INDICE:

Adiafora e totalitarismo

Una delle controversie più importanti benché negletta nella storia della chiesa è stata la contesa sull’adiaforismo, ovvero sulle ‘cose indifferenti’. Essenzialmente, la controversia è stata sul reame delle cose che stanno al di fuori della parola di Dio, su ciò che è ciò che non è oggetto di legislazione nella bibbia. Ovviamente, al cuore di questo concetto di adiafora c’è una dottrina di Dio, e della natura e dell’estensione del suo governo e della sua legge. Ad ogni modo, per la maggior parte delle tradizioni teologiche, la discussione sugli adiafora è vecchia e già definita, e la questione non è considerata molto vitale ai nostri giorni.

Ad un più attento esame, comunque, diventa evidente che la questione è lontano dall’essere definita, e che il concetto degli adiafora è tutt’altro che biblico. Il concetto infatti proviene dagli antichi filosofi Cinici e Stoici, e la presenza nella storia della chiesa è evidenza di un’infiltrazione pagana. 

È dunque importante riprendere brevemente le visioni Ciniche e Stoiche. Per i Cinici e gli Stoici l’uomo esisteva in un cosmo materiale essenzialmente senza significato. Valore, significato e moralità non avevano significato in quel mondo materiale; erano, piuttosto, interessi e concetti spirituali personali. In breve, valore e significato sono (auto)derivati dall’ego e sono virtualmente identici con esso. L’obbiettivo morale è quindi l’autosufficienza, e l’uomo saggio e morale è assolutamente autosufficiente e riconosce che il mondo materiale è un mondo di cose moralmente indifferenti. In questa prospettiva, che Diogene sosteneva in forma drammatica, non c’è legge né significato al di fuori dell’uomo, tutte le cose fisiche sono indifferenti. Solo la mente dell’uomo fa la differenza nelle sue disposizioni, le quali sono la scaturigine dei valori.

Questa visione entrò nella chiesa la prima volta come eresia. Carpocrate e i suoi seguaci videro che non ci fosse nulla di malvagio per natura ( o, in quanto a ciò, buono), con i soli valori esistenti fede e amore, disposizioni del sé. I Nicolaiti erano molto precisi nel definire l’estensione delle cose indifferenti. L’adulterio era per loro un questione indifferente.  delle dottrine di Carpocrate, Ireneo riportò che egli sosteneva che “Siamo salvati, sicuramente, per mezzo della fede e dell’amore, ma tutte le altre cose, mentre nella loro stessa natura sono indifferenti, sono considerate dall’opinione degli uomini, alcune buone, e alcune cattive, non essendoci nulla veramente malvagio per natura.”

Molto presto anche queste idee elleniche dell’adiaforismo penetrarono l’apparentemente ortodossa tradizione del pensiero cristiano. Clemente di Alessandria sostenne: “Soggetti degni d’ammirazione sono gli Stoici, i quali dicono che l’anima non è soggetta agli influssi del corpo, né col vizio né con malattia, o alla virtù con la salute, ma entrambe queste cose, essi dicono, sono indifferenti.” Il punto di Clemente qui non è un attacco alle teorie dell’influsso dell’ambiente ma una dichiarazione che mente e corpo hanno esistenze separate, e la necessità di coltivare l’indipendenza della mente o dell’anima dal reame della materia moralmente indifferente. Per Clemente: “una buona vita è felicità, e … l’uomo che nella sua anima è adornato con la virtù è felice.” Per Clemente la virtù ha da essere definita in termini ellenici, secondo lui la filosofia greca lastricò la strada, e la cristianità semplicemente aggiunse a quella struttura il vero incarnato, il Figlio di Dio: 

Benché un tempo la filosofia giustificasse i Greci, non conducendoli a quell’intera giustizia a cui è accertato che cooperi, come la prima e la seconda rampa di gradini vi aiutano nell’ascesa alla stanza superiore, e il grammatico aiuta il filosofo. Non come se per la sua astrazione, la perfetta Parola sarebbe resa incompleta, o la verità perirebbe; giacché anche vista, udito e la voce contribuiscono alla verità, ma è la mente ad essere la facoltà propria per conoscerla. Ma di queste cose che cooperano, alcune contribuiscono una maggior quantità di potenza; altre, una minore. La perspicuità di conseguenza aiuta nella comunicazione della verità, e la logica nel prevenirci dal cadere nelle eresie dalle quali siamo assaliti. Ma l’insegnamento che è in accordo col Salvatore è completo in sé stesso e senza difetto, essendo “la potenza e la sapienza di Dio;” (1 Co. 5:24) e la filosofia Ellenica col suo approccio non fa diventare la verità più potente; ma poiché rende impotente l’assalto del sofismo contro di essa, e frustra i complotti proditorii messi in campo contro la verità, è detta essere l’appropriato “recinto e muro della vigna.”

