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11. Dio ascolta

Genesi 16

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Il grande pericolo che affrontiamo nel raccontare la storia registrata in Genesi 16 è la tentazione di accantonare la storia di Abramo e di parlare della nascita di Ismaele e della fuga di Agar come di eventi nei quali il ruolo di Abramo è secondario. A quel punto poniamo l’enfasi sulla misericordia di Dio, il quale si prese cura di Agar come una dei suoi figlioli. Ma nelle Scritture non ci è detto che Agar fosse di fatto una figlia del Signore. Se lo fosse non  è di primaria importanza in questo contesto, infatti Dio si prese cura di Agar non perché era Agar ma perché apparteneva alla famiglia di Abramo, perché era parte del circolo pattizio.

È significativo che la figura che appare ad Agar dopo che fugge dalla casa di Abramo sia l’Angelo dell’Eterno, il Dio del patto. Questo ci avverte del fatto che la storia di Agar e Ismaele è una continuazione della storia di Abramo. Nelle Scritture non c’è una storia separata di Agar o di Ismaele.

Quando Dio apparve ad Agar e si fece carico della sua causa non fu per lei ma per Abramo. Volle correggere l’ingiustizia avvenuta nella tenda di Abramo ove Agar aveva sofferto oppressione.

In origine Agar era una schiava ma fu elevata alla condizione di moglie di Abramo benché la sua elevazione fosse intesa solo a rendere Sarai più tranquilla. Ma una volta che Agar concepì un figlio, peccò nel voler tenere il figlio per sé. Volle il figlio per sé e rifiutò di considerarlo figlio di Sarai e nemmeno di Abramo come dimostra la sua successiva fuga. La sua fuga ebbe l’effetto di rimuovere il figlio dalla cerchia del patto e dalla promessa.

Quando concepì e dimostrò il suo disprezzo per la sua padrona, fu nuovamente ridotta a condizione di schiava. Abramo disse a Sarai: “Ecco, la tua serva è in tuo potere”. Quella fu un’ingiustizia. In tutta questa situazione Agar fu offesa come moglie e come madre. Una volta che l’ordinanza di Dio era stata violata non era più possibile trovare il giusto corso d’azione. Perciò la vita nella tenda di Abramo, dentro al circolo pattizio, prese una direzione sbagliata.

Non dobbiamo lasciare ai fanciulli l’impressione che tutto questo fosse in armonia con i requisiti del patto. Dio dimostrò che non lo era quando si fece carico della causa di Agar contro Abramo per amore del patto, ovvero, per amore di Abramo e per amore di se stesso. La motivazione di Dio viene ad esprimersi nel nome del figlio di Agar: Ismaele. Ordinandole di dare al figlio questo nome Dio stava indicando che egli ascolta l’oppressione della vita dentro al circolo pattizio.

Spiegare il nome Lahai-Roi (v.14) non è facile, proprio com’è lungi dall’esser facile spiegare perché Agar si sia chiesta: “Ho veramente io veduto  colui che mi vede?” Agar era stupita che Dio si fosse preso cura di lei o di essere sopravvissuta ad un incontro con Dio? Nell’uno o nell’altro caso, la sua domanda è un’espressione di stupore che veniva da una persona non abituata a camminare col Signore.

Il Dio del patto le apparve in modo che lei non rompesse il legame col patto dei suoi discendenti. Il suo stupore dimostra quanto quel richiamo la colpì. La promessa concernente suo figlio e i suoi discendenti poteva ancora essere compiuta dentro la cornice dei propositi redentivi di Dio. La promessa che Ismaele sarebbe stato “tra gli uomini come un asino selvatico”, ovvero un amante della libertà, avrebbe potuto avere un significato redentivo: sarebbe potuto avvenire che la libertà che egli avrebbe amato sarebbe stata una libertà in Cristo. L’opposizione a tutti di Ismaele poteva  ancora rivelarsi una lotta per amore di Cristo. Tuttavia, le parole di promessa riguardanti Ismaele dicono già qualcosa delle sue attitudini in questa vita. Ci avvertono che il suo interesse principale sarebbe stato l’auto-preservazione, che si sarebbe tagliato fuori dai legami della grazia di Dio. Hagar aveva prodotto un figlio per la schiavitù.

