INDICE:

La Chiesa

8. Potere e Autorità

 

San Paolo, nel rammentare ai Corinzi il loro destino, disse: “Non sapete voi che i santi giudicheranno il mondo? E se il mondo è giudicato da voi, siete voi indegni di giudicare dei piccoli problemi?” (1 Co. 6:2). Moffat lo rende con: “non sapete voi che i santi dovranno gestire il mondo?” Un significato di cui dobbiamo ricordarci. Il governo di chiesa è un preludio al governo del mondo, non da parte della chiesa ma da parte de “i santi”. Nel cercare di stabilire il necessario governo di chiesa orientato a questo fine, l’appello costante di Paolo fu, non alla forma di governo della chiesa o ai membri, ma alla legge di Dio e alla crescita dei santi nei termini di questa legge (1 Co. 6:15-9:27). Giudicare, governare o gestire il mondo è nei termini della legge di Dio.

Quando san Paolo esprime indignazione all’idea che i cristiani si rivolgessero a una corte romana stava parlando da buon giudeo, nella tradizione della legge (1 Co. 6:1). In Israele, in circostanze normali, affidarsi ad una corte esterna per problemi tra giudei era proibito. In simili istanze si faceva ricorso a corti giudaiche, una tradizione giuridica ancora mantenuta in molti circoli. Similmente, san Paolo sentì che, tra credenti, le autorità ecclesiastiche costituissero il corpo di governo. Tra un giudeo e un gentile, o tra un cristiano e un non-cristiano, ci poteva essere un uso legittimo di tribunali esterni o civili. Questi tribunali, non essendo governati dalla legge di Dio, erano pertanto agenzie di giustizia inaffidabili.

Andiamo ora all’Odissea di Omero. Ulisse ritornò a casa dopo molti anni di peripezie. Durante questo tempo non gli venne in mente che la castità gli fosse richiesta benché se l’aspettasse da sua moglie e dalle sue schiave. I corteggiatori di sua moglie, poiché presumevano che Ulisse fosse morto, fecero violenza ad alcune di queste ragazze schiave. Ulisse stesso lo riconobbe: “Voi cani, avete detto nel vostro cuore che non sarei mai tornato a casa dalla terra dei Troiani, perché avete dissipato la mia casa, e vi siete coricati con la forza con le serve, e avete proditoriamente fatto la corte a mia moglie mentre ero ancora vivo”. La balia Euriclea disse che dodici delle sue cinquanta ragazze schiave erano coinvolte: “Di queste, dodici in tutto hanno scelto la strada della vergogna e non hanno onorato né me né la loro signora Penelope”. Dopo aver ucciso i pretendenti, Ulisse e suo figlio Telemaco, ed altri, si volsero contro le ragazze per giustiziarle. Telemaco le impiccò tutte dodici ad una corda. Il motivo dell’esecuzione fu dichiarato da Telemaco: “Queste … hanno versato disonore sul mio capo e su quello di mia madre, e si sono coricate con i corteggiatori” [1].  Il crimine delle ragazze non era contro Dio: era contro Ulisse e Telemaco. Il coinvolgimento di queste ragazze con gli uomini che le avevano violentate, o magari sedotte, non era importante quanto il “disonore” che Ulisse e Telemaco percepivano. Per loro la legge non andava al di la di se stessi. “Le ragazze erano proprietà. Disporre della proprietà era allora, come oggi, una questione di opportunismo, non di giusto o sbagliato” [2].

Lo stesso valeva nella prima Roma. Il padre aveva il potere sui figli: erano proprietà. La legge non trascendeva l’uomo, ed era essenzialmente limitata alla famiglia dell’uomo. Susseguentemente lo stato assorbì i poteri della famiglia e si fece padre del suo popolo e fonte della legge.

In ciascun caso la legge era essenzialmente umanistica e centrata sull’uomo. Siccome l’uomo come capofamiglia o come capo di stato emetteva la legge, la legge era totale. Questo compariva molto chiaramente in Leggi di Platone:

La cosa principale è che nessuno, uomo o donna, dovrebbe mai essere senza un ufficiale posto su di lui/lei, e che nessuno dovrebbe prendere l’abitudine mentale di fare alcun passo, sul serio o per scherzo, sulla propria responsabilità individuale … in una parola, dobbiamo addestrare la mente a non considerare d’agire come individuo o di sapere come farlo [3].

Se non esiste nessuna legge di Dio, le alternative umanistiche dell’uomo, se spinte alla loro conclusione logica, significano o anarchia o statalismo totalitario. A questo punto è significativo il commento di Brophy sul caso Leopold e Loeb:

Ciò che emerge dalla lettura di un resoconto del caso è un fallimento, o piuttosto, una confusione da parte della società, la quale, in tutte le sue relazioni con Leopold e Loeb, nella loro istruzione, e in ciò che ha costituito la loro ulteriore educazione: il loro processo, non ha mai offerto loro una ragione per cui non dovessero ammazzare o per cui dovessero provare rimorso.

