INDICE:

Ottavo Comandamento

17. Restituzione a Dio

 

Un altro aspetto della legge della restituzione compare in due leggi interessanti:

L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo:
“Se uno commette una violazione e pecca per ignoranza contro le cose sante dell’Eterno, allora porterà all’Eterno la sua offerta per la trasgressione, un montone senza difetto preso dal gregge, valutata da te in sicli d’argento, secondo il siclo del santuario, come offerta per la trasgressione. E risarcirà il danno che ha causato nei confronti della cosa santa, aggiungendovi un quinto in più, e lo darà al sacerdote; così il sacerdote farà per lui l’espiazione col montone dell’offerta per la trasgressione, e la trasgressione gli sarà perdonata” (Le. 5:14-16).
L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo:
Di’ ai figli d’Israele: Quando un uomo o una donna commette qualsiasi offesa contro qualcuno, così facendo, commette un peccato contro l’Eterno, e questa persona si rende colpevole; essa confesserà l’offesa commessa e farà piena restituzione del danno fatto, aggiungendovi un quinto e lo darà a colui che ha offeso. Ma se questi non ha alcun parente stretto a cui si possa fare restituzione per l’offesa, la restituzione andrà all’Eterno per il sacerdote, oltre al montone espiatorio, col quale si farà espiazione per lui. Ogni offerta elevata di tutte le cose consacrate che i figli d’Israele presenteranno al sacerdote, apparterrà a lui. Le cose che uno consacrerà saranno del sacerdote; ciò che uno dà al sacerdote apparterrà a lui (Nu. 5:5-10).

Nel passo di Levitico, il riferimento, secondo Ginsburg, è a “inavvertitamente aver trattenuto le cose che appartengono al santuario e al servizio del Signore, come, per esempio, le decime, le primizie, o non consacrare o redimere il proprio primogenito (Es. xxviii. 38; Nu. v. 6-8) [1]. Il riferimento è alle “cose sante, sacrifici, primizie, decime, ecc., che dovevano essere offerte a Jehovah, e che da lui erano state assegnate ai sacerdoti come loro rendita”; significa “peccare in qualche cosa togliendo a Jehovah ciò che gli apparteneva”. Non fa riferimento a un peccato deliberato ma a una trasgressione commessa “per dimenticanza o negligenza” [2]. La restituzione richiesta era un’offerta per la violazione, una compensazione per l’ammontare di decima o dell’offerta dovuta, più un quinto dell’ammontare come sanzione.

Nel passo di Numeri, il riferimento è ad una violazione simile, ma in questo caso contro il prossimo. Il Talmud evidenziò il riferimento alla donna in 5:6 (Quando un uomo o una donna commette qualsiasi offesa”), dichiarando che “anche le donne sono soggette alla legge sugli illeciti” [3]. Ad ogni modo, in virtù del suo eco di Levitico 5:14-16, l’inferenza naturale è che qui si faccia di nuovo rifermento a violazioni minori involontarie. Colpe serie, come un fuoco sfuggito di mano sono trattate altrove nella legge. Qui le violazioni sono reali ma non capitali né maggiori. Il sostantivo maal, violazione, qui usato assieme al suo verbo affine “implica furtività o segretezza nell’azione” [4].  Per incuria o negligenza un uomo o una donna, pecca contro il prossimo, poi, colpevolmente nasconde la cosa. La restituzione, comunque, deve essere fatta e, quando trovata colpevole, la persona deve fare un’offerta d’espiazione, fare restituzione, e aggiungere alla sua restituzione un quinto del valore del danno. È possibile, in tempi di disordini o di morte improvvisa, che un trasgressore non trovi alcun sopravvissuto cui fare restituzione: la famiglia è morta o ha emigrato e non ci sono parenti. In tali casi la restituzione è fatta al sacerdote o al pastore. La parte colpevole, nel farsi avanti a confessare volontariamente la sua colpa, è protetta nella sua confessione. “Tali doni potevano essere personali, talché non era necessario confluissero nel tesoro del Tempio. Con ciò fu reso possibile che questi casi di colpa fossero trattati in modo più confidenziale, cosa che incoraggiava maggiormente a confessare la colpa e a restituire” [5].