          Concetto principale: Dio ascolta l’oppressione della vita all’interno del
                                                  circolo pattizio.

          Rapporti danneggiati da mancanza di fede. È evidente che Abramo e Sarai si amassero profondamente. A quei tempi era assai comune che un uomo avesse più di una moglie e Abramo aveva certamente una buona ragione per prendere una seconda moglie. Non era stato il Signore a dire che Abramo avrebbe avuto un figlio che avrebbe ereditato la promessa? Ma il Signore non aveva ancora detto nulla riguardo al fatto che Sarai sarebbe stata la madre. Abramo potrebbe aver pensato: “Forse il Signore vuole che io abbia un figlio da un’altra donna”. Tuttavia sembra che Abramo non avesse ancora considerato questa possibilità. Si aspettava ancora che Sarai sarebbe stata la madre del figlio promesso.

Quando Abramo e Sarai divennero più vecchi, le loro speranze che Sarai divenisse madre scemarono. Alla fine fu Sarai stessa a suggerire ad Abramo di prendere un’altra moglie. Specificò che sarebbe dovuta essere Hagar, la schiava egiziana che era di sua proprietà. Se Hagar gli avesse dato un figlio lei avrebbe potuto considerarlo suo.

Sarai bramava vedere compiuta la promessa. A quei tempi essere senza figli era considerata una vergogna. Sarai sperava che la sua proposta avrebbe potuto rimuovere un po’ della sua vergogna. Abramo fu d’accordo col piano.

Sarai e Abramo avevano risolto insieme il loro problema. Ma da parte loro questo era un pianificare puramente umano: il Signore non fu interpellato. Tuttavia Abramo godeva di una relazione speciale col Signore. In una questione di tale importanza come la nascita del figlio promesso avrebbe certamente dovuto aspettare un segno dal Signore.

Abramo e Sarai erano chiaramente diventati impazienti e l’impazienza nell’aspettare il compimento della promessa del Signore ammonta a incredulità. Come hanno potuto anche solo sospettare che il Signore avesse potuto dimenticare la sua promessa? Non sapevano che si sarebbe per certo assicurato che la promessa fosse adempiuta? Diventa subito ovvio che Abramo e Sarai erano fuori strada perché il loro piano portò loro ogni sorta di  sofferenze.

Dopo che Agar divenne moglie di Abramo e concepì con lui un figlio cominciò a guardare Sarai con disdegno. Poiché stava diventando madre la ex schiava si considerava adesso superiore a Sarai e disprezzò la sua padrona. Neppure voleva che suo figlio fosse considerato di Sarai; voleva il figlio per sé! Sarai si lamentò con Abramo e lo accusò perfino di fargli un’ingiustizia. Divenne irragionevole nella sua gelosia e richiese che Abramo riavvolgesse l’orologio e rimettesse Agar al suo posto di prima. Abramo cercò di fare proprio questo. Benché Agar fosse divenuta sua moglie la pose di nuovo sotto la totale autorità di Sarai come sua schiava. Poi Sarai umiliò Agar.

Questa svolta degli eventi non contribuì a raddrizzare le cose. Prima Agar fu fatta diventare moglie di Abramo e poi fu ridotta all’umiliante posizione di una schiava! Non andava bene. Parte della colpa era di Agar, ovviamente, ma non possiamo trascurare il fatto che Abramo e Sarai l’avevano trattata come era loro piaciuto, che non è il modo di trattare con nessun essere umano.

E tutto questo era avvenuto dentro la tenda di Abramo, ovvero all’interno del circolo pattizio. Il Signore non lo poteva tollerare. Dentro al circolo del suo patto Dio non può permettere ingiustizia. Nella loro confusione, Abramo e Sarai sentivano già le conseguenze del loro errore iniziale, ma le cose sarebbero anche peggiorate perché un’azione malvagia porta ad un’altra e perpetua il male.

