beni, mogli, figlie, figli e servi dei nemici. Così dovreste odiare padre e madre per poter amare il Signore (Lu. 14:26). In breve, dove qualsiasi cosa sia contro fede ed amore, lì non riconoscerete altro comando che sia da Dio o dall’uomo. Dove invece è per la fede e l’amore, saprete che tutto è comandato in qualsiasi situazione, dovunque. Poiché la frase dice: “Queste parole saranno nel tuo cuore”; lì esse dirigeranno. Inoltre, a meno che esse siano anche nel cuore, certamente nessuno comprenderà o seguirà questa epieikeia, o mai utilizzerò leggi con successo, sicurezza e legalità. Perciò Paolo dice anche in 1Timoteo 1: 9 che “La legge non è stata istituita per il giusto”, per la ragione che il compimento della legge è l’amore da un cuore e da una fede non finta (1 Tm. 1:5), il quale (l’amore) usa la legge legittimamente quando non ha leggi ed ha tutte le leggi-non leggi, perché nessuna vincola a meno che serva fede e amore; tutte, perché tutte vincolano se servono fede ed amore.

Perciò, questo è ciò che Mosè intende in quel passo: Se desideri comprendere il Primo Comandamento correttamente e veramente non avere altri dèi, agisci in modo da credere ed amare un Dio, rinnega te stesso, ricevi ogni cosa per grazia, e fa ogni cosa con gratitudine.9

La confusione di questa dichiarazione può generare solo confusione.

Un quarto principio che deriva dallo Shema Israel è affermato in Deuteronomio 6:7-9, 20-25: l’istruzione nella legge è basilare e inseparabile dall’obbedienza alla legge e dal culto, ambedue. La legge richiede istruzione nei termini della legge. Qualsiasi altra cosa che un’educazione fondata sulla bibbia è perciò un atto d’apostasia per un credente: concerne l’avere un altro dio e prostrarsi davanti a lui per imparare da lui. Non può esserci vero culto senza vera istruzione, perché la legge prescrive ed è assoluta, e nessun uomo può avvicinarsi a Dio in disprezzo delle sue prescrizioni.

Da Deuteronomio 6:8 Israele derivò l’uso del Tefillin (filatterie), le porzioni della legge legate al capo o al braccio durante la preghiera. Di 6:8-9 è stato osservato:

Proprio come queste parole sono figurative, e denotano una ferma osservanza dei comandi divini, così anche il comandamento che segue, cioè di scrivere le parole della legge sugli stipiti e sulle porte devono essere intesi spiritualmente; e il compimento alla lettera di questo comando avrebbe potuto essere un’usanza degna d’onore o di compiacimento per il Signore quando si ricorresse ad essa come modo di tenere i comandamenti di Dio costantemente davanti agli occhi. Il precetto stesso, comunque, presuppone l’esistenza di questa usanza, che non solo è ancora attiva nelle nazioni Maomettane dell’Est al giorno d’oggi ma fu anche un’usanza comune nell’antico Egitto.10

Ciò che è richiesto, sicuramente, è che mente ed azione, famiglia e casa, la visione d’un uomo e il suo operare, siano viste tutte nella prospettiva della parola-legge di Dio.

Ma non è tutto. Il compimento letterale del comando riguardante il filatterio al capo e alla mano (De.6:8-9) è chiaramente richiesto come rende chiaro Numeri 15:37-41 (cf. De. 11:18-20). I cordoni violetto richiesti non possono essere dismessi spiritualmente. Dio richiede di essere adorato secondo la sua parola. Su questo punto il commento di Calvino a Numeri 15:38 è centrato:

E, prima di tutto, contrapponendo “i cuori e gli occhi” degli uomini alla sua legge, Egli dimostrò che vuole che il suo popolo sia contento con quella regola che Egli prescrive, senza mescolarci alcuna delle loro immaginazioni; e, di nuovo, Egli denuncia la vanità di qualsiasi cosa gli uomini inventino per sé stessi, e per quanto attraente possano trovare qualsiasi progetto umano, lo stesso Egli lo ripudia e condanna. E ciò è espresso ancor più chiaramente con l’ultima parola, con la quale dice che gli uomini “fornicano” (letteralmente: “vanno a prostitute”) ogni qual volta sono governati dal proprio consiglio. Questa dichiarazione merita la nostra particolare attenzione, poiché mentre quelli che adorano Dio secondo la loro propria volontà hanno molta auto-soddisfazione, e mentre considerano che il loro zelo sia molto buono e molto giusto, non fanno nient’altro che contaminare se stessi con adulterio spirituale. Poiché ciò che dal mondo è considerato la più santa devozione, Dio, con la propria bocca, denuncia essere fornicazione. Con la parola “occhi” egli indubbiamente significa la capacità dell’uomo di discernere. 11

