INDICE:

La Legge nel Nuovo Testamento

8. La Legge in Atti e nelle Epistole

 

Poche cose illustrano cos’è accaduto nei circoli teologici meglio di un esame del Biblical and Theological Dictionary di Richard Watson. Watson (1783-1833) fu un teologo Wesleyano; il suo dizionario fu pubblicato nel 1832. Per Watson la legge non era soppiantata; anzi, l’era cristiana richiedeva che fosse applicata più intensamente e ampiamente. Watson dimostrò che il Nuovo Testamento non solo riaffermò l’intero Decalogo, ma che ne estese la forza.

In questo modo, dunque, abbiamo un obbligo verso l’intero Decalogo in quanto pienamente stabilito nel Nuovo Testamento come nel Vecchio, come se fosse stato formalmente ri-promulgato; e che non abbia avuto luogo nessuna ri-promulgazione formale è da assumere come prova che non fu mai considerato temporaneo dal legislatore, cosa che si sarebbe potuta supporre se fosse stato ri-promulgato formalmente. È importante rimarcare, però, che, benché le leggi morali della dispensazione mosaica passino nel codice cristiano, lì ci stanno in circostanze diverse e più elevate; talché il Nuovo Testamento è una dispensazione più perfetta della conoscenza della volontà morale di Dio di quella che si ebbe nel Vecchio. In particolare: (1) esse [le leggi] sono estese al cuore in modo più diretto, come fece nostro Signore nel suo Sermone sul Monte il quale c’insegna che il pensiero e il proposito interiore di qualsiasi offesa è una violazione della legge che ne proibisce la commissione esterna e visibile. (2) I principi su cui sono fondate vengono eseguiti nel Nuovo Testamento in una grande varietà di doveri, i quali, abbracciando le relazioni sociali e civili della vita più perfettamente, sono di carattere più universale. (3) C’è un’ingiunzione molto più allargata di virtù positive e particolari, specialmente di quelle che costituiscono il temperamento cristiano. (4) Col fatto che tutte le azioni manifeste che sono inseparabilmente connesse coi corrispondenti principi del cuore per poter costituire un’obbedienza accettevole; principi che suppongono la rigenerazione dell’anima da parte dello Spirito santo, questa rigenerazione morale è pertanto mantenuta come necessaria alla nostra salvezza, e promessa come parte della grazia della nostra redenzione in Cristo. (5) Con l’essere connesse con le promesse di assistenza divina, la quale è peculiare ad una legge collegata con provvedimenti evangelici. (6) con l’avere un’illustrazione vivente nel pratico e perfetto esempio di Cristo. (7) Con le maggiori sanzioni derivate dalla più chiara rivelazione di uno stato futuro, e minacce di punizione eterna. Da ciò consegue, che abbiamo nel Vangelo la più completa e perfetta rivelazione di legge morale mai data agli uomini; e una più esatta manifestazione della lucentezza, perfezione e gloria di quella legge, sotto la quale gli angeli e i nostri progenitori furono posti nel giardino, e che l’obbedirla è insieme il diletto e l’interesse degli esseri più perfetti e felici  [1].

Si contrasti questa dichiarazione di Watson, uno degli uomini più grandi nella storia Wesleyana, con l’opera di uno studioso evangelico britannico moderno: F. F. Bruce. Le “Payton Lectures” di Bruce nel 1968 al Fuller Theological Seminary, Pasadena; California, discussero Lo Sviluppo Neotestamentario di Temi dell’Antico Testamento. (The New Testament Development of Old Testament Themes). L’opera antinomiana di Bruce ignora la legge interamente; “Il Governo di Dio” è discusso nel capitolo II senza alcun riferimento alla legge di Dio [2].  Il capitolo IV tratta “La Vittoria di Dio” e comincia con una dichiarazione importante:

La salvezza di Dio è la vittoria di Dio: come nell’Esodo, così nell’atto redentivo di Cristo la vittoria di Dio sta nella salvezza del suo popolo. Le parole ebraiche per “salvezza” sono volentieri tradotte con “vittoria” nelle nostre comuni versioni in inglese quando il contesto lo rende preferibile [3].

