INDICE:

Giuda con Efraim

33: Come pecore senza un pastore

I Re 20:22-40

Nel primo periodo dopo la frattura, i due regni si affrontarono da nemici. Nel secondo periodo, Israele e Giuda uscirono insieme in battaglia più di una volta. Nel primo periodo Efraim oppose Giuda quando i re del nord cercarono di separare completamente il loro regno dalla casa di Giuda. Nel secondo periodo, Israele non ritornò a Giuda; ciò che accadde fu che Giuda seguì la via d’Israele.

Per Giuda e la casa di Davide, questo significò la resa della grazia e dell’onore che avevano un tempo goduto in ragione del patto con Davide. Giosafat potrebbe essersi avvicinato all’altro regno nella consapevolezza che i due regni insieme costituivano “Israele”, ma con la sua alleanza con Achab stava approvando il peccato del regno delle dieci tribù e arrendendo l’onore del patto del Signore.

Achab dimostrò di non essere pastore o scudo per il suo popolo in due modi. In primo luogo, lo rese chiaro nella sua relazione con nazioni straniere. Risparmiò la vita di Ben-Hadad che aveva minacciato lui e il suo popolo, e fece perfino un patto con lui. Risparmiare la vita a Ben-Hadad avrebbe dovuto essere fuori discussione perché Ben-Hadad era un nemico mortale d’Israele e del suo re. Ad ogni modo, c’era implicato molto di più della sicurezza d’Israele e del suo re: in ballo c’erano il nome e la giustizia del Signore nella causa d’Israele. Perciò il Signore chiamò Ben-Hadad: “L’uomo che io avevo votato allo sterminio” (I Re 20:42). Ben-Hadad era sotto interdetto divino. Siccome Achab non salvaguardò la legge del Signore, non fu uno scudo per il suo popolo.

In secondo luogo, Achab dimostrò di non essere pastore o scudo nel suo mancare di salvaguardare la giustizia del Signore negli affari interni. Violò quella giustizia nel caso di Naboth per seguire i propri desideri. In questione c’era lo specifico provvedimento che non si potesse alienare l’eredità di nessuno. Questo era un diritto scritto nella legge di Mosè. Poiché Achab non era un pastore per il suo popolo, Dio dovette rigettarlo per amore della sua grazia verso il suo popolo.

Il figlio dei profeti che rifiutò di colpire l’altro figlio dei profeti fu disobbediente nel suo ufficio profetico. In quel comando avrebbe dovuto riconoscere la Parola del Signore: avrebbe dovuto obbedire. Fu ucciso perché aveva preso una posizione per la quale non poteva servire.

È evidente che i profeti di Achab non fossero servi di Baal. Tuttavia, non erano nemmeno veri profeti del Signore. Erano probabilmente collegati col servizio dei vitelli d’oro.

Il Signore mandò una spirito di menzogna in mezzo a quei profeti. La mano del Signore fu all’opera nella bugia che profferirono. Anche qui, il Signore stava permettendo che il peccato facesse il suo corso: stava punendo il peccato col peccato. Perciò, quando i profeti promisero ad Achab il successo, non stavano pronunciando deliberate menzogne. Non parlavano di successo solo per guadagnarsi il favore del re. Credevano realmente che il re avrebbe avuto successo in ciò che proponeva di intraprendere. Sedekia era onestamente convinto che lo Spirito del Signore avesse parlato per mezzo suo. Questa è la ragione per cui chiese come lo Spirito fosse passato da lui a parlare per mezzo di Mikaiah.

          Concetto principale: Per amore della sua grazia verso il suo popolo,
                                                  il Signore rigetta il pastore infedele.

          Infedele per quanto concerne il nemico straniero. Durante il regno di Achab, Ben-Hadad, re di Siria, attaccò Israele. I suoi soldati invasero il paese e infine assediarono Samaria. Per mezzo di messaggeri, Ben-Hadad richiese il meglio degli averi di Achab e le sue mogli e figli più belli. Achab accettò ma gli fu riferito che Ben-Hadad voleva di più: voleva saccheggiare la città.

Dopo essersi consultato con i suoi ufficiali, Achab rifiutò di consegnare la città. Quando Ben-Hadad minacciò di bruciarla riducendola in un mucchio di cenere, Achab replicò: “Chi indossa l’armatura non si glori come chi la depone”. In altre parole, Ben-Hadad non avrebbe dovuto vantarsi troppo presto della vittoria. Questa fu la prima parola virile di un Achab solitamente debosciato.