Per Clemente, lo gnostico vero e cristiano si ritira dal mondo indifferente delle cose materiali per entrare in comunione con Dio e per approssimarsi all’impassibilità di Dio per mezzo della sua propria indifferenza alle cose esteriori:

Quando, perciò, colui che partecipa gnosticamente a questa santa qualità si dedica alla contemplazione, unendosi in purezza col divino, e gli si avvicina di più allo stato di identità impassibile, in modo tale da non più avere scienza e possedere conoscenza, ma di essere scienza e conoscenza.

Data una tale prospettiva, è facile vedere perché la chiesa si sia spostata, primo, nell’ascetismo. Un’indifferenza verso le cose materiali era considerata un marchio di moralità. Il mondo materiale stesso era visto ora, alla moda del Cinismo, come adiafora, come una cosa indifferente alla vera religione e alla moralità.  Secondo, il Vecchio Testamento non era più visto sullo stesso piano del Nuovo, e il Nuovo Testamento era visto in termini Ellenici come il libro “spirituale” in contrasto col “materialismo” del Vecchio. La predicazione apostolica era stata dai testi del Vecchio Testamento, che erano  visti come più “vivi” e rilevanti che mai con la venuta di Cristo. Ora, il Vecchio Testamento era considerato una rivelazione minore, più primitiva, e quindi una materialista. La legge di Dio era così vista come appartenere ad un epoca di rivelazione inferiore e perciò ora meno rilevante se rilevante affatto. Questa visione allora e ora ha condotto all’antinomismo. Terzo, come con i Cinici, la moralità era ora anche ridotta ad un’attitudine o disposizione mentale. Dato che le cose materiali sono moralmente indifferenti, allora solo le condizioni spirituali dell’uomo possono essere morali. Logicamente, i Cinici e anche Carpocrate e i Nicolaiti, vedevano ora il male in azioni materiali, nell’adulterio, omosessualità e simili. Nel complesso, malgrado periodiche cadute, la chiesa lavorò per evitare tale conclusione, per quanto logica. Quest’opinione rimase come movimento sotterraneo, come testimonia Boccaccio. Nel paragrafo conclusivo del suo Decamerone, egli dichiara espressamente che stava scrivendo la verità circa i frati (ed altri). Nella Settima storia del Terzo giorno, un amante dice ad una donna sposata, il cui precedente rifiuto gli era costato l’esilio. “per una donna avere una relazione con un uomo è un peccato di natura; ma derubarlo o ucciderlo o costringerlo all’esilio procede da malignità della mente.” In altre parole, l’adulterio è un peccato minore che deliberatamente destituire un amante, perché i peccati della mente sono più importanti di quelli della carne. Nell’Ottava storia del Terzo giorno, un abate convince una donna che un adulterio con lui non è una faccenda seria:

La donna, udendo questo, tutta sbigottita rispose. ‘ohimé, padre mio, cos’è ciò che domandate? Io mi credeva che voi foste un santo. Or si convien egli a’ sant’uomini di richieder a donne, che a lor vanno per consiglio, di così fatte cose?

A cui l’abate disse: Anima mia bella, non vi meravigliate, ché per questo la santità non diventa minore, perciò che ella dimora nell’anima e quello che io vi domando è peccato del corpo.  

Questa è una forma leggera di un’opinione che nel ventesimo secolo è divenuta più comune tra i Protestanti antinomisti e i modernisti. Fu nel 1940 quando incontrai per la prima volta un pastore di qualche preminenza che sosteneva che qualsiasi relazione sessuale, purché fosse veramente personale e amorevole, era valida e morale. Egli fu piuttosto insistente nell’affermare che questo fosse “il vero spirito del vangelo” e che la mia prospettiva fosse legalista e non amorevole.