Esattamente. Ma poiché Bruce aggira la legge, un aspetto centrale del piano e programma di Dio per la vittoria, egli può cercare la vittoria solo nella morte o nel martirio e nella fine del mondo. “Il supremo conquistatore è il Messia Davidico, … che compare, però, come l’agnello sacrificale riportato in vita dopo che ebbe vinto la sua vittoria sottomettendosi alla morte; i suoi seguaci condividono la sua vittoria mediante una simile sottomissione” 4. Questo è un programma per la sconfitta.

Uno dei testi centrali usati dagli antinomiani è Atti 15:5: “Ma alcuni della setta dei farisei che avevano creduto si alzarono, dicendo: «Bisogna circoncidere i gentili e comandar loro di osservare la legge di Mosé”. Come si deve comprendere? Non c’è assolutamente nessuna prova che i Dieci Comandamenti abbiano cessato d’essere legge dopo l Concilio di Gerusalemme; le epistole riaffermano la legge; infatti, san Paolo, in Efesini 6:2 non solo riafferma il quinto comandamento, ma ci ricorda delle sue promesse, tutte ancora valide. Le leggi di Dio contro il peccato non furono mai abrogate da questo concilio.

La questione era la giustificazione; il giudaismo aveva abusato la legge. Primo, l’aveva rimpiazzata con le tradizioni degli uomini, che tramutò in legge e, secondo, la legge, che è il mezzo alla santificazione, fu tramutata nel mezzo di giustificazione. Questo era il problema tanto col fariseismo che coi giudaizzanti. Ad Antiochia Paolo dichiarò di Gesù Cristo:

Vi sia dunque noto, fratelli, che per mezzo di lui vi è annunziato il perdono dei peccati, e che, mediante lui, chiunque crede è giustificato di tutte le cose, di cui non avete potuto essere giustificati mediante la legge di Mosè (At. 13:38-39).

La questione era questa, la giustificazione per legge. Inoltre, i farisei chiamavano le loro interpretazioni rabbiniche “la legge di Mosè”, benché Cristo le abbia chiamate “le tradizioni degli uomini”. Plumptre giustamente definì la dichiarazione di Paolo ad Antiochia sulla giustificazione: “Il germe di tutto ciò che fu più caratteristico nell’insegnamento successivo di Paolo” [5].  Paolo non attaccò mai la legge come mezzo di santificazione, ma solo come mezzo di giustificazione. La questione nel Concilio era la conversione di alcuni Gentili; fino a quel tempo, tutti i convertiti erano giudei, già collocati nel vecchio patto e legge. Ora venivano aggiunti dei membri per conversione. Quella che leggiamo in Atti 15:5 era la protesta e l’espressione dei farisei che dissero: “Bisogna circoncidere i gentili e comandar loro di osservare la legge di Mosè”. Per legge era dunque intesa la legge come vista dalla tradizione rabbinica. Fu questo il “giogo” contro il quale Pietro protestò (At. 15:10). Egli non avrebbe osato chiamare obbedienza alla legge di Dio il tentare Dio. La questione, affermò san Pietro, è che gli uomini sono salvati “dalla grazia del Signore Gesù Cristo” (At. 15:11); la questione era la dottrina della giustificazione. In questione c’erano anche le leggi cerimoniali e le leggi di separazione. I giudei convertiti non avevano bisogno d’istruzioni; osservavano già tutto il necessario, ovvero le leggi bibliche (At. 15:21). Secondo Plumptre, sul verso 21:

I giudei, che avevano udito la legge nelle loro sinagoghe ogni Sabato, non avevano bisogno d’istruzione. Si può dare per scontato che avrebbero aderito alle regole ora specificate. Pertanto, nel verso 23, l’enciclica è indirizzata esclusivamente ai “fratelli fra i gentili” [6].

Chiaramente il verso 21 enfatizza il carattere ancora vincolante della legge e non disturba i convertiti giudei che obbedivano la legge. L’uso della parola “sinagoghe” può riferirsi alle sinagoghe giudaiche, ancora frequentate da molti, o a incontri cristiani.