Ciò che la società ha offerto loro è stato Dio, ed essi se ne fecero una ragione: “Egli abbandonò l’idea che Dio esista” dichiara una delle relazioni mediche su Leopold, “dicendo che se un Dio esiste qualche pre-Dio deve averlo creato”. In questa linea di pensiero egli ragiona per analogia. … Essendogli stato insegnato che la legge morale trae le proprie sanzioni da Dio, i giovani uomini erano semplicemente logici nel concludere che disfarsi di Dio era disfarsi anche della legge morale. Infatti, egli ha ragionato che agli occhi della società questo fu il loro crimine, o comunque il crimine di Leopold, il più intelligente dei due. Ed avendo definito la sua posizione mediante la ragione, non poteva essere indotto a cambiarla sotto la pressione emotiva della minaccia di morte. Come registra la relazione medica: “Egli ha dichiarato che la coerenza è sempre stata una sorta di Dio per lui”.

La società non sapeva che farsene di Leopold se non classificarlo come anormale, termine col quale ha inteso che era un non-conformista, nei suoi gusti sessuali, nella sua immaginazione stessa… [4].

Anarchia o totalitarismo, queste sono le alternative. O, seguendo la speranza di Platone, che la gente “non consideri d’agire come individuo o di sapere come farlo”, o individui che sono una legge assoluta a se stessi — queste sono le alternative che l’umanesimo offre all’uomo.

Ma i santi devono governare il mondo nei termini della legge di Dio, che significa che quella legge la devono conoscere. Pertanto, un requisito fondamentale per una sana vita di chiesa è uno studio costante della legge di Dio, delle sue implicazioni e delle sue applicazioni.

In senso biblico la questione dell’autorità è inseparabile dalla legge. Un significato primario di autorità è: “Il diritto di comandare e di costringere all’obbedienza; il diritto di agire ufficialmente”. Autorità proviene da una parola latina: augeo, aumentare. L’autorità ha in sé un aumento naturale. La vera autorità prospera e abbonda. Potere e autorità non sono parole identiche. Il potere è potenza o forza; il potere può esiste e spesso esiste senza autorità. Il potere di Ulisse e Telemaco, e il potere dell’impero romano, erano poteri reali ma, nei termini della legge di Dio erano privi d’autorità, sebbene avessero un’autorità formale meramente come governi legittimi nella loro società. Come ha evidenziato Denis de Rougemont: “Uno non diventa padre rubando un bambino. Uno può rubare un bambino, non la paternità. Uno può rubare potere, non autorità”[5].

La chiesa, con la sua fedeltà alla parola-legge di Dio, deve stabilire, rafforzare e aumentare la propria autorità. Il suo potere aumenterà, ha indicato san Paolo ai Corinzi, quando i cristiani obbediscono la legge di Dio e quando la chiesa l’applica ai suoi affari interni, e quando chiama i suoi membri ad applicarla al mondo intorno a loro.

Il fondamento di questo aumento è il Signore Gesù Cristo, il quale ha dichiarato: “Ogni potestà mi è stata data in cielo e sulla terra” (Mt. 28:18). In quanto assoluto possessore di ogni potere, Egli è la scaturigine predestinante di tutto il potere attuale. Egli è anche la perfetta coincidenza di potere e autorità. Alla scuola della storia, la chiesa è trattenuta, ripresa, e umiliata ogni qual volta il suo potere cessa di essere fondato sull’autorità della parola-legge di Cristo, od ovunque la sua autorità cerchi sostegno in signori altri da Gesù Cristo. Alla chiesa è richiesto che ammaestri tutti gli uomini e le nazioni “a osservare tutte le cose che io vi ho comandato. Or, ecco, io con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Amen” (Mt. 28:20). La sua presenza e il suo potere sostengono e favoriscono tutti quelli che insegnano ad osservare tutte le cose che comanda.

Il potere, quando divorziato dall’autorità pia diventa progressivamente demonico. L’autorità può essere legittima in un senso umano, poggiando su successione o su elezioni, e al contempo essere immorale e ostile all’ordine di dio. Ecco che l’autorità di Nerone era in qualche modo legittima, e ai cristiani era richiesto che l’obbedissero, ma la sua autorità era empia ed implicitamente ed esplicitamente satanica nel suo sviluppo. Il vero ordine richiede che tanto il potere che l’autorità siano pii nella loro natura e nella loro applicazione.