Queste parole di Achab giunsero a Ben-Hadad durante un banchetto nella sua tenda. Diede immediatamente l’ordine di attaccare la città. Nel frattempo, uno dei profeti del Signore  si presentò ad Achab e gli disse che il Signore avrebbe consegnato l’esercito siriano nelle sue mani in modo che Achab riconoscesse la fedeltà del Signore verso il suo popolo. Il Signore voleva ancora salvare Israele, per il Cristo considerava Israele suo popolo. C’erano ancora 7.000 che non avevano piegato le ginocchia a Baal.

Achab credette al profeta ma non vide il miracolo della grazia e della fedeltà del Signore nella liberazione promessa. Egli non credeva nel Signore, Nè credeva nella sua parola come Parola della sua grazia. Ma poiché credette ci sarebbe stata liberazione, egli chiese solo come ciò sarebbe avvenuto.

Gli fu risposto di cominciare la battaglia con i servitori dei capi delle province. Ce n’erano 232. Dietro a loro Achab potè schierare altri 7.000 soldati. Era tutto ciò che rimaneva dell’esercito d’Israele che si era rifugiato dentro le mura di Samaria.

Achab attaccò mentre Ben-Hadad era ubriaco nella sua tenda e l’esercito siriano era impreparato alla battaglia come il profeta gli aveva detto. Nella temerarietà data dalla sua ubriachezza, Ben-Hadad diede ordini di prendere vivo chiunque era uscito da Samaria, tanto che venissero in pace o a fare la guerra. Ma le cose non andarono come si era aspettato. L’esercito di Ben-Hadad, impreparato, fu sconfitto. Ben-Hadad riuscì a malapena a fuggire a cavallo con alcuni dei suoi cavalieri. Tuttavia, il profeta del Signore avvertì Achab che Ben-Hadad sarebbe ritornato.

Fu chiaro che questa vittoria era stata opera del Signore. Anche i consiglieri di Ben-Hadad fecero la stessa considerazione. Non poterono negare che ci fosse stato qualcosa di speciale nella vittoria d’Israele. Spiegarono, però, la vittoria, a modo loro. Conoscevano solo divinità locali, il cui potere era limitato a località specifiche. Assunsero pertanto che gli Israeliti adorassero divinità montane, dèi che avevano poteri sul monte di Samaria me che non ne avrebbero avuti in pianura. Se la prossima volta Ben-Hadad avesse combattuto Israele in pianura, avrebbe ottenuto una facile vittoria. E avrebbe dovuto rimuovere i re delle città, che servivano sotto di lui, e sostituirli con capitani che avrebbero garantito maggiore unità nell’esercito. Oltre a ciò, Ben-Hadad doveva ricostruire il suo esercito.

L’anno seguente Ben-Hadad marciò contro Israele di nuovo e si accampò nella pianura di Jezreel, vicino ad Afek. L’esercito d’Israele, schierato di fronte a quello siriano, sembrava due piccoli gruppetti di capre che erano state separate dal gregge principale.

Di nuovo ad Achab si presentò il profeta che gli disse che il Signore gli avrebbe consegnato quella grande moltitudine nelle mani. La ragione, ancora una volta, era che Dio voleva che Israele riconoscesse la fedeltà del Signore al suo patto.

La battaglia cominciò sette giorni dopo. I siriani furono sconfitti: caddero 100.000 dei loro uomini. Altri 27.000 furono schiacciati nel crollo delle mura della città di Afek dentro la quale avevano cercato rifugio.

Ben-Hadad si nascose in una camera interna nella città. I suoi servi decisero di umiliarsi davanti ad Achab e implorare per la vita di Ben-Hadad, sapendo che i re d’Israele erano conosciuti per essere misericordiosi. Era sicuramente vero che i re d’Israele, che vivevano per la grazia del Signore, non erano mossi da una pagana sete di vendetta. Molte volte avevano mostrato misericordia ai loro nemici.

I servi di Ben-Hadad erano corretti riguardo alla reputazione dei re d’Israele. Però, questi re avevano il dovere di vendicare i diritti del Signore quando questi fossero stati violati. Non ci dovrebbe essere stata vendetta su Ben-Hadad che aveva voluto distruggere Israele? Il Signore risparmiò ancora gli israeliti malgrado i loro peccati. Per la sua grazia verso il suo popolo, consegnò Egli stesso Ben-Hadad nelle mani di Achab.

Quando i servi di Ben-Hadad vennero da lui vestiti di sacco e con corde intorno al loro collo, Achab chiamò Ben-Hadad suo fratello, gli risparmiò la vita, lo invitò a salire sul suo carro e fece un patto con lui. Per i termini di quel patto, Ben-Hadad gli avrebbe restituito solo le città che suo padre aveva tolto a Israele.

