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44: Estrema longanimità

II Re 13; 14:23-29

Per amore del suo patto con Abramo, Isacco e Giacobbe, il Signore fu estremamente longanime anche verso il regno delle dieci tribù. Quel regno minacciava di cadere ma il Signore pospose quell’evento. Presto quel regno sarebbe stato abbandonato benché alcuni individui credenti sarebbero stati salvati. Dopo la cattività, alcuni di quel regno sarebbero ritornati con le due tribù. In questi pochi eletti, le dieci tribù sarebbero state salvate malgrado tutto.

L’espressione “Percuoti il suolo” (con le frecce) in II Re 13:18 significa scoccale verso terra.

          Concetto principale: Per amore del suo patto, il Signore è
                                                  estremamente longanime col suo popolo.

          Ancora ascoltato. Al re Jehu succedette suo figlio Jehoahaz. Jehoahaz fu figlio verace di suo padre: come lui, egli camminò nel peccato di Geroboamo, figlio di Nebat, cioè il peccato del culto degli idoli. Ancora non ci si prostrava davanti al Signore come l’altissimo e l’eccelso; anzi, il Signore fu tirato giù al livello della vita terrena, rappresentato nella forma di un vitello. Benché la gente pronunciasse il nome del Signore, egli non era servito veramente. La gente serviva invece le forze della natura. Per Jehoahaz, il Signore era il Dio d’Israele, proprio come ogni altra nazione aveva un dio proprio. In questo modo gli uomini cercavano di prevalere sul Signore.

Va da sé che il Signore si infuriò di questo atteggiamento. Durante il tempo di Jehu i siri avevano già occupato l’intera area del Transgiordano. Ora si spinsero oltre il Giordano e occuparono parte del paese anche lì. Jehoahaz era impotente tanto a resistere che a respingerli. La situazione si fece così tragica che alla fine gli erano rimesti solo 50 cavalieri, dieci carri e 10.000 uomini di fanteria. Hazael re di Siria rese i soldati d’Israele così impotenti  da essere come la polvere della terra che si calpesta sotto i piedi.

Nella sua apprensione Jehoahaz invocò solennemente il Signore. Come arrivò a farlo visto che non si era veramente volto verso il Signore nel suo cuore? Si appellò al Signore perché non aveva altra via d’uscita. In qualche senso egli percepì nelle sue sconfitte il giusto giudizio. È cosa terribile comprendere qualcosa di quel giudizio e ancora non inchinarsi davanti alla giustizia del giudizio eterno di Dio in un tentativo di trovare salvezza eterna.

La preghiera del re non era una preghiera di fede ma il Signore l’accordò lo stesso. Guardò a Cristo che è il vero Intercessore per il suo popolo. Il suo cuore fu mosso dall’oppressione che il suo popolo, che ancora amava per amore di Cristo, soffriva per mano dei siri. Tra il popolo c’erano alcuni che ancora temevano veramente il Signore. In loro Dio era legato al suo popolo.

Il Signore udì la preghiera di Jehoahaz e non abbandonò il suo popolo. Ma la liberazione non giunse ancora fino ai regni di suo figlio e di suo nipote.

          Ancora non rigettato. A Jehoahaz succedette suo figlio Joash. Durante il suo regno il Signore cominciò a liberare Israele dai siri. Il re di Siria, Hazael, del quale Eliseo aveva profetizzato che avrebbe portato sofferenza su Israele, morì. Suo figlio Ben-Hadad divenne re al suo posto. Joash riuscì a far fronte a Ben-Hadad. Il giudizio predetto da Eliseo era venuto e ora sarebbe giunta di nuovo la liberazione.

Ad Eliseo fu ancora permesso profetizzare quella liberazione dal suo letto di morte. Mentre stava morendo, ricevette la visita di Joash. Piangendo il re si piegò su di lui e lamentò: “Padre mio, padre mio. Carro e cavalleria d’Israele!” Ciò che intendeva era che Eliseo era la forza d’Israele. Qui Joash chiamò Eliseo suo padre, il suo mentore spirituale. Riconobbe che la forza per le battaglie d’Israele si trovava nel profeta, cioè nella Parola di Dio portata dal profeta.

