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Peccato, Confessione e Dominio

Già all’inizio dell’estate del 1982, fu chiaro che l’emendamento femminista all’uguaglianza dei diritti della Costituzione degli Stati Uniti era morto. Il movimento perì in parte a causa dei propri eccessi. Questi eccessi erano nati  dalla mitologia dell’uomo moderno e del concetto che l’uomo ha di se stesso come vittima piuttosto che come peccatore. Naturalmente, a partire da Adamo ed Eva le persone hanno scelto di invocare un’innocenza nata da premesse ambientali. Adamo ed Eva fecero entrambi le vittime; il loro cuore era buono ma l’ambiente in cui erano collocati li fece errare. Quando il movimento di liberazione della donna fece di metà della razza umana delle vittime e dell’altra metà degli oppressori, spinse il mito troppo lontano. Una donna, in un libro appassionato, dipinse tutti gli uomini come stupratori dentro. Tristemente, qualche responsabile di chiesa, nel recensire il libro, lo elogiò; uno si fa delle domande sulla loro mentalità, e certamente le donne della loro famiglia dovrebbero farsele. In altro libro altamente elogiato, un’altra femminista scrisse: “Quando una femminuccia viene passata da ginocchio a ginocchio in modo che tutti i maschi nella stanza (padre, fratello, amici) possono avere un’erezione, è la madre impotente che sta in piedi e osserva a creare il senso di vergogna e di colpa nella bambina.” Pubblicazioni prestigiose hanno elogiato questa immondizia, ma atteggiamenti come questo hanno contribuito a indebolire le vecchie fondamenta del pensiero umanista che ci ha resi tutti vittime e anche tutti oppressori. Se siamo maschi, o femmine, talvolta vittimizziamo. Se siamo genitori deformiamo figli. Se siamo ricchi, ceto medio o poveri, in qualche modo siamo responsabili dei mali del nostro tempo.

La responsabilità, negata da chi biasima la società, ha l’abitudine di ricomparire! Noi potremmo pure essere vittime del nostro habitat, ma, poiché noi siamo la società per qualcun altro, siamo colpevoli, non dei nostri peccati, ma di quelli di altri! Questo ci colloca in una brutta situazione; per i nostri peccati possiamo fare qualcosa, ma non possiamo fare gran che per i peccati di una persona che vive in fondo alla strada.

La dottrina del conflitto d’interessi (e il Darwinismo) ha aumentato il problema grandemente. La lotta di classe (o di razza, o sociale, o religiosa) è ritenuta stare alla base della situazione umana. Il gruppo “superiore” è a quel punto per definizione il gruppo oppressivo. Se sei ricco, sei per assunto comune l’oppressore dei poveri. Se sei bianco sei razzista; se sei maschio sei colpevole di sessismo; e così via all’infinito.

Ma il peccato è comune a tutti noi. Marx ritrasse il capitalista come l’oppressore del lavoratore e il traviatore della giovane operaia. Naturalmente, questo non impedì a Marx di traviare la domestica di sua moglie, né i socialisti moderni dal fare altrettanto. Le donne con cariche di potere possono essere altrettanto colpevoli di sessimo degli uomini e altrettanto zelanti nel perseguire i sottoposti.

Inoltre, il crudo fatto è che le domestiche hanno spesso sedotto i loro padroni o i figli dei loro padroni, non meno di quanto i padroni abbiano sedotto le domestiche. Il peccato non è una proprietà che appartenga a qualche razza o classe, e non lo è neanche la virtù.

Siamo stati sottoposti da tanto tempo al mito della classe innocente o oppressa. Cinema e televisione ci hanno intrattenuti ad nauseam con storie di prostitute col cuore d’oro. Per gli scrittori di trame cinematografiche sembrerebbe che la sola qualificazione della virtù sia non avere virtù. Ci viene mostrato un mondo di vittime, che sono i casi della vita, come persone che sono state sfruttate da qualcuno.

È a questo punto che il pensiero moderno incontra il disastro. Nega la dottrina biblica del peccato per un concetto di una società malvagia. Siamo tutti vittime, ma, poiché siamo tutti l’ambiente sociale di qualcuno, siamo tutti una forza malvagia che ha bisogno di essere spazzata via con la ruspa. Da questo stallo l’uomo non vede via d’uscita.

Da qualche anno, ormai, abbiamo assistito ad una crescente disaffezione e avversione verso il pensiero moderno da parte proprio degli stessi figli dei leader moderni. Gli studenti ribelli degli anni 60 provenivano in gran parte da famiglie liberali (socialisti di destra e Sinistra N.d.T.) e permissive; erano di fatto i figli dell’establishment.