Dispiace che Calvino deturpi quest’insegnamento chiamandolo un “bisogno di rozzi rudimenti” 12. Nostro Signore adempì questa legge, e una donna toccò la frangia o lembo della sua veste per essere guarita (Mt. 9:20). Gesù criticò i farisei perché allargavano le loro filatterie e allungavano le frange (Mt. 23:5) per vantarsi della loro pretesa superiore lealtà alla legge. Il comandamento è ripetuto in Deuteronomio 22:12, così da renderne chiara l’importanza.

Gli uomini si vestono in modi strani e diversi per conformarsi al mondo e ai suoi stili. Cosa c’è di “rozzo” circa qualsiasi conformità alla legge di Dio o qualsiasi moda Dio specifichi? Non c’è nulla di difficile o strano riguardo a questa legge, né alcunché di assurdo o impossibile.

Non è osservato dai cristiani, perché come la circoncisione, il sabato, e altri aspetti della forma Mosaica del patto, fu superato da nuovi segni del patto come sono stati rinnovati da Cristo. La legge del patto rimane, i riti e i segni pattizi sono stati cambiati. Ma le forme dei segni pattizi non sono meno onorevoli, profondi e belli nella forma Mosaica che in quella cristiana. Il cambiamento non rappresenta un avanzamento evolutivo o una relazione più alta o più bassa. Il patto fu compiuto in Gesù Cristo; ma Dio non trattò Mosè, Davide, Isaia, Ezechia, o alcuno del suo popolo pattizio del Vecchio Testamento come minore ai suoi occhi o più puerile nella capacità e perciò bisognoso di “rozzi rudimenti”. In ogni epoca, il patto è completamente santo e saggio; in ogni epoca il popolo del patto si regge nei termini della grazia, non in ragione di una “più alta” capacità o maturità personale.

Adorare in una lingua sconosciuta (1Co. 14) è una violazione di questo comandamento, come lo è un culto che manchi della fedele proclamazione della parola di Dio, o sia senza l’istruzione del popolo del patto nei termini della parola-legge del patto.

Un quinto principio che è pure proclamato in questo stesso passo , in Deuteronomio 6: 20-25, è che, in questa istruzione comandata, deve essere sottolineato che la risposta alla grazia è l’osservanza della legge. Ai bambini dev’essere insegnato che il significato della legge è che Dio ha redento Israele dalla schiavitù, e, “perché egli ci conservasse in vita” “ci comandò di mettere in pratica tutti questi statuti, temendo l’Eterno il nostro Dio per il nostro bene” (6:24). Non c’è autorizzazione d’accantonare questo né nel Vecchio né nel Nuovo Testamento. Dove le chiese del Vecchio o del Nuovo Testamento abbiano istituito un falso significato alla legge, quel falso significato viene attaccato da profeti e da apostoli, ma mai la legge di Dio in sé stessa. Poiché Dio è uno, la sua grazia e la sua legge sono una nel loro scopo e direzione. Questo passo rende estremamente chiara la priorità della grazia elettiva di Dio nel chiamare e redimere il suo popolo scelto. La relazione d’Israele era una relazione di grazia, e la legge fu data in modo da provvedere al popolo di Dio la necessaria e richiesta risposta alla grazia ed essa stessa manifestazione della grazia: l’osservanza della legge.

