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32: Quiete in Dio

I Re 19

C’è qualcuno qualificato a raccontare questa storia? Ogni storia in cui Dio si rivela è al di là della nostra capacità d’afferrarla, ma questa è particolarmente al di là perché dobbiamo adesso raccontare la quiete che c’è in Dio.

Ad ogni modo, non bisogna speculare su questa quiete. Non ci viene detto cosa Dio sia in se stesso. Ciò che è rivelato qui è ciò che c’è in Dio per il suo popolo nel suo patto; ci viene raccontato della quiete del riposare in lui. Quel riposo origina da lui, ovviamente. Quel riposo è in lui nell’immutabilità della sua grazia e del suo consiglio di redenzione. Egli sa come la sua grazia alla fine avrà la vittoria nella vita degli appartenenti al suo popolo. Per fede noi impariamo a comprendere questo fatto e a riposare in lui. Allora conosciamo la sua quiete. Questa rivelazione della quiete di Dio non ha pertanto alcunché in comune con la speculazione mistica sul silenzio.

C’è qualcuno nella posizione di rimproverare Elia? Certamente si era allontanato dalla giusta via. Se ci scoraggiamo e la nostra fede ci delude, è ovvio che non abbiamo combattuto in comunione col Signore e nella la sua forza. Abbiamo cominciato ad abbandonare la fede. Poiché la fede vede sempre la causa di Dio nello scontro, la nostra fede viene nutrita mentre ingaggia il combattimento. Se Elia si scoraggiò, allora è chiaro che previde la sconfitta. Ma poteva prevedere la sconfitta solo se i suoi occhi erano fissati sul suo proprio combattimento.

La causa di Dio non fallisce mai! Eppure, paragonati ad Elia noi ci sentiamo sempre così piccoli. Se avessimo mai sperimentato la terribile intensità del combattimento che sperimentò Elia, avremmo il diritto di rimproverarlo. C’è qualcuno tra noi che ha conosciuto l’enorme tensione del totale coinvolgimento nel combattimento, la tensione sotto cui visse Elia?

Combattimento e quiete non si escludono a vicenda. La rivelazione di Dio nella quiete è preceduta da segni violenti.  E immediatamente dopo Elia è gettato di nuovo nel mezzo del combattimento. Chi si getta nella lotta deve possedere la certezza della vittoria della grazia di Dio. La sua fede deve essere nutrita continuamente da quella certezza. Solo se ciò accade egli potrà vivere nella quiete mentre è impegnato nel combattimento.

Solo nel caso di Cristo fu tolto, da Dio stesso, ogni conforto, ogni base per il riposo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” In questo grido col quale cominciò il suo lamento, il Cristo profetizzò che avrebbe nuovamente trovato quel fermo fondamento, quella base sicura.  Durante la sua sofferenza, comunque, fu lasciato completamente solo. Soffrendo quell’abbandono ha reso possibile per noi sperimentare la quiete.

          Concetto principale: Il Signore rivela la quiete nel combattimento.

          Disperazione. Quando Achab raccontò a Jezebel ciò che era avvenuto  sul monte Karmel, la sua resistenza non si allentò nemmeno un po’. Se l’era Achab forse aspettato per un solo momento? Questa donna non si sarebbe arrestata davanti a nulla. Osò perfino sfidare il Dio vivente. Mandò ad Elia un messaggio nel quale giurò suoi suoi dèi che lo avrebbe ucciso il giorno seguente, proprio come lui aveva ucciso i sacerdoti di Baal.

Questo messaggio prese Elia di sorpresa. Non si può presumere che sperasse di convincere Jezebel, ma deve aver sperato che Achab le avrebbe opposto qualche resistenza dopo gli eventi del monte Karmel. Da questo messaggio Elia comprese chiaramente che Achab le si era arreso e anche che questa donna ora sarebbe stata in controllo d’Israele. Perciò Elia si scoraggiò.

Non sapeva che la causa della grazia di Dio avrebbe sicuramente trionfato? A quanto pare non ci credeva più; non poteva, in fede, appoggiarsi più a quella certezza. Si era speso al cento per cento nel combattimento sul Karmel. Nel procedimento, però, la causa del Signore era diventata troppo la sua causa. Ora vide la sua causa fallire. A questo punto la vittoria dovrebbe essere stata schiacciante. Dimenticò che Dio non segue necessariamente le vie che a noi piacerebbe prendere. Per questo si scoraggiò così tanto.

Fuggì da Jezreel. Non fu spinto da paura di perdere la propria vita perché in quel caso tutto quello che avrebbe dovuto fare sarebbe stato attraversare il confine ed entrare nel regno di Giuda per trovare completa sicurezza. Attraversò Giuda, lasciò indietro il suo servo al confine più meridionale di Giuda e s’inoltrò nel deserto.