La ribellione degli anni 60 ha lasciato il passo al cinismo e all’indifferenza. C’è un abbandonarsi a droghe, alcol, o a un’esistenza semplice senza rilevanza. L’anno scorso ho parlato brevemente con il figlio di una padre prominente e la cui madre pure è parte della comunità intellettuale. I suoi genitori erano entrambi costernati, mi diceva, perché aveva abbandonato l’università dopo meno di due anni per prendere un lavoro. Quando gli chiesi perché, mi descrisse l’università come “solo me–a schietta. Tutto quello che fanno è caricarti di colpa.” Questo giovane era cospicuamente una parte della cultura moderna per abitudini e gusti, ma aveva tagliato i ponti con l’essenza del modernismo: la sua dottrina dell’uomo come vittima. Quando si vedeva coi suoi genitori, amava offenderli, per sua stessa ammissione, ridicolizzando le loro convinzioni dell’innocenza di gruppi di minoranze, di associazioni, o di qualsiasi altra cosa gli venisse in mente, non per convinzione ma per disprezzo verso questo mito moderno.

Gli omosessuali e le femministe hanno ambedue sfruttato il mito ed ambedue cominciano a vedere segni del suo declino e perfino di un contraccolpo.

Davide, nel Salmo 8:4 fa questa domanda su Dio: “Che cosa è l’uomo perché ti ricordi di lui?” Ricordarsi in ebraico ha il senso di pensar bene di, o considerare favorevolmente, di esserne consapevole. In essenza, il ricordo ha radice religiosa. Dio si ricorda, è consapevole dell’uomo, perché, primo, l’uomo è sua creazione fatto a sua immagine per giustizia, conoscenza, santità, e dominio. Secondo, Dio si ricorda dell’uomo perché gli ha dato una grande vocazione, il compito di sottomettere la terra e di esercitare dominio si di essa (Ge. 1:26-28). Per il compimento del suo lavoro Dio ha coronato l’uomo con “gloria e onore” (Sa. 3:8) ed ha collocato tutte le cose implicitamente sotto l’uomo.

A partire, almeno da Nietzsche, passando per Stalin fino  al presente, un filone maggioritario dell’umanesimo ha visto l’uomo meramente come concime per la creazione del futuro super uomo o uomo comunistico, o la Grande Società. Virtualmente tutto l’umanesimo ha visto l’uomo come buono o neutro nella sua natura morale, e pertanto una vittima di Dio o della società. Questo concetto dell’uomo è ora in decadenza. Freud giustamente considerò cruciale il proprio ruolo per la distruzione del concetto ottimista dell’uomo uscito dall’Illuminismo. L’uomo, per Freud, è un prodotto del proprio inconscio, e l’inconscio è costituito dal suo io, il principio di piacere anarchico, la voglia di vita dell’uomo; dell’ego, il principio della realtà e la voglia di morte, e il super-ego, gli insegnamenti e gli effetti dell’ambiente immediato. L’io e l’ego rappresentano l’ambiente passato. Freud vide poca speranza che l’uomo potesse sfuggire al proprio passato. Mentre alcune idee di Freud sono ora sotto attacco, la sua dottrina dell’uomo rimane essenzialmente in vigore, e sta contribuendo alla decadenza del mondo dell’umanesimo.

Nel rispondere alla domanda: “Che cose è l’uomo perché tu sia consapevole di lui?” Il mondo moderno sta rispondendo che si ricorda dell’uomo ideale, l’uomo del suo immaginato futuro. Non si ricorda dell’uomo indipendente, l’uomo cristiano, l’uomo che resiste, o qualsiasi uomo che rifiuti di inchinarsi allo stato. Lo stato moderno dice, in effetti: Sii una vittima e noi ti ameremo e ci prenderemo cura di te.

Ma l’uomo oggi sta assistendo solo alla distruzione dell’ordine umanistico. In una rappresentazione del 1967: Il Falco, un prodotto del teatro sperimentale, il “Falco” è un’eroina ambulante con un’insaziabile brama di vittime. La litania del Falco è molto semplice: è un’animale; “uccide” perché ha fame; qualsiasi cosa accada non ha significato morale, noi facciamo ciò che siamo costretti a fare per natura. Il mondo de Il Falco è al di là del bene e del male, al di là della moralità. È un mondo nel quale tutte le persone sono vittime della loro stessa natura, e la loro natura è un prodotto del passato. Nel 1970, Michael Novak, in The Experience of Nothingness, disse che la questione umana fondamentale è: “Dato per scontato che devo morire, come devo vivere?” (p. 48). Per questa domanda  la mente moderna non ha risposta. Infatti, a quel tempo Novak stesso potè dire solamente che non c’è io (self) sopra e separatamente dal mondo, solo un io in tensione col mondo e una parte di esso, talché, piuttosto che parlare dell’io dovremmo parlare invece di “un mondo consapevole” o di “un orizzonte” (p. 55). L’etica, anziché essere il comandamento di Dio, era per Novak a quel tempo, semplicemente “invenzione” o “creazione” dell’uomo, una sua “possibilità” (P. 79).