Pietro Abelardo fu un forte difensore dell’adiaforismo. Secondo il Verkamp, egli “suggerì che separate dalle intenzioni, tutte le azioni umane, considerate in sé stesse, sono indifferenti.”

Il problema degli adiafora divenne confuso nella storia della chiesa perché rappresenta una premessa religiosa aliena trasportata all’interno della fede biblica. Il concetto di adiafora presuppone, primo, un concetto del mondo e della vita dialettico e/o dualista. Assume che ci siano due tipi di esseri, la materia da un lato, e spirito, mente, o Idea dall’altro. Di questi due, la materia è vista o come moralmente indifferente o relativamente molto meno importante. Tale visione dell’essere è chiaramente antibiblico. La Scrittura considera la mente e la materia come nello stesso modo di un tipo di essere, l’essere creato. Il contrasto è piuttosto con l’essere non creato di Dio. Secondo, l’universo dei Cinici e dell’adiaforismo è esplicitamente o implicitamente un’insignificante reame di crudi fatti o di fatti senza senso o correlazione. Non c’è un dio il cui eterno decreto da significato totale a tutte le cose. L’adiaforismo presuppone un’area o reame di indifferentismo e di neutralità.

Gli argomenti usati per difendere questo reame di neutralità sono pressappoco così: nessuna moralità è coinvolta in una semplice passeggiata attraverso la campagna, o in un giro di piacere in automobile in una domenica pomeriggio. La risposta è che, poiché questo è un universo morale e interamente creazione di Dio, non possiamo mai fare un passo fuori dal reame morale ed entrare in uno indifferente. Il nostro guidare sarà o responsabile e quindi morale, o implicherà un disprezzo per la vita e la proprietà di altri, un fatto morale. La nostra passeggiata può essere un godimento della vita e del mondo intorno a noi, un fatto morale, o può implicare la violazione della proprietà, fare il guardone, l’abbandonare rifiuti e così via, tutti fatti morali. In un presbiterio, durante una discussione a favore dell’adiaforismo, un pastore dichiarò:”Paolo probabilmente viaggiò a volte su carro trainato da buoi. Dobbiamo fare lo stesso?” I mezzi sono perciò indifferenti, egli sostenne; possiamo viaggiare su carro o in auto senza che siano coinvolte connotazioni morali. Ma il viaggiare è moralmente indifferente? Un giovane, uno studente, che rispose ad un annuncio che offriva un passaggio gratis dalla costa atlantica a quella pacifica in cambio della guida, si trovò in un veicolo con due ladri e due prostitute, e con buona ragione di credere che l’auto fosse rubata. Non possiamo mai entrare in un reame moralmente neutrale. Assumere che, poiché non sorge alcun problema, la situazione è perciò moralmente neutra, è un serio errore di valutazione.

Terzo, l’adiaforismo presuppone che la moralità sia solamente un punto di vista mentale, che sia cioè essenzialmente un questione d’amore. Le femministe hanno argomentato (come han fatto altri) che la relazione sessuale di una moglie col proprio marito può essere morale o immorale, a seconda che sia o non sia un atto d’amore o un dovere fatto in mala voglia, lo stesso si sostiene essere vero di qualsiasi altra relazione sessuale, adulterina o omosessuale: la sua moralità è determinata dalla presenza di amore.

Quarto, com’è già evidente, essendo l’universo totalmente creazione di Dio nulla è al di fuori del suo governo e legge, non c’è nulla perciò che sia moralmente indifferente. Il classico testo usato a favore dell’adiaforismo è Tito 1: 15, “Certo, tutto è puro per i puri, ma niente è puro per i contaminati e gli increduli; anzi, sia la loro mente che la loro coscienza sono contaminate.” Apparentemente questo verso riduce la moralità ad una condizione mentale. Al contrario, non presuppone il mondo moralmente neutrale, e l’universo privo di significato dei Cinici, ma la creazione di Dio, che è totalmente buona in origine (Ge. 1:31). L’uomo caduto nel peccato perverte perfino le cose pure e le rende impure. Se “tutte le cose sono pure” e buone, allora nulla può essere chiamato adiafora, e se “per i contaminati e gli increduli niente è puro” di nuovo abbiamo escluso gli adiafora. Poiché tutte le cose sono create da Dio, non esiste relazione neutrale con cosa alcuna.