Alcuni degli aspetti di questo problema possono essere illustrati meglio col racconto di un abile e attento cristiano il quale si rese improvvisamente conto che i suoi sogni erano probabilmente satanici. Egli sognava di avere abbastanza potere da eliminare per esecuzione tutti i traditori e i comunisti, e di far miracolosamente convertire tutti gli americani. Nel suo pensiero, dava assenso a Cristo; nella sua immaginazione stava chiedendo che Cristo si sottomettesse alla tentazione di Satana. Voleva indurre la fede mediante miracoli (Mt. 4:5-7), e provvedere sicurezza dai problemi miracolosamente (Mt. 4:1-4).

Poi sollevò una domanda molto profonda: Che l’alternativa sia meramente la via della conversione e dell’amore, senza alcun ordine giuridico e coercizione e senza miracoli, o i miracoli, leggi e coercizione hanno in qualche modo un ruolo?

Per rispondere a questa domanda, prendiamo prima visione di Matteo 13:58, che ci dice che “nella sua patria”, Nazareth (Mt. 13:54), Gesù “non fece lì molte opere potenti a causa della loro incredulità”. È un serio errore dire che il potere di Gesù di fare miracoli fosse condizionato dalla fede della persona o degli uditori. Il suo potere proveniva interamente da se medesimo, per virtù della sua divinità, non dipendeva in alcun senso dal responso della gente. Ci dovette essere dunque un’altra ragione per il numero limitato di miracoli fatti a Nazareth. Ne furono fatti alcuni, sebbene apparentemente non in pubblico, perché ci è detto che “non fece lì molte opere potenti”, il che implica che alcune furono fatte. I miracoli non furono mai fatti per convertire persone; la richiesta degli scribi e dei farisei che facesse un “segno” appositamente per obbligarli a credere o, piuttosto, a rendere non necessaria la fede a causa della visione, fu rifiutato da Gesù (Mt. 12:38, 45; 16:1-5).

Lo scopo dei miracoli era glorificare Dio e la reazione di fede serviva lo stesso scopo (Mr. 2:12). C’è dunque un posto molto importante nella vita del convertito per l’aiuto miracoloso e provvidenziale di Dio perché questo è un aspetto della cura con cui ci governa .

Similmente, c’è un posto per la coercizione. La giustizia e la legge la richiedono. Esse sono futili, però, senza una base in un popolo di fede che possa mantenere e sviluppare un ordine sociale. Se domani, tutti i nemici interni ed esterni degli Stati Uniti fossero miracolosamente distrutti, il risultato più importante sarebbe un ulteriore declino e decadenza della vita americana; a quel punto ci sarebbe la libertà di peccare con impunità per quanto riguarda le conseguenze storiche. Se tutti o quasi tutti gli americani fossero miracolosamente convertiti nello stesso momento, il male verrebbe moltiplicato. Il punto del sogno ad occhi aperti era umanista: il suo scopo era pace e libertà nazionali. Se fosse stato pace e libertà internazionali il suo umanesimo non sarebbe stato meno reale. Il fine ultimo di tale sogno è l’ordine umano e la pace dell’uomo. È pertanto una variazione del vangelo sociale.

Lo scopo principale della conversione è che l’uomo sia riconciliato con Dio; la riconciliazione con i suoi consimili e con se stesso è un aspetto secondario di questo fatto, un effetto collaterale necessario ma comunque un effetto collaterale. Lo scopo della rigenerazione è che l’uomo ricostruisca tutte le cose in conformità all’ordine di Dio, non nei termini del desiderio di pace dell’uomo. Questo scopo e missione implicano legge e coercizione.

La rigenerazione è l’atto sovrano di Dio nei termini dei suoi propositi sovrani. È coercitivo nel fatto che è un’azione di Dio, e tuttavia, poiché l’uomo stesso è un’azione di Dio, la rigenerazione non è coercitiva in quanto giunge come apice dell’opera di Dio nel cuore dell’uomo. Nè le conversioni né i miracoli sono opera dell’uomo. Che l’uomo cerchi conversioni forzate o miracoli nei termini delle proprie speranze è sbagliato; l’uomo può richiedere obbedienza alla legge di Dio, ma non può assumere il ruolo di Dio.

Ove potere e vera autorità siano insieme, lì l’uomo non sta assumendo il ruolo di Dio; serve Dio nei termini della sua legge e prega Dio. Potere e autorità vengono usati per far avanzare l’ordine pio, non le speranza umane di ordine. L’ordine di Dio richiese la caduta di Roma, non la sua pace. Molti cristiani pregarono per Roma, e giustamente; ma peccarono quando limitarono l’opera di Dio alla cornice dell’impero.

Note:

1 Omero, Odissea, libro XXII.
2 Aldo Leopold, A Sand County Almanac; New York: Sierra Club/Ballantine Book, [1949], 1970, p. 237.
3 Leggi, 942 AB
4 Brigid Brophy, Black Ship to Hell; New York: Harcourt, Brace and World, 1962, p. 30 s.

5 Denis de Rougemont, The Devil’s Share; Washington, D. C.: Bollingen Series II, 1944, p. 31.


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