Per tali opinioni l’uomo paga un prezzo, o, con la calzante frase di Seon Manley: “Paghiamo per i sogni.” E i sogni sono frantumati dalla realtà.

“Che cosa è l’uomo perché tu sia consapevole di lui?” Ha avuto risposta sempre più con un rigetto di consapevolezza. Gli uomini non sono consapevoli nemmeno di se stessi, e le abitudini suicide sono prevalenti. Annebbiare la mente con droghe o marijuana è certamente un lampante esempio di inconsapevolezza. L’uomo come vittima non può confessare il peccato, può solo indulgere in autocommiserazione.

Dall’altro lato, nella bibbia abbiamo una prospettiva diversa. In Giosuè 7:17, Giosuè dice ad Akan, il peccatore: “Figlio mio, ti prego, da’ gloria all’Eterno, il DIO d’Israele confessa a lui.” La parola confessa in ebraico è toda, che significa confessione e lode. Pertanto, quando Giosuè chiede ad Akan di confessare il suo peccato, che comportava la pena di morte, gli stava anche chiedendo di lodare Dio. Questo ci da uno scorcio di un mondo radicalmente diverso da quello dell’uomo del XX Secolo per il quale confessare significa essenzialmente auto-degradazione e umiliazione. Nella Bibbia, la confessione del peccato è un passo determinante nel ristabilimento dell’ordine, l’ordine di Dio, ed è perciò un mezzo per lodare Dio. La chiesa dei nostri giorni ha perso il significato della confessione.

Una vittima non può fare confessione. Un uomo creato perché fosse sacerdote, profeta e re in Cristo trova nella confessione la propria restituzione alla posizione di regalità e a una grande vocazione.

Secondo il Catechismo Minore di Westminster “Peccato significa non conformare sé stessi alla legge che Dio ha stabilito per noi oppure trasgredirla.” La confessione è il primo passo verso la nostra restituzione alla condizione stabilita da Dio e al dominio. È il riconoscere che siamo peccatori non vittime, e siamo peccatori perché ci siamo allontanati da, e ribellati contro, il mandato di Dio e la sua vocazione.

Ci sono indicazioni che, nei primi secoli dell’era cristiana, i monarchi, prima dell’incoronazione, dovevano confessarsi. Per quanto la confessione sia stata fatta in modo falso da molti re, il suo proposito era di ricordare loro che tutti gli uomini sono giudicati dalla legge di Dio e la lode di Dio comincia con la nostra confessione dei peccati e la nostra sottomissione all’ordinamento giuridico di Dio. È l’ordinamento giuridico di Dio che solo può esaltare la società umana e farla gioiosa e trionfante.

Davide, dopo aver chiesto: “Che cosa è l’uomo che tu sia consapevole di lui?” prosegue dicendo: “Lo hai fatto regnare sulle opere delle tue mani e hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi!” (Sa.8:6). La conclusione della vera confessione è il dominio. L’uomo, restituito alla condizione di re, esercita il dominio su  ogni area di vita e di pensiero e porta tutte le cose prigioni all’obbedienza di Cristo (II Co. 10:5).

Il mito della vittimizzazione si sta frantumando. I suoi difensori, spingendolo ai suoi limiti logici, ne hanno esposto l’assurdità. È un mito che ha fallito e che ora sta morendo.

Questo, però, non è sufficiente. Ripulire il terreno da una struttura traballante è una necessità, ma non erige un nuovo edificio. Ciò che è necessario ora è una forte e schietta enfasi sulla ricostruzione cristiana, sull’uomo di dominio e sul suo mandato di conquistare ogni area di vita e di pensiero per Cristo, e sulla certezza della vittoria. Per le vittime non c’è vittoria. Per chi confessa il Nome, la vittoria è inevitabile perché Dio il Signore rimane per sempre Re su tutta la creazione. Lasciamoci prendere dalla gioia, la terra sia felice “Davanti all’Eterno, perché egli viene, viene a giudicare la terra. Egli giudicherà il mondo con giustizia e i popoli nella sua fedeltà (Sa. 96:13). 

(Ottobre, 1982)


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