In Deuteronomio 6: 10-15, viene fatto un altro punto centrale con riguardo alle implicazioni dello Shema Israel:

Ed avverrà, quando l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà fatto entrare nel paese che giurò ai tuoi padri, ad Abrahamo, Isacco e Giacobbe, di darti grandi e belle città che tu non hai costruito, e case piene di ogni bene che tu non hai riempito, pozzi scavati che tu non hai scavato, e vigne e uliveti che tu non hai piantato; quando dunque avrai mangiato e ti sarai saziato, guardati dal dimenticare l’Eterno che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Temerai l’Eterno il tuo Dio, lo servirai e giurerai per il suo nome. Non seguirete altri dèi , fra gli dèi dei popoli che vi circondano, perché l’Eterno. il tuo Dio, che sta in mezzo a te, è un Dio geloso; altrimenti l’ira dell’Eterno, il tuo Dio si accenderebbe contro di te e ti farebbe scomparire dalla faccia della terra.13

Perciò, il sesto principio è la gelosia di Dio. Questo è un fatto di cardinale importanza. Il popolo scelto viene avvertito, quando essi occuperanno e possederanno un ricca terra che essi non hanno sviluppato, di non dimenticare Dio, che li ha liberati e fatti prosperare. Vedendo la ricchezza che proveniva da una cultura ostile a Dio, il popolo pattizio di Dio sarebbe stato tentato di prendere in considerazione mezzi di successo e prosperità altri dal Signore. La tentazione sarebbe stata di “seguire altri dèi, gli dèi dei popoli circostanti”. Questo equivale a credere che esista un ordinamento giuridico altro da quello di Dio, è dimenticare che il successo e la distruzione dei canaaniti era altrettanto opera di Dio. È un provocare l’ira di Dio e la sua gelosia. Il fatto che la gelosia sia ripetutamente associata con la legge, ed invocata da Dio nella promulgazione della legge, è di cardinale importanza per capire la legge. La legge di Dio non è una forza operativa meccanica, cieca e impersonale. Non è né Karma né fato. La legge di Dio è la legge dell’assoluto e totalmente personale Creatore, la cui legge opera dentro al contesto dei suoi amore e odio, la sua grazia verso il suo popolo e la sua ira verso i suoi nemici. La corrente elettrica è impersonale: fluisce nella propria specifica energia quando esistano le condizioni per un fluire o per una scarica; altrimenti non fluisce. Ma la legge di Dio non è così: è personale; Dio trattiene la sua ira in pazienza e grazia, o distrugge i suoi nemici con una straripante inondazione di giudizio (Nah. 1:8). Da una prospettiva umanistica e impersonalistica, sia la misericordia di Dio verso l’Assiria (Giona 3:1-4:3) sia il giudizio di Dio sull’Assiria (Nahum 1:1- 3:19) sembrano sproporzionate, perché una legge impersonale è anche una legge esogena: conosce solo i fatti, non il cuore. L’uomo, quando applica la legge di Dio, deve giudicare le azioni dell’uomo, ma Dio, essendo assoluto, giudica l’uomo totale con giudizio totale. La gelosia di Dio è perciò la certa assicurazione dell’infallibilità del trubunale di Dio. Il male che così facilmente sfugge ai tribunali dello stato non possono sfuggire al giudizio di Dio, il quale, nel tempo e oltre il tempo, entrambi, si muove nei termini dei requisiti totali della sua legge. La gelosia di Dio è la garanzia di giustizia. Una giustizia impersonale in un mondo di persone significa che il male, essendo personale, può sfuggire alla rete della legge e regnare ridendo trionfante. Ma il Dio geloso previene il trionfo sia di Canaan o di un Israele o di una chiesa apostati. Senza un Dio personale, geloso, nessuna giustizia è possibile. La dottrina del karma non fa altro che porre l’ingiustizia sul trono: conduce all’ esternalismo e all’impersonalismo più crudeli e callosi. Il popolo del karma risparmia le proprie scimmie ma si distruggono l’un l’altro, il karma non conosce grazia perché in essenza il Karma non conosce persone, solo azioni e conseguenze. Sfuggire dal karma diventa Nirvana, la fuga dalla vita.

Questo stesso passo dichiara: “Temerai l’Eterno il tuo Dio, lo servirai e giurerai per il suo nome” (De. 6:13). Il commento di Lutero qui è eccellente:

Perciò giuri per il nome di Dio se colleghi ciò che giuri a Dio e lo afferri nel nome di Dio, altrimenti non giureresti se sapessi che gli dispiace. Similmente servi Dio solo quando servi l’uomo nel nome di Dio, altrimenti non serviresti. Con un tal modo di giurare tu salvaguardi il tuo servizio a Dio solo e non sei attirato verso un’opera o un giuramento empi. Perciò anche Cristo dice in Matteo 23:16-22 che chi giura per il tempio e per l’altare e per il cielo giura per Dio, ed in Matteo 5: 35-36 egli proibisce di giurare per Gerusalemme, per il capo di qualcuno, per il cielo o per qualsiasi altra cosa, perché in tutti questi uno giura per Dio. Ma giurare per Dio in modo frivolo o vuoto è nominare il nome di Dio invano.