Achab fu lusingato al pensiero che un potente re come Ben-Hadad lo avesse supplicato e gli avesse sottoposto i suoi servi. Per questa adulazione, Achab fece l’errore di arrendere la rivendicazione sovrana e l’onore di Dio in favore di questo nemico del suo popolo. Achab dimostrò di nuovo di non vivere per il popolo di Dio e che non poteva essere per esso uno scudo.

Sulla strada di casa Achab incontrò un uomo ferito con la testa fasciata. Costui era un profeta del Signore, ma poiché sembrava un soldato ferito, Achab non lo riconobbe. Il profeta aveva chiesto ad un collega della scuola dei profeti di colpirlo. Ma poiché costui rifiutò, fu ucciso da un leone. Un profeta deve essere capace di riconoscere la Parola del Signore e deve essere obbediente.

Quindi un altro uomo lo aveva colpito. Ora si trovava davanti ad Achab. Raccontò al re una storia inventata circa la causa della sua ferita per poterlo cogliere nelle sue parole. Quando Achab cadde nella rete, l’uomo rivelò la sua identità e profetizzò che il Signore avrebbe scambiato la sua vita e quella d’Israele per quelle di Ben-Hadad e dei siriani. Il Signore gli aveva consegnato nelle mani Ben-Hadad perché su di lui fosse eseguito il giudizio divino, ma Achab lo aveva lasciato andare.

Questa profezia rovinò l’umore di Achab. Arrivò a Samaria di cattivo animo. I suoi occhi non si erano aperti sulla sua infedeltà nei confronti del popolo del Signore. Per lui, un ritorno alla grazia del Signore era fuori discussione.

          Infedele nei confronti del proprio popolo. Achab era un debole senza una sua propria forza di volontà. Di cuore troppo arrendevole per opporsi al male di Jezebel e troppo codardo per procedere col male che desiderava compiere, lasciava che sua moglie lo dirigesse in tutto.

Amante del lusso, aveva occhio per il bello. Aveva costruito in Samaria un palazzo d’avorio ed aveva un bell’orto contiguo al suo palazzo estivo nella pianura di Jezreel.

Un giorno, mentre passeggiava nel suo giardino, gli passò per la testa di aggiungere alla sua proprietà la vigna adiacente per farne un tutto più grande e più bello. Chiese al proprietario, un uomo di nome Naboth, di vendergli la vigna. Achab era disposto a dargliene un’altra in cambio. Ma Naboth non si sentiva libero di cedere al desiderio del re perché la vigna era la sua eredità. Secondo la legge di Dio non aveva il diritto di alienarsene.

Qui Achab non si sottomise alla legge del Signore e non dimostrò che la giustizia del Signore gli fosse sacra al di sopra di qualsiasi cosa. Si gettò sul letto con la faccia rivolta al muro e rifiutò di prendere cibo. Il re manifestò in questo modo puerile il suo dispiacere ora che la legge di Dio gl’impediva d’avere ciò che desiderava. Non c’era in Achab alcunché di santo, nessun senso di devozione verso quella giustizia che proteggeva il popolo di Dio e la sua eredità. Non avrebbe Achab dovuto mostrare apprezzamento per Naboth per essersi tenuto stretto ciò che il Signore gli aveva assegnato?

Quando Jezebel seppe la ragione del cattivo umore di Achab, lo derise dicendo che era uno strano tipo di re. A suo avviso un re non era vincolato da nessuna legge; un re poteva fare ciò che gli piaceva.

Perciò prese in mano la situazione. Scrisse lettere col sigillo del re agli ufficiali della città in cui viveva Naboth, ordinando loro di proclamare un digiuno nella loro città come se fosse stato commesso un grande crimine. Poi, al convegno, avrebbero dovuto mettere Naboth sotto accusa usando la testimonianza di due mascalzoni, uomini privi di coscienza. Naboth doveva essere accusato d’aver calunniato il re, un reato che ammontava ad aver bestemmiato il Signore, nel cui nome il re regnava. Dopo che Naboth fosse stato condannato e lapidato, il re avrebbe potuto prendersi la vigna.

Come servi e lacchè, gli anziani della città fecero come aveva ordinato la regina. Calpestarono sotto i piedi la giustizia del Signore e commisero l’assassinio. Non appena ricevette la notizia della morte di Naboth, la regina disse ad Achab che poteva andare a prendere possesso della vigna desiderata. Achab ne prese infatti possesso. Nel farlo, fece propria la responsabilità del crimine commesso da sua moglie. Colui che avrebbe dovuto agire come pastore d’Israele era responsabile dello spargimento di sangue innocente. Il re si prese per sé l’eredità dei figli d’Israele che era protetta dalla legge del Signore. In Achab non c’era niente del Cristo. Achab fu anzi un anti-tipo di Colui che sparse il proprio sangue per ottenere un’eredità eterna per il suo popolo.