L’istruzione ai gentili cristiani è riassunta al verso 20: “ma che si scriva loro di astenersi dalle contaminazioni degli idoli, dalla fornicazione, dalle cose soffocate e dal sangue”. Significa forse che i Gentili erano liberi d’avere altri dèi, di bestemmiare, di disonorare i genitori, uccidere, rubare, fare falsa testimonianza o concupire? Ovviamente no, e proprio altrettanto ovviamente la questione non fu se la legge dovesse essere mantenuta, ma come dovesse essere mantenuta: come mezzo di giustificazione o di santificazione? Molto chiaramente, la legge fu rigettata come mezzo di giustificazione e tenuta come mezzo di santificazione. Le istruzioni di Atti 15:20 e 29 chiaramente presuppongono la legge ed enfatizzano in che misura fu mantenuta. Primo, ai credenti gentili fu comandato di astenersi “dalla contaminazione degli idoli”. Al verso 29 questo è definito come mangiare “carni sacrificate agli idoli”, Nelle città esisteva un problema serio in quanto le carni venivano sacrificate agli idoli e il loro consumo rappresentava un rito religioso. “Giuseppe Flavio dice che alcuni dei Giudei a Roma vivevano esclusivamente di frutta per il timore di mangiare qualcosa di contaminato” [7].  Più tardi, in Romani 14, san Paolo rivide questa regola; Calvino parlò del verdetto di Paolo come di un rimodellamento della legge [8].  Questo cambiamento significa forse che non era in vigore nessuna legge? Al contrario, tanto il Concilio che san Paolo sostennero che in gioco c’era una legge di Dio; la questione era come mantenere l’obbedienza a quella legge. La contaminazione degli idoli, nei termini della legge della separazione, doveva essere evitata come questione di legge. Se un uomo poteva considerare gli idoli come un nulla, e la carne semplicemente come cibo, la sua coscienza non ne sarebbe stata turbata, né l’uso della carne lo avrebbe compromesso; costui sarebbe stato “il forte” incontaminato nel suo uso della carne. I deboli, però, avevano ragione nell’evitare la carne perché per loro non esisteva la possibilità di questa separazione interiore.

Secondo, dovevano astenersi dalla fornicazione, ovvero da peccati sessuali in genere e dalla lascivia. Per molti pagani, queste azioni non erano peccati ed erano infatti talvolta azioni religiose. A causa della propensione dei pagani verso i peccati sessuali, specialmente in quell’epoca, fu posto particolare peso su queste offese. Furto e omicidio furono condannati dai pagani ma la moralità del tempo vedeva le trasgressioni sessuali con casualità sempre maggiore.

Terzo, “le cose strangolate” dovevano essere evitate come cibo e, quarto, doveva esserlo anche il sangue. Queste due sono in stretto collegamento perché agli animali strangolati non viene scolato il sangue. Per alcuni popoli tali carni sono preferite. La legge, però, proibiva specificamente di mangiare il sangue (Ge. 9:4; Le. 3:17; 17:14; De. 12:16, 23). Questa legge non è mai stata emendata in nessun tempo nelle epistole. Così, dei quattro comandamenti ai Gentili da parte del Concilio, tre riguardavano il cibo. Anziché dichiarare che la legge era terminata, il Concilio di Gerusalemme dunque chiaramente stabilì o sostenne la legge come via di santificazione e mantenne perfino gli aspetti della legge che riguardavano la dieta.

C’è però un cambiamento significativo. In Atti 15:5, la richiesta dei farisei nella chiesa riguardò anche la circoncisione. Questa richiesta, fu risposto ai Gentili nell’enciclica, “è venuta da persone cui non abbiamo dato alcun mandato e vi ha turbato con parole sconvolgendo le anime vostre, dicendo che bisogna che siate circoncisi e osserviate la legge” (At. 15:24). La circoncisione fu dunque fatta decadere, e fu mantenuto il battesimo di Pietro ai Gentili come segno del patto rinnovato; L’osservanza della legge nel senso farisaico di essere giustificati mediante la legge (At. 13:39) fu rigettata. Bruce pertanto si sbaglia nell’assumere che la questione in gioco fosse “l’obbligo d’osservare la legge mosaica” [9].  Lenski sostiene che “tutte queste regole levitiche (riguardanti il cibo) siano state abrogate”. Egli spiega la decisione del Concilio come pragmatica:

Giacomo menziona questi due punti perché i Giudei cristiani ne erano particolarmente sensibili. Anch’essi sapevano che questi punti della legge erano stati abrogati ma si sentivano comunque ancora inorriditi all’idea di mangiare sangue o qualsiasi carne in cui ne fosse stato ritenuto. Ai gentili cristiani fu richiesto di rispettare questo sentimento e pertanto per ragioni d’amore fraterno, e per queste solamente, di astenersi dal mangiare sangue e carne che avesse ancora il suo sangue [10].