Elia era giunto a fine corsa. Che ne sarebbe stato ora della causa del Signore? Elia non vedeva più alcun futuro. Voleva girovagare per il deserto da solo visto che non c’era per lui più nulla da fare. Forse voleva morire lì.

          Ricordare nel deserto. Elia proseguì nel deserto un intero giorno di cammino. Si sdraiò sotto una ginestra e s’addormentò. Il cibo non gl’interessava per niente, viveva della sua afflizione.

Mentre stava dormendo, un angelo del Signore lo toccò e gli disse di alzarsi e mangiare. Vicino al capo vide una focaccia cotta sulla pietra e una brocca d’acqua. Mangiò e bevve, e si addormentò di nuovo. Che c’era da fare per lui nella vita? Perfino l’apparizione di un angelo lo lasciava indifferente. L’angelo lo svegliò una seconda volta e gli disse: “Alzati e mangia! Altrimenti il cammino che hai da fare sarà troppo per te”. Che fortuna che Dio non ci lasci soli quando siamo nella disperazione! C’è ancora qualcuno che ci chiama. Questa volta l’angelo menzionò espressamente la chiamata parlando di un viaggio che Elia avrebbe dovuto fare. È davvero notevole quando Dio ci chiama di nuovo, anche se non sappiamo quale proposito abbia in mente.

Questa volta Elia si alzò, mangiò, bevve e si avviò. Per quaranta giorni  e quaranta notti fu sostenuto dalla forza di quel cibo. Con un miracolo divino il cibo gli diede forza per questo lungo periodo di tempo. Non avrebbe dovuto comprendere da quel miracolo che la fede è alimentata da un miracolo? La grazia che Dio in Cristo ha per il mondo è il miracolo, e per mezzo del miracolo è vittoriosa.

Elia vagò senza meta per quaranta giorni nel deserto. Ma Dio aveva uno scopo per tutto questo vagare. Durante quei giorni deve aver preso coscienza di sé. Deve aver sentito che nel combattimento aveva oltrepassato una pietra miliare senza neanche accorgersene: era passato dal combattere la battaglia del Signore al combattere la propria. In più, deve essersi ricordato dei quarant’anni nel deserto di Israele e deve aver pensato come Israele dovette trovare lì Dio prima di poter entrare in Canaan. Ora era il turno di Elia di trovare lì il Signore. Questa era una preparazione per l’ulteriore rivelazione che il Signore aveva in serbo per lui.

          Il Dio del patto di grazia. I pensieri di Elia giunsero infine al punto in cui il viaggio attraverso il deserto d’Israele era cominciato, l’istituzione del patto al monte Sinai. Infatti, fu a quella catena montuosa che Dio portò Elia alla fine di quei quaranta giorni. Altra rivelazione lo attendeva lì, rivelazione dal Dio che aveva fatto un patto con Israele.

Elia trascorse la notte in una caverna sulla montagna. Lì gli giunse la parola del Signore  che disse: “Che ci fai qui, Elia?” Elia rispose: “Sono stato mosso da una grande gelosia per l’Eterno, il DIO degli eserciti, perché i figli d’Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti. Sono rimasto io solo ed essi cercano di togliermi la vita”. Si rivolse a Dio come al Dio degli eserciti, il Dio che combatte con l’aiuto dei suoi angeli. Così vedeva Dio Elia, viveva in quello spirito.

Ciò non era sbagliato in sé. Ma aveva visto che dietro la battaglia del Signore c’era anche l’assicurazione del trionfo della grazia di Dio? In certa misura Elia lo aveva dimenticato. Vide il Signore contendere come lo fa un essere umano, con incerte prospettive di vittoria.  Su questo punto il Signore avrebbe dovuto correggerlo.

Al comando del Signore Elia uscì dalla caverna e stette sul monte. Per primo giunse un forte vento che squarciava i monti e spezzava le rocce. Elia vide e udì la potenza di quel vento sulla montagna, ma notò che il Signore non era nel vento. Il vento solamente precedeva il Signore. Dopo del vento venne un terremoto, ma il Signore non era neanche nel terremoto. Poi venne un fuoco consumante. Ma il Signore non era nemmeno nel fuoco. Poi, dopo tutto quel rumore di violenza, seguì un profondo silenzio. Era come se Elia potesse udire quel silenzio. Lì c’era il Signore!

Elia fece un passo avanti, si coprì la faccia col mantello e si godette la quiete. La bevve e se ne saziò. Così è il Signore. Il Signore può essere profondamente infuriato e molto perturbato, ma dietro a tutto questo c’è la quiete della certezza che la sua grazia trionferà e salverà il mondo. Per fede gli uomini possono riposare in quella certezza.