Ad ogni modo, l’adiaforismo nella storia della chiesa ha presupposto un universo appartenente ai Cinici piuttosto che creato da Dio.

Non solo è così, ma l’adiaforismo è stato una specie di sgabuzzino per problemi di diverso tipo nella storia della chiesa. Primo, specialmente con riguardo alle forme, l’ordine del culto e l’ordinamento ecclesiale, la discussione è stata tra quelli che dichiarano che solo ciò che è specificamente richiesto e permesso è normativo, e quelli che sostengono che tutto ciò che non è proibito è permesso. Questa discussione è stata ulteriormente confusa dal fatto che generalmente entrambe le parti sono andate solo al Nuovo Testamento, o in maniera preponderante al Nuovo, per determinare cosa sia permesso. Fin da presto Agostino protestò che il giogo dei farisei stava per essere sorpassato dalle tradizioni della chiesa, le quali stavano legiferando in ambiti di presunta permissione. 

Secondo, come già indicato, la questione era: Qual è la portata della parola normativa? È tutta la parola di Dio, i due Testamenti Vecchio e Nuovo allo stesso modo, la legge, profeti e vangelo, o è solamente “la legge di Cristo” qualcosa surrettiziamente estratto dal Nuovo Testamento?

Terzo, c’era il punto di vista detto dello sviluppo. Come in Gioacchino da Fiore, e alla Riforma in Sabastian Franck. Da questa prospettiva, il Vecchio e il Nuovo Testamento egualmente parlarono a dei bambini, e all’infanzia dell’umanità. Tali Spiritualisti sostenevano che forme, sacramenti e la legge rappresentavano elementi consunti e deboli, utili per l’infanzia nella fede ma destinati ad essere scaricati nell’era dello Spirito. Ogni dipendenza da tali esteriorità materialistiche fu definita da Franck come un affidamento sulla “feccia di Satana,” essendo la deduzione dualista, cioè che il reame di legge, forme e materia appartenga a Satana, e che Dio cerca di divezzarcene.

Quarto, un ulteriore problema fu incorporato nella questione degli adiafora: il problema del forte e del debole. L’argomento Paolino fu in questo modo ancora alterato. I forti venivano ora percepiti come quelli che sapevano che le cose che facevano inciampare i deboli erano cose indifferenti. Come con Tito 1:15, la presupposizione importata dentro a Romani 14:1-15:4; 1 Corinzi 8. 1-13; 10: 25-33 è quella di un universo moralmente neutro. Paolo, però, dice al debole e al forte che “la terra e tutto ciò che essa contiene è del Signore” (1 Co. 10: 28), una presupposizione completamente differente.

Dovrebbe essere chiaro adesso che l’adiaforismo è un concetto che non ha collocazione nel pensiero cristiano. Tristemente, il concetto viene usato, e, in alcune opere, la moralità cristiana è discussa, non dalla prospettiva  dell’infallibile parola-legge di Dio, ma dalla prospettiva dell’adiaforismo.

Il problema, per di più, non è semplicemente un pezzo d’antiquariato, ma di grande significato per chiesa e stato. La chiesa e lo stato nello stesso modo non possono essere confinati nei loro reami e alle loro sfere limitate da Dio se l’adiaforismo non sia lasciato cadere. Primo, perché l’adiaforismo è aggrappato ad un universo moralmente indifferente, o, in forme modificate, ad aree di indifferenza morale, il potere sovrano di Dio viene limitato, e i poteri dell’uomo  ( o delle agenzie dell’uomo quali chiesa e stato) vengono di conseguenza estesi. L’uomo a quel punto ha aree di vita nelle quali egli può legiferare ed agire in modo indipendente da Dio e dalla sua parola. In certi punti la vita e l’universo diventano aperti all’imperialismo dell’uomo, alla sua legiferazione e libertà. La religione della domenica mattina è un risultato naturale dell’adiaforismo. Gli interessi legittimi di Dio vengono in pratica limitati da una religione della domenica mattina ad un reame spirituale limitato.  Le chiese che insegnano l’adiaforismo non hanno un fondamento legittimo per contestare che i loro membri limitano la portata e la giurisdizione della loro fede. L’adiaforismo è una negazione della sovranità di Dio e un’asserzione che, quantomeno in date aree, l’uomo è un libero agente e il proprio legislatore.