Quando, perciò, Egli desidera che un giuramento si fatto sul nome di Dio e di nessun altro, la ragione non è solo questa, che per la verità (che è Dio) non sia introdotta la conferma di alcuno eccetto quella di Dio stesso, ma anche questo, che l’uomo debba restare nel servizio di Dio solamente, imparare a porre tutto in relazione con Lui, e fare, possedere, usare, e sopportare tutto nel suo nome. Altrimenti, se utilizzano un altro nome, verrebbero sviati e si abituerebbero a giurare come se non avesse nulla a che vedere con Dio, ed infine, attraverso il cattivo uso comincerebbero a fare distinzione tra le opere con cui Dio è servito e quelle con le quali non è servito, mentre Egli vuole essere servito in tutte e vuole che tutte le cose siano fatte con timore, perché Egli è presente per vedere e giudicare.

Perciò il giuramento dev’essere usato nello stesso modo in cui usiamo la spada e il rapporto sessuale. È proibito mettere mano alla spada, come Cristo dice (Mt. 26:52): “Tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada”, perché la usano senza un comando e a motivo della propria concupiscenza. Ma è un comando e un servizio divino portare la spada se questo è stato assegnato da Dio o per mezzo dell’uomo; perché allora è portata nel nome del Signore, per il bene del prossimo, come dice Paolo: “(il magistrato) è un servo di Dio per il bene” (Ro. 13:4). Così l’uso carnale del sesso è proibito perché è una disordinata lussuria. Però, dove il sesso è associato a te in matrimonio, allora la carne dovrebbe essere usata, e tu rendi alla Legge divina, cioè, all’amore ciò che è richiesto. Uno dovrebbe fare uso del giuramento nello stesso modo: dovresti giurare non per il tuo proprio bene ma per il bene di Dio o del tuo prossimo nel nome del Signore. In questo modo resterai sempre nel servizio di Dio solamente.14

Nella tentazione di Gesù, due risposte a Satana su tre sono da Deuteronomio 6: “Sta anche scritto: ‘Non tentare il Signore Dio tuo’” (Mt. 4:7; De. 6:16) , e “Vattene Satana, poiché sta scritto: ‘Adora il Signore Dio tuo e servi lui solo’”(Mt. 4:10; De. 6:13; 10:20). La terza risposta è presa da un passo collegato, Deuteronomio 8:3: Ma egli rispondendo disse: “Sta scritto: ‘L’uomo non vivrà di solo pane, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio’” (Mt. 4:4). Tutte e tre le risposte furono reazioni alla tentazione di mettere Dio alla prova, implicite alla quali non c’era solo un mettere in questione ma in realtà uno sfidare Dio e la sua parola-legge.

Un settimo principio che consegue dalla Shema Israel è dichiarato in Deuteronomio 6: 16-19:

Non tenterete l’Eterno, il vostro Dio, come faceste a massa. Osserverete diligentemente i comandamenti dell’Eterno, il vostro Dio, i suoi precetti e i suoi statuti che egli vi ha ordinato. Perciò farai ciò che è giusto e buono agli occhi dell’Eterno, affinché ne venga del bene a te ed entri ad occupare il buon paese che l’Eterno giurò di dare ai tuoi padri, scacciando tutti i tuoi nemici davanti a te, come l’eterno ha promesso.

Fu questo che Satana cercò di far fare a Gesù: tentare Dio, mettere Dio alla prova. Israele aveva tentato Dio a massa sollevando la domanda: “È l’eterno in mezzo a noi, o no?” (Es. 17:7).

L’adorazione di Jehovah non solo preclude ogni idolatria, che il Signore, in quanto Dio geloso, non tollererà ( si veda Es. 20:5), ma punirà con la distruzione dalla terra (“Sterminarli dalla faccia della terra” come in esodo 32:12): ma esclude anche il tentare il signore con un incredulo mormorio contro Dio, se Egli non toglie ogni tipo di difficoltà immediatamente, come il popolo aveva già peccato a Massa, cioè a Refidim (Es. 17: 1-7).15

Questo settimo principio perciò proibisce l’incredula messa alla prova di Dio: la legge di Dio è la prova per l’uomo; e dunque l’uomo non può presumere di essere dio e di mettere alla sbarra Dio e la sua parola-legge. Tale agire è di suprema arroganza e di bestemmia, è l’opposto dell’obbedienza perché è l’essenza della disobbedienza alla legge. Per questo è messo in contrasto con la diligente osservanza della legge. Questa obbedienza è la condizione della benedizione: è il fondamento della conquista e del possesso, nei termini della quale il popolo pattizio di Dio, il suo popolo della legge, entra in possesso dell’eredità.

