INDICE:

Ottavo Comandamento

9. Segni di confine e terreno

 

La legge che concerne i segni di confine è già stata considerata rispetto al suo significato in questioni di eredità sociale. Questo è stato un significato familiare per tanto tempo, comune tra i padri della chiesa e gli studiosi. Lutero rimarcò: “Che i segni di confine non debbano essere spostati da dove sono stati collocati dagli abitanti che ci hanno preceduto significa che non dobbiamo aggiungere nulla alla dottrina trasmessa dagli apostoli, come se uno potesse dare consigli migliori in questioni di coscienza.”[1]  Il significato primario della legge, comunque, è in riferimento alla terra:

Non sposterai i confini del tuo vicino, posti dagli antenati nell’eredità che otterrai nel paese che l’Eterno, il tuo DIO, ti dà in possesso (De. 19:14).

La legge è citata anche in Deuteronomio 27:17, Proverbi 22:28; 23:10; Gb.

24:2.
Questa legge compare anche in codici antichi. Nell’antica Roma la rimozione dei segni di confine era punibile con la morte. Secondo Calvino:

… perché la proprietà di ciascuno possa essere sicura è necessario che i segni di confine posti per la divisione dei campi non siano toccati, come fossero sacri. Chi fraudolentemente sposti un segno di confine è già condannato dal suo stesso atto perché disturba il legittimo proprietario del proprio pacifico possesso della terra, mentre chi sposti in avanti i confini della propria terra raddoppia il crimine nascondendo l’inganno del proprio furto. Da cui comprendiamo che non sono ladri solo coloro i quali portano via la proprietà del prossimo, che prendono il denaro dal suo baule o che razziano la sua cantina e il suo granaio, ma anche quelli che ingiustamente si fanno padroni della sua terra.[2]

Il punto fatto da Calvino è valido: l’inganno dell’azione ne fa un crimine doppio. È tanto furto che falsa testimonianza. Poiché la legge è un’unità, violare una legge è violare tutta la legge. Come riassume Giacomo: “Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma viene meno in un sol punto, è colpevole su tutti i punti” (Gm. 2:10). Pertanto questo crimine implica la violazione dell’ottavo e del nono comandamento, e anche del decimo, desiderare la terra del nostro prossimo. I crimini contro la terra possono implicare anche il quarto comandamento, la legge del sabato, e il sesto, “Non uccidere”.

Le leggi che riguardano la terra sono un aspetto importante della legislazione biblica. Il Talmud commenta a lungo su queste leggi. La terra, notarono i rabbini, rimaneva santa al Signore (“Perché mia è la terra” Le. 25:23) anche nella mani dei pagani; pertanto, i pagani sono responsabili a Dio per la cura della terra e per la decima.[3] La ragione per l’anno sabbatico, secondo R. Abbahu, è che: “Il Santo, sia Egli benedetto, ha detto ad Israele: Semina il tue seme sei anni ma ometti il settimo, che tu possa (ri)conoscere che la terra è mia.”[4]  Il commento di Rabbi Eleazar è di particolare interesse:

R. Eleazar ha detto: Qualsiasi uomo che non abbia moglie non è un uomo autentico; perché è detto: Maschio e femmina li creò e diede loro il nome Adamo.
R. Elazar ha detto inoltre: Qualsiasi uomo che non abbia terra non è un uomo autentico perché è detto: I cieli sono i cieli dell’Eterno, ma la terra egli l’ha data ai figli degli uomini.[5]

Poiché la vocazione dell’uomo è d’esercitare il dominio, i rabbini riconobbero che le due aree basilari per l’esercizio del dominio sono nella famiglia e in relazione alla terra; il dovere dell’uomo qui è vincolante per tutti gli uomini.

Le leggi concernenti la terra richiedevano un riposo di sabato per la terra (Es. 23:10-11; Le. 25:1-11). Il vero significato del sabato è riposo anziché adorazione, e un riposo dovuto alla terra stessa per la sua rivitalizzazione. Negare il sabato alla terra è frodare la terra e derubarla di ciò che le spetta. Bonar commentò su questa legge: “È stato detto bene che col sabato settimanale confessavano che essi stessi appartenevano a Jehovah, e con questo sabato del settimo anno professavano che la terra era sua, ed essi suoi affittuari.”[6]