Secondo, come ha indicato Agostino, la chiesa da subito ha creato un carico di leggi e di tradizioni rigide quanto il giogo dei Farisei  se non di più. L’adiaforismo dà grandi poteri alla chiesa. Sia il Protestantesimo che il Cattolicesimo Romano hanno utilizzato il concetto di adiafora per allargare i poteri ecclesiastici; entrambi hanno visto i “mali” l’uno dell’altro ma non la questione fondamentale. Se qualsiasi area è moralmente indifferente nei termini della Scrittura, può essere un’area di indifferenza morale per l’uomo, o un’area di legiferazione da parte dell’uomo, o da parte della chiesa o dello stato. È un area “libera” per l’imperialismo dell’uomo un luogo dove si suppone che Dio non abbia giurisdizione, o che non ne eserciti, e l’uomo è libero di farlo. In questo modo, alcuni anni fa, fui incriminato con una temibile trasgressione, e cioè d’insegnare la Bibbia fuori dalla chiesa la domenica senza permesso. Chiesi dove, al di fuori della volontà del Presbiterio, ciò fosse proibito richiedendo una giustificazione biblica. La risposta data fu che 1 Corinzi 14:40 “ma ogni cosa sia fatta con decoro e con ordine” costituiva giustificazione da parte di Dio per la chiesa di governare in tali aree in modo da garantire che tutte le cose fossero fatte con decoro e decenza! La proposizione di Paolo, ad ogni modo, non è una giustificazione generica per qualsiasi tipo di disposizione ma specificamente un sunto che richiede che i suoi precisi requisiti per l’ordine di un incontro particolare siano osservati. Paolo stava parlando contro, non in favore di, qualsiasi potere indipendente da parte della chiesa o della congregazione di ordinare il proprio culto e/o le proprie faccende.

Terzo, l’adiaforismo non solo consegna alla chiesa vasti poteri incontrollati dalla Scrittura, ma lo fa anche con lo stato. In questo modo lo stato vede sé stesso come il proprio legislatore, e di qui il proprio dio, perché legiferare è la prerogativa di un dio, è un attributo della sovranità e della deità. Avendo la chiesa dichiarato che la legge biblica è ora una questione di adiafora, lo stato (quanto la chiesa) è libero di fare la parte di dio in terra e di legiferare a volontà. Lo stato moderno è il risultato dell’adiaforismo. Finchè la dottrina degli adiafora sarà mantenuta, l’uomo avrà un problema col totalitarismo nella chiesa e nello stato. Permetterà allo stato moderno ogni libertà di espandere i propri poteri perché l’adiaforismo ritira le richieste, i poteri e il governo di Dio da un area dopo l’altra, lasciando infine molto poco al Regno di Dio più che un debole e melenso amore, un’antinomiana religione dell’amore.

L’adiaforismo è alla radice dell’antinomismo, ed è basilare al declino del potere della cristianità. È vero che la sua dottrina è vecchia e venerabile, ma allora la dottrina del tentatore (Ge. 3:1-5) possiede venerabilità ancor più grande! Tanto tempo fa, Girolamo definì la tesi di questa dottrina nella sua forma ecclesiastica: “ È indifferente ciò che non è né bene né male, così che, che tu lo facci o non lo faccia, tu con questo non sei mai più giusto o più ingiusto.” Usando la libertà accordata da questo concetto, Roma giustificò la messa e le immagini, e il Protestantesimo giustificò una varietà di regole per la chiesa, mentre si condannavano l’un l’altro! Ciò non sorprende. Una volta che è accettata la premessa dell’adiaforismo, gli uomini sono liberi di definire per sé il reame dell’indifferente. I poteri di Dio di definire e di legiferare diventano allora prerogative degli uomini, e noi abbiamo le dottrine dell’adiaforismo Cattolica, Riformata, Luterana, e Anglicana, e quindi non di meno anche quella statalista. Dopo tutto, la Corte Suprema ha trasferito l’aborto nel reame degli adiafora. L’Unione Sovietica e la Cina Rossa hanno fatto anche meglio! Adiaforsimo significa che, per vaste aree, la regola che governa è semplicemente questa: Prevalga la volontà dell’uomo.

(Novembre 1980)


Altri Libri che potrebbero interessarti