Tentare, o mettere Dio alla prova ha anche altre implicazioni. Secondo Lutero:

Il primo modo consiste nel non usare le cose necessarie che sono sotto mano ma cercarne altre che non lo sono … Così tenta Dio chi russa e non vuol lavorare, dando per scontato ch’egli debba essere sostenuto da Dio senza lavorare, benché Dio abbia promesso di provvedere per lui tramite il suo lavoro, come dice Proverbi 10:4: “La mano dei solerti fa arricchire, ma chi lavora con mano pigra impoverisce”. Anche questo volgare celibato è in questa categoria …

In secondo luogo, Dio è tentato quando niente di ciò che è necessario sia a portata di mano fatta eccezione per la sola e nuda Parola di Dio … Poiché in questi casi gli empi non si contentano con la Parola; e a meno che Dio faccia ciò che ha promesso nel tempo, luogo e modo che essi prescrivono da sé, si arrendono e non credono. Ma prescrivere tempo, luogo e modo a Dio è in realtà un tentarlo e un cercare di percepire, per così dire, se Egli ci sia. Ma questo non è nient’altro che voler mettere dei limiti a Dio e assoggettarlo al nostro volere; di fatto, privarlo della sua divinità. Egli dovrebbe essere libero, non soggetto a vincoli e limiti, ed essere Lui a prescrivere luoghi, mezzi e tempi per noi. Perciò, ambedue le tentazioni sono contro il Primo Comandamento ….16

La negligenza nei confronti dello Shema Israel e di Deuteronomio 6 è stato parte integrante della negligenza nei confronti della legge.

Note:

1 C.F. Keil and Delizsch: Biblical Commentary on the Old Testament; Vol. III, The Pentateuch; Grand Rapids: Eerdmans, 1949, p. 322.

2 Rabbi Dr. I. Epstein, ed. : Rge Babylonian Talmud, Seder Nezikin, Vol. IV, Aboth (Londra. The Soncino Press, 1935), p.22, n° 8.

3 The Holy Scriptures According to the Masoretic Text; Philadelphia: Jewish Publication Society of America, 1917, 1961. (Nella traduzione il testo della ND che del resto non si discosta di una virgola n.d.t.)

4 C. H. Waller: Deuteronomy, in Charles John Ellicott, ed. Ellicott’s Commentary on the Whole Bible, Grand Rapids: Zondervan, II, 25.

5 Richard Seaver and Austryn Wainhouse, ed. The Marquise de Sade: The Complete Justine, Philosophy in the Bedroom, and other writings; New York, Grove Press, 1965; pp. 329-337.

6 Patrick Fairbairn: The Revelation of Law in Scripture; Grand Rapids. Zondervan, 1957 [1869], pp. 29-31.

7 Dr. J. A. Huffman and Knute LarsonThrough the Bible in Two years; Libro 6, pp. 32-33. Secondo anno, secondo quadrimestre (Winona Lake, Ind. Lambert Huffman, 1962.

8 Talmud: Seder Mo’ed, vol. I, p. 246, n° 9.
9 Jaroslav Pelikan, Daniel Poellot ed., Luther’s Works, vol. 9, Lectures on Deuteronomy; S. Louis:

Concordia, 1960; p. 70
10 Keil and Delizsch, op. cit., III, 324.

11 Giovanni Calvino: Commentaries on the Four Last Books of Moses in the Form of a Harmony; Grand rapids: Eerdmans, 1950, I, 265.

12 Ibid.
13 L’autore qui cita il testo Masoretico, della Jewish Publication Society, da qui in poi MTV. Non

riscontrando differenze viene qui riportato il testo della ND. (n.d.t.) 14 Lutero: Deuteronomy, p. 73s.
15 Keil and Delizsch: op. cit., III, 325 s.
16 Lutero, op.cit., p. 74 s.


Altri Libri che potrebbero interessarti