Al cuore della legge della terra c’è la dichiarazione: “ Le terre non si venderanno per sempre, perché la terra è mia; poiché voi siete forestieri e affittuari con me” (Le. 25:23). Questa legge suona particolarmente strana all’orecchio moderno, specialmente in Nord America, perché i terreni agricoli sono diventati un area di manovre speculative di compravendita, e i cambi di proprietà in alcune aree sono moltissimi. Nella maggior parte del mondo, la terra è stata considerata e lo è ancora un’inalienabile proprietà di famiglia. Probabilmente la parte più importante della resistenza al comunismo e all’impero comunista è venuta, non dalle nazioni estere, ma dalla perseverante e caparbia resistenza dei contadini. La vendita di terra e la confisca di terra, queste sono cose che i contadini rifiutano d’accettare: la terra è un’eredità che non può essere alienata. I partiti contadini delle varie nazioni europee sono stati dei gruppi responsabili e il loro capi dei politici e uomini di stato di spessore. Significativamente, l’Associazione Internazionale degli Agricoltori con la sua cocciuta resistenza all’impero Sovietico, ha come emblema una bandiera verde, il colore dei campi germogliati e della speranza.[7]

È importante, pertanto, analizzare attentamente il significato di Levitico 25:23-28 e poi il significato per il nostro tempo. Primo, la regola generale è cha “Le terre non si venderanno per sempre”, o, letteralmente “non si annichiliranno, cioè come a svanire per sempre, o essere perse per sempre per chi le ha vendute”.[8]  Le vendite erano in realtà locazioni perché nessun uomo aveva il diritto d’alienare la terra del Signore.

Secondo, se un uomo diventava povero e “vendeva” la sua fattoria, il suo parente più prossimo (colui che ha il diritto di riscatto) poteva riscattare la terra e restituirgliela immediatamente (Le. 25:25, 48, 49).

Terzo, se il proprietario non aveva parenti in grado di riscattare la terra per lui, ed egli guadagnava abbastanza da farlo da sé, poteva calcolare gli anni che mancavano al giubileo e saldare al compratore gli anni di locazione che ancora rimanevano (Le. 25: 26. 27).

Quarto, se il proprietario non aveva denaro per ricomprare la terra, sarebbe comunque ritornata a lui dopo i sette anni sabbatici, nel giubileo (Le. 25:28).

Quinto, Dio rese chiaro che gli israeliti erano “forestieri e affittuari” nella loro propria terra; essendo Dio il proprietario, la loro condizione era simile a quella del loro soggiorno in Egitto; erano lì con l’acquiescenza del Signore e nei suoi termini.

Sesto, Le case di città potevano essere alienate o vendute in modo permanente, una volta che l’acquisto fosse stato completato. Essendo state costruite dall’uomo, queste proprietà potevano essere liberamente trasferite. (Le. 25:29-34).

Settimo, apparentemente era possibile vendere la terra in modo permanente se la transazione avveniva a favore di un membro della famiglia, questo se Geremia 32, 7, 8, possa servire da indicazione.

Ginsburg dà una prospettiva importante al significato di questa legge nel suo commento su Levitico 25:23:

Dio non solo ha aiutato gli israeliti a conquistare la terra di Canaan, ma l’ha scelta come propria dimora, ed eretto il suo santuario nel messo d’essa (Es. xv. 13; Nu. xxxv. 34). Egli è perciò assiso sul trono in essa come Signore della terra, e gli israeliti sono semplicemente i suoi inquilini per sua volontà (cap. xiv. 34, xx. 24, xxiii. 10; Nu. xiii. 2, xv. 2), e in quanto tali dovranno andarsene se disobbediranno i suoi comandamenti (cap. xviii. 28, xx. 22, xxvi. 33; De. xxviii. 63). Per questa ragione sono considerati forestieri e affittuari e perciò non hanno il diritto assoluto di vendere ciò che non è loro.[9]

Poiché il tabernacolo prima e il tempio poi avevano il Santissimo, il trono di Dio, il seggio del suo governo visibile d’Israele, la terra d’Israele aveva una particolare fissità richiesta per legge. Dio in quanto suo proprietario l’aveva ripartita tra le varie tribù e richiese che alla nazione fosse dato un carattere stabile mediante l’immutabile proprietà delle famiglie della terra rurale. Questo atto da solo diede ad Israele un conservatorismo rurale paragonabile a quello dell’Europa contadina.

La domanda importante per noi è lo status presente di questa legge. Ha ancora la stessa forza vincolante? Se sì, come la si applicherà e se no, ne rimane ancora qualche significato?