Ma il punto in questione non era il sentimento dei Giudei cristiani in quanto tale; nessuna considerazione del genere entra nel testo. Nel dichiarare che la questione fosse una di “ragioni d’amore fraterno, e per queste solamente, di astenersi dal mangiare sangue …” Lenski stava leggendo dentro al testo ciò che non vi era. La questione fu apertamente sollevata dai farisei nella chiesa con un falso concetto della legge e della giustificazione.

In Colossesi 2:16 san Paolo dice che non dobbiamo farci giudicare riguardo a carni (il mangiare carni offerte agli idoli), o ai sabati. Non c’è evidenza che i sabati siano stati aboliti con questa dichiarazione. Se l’incidente che san Paolo descrive in Galati 2:11-21 è lo stesso di quello di Atti 13:39, o ad esso correlato, e pertanto precedente il Concilio, chiaramente la questione in gioco fu che san Pietro, timoroso della critica dei farisei nella chiesa, si conformò ala loro pratica. Il principio di san Paolo fu che non si potesse ergere coi cibi una barriera artificiale nell’approccio ai gentili per convertirli.

Andando ora a Romani, troviamo che san Paolo, lungi dallo scartare la legge e le sue sanzioni, fa appello alla pena di morte contro omosessuali come un fatto stabilito e permanente (Ro. 1.32). Dell’espressione “il decreto di Dio”, Murray commenta: “‘Il decreto di Dio’ in questo caso è l’ordinanza giudiziale di Dio che richiede espressamente la morte, qui più che la sola morte temporale, mentre la include” [11].

In Romani 6:14, comunque, san Paolo dichiara: “Poiché voi non siete sotto la legge, ma sotto la grazia”. Di nuovo, Murray è sul punto:

“Legge” in questo caso deve essere compresa nel senso generale della legge come legge. Che non abbia da essere compresa nel senso della legge mosaica come un’economia appare molto evidentemente dal fatto che molti che erano sotto l’economia mosaica erano ricettori della grazia e in quell’aspetto erano sotto la grazia, e anche dal fatto che l’esonero dalla legge mosaica come un’economia da solo non pone persone nella categoria di essere sotto la grazia. “Legge” deve pertanto essere compreso nei termini molto più generali di legge come comandamento [12].

Anche il commento di Charles Hodge è molto significativo su questo punto. Scrivendo su questo stesso verso, Hodge disse in parte:

Per legge qui, non si deve intendere la legge mosaica. Il senso non è: “il peccato non avrà più alcun potere su di voi perché la legge mosaica è stata abrogata”. La parola non deve essere presa nel suo senso più ampio. È la regola del dovere, quella che vincola la coscienza in quanto espressione della volontà di Dio. Ciò è evidente: 1. Dall’uso della parola attraverso tutta questa epistola e di altre parti del Nuovo Testamento. 2. Dall’insieme della dottrina della redenzione, la quale c’insegna che la legge da cui siamo liberati dalla morte di Cristo, non è semplicemente la legge mosaica; noi non siamo meramente liberati dal giudaismo, ma dall’obbligo di adempiere la legge di Dio come condizione di salvezza [13].

La legge in questo senso generale è un mezzo di salvezza; è la credenza dell’uomo che, osservando la legge generale di Dio come la conosce, l’uomo salverà se stesso e meriterà il cielo. Libertà dalla legge come un mezzo di salvezza non dà all’uomo il diritto di peccare (Ro. 6:15-16); l’uomo ha un dovere d’obbedire Dio come adesso “un servo della giustizia” piuttosto che come “un servo del peccato” (Ro. 6:17-23).