          La fuga di Agar. Agar non sopportò l’umiliazione. Scappò e si diresse in Egitto, la sua nazione d’origine. Chiaramente non voleva che il figlio che le stava arrivando fosse considerato di Sarai. Era anche evidente che non dava importanza al fatto che fosse anche figlio di Abramo. Non apprezzava la promessa che Abramo aveva ricevuto né si rendeva conto di cosa il patto di Dio con Abramo significasse per lei e per il suo bambino. Voleva solo il bambino tutto per sé, non per Abramo né per il Dio di Abramo.

Che dolore deve aver causato ad Abramo e Sarai! Non importava così tanto che una schiava fosse fuggita: in un modo strano Agar era diventata un membro della loro famiglia. La sua fuga aveva lacerato la famiglia di Abramo. E che ne sarebbe stato del suo bambino una volta nato? Dopo tutto, era anche figlio di Abramo. Sarebbe andato perso nel mondo?

A causa della loro falsa partenza Abramo e Sarai erano in completa confusione. Cosa avrebbe fatto il Signore? Poteva permettere che questa cosa proseguisse in questo modo? Il Signore volle essere misericordioso con Abramo e Sarai nella loro confusione, ma doveva pensare anche al suo patto con Abramo e al proprio onore. Agar non aveva solo rimosso se stessa dal circolo pattizio ma aveva rimosso anche il bambino che in quel circolo doveva nascere. Il Signore non lascia facilmente andare nulla che reclami come proprio. Agar stessa apparteneva a quella famiglia pattizia che viveva col Signore e lo stesso vale per il figlio che doveva nascere. Per il bene di Abramo, col quale era entrato in una relazione pattizia, non volle abbandonare Agar e il bambino. In definitiva Dio era interessato ad Agar e al suo bambino per amore di Cristo di cui Abramo doveva essere un antenato e un tipo. Era per amore di Cristo che Dio aveva fatto patto con Abramo. E per amore di Cristo il Signore non volle abbandonare Abramo o niente che gli appartenesse.

Il Signore ha questo stesso sentimento oggi. Qualsiasi cosa legata col Signore Gesù Cristo non sarà mai abbandonata. Se qualcuno appartiene a Cristo il Signore andrà in cerca di lui o di lei per molto molto tempo e lascerà perdere solo quando quella persona si sia completamente indurita contro il Signore.

Perciò il Signore andò in cerca di Agar. L’Angelo dell’Eterno le apparve vicino ad una sorgente sulla strada per l’Egitto. Questa figura era il Signore Gesù Cristo che a quel tempo non era ancora venuto in terra ma che spesso appariva alle persone in forma umana. Egli le disse: “Agar, serva di Sarai, da dove vieni e dove vai?” Il Signore voleva che lei comprendesse esattamente cosa stava facendo. Stava fuggendo dalla promessa del Signore e dal Signore stesso per poter essere indipendente e poter avere il figlio solo per sé. Era pienamente cosciente di cosa stesse dicendo quando rispose: “me ne fuggo dalla presenza della mia padrona Sarai”?

Poi il Signore le disse che doveva tornare e sottomettersi alla sua padrona. Come poteva il Signore darle un simile ordine dopo l’ingiustizia che alla aveva sofferto? Avrebbe dovuto sopportare quell’ingiustizia di nuovo? Certamente avrebbe dovuto. È meglio sopportare l’ingiustizia se significa mantenere un collegamento con la promessa e col Signore. Quel collegamento avrebbe dovuto effettivamente essere il suo interesse maggiore; avrebbe dovuto essere disposta a sacrificare qualsiasi cosa per esso. Avrebbe inoltre dovuto sotterrare il suo orgoglio che le fece volere il figlio solo per sé. Avrebbe invece dovuto desiderare il figlio per il Signore. Il Signore la avrebbe confortata nei momenti d’ingiustizia, ma prima lei avrebbe dovuto sottomettersi per amore del Signore. Anche noi potremmo dover sopportare ingiustizie di tanto in tanto ma ciò che soffriamo non deve mai portarci a tagliare il nostro legame col Signore voltando le nostre spalle al suo popolo e alla sua chiesa.