Benché Joash adorasse anche idoli, a quanto pare non osò rompere completamente con la Parola di Dio. E siccome il legame con quella Parola non era stato totalmente rotto, il Signore mostrò misericordia e ancora non rigettò il popolo. Ricordò il suo patto con Abrahamo, Isacco e Giacobbe, e guardò a quest’ultimo esiguo legame con la sua Parola come frutto di quel patto. Per questa ragione fu permesso ad Eliseo profetizzare che ci sarebbe stata liberazione.

Eliseo disse al re di impugnare arco e frecce e di tendere l’arco. Poi Eliseo mise la sua mano su quella del re e gli ordinò di scoccare una freccia verso est attraverso la finestra aperta. Eliseo disse che questa era una freccia della liberazione del Signore dal potere dei siri. Eliseo aveva messo le sue mani su quelle del re nel nome del Signore. La liberazione sarebbe venuta dal Signore; Egli avrebbe rivolto le sue armi contro i siri.

Ora Joash accettò quella promessa in fede. Perciò Eliseo disse al re di scoccare altre frecce verso terra. Il re lo fece tre volte, poi smise. Se avesse saputo che quelle frecce erano un segno della potenza liberatrice del Signore contro i siri, perché non tirò tutte quelle che aveva nel turcasso? Aveva veramente creduto la promessa di liberazione? E aveva realmente apprezzato quel segno? La fede dà sempre valore ai segni e s’impossessa della certezza della promessa del Signore che c’è nel segno. Nello stesso modo, i credenti oggi usano i sacramenti, che sono segno e suggello.

Joash non agì per fede. Eliseo si arrabbiò perché il re aveva scoccato solo tre frecce e disse al re che ora avrebbe sconfitto i siri solo tre volte. Se ne avesse scoccate cinque o sei avrebbe sconfitto i siri completamente.

Dopo questo, Eliseo morì e fu sepolto. Ma la promessa rimase viva: tanto l’intera promessa della Parola di Dio quanto quella della liberazione dai siri. Il Signore rivelò quest’ultima mediante un segno peculiare.

In quel tempo della bande di Moabiti invadevano ripetutamente il paese. Un giorno, proprio mentre un uomo stava per essere seppellito nello stesso sepolcro di Eliseo, comparve una banda di Moabiti. Poiché il corpo fu gettato nel sepolcro in tutta fretta, toccò le ossa di Eliseo. Immediatamente il morto resuscitò. Eliseo era morto, ma la potenza della Parola di Vita di cui era stato portatore non era morta. Israele doveva vivere per la potenza della Parola del Signore.

Joash lo sperimentò. Sconfisse i siri tre volte e li scacciò dal paese a ovest del Giordano benché i siri continuassero a occupare il Transgiordano. Questa liberazione fu un segno che Israele avrebbe vissuto, che il popolo di Dio sarebbe vissuto eternamente per amore di Cristo. Questo regno sarebbe stato distrutto tra poco, ma un residuo sarebbe stato salvato.

          Ancora non sentenziati. A Joash succedette suo figlio Geroboamo (usualmente chiamato Geroboamo II). Era stato Geroboamo I, i figlio di Nebat, a introdurre il culto delle immagini in Israele. Geroboamo II camminò nelle vie del suo omonimo.

Nonostante il culto delle immagini fosse un abominio, la potenza della promessa, pronunciata da un profeta di nome Giona, non fu spezzata da questo peccato. La Parola di vita avrebbe vinto. Il Signore avrebbe esaudito la preghiera di Jehoahaz ancora di più. Geroboamo II ebbe successo nel cacciare i Siri dal Transgiordano e fu poi in grado di ripristinare gli antichi confini del regno. Nella battaglia contro i regni di Damasco e Hamath trionfò sui siri a nord e sconfisse i moabiti a sud col risultato che Isarele si estendeva di nuovo dalla strada di Hamath arrivando fino al Mar Morto.

Il Signore aveva guardato l’amara afflizione d’Israele con compassione e misericordia. Chi avrebbe aiutato questo popolo se non l’avesse fatto lui? Dopo tutto, questo regno e questo popolo erano ancora suoi. Il Signore non aveva ancora parlato di cancellare il nome d’Israele di sotto il cielo. Benché Israele stesse diventando maturo per il giudizio, la sentenza non era ancora stata pronunciata. Al contrario, il Signore fece profetizzare al suo servo, il profeta Giona, che il regno sarebbe stato ancora una volta restaurato. Avrebbe Israele imparato dalla compassione che il Signore continuava a mostrare?


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