Secondo Murray: “Romani 7:1-6 deve essere collegato con quello che l’apostolo aveva detto in 6:14: ‘Voi non siete sotto la legge ma sotto la grazia’” [14].  In Romani 7:4 Paolo parla di essere diventati morti mediante il corpo di Cristo; come notava il Murray: “Quella morte è la nostra morte alla legge nella morte di Cristo” [15].  Paolo usa l’illustrazione del matrimonio; come una donna “è per legge legata al marito finché egli vive; ma se il marito muore, ella è sciolta dalla legge del marito” (vs. 2), così anche noi mediante la morte di Cristo al posto nostro siamo morti alla legge. Il punto in questa illustrazione non è che la legge è morta, ma che noi in Cristo siamo morti, ovvero la sentenza di morte della legge contro di noi è adempiuta. Come notò Hodge: “Non è la legge a morire” [16].  Per tornare all’illustrazione, se un uomo muore, non è l’istituto del matrimonio che muore ma un uomo particolare che è morto al matrimonio.

Qual’è dunque il significato dell’illustrazione e della frase? Nel verso 5 ci è detto schiettamente che, mentre eravamo peccatori, l’effetto della legge nella nostra vita era di accrescere la nostra ribellione contro Dio; la legge di Dio ci rendeva tutti più zelanti nell’affermare la nostra propria volontà in ribellione. Il risultato era “frutto per la morte”. La legge era per noi una sentenza di morte: dichiarava che per la nostra apostasia, per la nostra trasgressione del patto con Dio, noi meritavamo di morire. Essendo la sentenza di morte stata compiuta contro di noi nel Signore Gesù, siamo adesso giudizialmente morti davanti alla legge. Perciò, quelli che sono veramente salvati non possono mai più essere condannati a morte dalla legge. Però, essendo stati resuscitati dai morti, cioè dalla morte del peccato, per l’opera di Cristo, ora siamo sposati ad un altro, che è resuscitato dai morti, affinché portiamo frutto a Dio (vs. 4). Il peccatore, essendosi fatto Dio ai propri occhi (Ge. 3:5), è un guerra con Dio; la legge di Dio lo incita solamente a ulteriore guerra. La legge così ci portava sempre più in servitù al peccato. Per rigenerazione, però, la nostra unione non è più col peccato ma con Cristo. Essendo viventi in Cristo, siamo ora vivi alla legge, non come sentenza di morte contro di noi, ma come quella cosa che rappresenta la nostra nuova vita, la “novità di spirito” (vs. 6), la nostra vita in Cristo nella quale la legge è ora il nostro felice modo di vivere. La legge non muore; il vecchio uomo, l’uomo non rigenerato muore: l’uomo nuovo, rigenerato, ha ora una nuova relazione con la legge, non più negli “atti del peccato” ma in “novità di spirito”. Laddove per il peccatore la violazione della legge di Dio è l’istinto e la natura del suo essere, per l’uomo rigenerato l’obbedienza alla legge di Cristo è il diletto del suo essere.

Paolo sottolinea che “la legge è spirituale” (7:14); “La legge è santa, e il comandamento santo, giusto e buono” (vs. 12); la legge, inoltre, “è in funzione della vita” (vs.10); nel suo peccato, perché in principio in quel momento stava trasgredendo la legge perché è buona, conferma “che la legge è buona” (vs.16). Come uomo redento, che sta operando la propria salvezza, crescendo in santificazione, può dichiarare: “Infatti io mi diletto nella legge di Dio secondo l’uomo interiore” (vs. 22). “La legge del peccato” la sua natura decaduta, in Cristo giudizialmente morta ma non eradicata dal suo essere, guerreggia contro la sua nuova natura talché un aspetto del suo essere, l’uomo nuovo, serve “la legge di Dio”, un altro aspetto “la legge del peccato” (vss. 23-25). Chiaramente, la legge è lo standard per l’uomo nuovo. Infatti, l’obbiettivo della santificazione è “che la giustizia della legge si adempia in noi” (8:4). Il commento di Murray qui è ancora una volta degno di nota:

