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20: L’amato dal Signore.

II Samuele 10-12

Il cuore di questi tre capitoli è la storia della nascita di Salomone, il figlio di Davide e di Bath-Sceba. In quella nascita Davide vide la conferma del rinnovato favore di Dio. Questo è il motivo per cui vantò la pace [1] quando diede un nome a questo figlio.

Il signore chiamò il bambino Jedidiah, ovvero: amato dal Signore. Questo bambino, figlio di Davide, era l’amato del Signore. La misericordia del Signore sulla casa di Davide e su Israele era legata a Salomone. Quando il Signore gli diede nome Jedidiah, stava indicando che la promessa fatta a Davide avrebbe trovato il suo compimento iniziale in Salomone.

Con questo nome, la Parola del Signore puntò ancora una volta al futuro. Il nome aveva un significato speciale a causa di ciò che era accaduto prima che Salomone nascesse. Davide si era coperto di vergogna pubblicamente. La gente aveva visto che la salvezza non era in Davide. La  salvezza si trovava nel futuro, nel Cristo, della cui nascita Salomone era una profezia. Il Cristo è l’amato del Signore. Per amore suo fu amato dal Signore anche Salomone. E per amore suo ci fu grazia per la casa di Davide nella nascita di Salomone.

Nell’intera linea degli antenati di Cristo, il peccato è chiaramente visibile. Solo per mezzo del concepimento di Spirito santo avrebbe potuto scaturire il Cristo, il puro dall’impuro. Nella sua vita e nella sua morte egli fa espiazione per il peccato. In Lui è rivelata la grazia di Dio.

          Concetto principale: La grazia del Signore per il suo popolo è nel suo amato.

          Guerra. La guerra di Davide coi siriani e gli ammoniti è qui raccontata con maggiore dettaglio. La sua condotta durante la guerra fu l’immediata occasione per il suo peccato con Bath-Sheba.

Quando in Ammon fu elevato al trono un nuovo re, Davide gli mandò  degli emissari a portargli le condoglianze per la morte di suo padre. Questo fu un gesto amichevole da parte di Davide; una reazione all’amicizia che aveva sperimentato col re deceduto. Non sappiamo quale fosse la natura di quell’amicizia.

Su istigazione dei suoi consiglieri, il nuovo re di Ammon trattò la delegazione come un branco di spie. Offese profondamente gli emissari, e con ciò Davide stesso, facendo loro tagliare mezza barba e la parte inferiore di vestiti prima di rimandarli indietro.

Davide non volle vedere quest’offesa coi suoi occhi perciò ordinò agli emissari di rimanere a Gerico finché non fosse loro ricresciuta la barba. Gli ammoniti compresero che ora ci sarebbe sicuramente stata guerra con Israele, pertanto assoldarono molte truppe ausiliarie dai siriani. Joab, che Davide aveva mandato a combattere gli ammoniti, si trovò col suo esercito tra i siriani che erano in campo aperto, e gli ammoniti, che si erano schierati davanti alla loro città capitale. Joab divise l’esercito e diede il comando di metà a sua fratello Abishai con l’accordo che l’uno avrebbe soccorso l’altro in caso di emergenza. Joab stesso affrontò gli assiri e li sconfisse. Quando gli ammoniti se ne accorsero, si ritirarono nella loro città. Con questo terminò la prima campagna contro gli ammoniti. Joab e il suo esercito ritornarono a Gerusalemme. Sembrerebbe che a quel tempo non abbia voluto osare assediare la capitale di Ammon.

Fu necessaria una seconda campagna perché gli ammoniti non erano stati sconfitti. Oltre a ciò, i siri avevano formato un nuovo esercito, il loro re, Hadadezer, aveva perfino fatto arrivare soldati dalla Mesopotamia. Davide radunò tutto Israele e sconfisse i siri, rendendo inutilizzabili i loro carri e uccidendo il comandante in capo siriano. Tutti i re vassalli di Hadadezer lo disertarono, fecero pace con Israele e divennero sudditi di Davide.

Davide aveva sistemato i conti con i siri ma non era stato capace di fare nulla contro gli ammoniti. Nel frattempo era giunta la stagione delle piogge. Perciò Davide dovette attendere. Dopo le piogge, Davide mandò Joab con un esercito ad assediare Rabbah, la capitale degli ammoniti. Quella fu la terza campagna.

Così il re d’Israele combatté contro dei nemici che avevano gettato vergogna su di lui quale unto del Signore e pertanto anche sul Signore stesso. L’onore della grazia del Signore richiedeva l’esecuzione della sentenza sugli ammoniti. Giustizia doveva essere fatta, non per l’onore di Davide ma per quello del Signore.

