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False Antinomie

In The Art of Political Manipulation (1986) William H. Riker descrive come gli uomini vincano mettendo in piedi una situazione in modo tale che la gente si unirà a loro, a volte senza nessuna reale persuasione. La chiamò “erestetica” (parola che unisce eresia ed estetica) e questa consiste nel “strutturare il mondo in modo da vincere”. Riker lo considera legittimo e non è preoccupato degli usi immorali o non intesi che se ne possa fare ma piuttosto del suo uso legittimo.

Però, intenzionalmente o meno, molte persone di fatto strutturano le cose per ottenere una risposta, quella che vogliono. Per esempio: gli americano sono favorevoli o contrari all’aborto? Dipende tutto dall’indagine di chi si voglia assumere come autorevole. Ci sono abbastanza persone “nel mezzo” che possono facilmente essere influenzate da una parte o dall’altra dalla natura della domanda che viene fatta affinché diano il risultato desiderato.

Lo stesso vale nell’ambito della chiesa. Le questioni possono essere falsificate e quindi presentate in modo che sembri possibile solo una conclusione. Chiunque dissenta può essere chiamato eretico, o qualsiasi altro nome sia scelto dai sostenitori della falsa antinomia.

Il grande esempio classico di falsa antinomia è grazia contro legge. Le due cose sono forse da contrapporre? Per certo la salvezza è per grazia, non mediante la legge, ma non si tratta dunque di salvezza mediante la trasgressione della legge? Se siamo logici riguardo a questa falsa antinomia, dovremo dunque cadere nel male che Paolo descrive, cioè nel credere che  dovremo continuare a peccare affinché abbondi la grazia! Questa è la logica dell’antinomismo. Ma il contrario della grazia non è la legge, è la riprovazione. Siamo salvati per grazia e, se non abbiamo la grazia, siamo reprobi. Questo è il vero contrasto: grazia contro riprovazione. Questo solamente presenta la questione riguardo a ciò che c’è in ballo: la salvezza.

La falsa antinomia di grazia contro la legge ha fatto molti danni. Ha portato al deprezzamento della legge e a tentativi inverosimili e fantasiosi di sfuggire la forza delle parole di nostro Signore in Matteo 5:18-20, dove il requisito che la legge sia compiuta o applicata è dichiarato schiettamente.

Ma non è tutto. Questa falsa antinomia ha portato all’abbandono del dominio perché la legge è lo strumento per il dominio. Come conseguenza la chiesa è stata in costante ritirata, arrendendo all’umanismo un ambito di vita dopo l’altro. La legge, come via di santificazione, specifica i mezzi mediante i quali l’uomo, crescendo nella grazia con l’essere fedele ad ogni parola di Dio (Mt. 4:4), porta tutte le cose in cattività a Gesù Cristo.

Questa falsa antinomia, contrapponendo la grazia alla legge di Dio ed eliminando la legge di Dio, ha messo gli uomini di chiesa nella pessima condizione di doversi rivolgere alla legge umanista come soluzione ai problemi del mondo. In questo modo la chiesa diventa un alleato delle forze anti-cristiane.

Un’altra falsa antinomia è fede contro opere. Tale antinomia è una violazione della chiare parole di Dio che la fede senza le opere è morta (Giacomo 2:14-26), perché la fede non può essere infruttuosa: ha conseguenze e si manifesta nelle opere. L’uomo di fede è un albero buono che produce frutti buoni, opere buone (Mt. 7:16-20), mentre un uomo cattivo ha frutti cattivi. Paolo, nell’affermare la giustificazione per grazia di Dio mediante la fede dice: “Annulliamo noi dunque la legge mediante la fede? Così non sia, anzi stabiliamo la legge” (Ro. 3:31).

Quando gli uomini contrappongono fede e opere, limitano la fede ad un solo sbocco: esercizi di pietismo. A quel punto la preghiera diventa “vane ripetizioni” e un’esibizione pubblica per ottenere un’aura di santità (Mt. 6:5-7), anziché essere un parlare col nostro Padre celeste, ringraziandolo, sottomettendogli le nostre necessità e guardando a Lui per aiuto e per le nostre necessità quotidiane. L’antinomismo deforma la vita di santità facendola diventare superficiale.

Condannare le opere della fede è condannare il Signore che le richiede. La potenza nel Signore è associata col portare frutti, opere: quando produciamo frutti, allora “E qualunque cosa chiederete nel nome mio la farò” (Gv. 14:13, 14).

Un’altra falsa antinomia è amore contro legge. Anche questa è un chiaro disprezzo della Scrittura. Ci è detto che “l’amore è il compimento della legge”, cioè l’osservare la legge di Dio (Ro. 13:7-10). Noi non amiamo Dio se disprezziamo la sua legge, né amiamo il nostro prossimo, nostra moglie o i nostri figli se trasgrediamo le leggi di Dio che li proteggono. Il peccato non esprime amore ma anzi odio verso Dio e l’uomo entrambi. Peccare significa dire “sia fatta la mia volontà”. È l’applicazione del programma del tentatore, ogni uomo il proprio Dio e la propria legge, che determina o conosce autonomamente ciò ch’è bene e ciò ch’è male (Ge. 3:5).