L’uomo del fuoco e della lotta, Elia, oh come deve aver goduto quella quiete! Nessuno può resistere se sperimenta solo la battaglia e non sa  che il Regno, che qui creò vento e terremoto e fuoco, è, alla fin fine, il Regno di pace. In questo mondo non possiamo farcela senza tutto quel rumore e quella violenza, ma non possiamo neppure stare senza quella calma che la fede porta.

In quella quiete Elia si sentì di nuovo chiedere cosa facesse lì. La domanda era intesa farlo tornare in sé. Doveva scoprire come avesse perso la potenza della fede. Sulla base di quella scoperta Dio poteva confortarlo di nuovo.

Elia rispose di nuovo con le stesse parole. Quelle parole non erano una lamentela verso Dio; Elia le stava usando per esprimere la profondità della sua disperazione. La quiete della certezza che risiede con Dio lo confortò ancor prima che il Signore dicesse un’altra parola.

Poteva non esserci quella certezza con Dio? Il Cristo avrebbe espiato il peccato e vinto il mondo. Lo ha già fatto. Dio eseguirà di sicuro il suo consiglio di redenzione anche se a volte a noi sembra che la sua causa fallisca. Per fede possiamo riposare in quella certezza. Anche nei tempi più tumultuosi, noi sperimentiamo la quiete con Dio.

          Una convocazione a ulteriore combattimento. Immediatamente il Signore convocò Elia, che era stato rafforzato dalla quiete, a ulteriore combattimento. Avrebbe dovuto ungere Hazael re sulla Siria, Jehu a re d’Israele ed Eliseo profeta al suo posto. Il Signore della quiete continuava la lotta; avrebbe castigato Israele per mezzo di Hazael. Dopo di ciò, Jehu avrebbe eseguito il giudizio in Israele. Infine, le parole di Eliseo sarebbero state come un giudizio in Israele.

Oltre a ciò, il Signore fece sentire a Elia che era stato troppo pessimista nella sua disperazione: c’erano ancora in Israele 7.000 uomini che non avevano piegato le loro ginocchia a Baal. C’era ancora un residuo secondo l’elezione della grazia. Per amore di quel residuo, Dio non aveva abbandonato il suo popolo. Tutti i giudizi che sarebbero venuti sarebbero stati castighi volti alla salvezza d’Israele. Ciò che contava era il Regno di pace, che sarebbe venuto di sicuro.

          Ascoltare la chiamata. Dal monte Horeb Elia scese ad Abel-Meholah. Lì trovò Eliseo che era un uomo ricco. Era la stagione dell’aratura ed Eliseo era occupato ad arare i suoi campi con dodici paia di buoi. Eliseo stesso guidava il dodicesimo paio.

Elia andò incontro a Eliseo e gettò su di lui il suo mantello. Eliseo ne comprese  il significato: avrebbe dovuto seguire Elia nell’ufficio di profeta che era ora anche la sua chiamata. Avrebbe dovuto lasciare la sua grande fattoria. Da quel momento in poi avrebbe solo portato la Parola del Signore a Israele.

A cosa dovette rinunciare, e cosa ricevette in ritorno? Eliseo non vacillò e non calcolò il costo. Udì la chiamata del Signore e rispose subito. La chiamata lo aveva conquistato e lui era pronto a seguire. Chiese ad Elia solamente la possibilità di salutare i suoi.

Chiedendolo ad Elia dimostrò di dipendere troppo da lui. Se Eliseo aveva sentito la chiamata lui stesso, allora avrebbe dovuto essere capace di distinguere da solo cosa poteva e cosa non poteva fare, Perciò Elia gli rispose: “Va e torna, perché, che ti ho fatto? Non sono io a chiamarti, è il Signore che ti vuole”.

Eliseo preparò a casa sua un pranzo d’addio. Uccise un paio di buoi, usando il loro giogo come legna per fare il fuoco su cui cuocerli. Con questa azione dimostrò che il suo compito lì era terminato. Qui manifestò già qualcosa dello spirito profetico. Dopo il pranzo d’addio partì.

Questo dev’essere stato di conforto per Elia. Lo spirito di profezia non sarebbe terminato con lui. Il Signore avrebbe continuato a lottare con Israele per mezzo della sua Parola di grazia. Presto sarebbero stati unti perfino dei re per castigare il popolo di Dio, se non per mezzo di Elia allora per mezzo del suo successore. Sarebbero venuti sicuramente, vento, terremoto e fuoco, ma dietro a tutto questo c’era la quiete.

Dio non si è forse rivelato al Cristo nella violenza del suo giudizio? Eppure, anche per lui venne la quiete dell’eterna comunione con Dio — nella sua resurrezione e ascensione. Cristo ha ottenuto quella quiete per tutti quelli che sono suoi.


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