          Lusso sfrenato. Non avrebbe dovuto Davide stesso andare in battaglia alla testa del suo esercito per eseguire la sentenza sugli ammoniti? Dopo tutto, era stato vergognosamente offeso l’onore del popolo del Signore e del suo re! Ma Davide rimase a Gerusalemme e mandò Joab con un esercito. A quanto pare si accontentò di riposare sugli allori. Pensò che il suo trono era ora definitivamente stabile e sicuro. E lo era, ma solo per la grazia e la fedeltà del Signore, non per la forza propria di Davide come re. Davide non si appoggiava più esclusivamente alla grazia del Signore; confidava nel proprio potere. In simili situazioni siamo sopraffatti da un certo sentimento di auto-compiacimento e di lusso sfrenato. Allora siamo lontani dal Signore. Che gran rischio prendiamo quando questo accade!

Un giorno, dopo il riposo pomeridiano, Davide si trovava sul tetto del proprio palazzo. Da lì vide una donna bellissima che volle immediatamente per moglie. Prese informazioni a suo riguardo e scoprì che era la moglie di Uria l’ittita, un ufficiale dell’esercito agli ordini di Joab. Quando Davide seppe che era sposata non soppresse il proprio desiderio; si lasciò vincere dal desiderio. Le chiese di venire comunque da lui. Benché fosse sposata ella consentì a commettere adulterio con lui. Dopo ritornò a casa sua.

A quanto pare Davide voleva riabilitare il matrimonio tra questa donna, il cui nome era Bath-Sheba, e suo marito Uria. Perciò fece richiamare Uria a Gerusalemme. Sembrerebbe che Uria avesse saputo qualcosa dell’infedeltà di sua moglie e rifiutò di entrare a casa sua. Anche dopo che il re lo esortò, rifiutò di passare la notte con sua moglie.

Per timore che il suo peccato diventasse di dominio pubblico, Davide organizzò un secondo misfatto. Rimandò al fronte Uria con una lettera personale per Joab che lo istruiva di collocare Uria in una posizione pericolosa affinché venisse ucciso in battaglia. A quel punto Davide avrebbe potuto prendere Bath-Sheba per moglie. Dopo aver commesso adulterio, Davide fu disposto a commettere addirittura un assassinio.

Joab eseguì fedelmente l’ordine del re. Era fin troppo desideroso di partecipare al crimine del re perché questo avrebbe indebolito Davide nei suoi confronti e gli avrebbe reso impossibile trattare con fermezza i suoi crimini.

Un giorno che gli ammoniti attaccarono, Joab lanciò un contrattacco nel quale fece avvicinare Uria alle mura della città. Da lì Uria fu ucciso dai tiratori scelti. Anche diversi altri soldati furono uccisi in questa schermaglia.

Joabmandò a Davide la notizia che molti erano stati uccisi nell’operazione. Disse al messaggero che se il re si fosse adirato per l’imprudenza di Joab e la susseguente perdita di vite umane, avrebbe dovuto aggiungere che Uria era tra i caduti. In questo modo Joab stava manipolando il re: aveva Davide in pugno.

Davide era calmo quando ricevette la notizia dal messaggero. Dopo che il messaggero gli ebbe raccontato tutto, Davide fece in modo che Joab si tranquillizzasse riguardo alle perdite. Rispondendo in questo modo Davide perse il proprio onore come pastore del popolo del Signore.

Dopo che Bath-Sheba fece cordoglio per alcuni giorni per la perdita del marito, Davide la prese in casa sua come moglie. A quel punto Davide pensò che il peccato fosse stato coperto. Ma quel peccato era invece una grande malvagità agli occhi del Signore il quale non intendeva lasciarlo impunito.

Il Signore non affrontò Davide immediatamente. Per mesi lo lasciò vivere col suo peccato. Da quella peccaminosa relazione nacque un figlio. Tutto questo tempo il peccato pesò terribilmente in Davide. Più tardi, in qualche salmo che compose, cantò di quanto terribile fosse stato per lui quel periodo. Quando cercava di pregare a andava all’arca del Signore, scopriva che non riusciva a fare una preghiera genuina; c’erano peccati non confessati che ostacolavano la relazione tra il Signore e lui.  In questa miseria spirituale il Signore lo stava preparando per il taglio di legami che stava per giungere.

          Il giudizio del Signore. Dopo tre mesi venne a trovarlo Nathan con una storia inventata circa un crimine che sarebbe avvenuto in Israele. Quando Davide rispose adirato e sentenziò il colpevole a morte, Nathan gli rispose che il colpevole era lui. Il Signore gli aveva dato tutto Israele e gli avrebbe dato anche molto di più insieme a questo. Ma Davide non aveva accettato questi doni con vera gratitudine, anzi, nella sua avidità s’era preso anche ciò che non gli apparteneva, cioè la moglie di un altro. Poiché aveva utilizzato ingiustamente la spada con Uria, la spada non sarebbe mai dipartita dalla sua casa. E perché aveva preso la moglie di un’altro, un giorno un altro avrebbe preso le sue mogli e le avrebbe fatte sue. Ciò che Davide aveva fatto in segreto, il Signore gli avrebbe fatto apertamente che tutti vedessero, perché Davide aveva peccato prima di tutto contro il Signore.

Questo giudizio pronunciato dal Signore fu terribile. Tuttavia, conteneva un elemento di grazia. Nel giudizio era già divenuto evidente che Davide non sarebbe morto, né che il regno gli sarebbe stato tolto.