Il contrario della grazia non è la legge ma la riprovazione. Il contrario della legge è la trasgressione della legge. Il contrario della fede è la sua assenza o l’incredulità, e il contrario delle buone opere sono le opere malvagie. Il contrario dell’amore è l’odio, non la legge. Queste false antinomie non sono solo erronee ma anche malvagie. Paralizzano la fede e l’azione cristiana e falsificano la Scrittura.

Lungo i secoli, eretici ed eresie hanno usato false antinomie per spezzare l’unità della fede, per tagliare male la parola della verità (2° Ti. 2:15). Abbiamo visto sostenere che il Vecchio Testamento sia opposto al Nuovo anziché essere tutta una parola di Dio. Paolo è contrapposto a Gesù. Giacomo a Paolo, e così via, Pietro contro Paolo, la legge contro i profeti, e ogni possibile antinomia l’uomo riesca ad immaginare. Portano tutte al male.

Se abbiamo un concetto falso di ciò che la Scrittura insegna, avremo presto una falsa dottrina di Dio, e le sue conseguenze sono molto serie. Walter Oetting in The Church of the Catacombs (1964), tracciò la dottrina Romana di Dio: “La ‘Divinità’ non era generalmente definita filosoficamente, ma era vista come ciò che dà buone cose. Poiché Roma portava pace e giustizia, essa fu onorata, glorificata e adorata. Ma qual era il simbolo di Roma Imperiale? La persona dell’imperatore fu la scelta ovvia, di qui il culto dell’imperatore” (p. 98). Nella nostra epoca gli uomini hanno in effetti adorato lo stato moderno perché è il ‘dio’ che dà loro buone cose. A quel punto diventa ‘diavolo’ tutto ciò che opera contro lo stato moderno. Marx sostenne  molto presto che tutti i nemici dello stato socialista dovessero essere considerati malvagi e separati dentro un inferno per tali dissenzienti. Marx aveva deliberatamente messo in piedi una falsa antinomia ed è stata usata per uccidere milioni di persone.

La false antinomie teologiche sono state anche più letali perché trattano con questioni di tempo e d’eternità. Manipolano la parola di Dio rivelata e mettono sulla strada sbagliata uomini e chiese. Sono una forma molto seria di falsa testimonianza e una violazione della legge di Dio. Portano al degrado della fede.

La definizione di Oetting del significato della parola “dio” per i Romani è stata citata. Quella definizione non rimase così. Come ha indicato Harold Mattingly in The Man in the Roman Street (1974), per Greci e Romani la parola giunse a significare due cose. Primo,  dio o dèi poteva significare potenze esterne e sopra l’uomo. Questi potevano essere dèi o spiriti trascendenti, o l’imperatore corrente. Secondo, poteva significare “dèi” interiori, il genio di un uomo, la virtù nell’anima di un uomo, e cose del genere. Poiché i grandi dèi come Giove o Zeus un tempo furono uomini, tutti gli uomini di potere (virtù) potevano anche diventare dèi trascendentali (p. 86 s.). Cominciando con una falsa definizione di Dio i greci e i romani passarono da un errore all’altro e con ciò falsificarono il loro concetto delle cose. A quel punto crearono false antinomie a cumulare il loro errore. L’Impero Romano aveva grande potere, ma nelle sue azioni economiche e politiche era partito postulando false antinomie e così aggravò i propri problemi con false soluzioni.

Per evitare tali errori dobbiamo essere rigorosamente biblici, come ha sempre insistito Cornelius van Til. Per usare le parole di Isaia: “Attenetevi alla legge e alla testimonianza! Se un popolo non parla in questo modo, è perché in esso non c’è luce” (Is. 8:20).

La nostra epoca ha bisogno della luce dei requisiti di Dio, ha bisogno che noi obbediamo la sua parola, non quella dell’uomo.

A metà del XVI secolo, il Vescovo Hooper scoprì che nella sua diocesi di Gloucester (Inghilterra) centosettanta chierici non sapevano recitare i Dieci Comandamenti, e ventisette non sapevano chi fosse l’autore del Padre Nostro. Sotto Queen Mary, la situazione divenne anche peggiore perché uomini venivano ammessi agli ordini ecclesiastici frettolosamente senza qualifiche. Come conseguenza di questo tipo d’ignoranza, la chiesa fu debole, sia prima che dopo Enrico VIII. 

Questa cosa fu pessima, ma almeno il partito puritano potè additare un male ovvio e guadagnare forza mediante la loro ovvia conoscenza della fede. Oggi l’ignoranza è di un tipo diverso, è fondata sull’errore, ed è più seria perché falsifica la verità. Insegnando la falsa antinomia: grazia contro legge, si oscura il fatto che l’opposto della grazia è la riprovazione, e l’opposto della legge è vivere senza legge. Questo è un errore grossolano e pericoloso. Ha monumentali implicazioni a favore del male e della distruzione della chiesa.

R. J. Rushdoony  (Gennaio, 1987)  


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