Molti commentatori rimandano i peccati di questa legge a Levitico 6:2, 3, ma questa è chiaramente una legge separata benché strettamente correlata. Sembrerebbe che Numeri 5:5-10 faccia riferimento a peccati di negligenza e involontarietà come fa Levitico 5:14-16, mentre Levitico 6:1-7 fa riferimento a reati minori di natura deliberata che implicano la proprietà:

L’Eterno parlò a Mosè, dicendo:
Se uno pecca e commette una violazione contro l’Eterno, comportandosi falsamente col suo vicino in merito a un deposito o a un pegno o per un furto, o se ha ingannato il suo vicino, o perché ha trovato una cosa perduta e ha mentito in merito e ha giurato il falso, per qualsiasi cosa l’uomo può peccare nel suo operare, allora se ha peccato ed è colpevole, egli deve restituire ciò che ha rubato, o la cosa estorta con frode o il deposito che gli è stato affidato o l’oggetto perduto che ha trovato, o tutto quello in merito a cui ha giurato il falso. Non solo ne farà piena restituzione, ma vi aggiungerà un quinto e lo consegnerà al proprietario il giorno stesso della sua offerta per la trasgressione. Porterà quindi al sacerdote la sua offerta per la trasgressione all’Eterno: un montone senza difetto, preso dal gregge secondo la tua stima, come offerta per la trasgressione. Così il sacerdote Farà l’espiazione per lui davanti all’Eterno, e gli sarà perdonato qualunque colpa di cui si è reso colpevole (Le. 6:1-7).

Benché tali reati siano chiamati “violazioni”, Noth fa notare che nell’ebraico “il contesto non suggerisce una rapina o un furto comune, ma piuttosto qualche modo ingannevole d’appropriarsi della proprietà altrui” [6].

In tutte e tre queste leggi compaiono certi principi giuridici. Il primo è chiaramente il fatto che la restituzione deve essere fatta a Dio. In Esodo 22:1-14 sono date le leggi basilari della restituzione, ma queste leggi non fanno riferimento a un’offerta al Signore per la trasgressione come troviamo in Levitico 5:14-16; 6:1-7, e in Numeri 5:5-10, né ad un’offerta per il peccato. Le leggi generali del sacrificio presumevano tali offerte. Perché sono dunque citate specificamente nel caso di queste leggi? Il fatto stesso del carattere minore di queste violazioni, inavvertenza in due casi e una violazione da poco nell’altro ci danno un indizio. Di Numeri 5:5-10 Marsh ha osservato che “Mentre potrebbe esserci un peccato contro Dio solamente, qualsiasi peccato contro una persona era considerato un peccato contro Dio talché doveva essere fatta un’offerta per la colpa” [7]. Con riferimento a Levitico 6:1-7 Ginsburg l’ha espresso ancor più chiaramente:

Si vedrà che la trasgressione contro Dio è, strettamente parlando, una violazione dei diritti di proprietà del prossimo. Siccome la frode e il saccheggio sovvertono terribilmente la vita sociale, un crimine di questo tipo è descritto come un insulto a Dio che è il fondatore e il governatore sovrano del suo popolo [8].

La legge non permette che alcuno dimentichi che anche l’offesa più piccola è un’offesa contro Dio; richiedendo in questi casi una restituzione a Dio, quanto una restituzione della proprietà danneggiata o presa irregolarmente, è asserita la totale giurisdizione di Dio oltre al fatto che la minima infrazione dell’ordine è un’infrazione contro l’ordine di Dio. Su ogni punto, l’ordine di Dio deve essere ristabilito.

Secondo, in trasgressioni più gravi, la restituzione implica un aggravio da due a cinque volte, qui solo il venti percento. In tutti i casi è all’opera lo stesso principio, che in parte implica anche la rimozione di qualsiasi profitto dal peccato. “La legge di Dio toglie ogni profitto dal rubare e impone pene severe su chi ruba” [9]. Senza la legge sulla restituzione, il crimine molto comunemente paga. Un ladro di professione inglese, interpellato sui rischi connessi ai suoi furti, le sue condanne alla prigione, e la possibilità di una condanna a otto anni se beccato la prossima volta, replicò:

Non voglio fare otto anni, no — ma se devo, devo, e questo è tutto. Se sei un criminale, qual’è l’alternativa al rischio di finire in prigione? Neanche i minatori di carbone passano il loro tempo a preoccuparsi del rischio di poter essere uccisi dal crollo di una galleria. La prigione è un rischio del mestiere e basta, e un rischio che sono ben preparato ad affrontare. Mi gioco volentieri un terzo della mia vita in prigione pur di vivere gli altri due terzi nel modo che voglio io. Dopo tutto è la mia vita, e questo è il mio sentimento a riguardo. L’alternativa — il prospetto di sprecare il resto della mia vita vegetando in un lavoro stabile, prendendo il tram delle 8:13 per andare a lavorare al mattino, e quello delle 5:50 per tornare la sera, il tutto per dieci o quindici luride sterline la settimana — quello si che mi terrorizza, molto più che il pensiero di qualche anno in galera [10].