Sembrerebbe che la forza vincolante di questa legge facesse riferimento alle terre rurali delle ripartizioni originali alle dodici tribù. La tribù di Dan più tardi acquisì un territorio a nord mediante conquista (Giudici 18), e non ci è data alcuna indicazione che la stessa legge della terra applicasse al nuovo territorio, che cominciò quasi come territorio fuori dalla legge. Non c’è evidenza postuma che i giudei nella dispersione abbiano avuto il sentimento che questa legge fosse obbligatoria fuori da Israele, benché rimanesse intatta la stessa fedeltà verso la terra. L’inalienabilità della terra fu dunque una caratteristica dell’area del Trono. Un concetto paragonabile su scala minore è costituito dal moderno Stato Vaticano, posseduto interamente dal Vaticano e pertanto non in vendita sul mercato. La terra santa era l’area del trono di Dio e quindi non in vendita.

Dall’altro lato, la proprietà di tutta la terra da parte di Dio è basilare alla legge biblica, talché i diritti del Trono si estendono molto chiaramente ad ogni parte della terra. Il trono, però, adesso è in cielo, che ha pienamente lo status immutabile un tempo richiesto da Canaan. La terra adesso può ovviamente essere venduta.

Proprio altrettanto ovviamente, Dio intende che le leggi della terra diano stabilità alla società. L’assenza di qualsiasi imposta su terreni e proprietà nella legge biblica molto chiaramente protegge il mantenimento della proprietà, mentre le imposte moderne lo distruggono. Per citare un esempio, in una città, una zona graziosa di case raffinate, da dieci a venti stanze, alcune costruite in pietra, in 25 anni divennero tassate così pesantemente che dovettero essere abbattute o suddivise in appartamenti, o vendute ad uso dormitorio. Mantenere la proprietà di quelle case fu fatto diventare impossibile via tassazione.

In un’altra area, le imposte fondiarie portarono a un deterioramento dall’area perché la gente se ne andò e le case furono trasformate in abitazioni multiple. La imposte poi calarono, ed altri vi si sistemarono talché in 10 anni avvenne un ricambio del 90% della popolazione. Le persone che avevano costruito lì contando di rimanerci a vita, subirono pesanti perdite. La tassazione della proprietà è un mezzo per distruggerla ed è una forma di furto.

La tassazione agevola l’uso speculativo della terra e distrugge la stabilità della comunità. C’è oggi una spiccata ostilità verso lo sviluppo e la preservazione di comunità da parte di gruppi religiosi ed etnici, e tale ostilità conduce alla distruzione della proprietà. La distruzione della Comunità Italiana di West End a Boston per risanamento urbano e “sgombero di baraccopoli” è stato abilmente descritto da H. J. Gans. Una società centrata sulla famiglia, che manteneva l’ordine e la disciplina, fu disgregata da un progetto di “risanamento” perché quella zona ara concupita dai pianificatori.

Tanto il potere di tassare che l’espropriazione per pubblica utilità che furono usati sono anti-biblici.[10]

Per riassumere, le leggi fiscali bibliche in relazione alla proprietà di terreno, l’imposta basilare era il testatico (Es. 30:11-16), che doveva essere una somma identica per tutti gli uomini. Era pagata solo dagli uomini, da tutti gli uomini sopra i vent’anni. Questa tassa veniva raccolta dalle autorità civili per il mantenimento dell’ordine civile, per provvedere a tutti una copertura di giustizia civile.

La decima provvedeva ai bisogni generali religiosi e sociali della comunità: istruzione, welfare e simili.

Non c’era imposta fondiaria o tassa su terreni e proprietà. Poiché “la terra è del Signore e tutto quello che essa contiene” (Es. 9:29, ecc.) un’imposta fondiaria usurpa i diritti di Dio ed è illegittima. Lo scopo della legge biblica in riferimento alla terra è d’assicurare la sicurezza dell’uomo nella sua proprietà; un’imposta fondiaria di qualsiasi tipo è una negazione di questa sicurezza ordinata da Dio.

Note

1 Luther: Deuteronomy, p. 198.

2 Calvin: Commentaries on the Four Last Books of Moses, III, 121.

3 Gittin: 47s; p. 208; Kiddushin: 38b; p. 188.

4 Sanhedrin: 39a; p. 250.

5 Yebamoth: 62b – 63a; p. 419.

6 Bonar: Leviticus, p. 466.

7 Henry C. Wolfe: “Peasent vs. Communism,” Christian Economics, vol. XXI, n° 21; 11 novembre 1969, pp. 1, 3.

8 Keil and Delitzsch: The Pentateuch, II, 461.

9 C. D. Ginsburg: “Leviticus” in Ellicott, I, 456.

10 Per un resoconto dei fatti di Boston West End, vedi Herbert J. Gans: The Urban Villagers (New York: The Free Press of Glencoe, 1962).


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