          La benedizione di Agar. Per confortarla dell’ingiustizia subita l’Angelo dell’Eterno disse ad Agar qualcosa riguardo al futuro. Avrebbe avuto un figlio e avrebbe dovuto chiamarlo Ismaele, un nome che significa Dio ascolta. Quel nome avrebbe dimostrato che Dio non aveva trascurato l’oppressione di Agar nella tenda di Abramo e che sarebbe stato con lei. Quel nome era inteso anche svergognare Abramo perché Dio non permette che i peccati dei suoi figli vadano impuniti. Semplicemente non può sopportare la vista dell’ingiustizia dentro al circolo pattizio. L’ingiustizia lì lo offende più che da qualsiasi altra parte perché l’ingiustizia non ha posto nel disegno del suo patto. Dentro al circolo pattizio la vita umana deve essere libera di fiorire. Pertanto, il nome Ismaele fu un atto d’accusa per Abramo e Sarai.

L’Angelo dell’Eterno disse inoltre ad Agar che suo figlio sarebbe diventato un popolo molto numeroso e che sarebbe stato verso gli uomini come “un asino selvatico”, cioè un uomo con un’insaziabile voglia di libertà. Sarebbe vissuto in conflitto con chiunque intorno a sé e tutti intorno a lui gli sarebbero stati contro. Avrebbe piantato le sue tende in faccia tutti i suoi fratelli e sarebbe stato una costante minaccia a tutte le nazioni in contatto con la nazione che sarebbe discesa da lui.

Per Agar e suo figlio queste parole contenevano una meravigliosa benedizione. Parlavano di potenza, di libertà e di coraggio. Ma come sarebbe stata usata quella benedizione? Quella libertà sarebbe stata vera libertà, cioè libertà dal peccato per amore di Cristo? Il conflitto sarebbe stato tale per il Cristo? O Ismaele avrebbe combattuto contro il Cristo e il vangelo?

Sfortunatamente egli impiegò la sua forza contro il Cristo. Da Ismaele nacquero gli amanti della libertà dell’Arabia, la terra ove sorse l’Islam. La posterità fisica e spirituale di Ismaele ha vissuto in continuo conflitto col popolo di Dio e col Signore Gesù Cristo. Così la benedizione data a quel popolo è diventata una maledizione. É interamente possibile anche per noi cambiare la benedizione di Dio in una maledizione non accettando quella benedizione in fede come dono di Dio ma volendola  invece usare contro Dio.

          Il ritorno di Agar. L’apparizione dell’Angelo dell’Eterno e le parole da lui pronunciate fecero una profonda impressione ad Agar. Sembrò che fosse tornata in sé e si fosse finalmente resa conto di essere estranea al Signore che si era così riccamente rivelato ad Abramo. Sembrò anche essersi resa conto di come fosse glorioso camminare col Signore all’interno di una relazione pattizia. Espresse stupore che il Signore si fosse preso cura di lei. Il Signore sarebbe stato disposto ad estendere anche a lei la sua grazia?

Con questo nei suoi pensieri ritornò alla tenda di Abramo e si sottomise a Sarai. Lì nacque il bambino e Abramo obbedientemente gli mise nome Ismaele, inchinandosi alla vergogna che quel nome implicava per lui. In questo modo il Signore attuò qualcosa di buono per Abramo e Sarai e perfino per Agar dando loro un figlio.

Ma Agar era veramente ritornata? Il suo cuore aveva veramente trovato il Signore, il Dio di Abramo? Si sarebbe potuto dire che considerò la promessa fatta ad Abramo la cosa più importante della sua vita? Non lo sappiamo per certo. Ciò che sappiamo è che suo figlio più tardi manifestò la stessa natura orgogliosa che sua madre aveva dimostrato in precedenza, e che dimostrò anche di disprezzare la promessa fatta ad Abramo.

Dio ci chiama veramente a godere della comunione con lui, a camminare con lui e ad accettare la promessa, ma noi accettiamo realmente quella promessa per fede? Diamo a quel cammino col Signore la priorità più alta nella nostra vita?


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