La posizione del criminale era una conclusione logica amorale. Il guadagno nel furto aveva per lui un valore ben maggiore della pena. La legge umanistica moderna tende a rendere remunerativo il crimine mentre contemporaneamente diminuisce il suo significato nei termini della legge morale. La legge sassone trattava i criminali brutalmente. Secondo Sir William Blackstone:

Le nostre antiche leggi sassoni punivano nominalmente il furto con la morte, se superiore al valore di dodici centesimi; ma al criminale era permesso redimere la propria vita con un riscatto pecuniario; come, tra i loro antenati Germanici, mediante un certo numero di capi di bestiame: ma nel nono anno di Enrico I, questa possibilità di redenzione fu abolita e tutte le persone colpevoli di furto superiore ai dodici centesimi erano mandati all’impiccagione; legge che continua fino al giorno d’oggi [11].

La pena capitale per il furto fu protratta nella legge inglese fin dentro al regno di Giorgio IV, al cui tempo fu alterata. In tale prospettiva la legge cerca di reprimere il crimine imponendo pene pesanti e sproporzionate. Ciò è contrario alla legge biblica dove è primaria la restituzione, non la repressione. Tanto la pena capitale che la restituzione sono nei termini della giustizia, non della repressione; il criminale di professione o l’omicida viene giustiziato per eliminare l’iniquità e ripristinare l’ordine, e la restituzione viene fatta per altri crimini per ristabilire quell’ordine sociale pio e funzionale che è necessario per il mandato creazionale di Dio. Né impiccare un ladro, né imporgli un riscatto o multa sproporzionata, costituisce giustizia.

Anche un terzo fattore è importante. L’obbligo della restituzione nelle piccole cose è una legge data da Dio che è foriera di migliori relazioni col prossimo. La tendenza moderna è di “trascurare” le cose minori, come se farlo sia sinonimo di nobiltà. In questo modo, se una donna lascia cadere e rompe un piatto che appartiene al suo vicino, la tendenza moderna è di “lasciar correre e dimenticare”. Il principio biblico è di restituire una somma equivalente al piatto, o uno dello stesso tipo se possibile, più un quinto del suo valore come compensazione. Tale restituzione scambia il fastidio con l’amore per il prossimo, infatti “l’amore è il compimento della legge” (Ro. 13:10). Molti dei fastidi tra amici e vicini di casa verrebbe eliminata osservando questa legge. Per mezzo di questa legge Dio è chiaramente consapevole della necessità di governare i problemi minori che sono molto spesso i fattori principali nella nostra vita.

Un quarto aspetto di questa legge è la confessione. Fare restituzione al nostro prossimo è ovviamente una forma di confessione. Se il prossimo è morto o è emigrato e non rimane alcun parente cui fare restituzione, la confessione viene fatta a Dio attraverso il sacerdote. Numeri 5:5-10 “insiste enfaticamente sulla confessione ed infine anche promulga, che se l’individuo contro il quale fu commessa la violazione non ha Goel (parente), la compensazione in denaro, assieme al montone da offrirsi è devoluto al Signore, cioè, è pagato al sacerdote”[12]. In questo modo nella legge c’è uno spazio per la confessione. La vera confessione non crea un’istituzione di mediazione: semplicemente conferma la sovranità della legge di Dio e il fatto necessario della restituzione.

La vera confessione è restituzione. Nella bibbia “perdono” è un termine giuridico e significa che le accuse sono fatte cadere perché è stata resa soddisfazione. Perdono in questo modo significa “soddisfazione” o restituzione. La confessione è priva di valore, e il perdono non è valido, se non è stata fatta restituzione.

Note:

1 C.D. Ginsburg, “Leviticus” in Ellicott, I, 355.

2 Keil and Delitzsch: The Pentateuch, II, 313

3 Baba Kamma, 15a; p. 63.
4 C. J. Elliott, “Numbers” in Ellicott, I, 497.

5 John Peter Lange: Numbers, p. 35.

6 Martin Noth: Leviticus, A Commentary; Philadelphia: The Westminster Press, 1965, p. 49.

7 John Marsh, “Numbers”, Interpreter’s Bible, II, 166.

8 C.D. Ginsburg, “Leviticus”, in Ellicott, I, 356.

9 H. B. Rand: Digest of the Divine Law, p. 73.

10 Tony Parker and Robert Allerton: The Courage of His Convictions; New York: W.W. Norton, 1962, p. 88.

11 Citato in J. W. Ehrich: The Holy Bible and the Law, p. 224.

12 G. F. Oehler: Theology of the O.T., p. 302.


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