Davide ascoltò il giudizio e vi percepì la grazia del Signore. La nota di grazia è ciò che spezzò il suo cuore. Immediatamente piegò il capo e confessò il suo peccato. Gli deve essere stato di grande sollievo poter confessare ciò che lo aveva roso dentro per così tanto tempo.

Allora Nathan confermò la grazia del Signore: Dio aveva cancellato il peccato di Davide. Ma poiché con questo crimine il nome del Signore era stato coperto di vergogna, il Signore avrebbe rivelato immediatamente il suo giudizio nella morte del bambino nato a Davide e Bath-Sheba.

Dopo che Nathan uscì, il bambino si ammalò gravemente. Davide si umiliò davanti al Signore. Pregò, digiunò, e stette prostrato a terra tutta la notte. Rifiutò di mangiare nonostante le sollecitazioni dei suoi servi. Ora desiderava che il bambino fosse malgrado tutto risparmiato, non solo perché era sua carne e sangue ma anche perché aveva paura di affrontare la profondità del suo peccato che si rifletteva nella morte del bambino! Se il bambino fosse stato risparmiato, Davide avrebbe avuto un segno che il Signore aveva gettato alle spalle il suo peccato.

Lottò col Signore per sette giorni. Poi il bambino morì. I servi di Davide non osavano dirglielo. Cosa avrebbe fatto il re se avesse saputo che il bimbo era morto?

Dal loro comportamento Davide comprese che il bambino era morto. Allora si alzò, si lavò, si unse e si cambiò i vestiti e andò all’arca del Signore. Lì si prostrò sotto il giudizio di Dio mentre contemporaneamente si teneva stretto alla sua grazia. Poi chiese da mangiare.

I servi di Davide non compresero nulla di tutto ciò. Non avevano visto che Davide aveva lottato più per la grazia del Signore che per la vita del bambino. Aveva lottato per quella piccola vita come segno della grazia di Dio. Ora intendeva piegarsi sotto il giudizio. Nondimeno, in fede si sarebbe aggrappato alla Parola di grazia rivoltagli dal profeta. Non avrebbe potuto riportare in vita il bambino con digiuni e preghiere. Un giorno, come quel bimbo, anch’egli sarebbe morto, ma voleva vivere e morire credendo nella grazia del Signore.

Il popolo lo seppe. Comprese che anche Davide era un uomo peccatore. Il popolo non poteva riporre in lui la sua fiducia. Poteva solo vivere per fede nel Redentore che sarebbe venuto. A causa di quel Redentore, c’era grazia anche per Davide. Se solo il popolo lo avesse capito! E se solo anche noi imparassimo a vedere la grazia di Dio verso il suo popolo a causa del Cristo!

          Perdono. In quei giorni il Signore stava insegnando a Davide e al popolo d’Israele di guardare avanti alla venuta del Salvatore. Dopo la morte del bambino, il Signore diede a Davide e a Bath-Sheba un altro figlio. Davide considerò un segno della grazia del Signore che perdona poter avere un altro figlio da questa donna con la quale all’inizio aveva vissuto nel peccato. Questo segno della grazia di Dio liberò completamente il suo cuore. Questa è la ragione per cui diede al bambino il nome Salomone: c’era pace tra Dio e lui.

Quel favore divino gli fu presto rivelato ancor più gloriosamente quando il profeta Nathan venne da lui con un messaggio. Su comando del Signore il bambino si sarebbe chiamato Jedidiah, ovvero: amato dal Signore. Il Signore amava questo figlio in modo speciale.

Sicuramente nella mente di Davide nacque il pensiero che il Redentore sarebbe nato da questo bambino. Col nome Jedidiah, veniva detto a Davide e a Isarele di guardare avanti alla venuta del Salvatore, perché quel Salvatore è infatti l’Amato dal Signore.

A motivo di quel Salvatore, c’è anche un amore di Dio per i suoi, per Davide, per Israele. Davide non doveva guardare a se stesso e Israele non doveva guardare a Davide. Insieme dovevano guardare al Cristo. Anche noi dobbiamo in tutto guardare lontano da noi stessi e al Cristo.

          Vittoria. Mentre accadeva tutto questo, la campagna contro gli ammoniti procedeva. Joab conquistò la parte bassa della città di Rabbah, la capitale di Ammon. Allora mandò messaggeri a Davide che radunasse tutto Israele e prendesse egli stesso la cittadella fortificata di Rabbah. In quel modo Davide, e non Joab, avrebbe avuto l’onore della vittoria in questa campagna.

Davide fece così, con l’intero esercito prese la fortezza. La corona del re di Ammon fu posta sul capo di Davide. Questo significava che il territorio di Ammon era stato incorporato in quello d’Israele. L’esercito prese un grande bottino e tutto il popolo ammonita fu assegnato a lavori duri a beneficio d’Israele. Questo giudizio sugli ammoniti rivelò l’eterno giudizio di Dio sui nemici della sua grazia.

Note:

1.  Il nome Salomone nella sua forma ebraica è correlato alla parola shalom che significa pace.


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