È tanto più significativo in questo contesto perché egli [Paolo] aveva rappresentato la liberazione dal potere del peccato in 6:14 come procedere dal fatto che non siamo “sotto la legge”, ma “sotto la grazia”. Nel capitolo 7 era ritornato a quel tema e dimostrato che non siamo “sotto la legge” perché siamo “morti alla legge mediante il corpo di Cristo” e siamo “sciolti dalla legge” (7:4, 6). Egli aveva anche dimostrato che la legge è motivo di morte perché il peccato colse occasione dalla legge per operare ogni sorta di concupiscenza (7:8-13). E, infine, in questo capitolo aveva appena parlato dell’impotenza della legge (8:3). Come può dunque concepire la santità della condizione cristiana come il compimento del requisito della legge? Il fatto, ad ogni modo, non può essere messo in discussione, ed è prova determinante che la legge di Dio ha la più piena applicazione normativa in quella condizione che è il prodotto della grazia. Interpretare diversamente le relazioni tra legge e grazia è andare contro l’evidente significato di questo testo. Eravamo stati preparati a questo, comunque, in precedenti notifiche di questo stesso effetto (cfr. 3:31; 6:15; 7:12, 14, 16, 22, 25). E nel successivo sviluppo del soggetto c’è abbondante corroborazione (cfr. 13:8-10).

Il termine “si adempia” esprime il carattere plenario del compimento che la legge riceve e indica che l’obbiettivo contemplato nel procedimento di santificazione è niente di meno che la perfezione che la legge di Dio richiede [17].

Brevemente, per riepilogare la questione, non è la legge che è morta, ma noi che moriamo in Cristo e che siamo perciò morti alla legge intesa come accusa e condanna di morte. In quanto rigenerati, nella parole del Murray: “La legge di Dio ha la più piena applicabilità normativa in quella condizione che è il prodotto della grazia. Interpretare diversamente la relazione tra legge e grazia è andare contro l’evidente significato di questo testo”.

Galati 2:19 deve essere letto nello stesso senso: “perché per mezzo della legge io sono morto alla legge, affinché io viva a Dio”. Anche qui, la legge non è morta ma lo è il peccatore. In Galati 2:21 il contrasto è tra la giustificazione per legge e la giustificazione per grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo; nell’uso della legge come strumento di giustificazione, non si può ottenere nessuna giustizia. In Galati 5:16-18, il contrasto è tra la via “della carne” la natura umana decaduta e senza aiuto, e la via “dello Spirito” l’uomo nuovo redento e aiutato. In questo contesto la legge è associata con “la carne” in modo tale che il riferimento è ancora una volta al cattivo uso della legge come via di giustificazione. In Efesini 2:15 il riferimento alla legge è molto chiaramente alla legge come condanna a morte per il non-credente.

San Paolo dunque non è di sostegno a quelli che dichiarano che la legge è morta, né per quelli che sostengono che l’uomo redento sia morto alla legge. Non solo san Paolo conferma la legge, ma lettera dopo lettera fa appello alla legge nel dirimere conflitti ecclesiali, nel dare istruzioni, e nel dare consiglio concernente la santificazione.

Murray ha ragione: “La legge di Dio ha la più piena applicabilità normativa in quella condizione che è il prodotto della grazia”.

 

Note:

1 Richard Watson, “Law” in A Biblical and Theological Commentary, p. 576 s. (New York: Mason and Lane, 1832, 1840).

2 F. F. Bruce, The New Testament Development of Old Testament Themes; Grand Rapids: Eerdmans, 1968, pp. 22-31.

3 Ibid., p. 40.

4 Ibid., p. 50.

5 E. H. Plumptre, “Acts” in Ellicott, VII, 86.

6 Ibid., VII, 98.

7 Charles Hodge, Commentary on the Epistle to the Romans; New York: Armstrong, 1882, 1893, p. 656.

8 John Calvin, Commentary Upon the Acts of the Apostles; Grand rapids: Eerdmans, 1949, II, 79.

9 F. F. Bruce, Commentary on the Book of Acts; Grand Rapids: Eerdmans, 1954, p. 301.

10 R. C. H. Lenski, The Intrepretation of the Book of Acts of the Apostles; Columbus, Ohio: The Wartburg Press, 1944, p. 616.

11 John Murray, The Epistles to the Roman; Gran Rapids: Eerdmans, 1959, I, 51.

12 Ibid., I, 228 s.
13 Hodge, Romans, p. 322.
14 Murray, op. cit., p. 239.

15 Ibid., p. 242.
16 Hodge, op. cit., p. 337.

17 Murray, op. cit., p. 283.


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