Nel nome del Signore Elia venne ad incontrare Achab nella vigna rubata. Gli riferì che i cani avrebbero leccato il suo sangue laddove avevano leccato quello di Naboth. Ci sarebbe stato sangue per sangue.

Achab cercò di far sembrare che Elia gli si opponesse per una personale ostilità, perciò disse: “Mi hai dunque trovato, o mio nemico?” Con queste parole Achab cercò di rimuovere l’impressione del giudizio di Dio. Ma Elia venne subito al punto e annunciò che il re e la sua casa avrebbero fatto la stessa fine di quella di Geroboamo. Anche la casa di Achab sarebbe stata eliminata da Israele; non ne sarebbe rimasto niente. Per amore del patto del Signore col suo popolo, anche questo falso pastore, che aveva cercato il proprio interesse e si era lasciato guidare da sua moglie anziché dalla Parola di Dio avrebbe dovuto essere rimosso. I cani avrebbero mangiato Jezebel presso le mura di Jezreel.

Achab fu profondamente scosso da questo annuncio della fine che lo attendeva. Si strappò le vesti, digiunò, camminò lentamente come segno di profondo cordoglio. Deve aver dovuto sopportare la derisione di Jezebel, ma questa volta resistette. Era convinto che il giudizio sarebbe giunto. Conosceva troppo della storia d’Israele per trascurare le parole di Elia. Tuttavia, non vide che questo era un giudizio della grazia di Dio verso Israele. Per questo non ritornò al Signore nel suo cuore, benché fosse impaurito.

Nondimeno, il Signore prese nota del suo pentimento. Poiché Achab si era umiliato davanti a lui, il Signore non avrebbe eseguito questo male durante la sua vita. Non c’è mezzo che il Signore non userà per insegnarci la vera via della pace. Riconoscendo l’auto-umiliazione di Achab, il Signore lo stava pressando a genuino pentimento per i suoi peccati. Il vero pentimento si trova solo nella convinzione che con Dio c’è grazia per amore di Cristo.

          Il giudizio della grazia di Dio. Dopo la guerra tra Israele e Siria, ci fu pace per tre anni. Però, Achab pensò che gli era stata fatta un’ingiustizia. Quando i due re avevano fatto patto, Ben-Hadad aveva promesso di restituire tutte le città che erano appartenute a Israele. Achab era dell’opinione che Ramoth di Galaad fosse una di queste, ma Ben-Hadad non l’aveva restituita. Achab, che era diventato troppo audace a risultato delle sue vittorie, stava ora pensando di prendere Ramoth di Galaad con la forza.

In quei giorni Giosafat, il re di Giuda, fece visita ad Achab. Quando Achab gli chiese di andare in guerra con lui gli promise di farlo. Ma prima di partire, Giosafat volle indagare la Parola di Dio. Achab concordò e fece venire  a quello scopo 400 profeti — non i profeti di Baal, ma nemmeno veri profeti del Signore. Questi profeti erano collegati al culto dei vitelli in Israele.

Quando Achab chiese loro se avesse dovuto andare in guerra per riprendere Ramoth di Galaad, profetizzarono tutti che avrebbe vinto. Ma Gioafat non era soddisfatto perché aveva visto che non erano profeti del Signore. Chiese perciò se fosse possibile consultare qualche altro profeta. Achab rispose che c’era un altro profeta, ovvero Mikaiah, aggiungendo che lo odiava perché Mikaiah gli profetizzava solo cose negative.

Achab non aveva mai sentito la Parola del Signore nella Parola dei suoi profeti. Aveva una comprensione della profezia completamente pagana. Pensava che i profeti con le loro parole portassero una benedizione o una maledizione. Se fosse stato così, i ruoli sarebbero stati rovesciati e il Signore sarebbe stato governato dai profeti. Per questo Achab aveva paura di sentire la parola di Mikaiah. Mikaiah era stato messo in prigione perché lì non poteva nuocere, o così pensava Achab. A quanto pare Achab credeva di poter legare la Parola del Signore!

Poiché Giosafat insistette, fu fatto venire Mikaiah. Nel frattempo i 400 profeti continuarono a profetizzare vittoria. Sedekia lo fece simbolicamente usando due corna di ferro.

Il messaggero che andò a prendere Mikaiah lo sollecitò ad unirsi agli altri nel profetizzare qualcosa di favorevole ad Achab. Qui c’era la stessa stolta nozione, la nozione che un profeta potesse dire ciò che voleva. Mikaiah dichiarò che poteva solo profferire la Parola del Signore. Quanto pesantemente era stato influenzato dal paganesimo Israele se anche questo fatto doveva essere specificato!

Dapprima Mikaiah ripetè le parole degli altri profeti ma il re s’accorse che li stava ridicolizzando. Gli dovette essere mostrato che Mikaiah non aveva scelta circa ciò che avrebbe profetizzato. Quando Achab insistette che Mikaiah dicesse nient’altro che la verità nel nome del Signore, il profeta disse che in una visione aveva visto tutto Israele disperso su un monte come pecore senza pastore. Aggiunse che il Signore aveva detto che gli israeliti  avrebbero dovuto tutti tornare alle loro case perché non avevano più padrone. Con queste parole, Mikaiah predisse la morte di Achab.

Acidamente Achab disse a Giosafat: “Non t’avevo detto che Mikaiah predice sempre il male contro di me?” Ma Mikaiah continuò a parlare e spiegò la concordia tra i 400 profeti. Egli aveva visto in una visione come il Signore aveva mandato uno spirito di menzogna in mezzo a questi profeti. I profeti non stavano mentendo intenzionalmente: il Signore governava la loro mente in misura tale che essi stessi vedevano la menzogna come verità. Il Signore aveva annebbiato le loro menti come modo per punire loro quanto Achab. La loro cecità avrebbe mandato Achab alla distruzione.

Che severo avvertimento questo fu per Achab! Ma lui e i suoi profeti erano così intrappolati nei loro peccati che la rete di bugie non poteva più essere fatta a pezzi dalla verità di Dio. Sedekia colpì Mikaiah sulla guancia. Convinto di stare egli stesso profferendo la Parola del Signore, chiese a Mikaiah come lo Spirito del Signore fosse passato da lui per andare a parlare per mezzo di Mikaiah.

Il re diede ordine di riportare Mikaiah in prigione dove avrebbe dovuto essere trattato con durezza fino al ritorno del re sano e salvo. Achab sperava in questo modo di costringere Mikaiah a pensare del re altri pensieri e parlare altre parole. Mikaiah rispose che se il re fosse tornato sano e salvo, sarebbe stato chiaro che il Signore non aveva parlato per mezzo suo. E chiamò tutto il popolo a testimone della veridicità delle sue parole.

A dispetto delle parole di Mikaiah, i due re procedettero coi loro piani per la campagna militare. A quanto pare Giosafat non osò rimangiarsi la promessa. Tuttavia, Achab aveva paura, in parte perché si rendeva conto che i siriani avrebbero mirato in particolare a lui. Nel suo timore si travestì come un soldato ordinario su un carro.

Ben-Hadad aveva ordinato alla divisione sui carri di andare direttamente sul re d’Israele. Confondendo Giosafat con Achab, i siriani lo spinsero in un angolo. Ma quando Giosafat chiamò i suoi uomini, i siriani si accorsero d’aver preso l’uomo sbagliato e lo lasciarono andare.

Achab, comunque, non sfuggì al suo giudizio: un siriano scoccò una freccia a caso e lo colpì all’addome. Ferito seriamente, Achab comandò al cocchiere del carro di ritirarsi dalla battaglia. Ma la battaglia si fece sempre più intensa ed egli fu costretto a rimanere sul carro fino a sera. Poi morì. Il suo sangue era colato sul fondo del carro.

Alla fine della giornata, la battaglia non era ancora stata decisa, ma un grido attraversò l’esercito che ogni uomo ritornasse a casa sua perché Achab, che aveva pianificato questa guerra, era morto. Così fu compiuta alla lettera la profezia di Miakaiah che Israele sarebbe stato disperso sul monte come un gregge senza pastore.

Più tardi anche il Signore Gesù Cristo usò quest’espressione in riferimento al suo popolo. Quanto spesso le persone sono come pecore senza pastore! Talvolta è a causa dei peccati delle persone stesse che vengono punite nel loro pastore. Però, noi abbiamo un pastore che non viene mai meno, un pastore che ha dato la sua vita per le sue pecore.

Il carro di Achab fu lavato a una piscina in Samaria, dove i cani leccarono il suo sangue. Anche la profezia di Elia su Achab fu compiuta. La vita di Achab finì nel disonore perché aveva disprezzato la giustizia del Signore e non era stato uno scudo sicuro per il popolo.


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