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Giustizia e Tortura

Un fatto importante e negletto della legge biblica ha a che vedere con la “confessione”.  Quando questa parola compare in qualche forma è sempre ristretta alla confessione dei peccati davanti a Dio. Levitico 5:5 la richiede come parte del sacrificio per la trasgressione. Levitico 16:21 ci dice che Aaronne confessò i peccati di tutto Israele e li posò sul capro per l’espiazione. Levitico 26:40 fa riferimento alla confessione dell’apostasia. Numeri 5:7 tratta di nuovo la confessione del peccato prima dell’espiazione.

Emerge un fatto stupefacente: la legge biblica non lascia spazio alla confessione di un reato penale come strumento di procedimento giuridico e di condanna. Biblical Law di H. B. Clark, un vecchio studio di giurisprudenza non contiene la voce. Molto chiaramente nella legge biblica non c’era condanna per confessione.

La bibbia ci offre un caso rimarchevole di questo fatto: il crimine di Achan. L’enormità del suo crimine contro Dio e contro Israele è evidenziata; degli uomini morirono a causa di quel crimine. Dio richiese la pena di morte per il colpevole, e diede pure a Giosuè dei mezzi soprannaturali per scoprire il colpevole. A quel punto Giosuè si appellò ad Achan che “desse gloria all’Eterno e confessasse a lui” (Gs. 7:19). Perfino la confessione di un reato doveva essere primariamente a Dio e secondariamente all’uomo.

Ma non è tutto. Nemmeno la scoperta soprannaturale da parte di Dio, né la confessione di Achan, erano sufficienti per la condanna. Solo dopo che il racconto di Achan fu confermato da prove complete che chiaramente condannavano lui e la sua famiglia egli fu condannato e giustiziato. Nei termini della legge di Dio, quindi, anche una confessione prodotta da Dio deve essere corroborata dalle prove. Chiaramente, la confessione in sé non ha valore reale nella legge biblica. In questo aspetto, la legge biblica preserva la persona del sospettato con tutto il rispetto dovuto a uno creato ad immagine di Dio.

Secondo George Horowitz, nel suo influente studio: The Spirit of Jewish Law (1953), il Mishnah parlò di confessione, non in relazione alla procedura processuale, ma che, su condanna e prima dell’esecuzione, al condannato era chiesto di confessare il suo peccato per poter essere ricevuto da Dio. Infatti: “Una confessione, naturalmente, non poteva mai essere usata contro l’imputato per assicurare la sua punizione sulla terra” (Sezione 338; p. 461). L’importanza di ciò è enorme; significava che, poiché la confessione non era una prova ammissibile, la tortura non sarebbe stata usata né poteva esserlo. Questo preservava la persona dell’accusato dalla tortura, dal terzo grado ed altri simili metodi per estorcere una confessione. Significava che la giustizia richiedeva prove ottenute con mezzi legittimi.

In questo modo, la legge nel suo insieme operava primo, per proteggere l’accusato da mezzi illegittimi per forzare una confessione. Poiché una confessione in sé non è una prova per le legge biblica, abbiamo tutti gli ingredienti per tutto ciò che negli Stati Uniti è diventato il Quinto Emendamento, (da noi la facoltà di non rispondere) l’immunità dell’accusato dall’essere obbligato a testimoniare, infatti, secondo, la legge biblica richiede restituzione ed espiazione per ogni reato. Così, in Deuteronomio 21:1-9, quando il cadavere di un uomo assassinato veniva ritrovato in un campo, la responsabilità di assicurarsi che fosse fatta giustizia ricadeva sulla città più vicina. Se l’omicida rimaneva non identificato, l’opera di riparazione era dovere della città più vicina.

Quant’è sorprendente che gli uomini abbiano scelto di disprezzare la legge di Dio e di idolatrare o quantomeno idealizzare la legge Greco-Romana. I greci utilizzavano la tortura regolarmente e i metodi di punizione capitale includevano la crocifissione, la decapitazione, l’avvelenamento, la bastonatura fino alla morte, la sepoltura da vivi, la lapidazione, essere gettati da una rupe, ed altre. I Romani eliminarono l’avvelenamento e lo strangolamento ma usarono la tortura e raffinarono la crocifissione.

Da molto presto la cristianità seguì più o meno la legge biblica e i risultati furono buoni. I due ritorni della tortura avvennero nel XIII secolo con effetti che durarono fino al XIX, e di nuovo nel XX in proporzioni davvero formidabili. È degno di nota che nel 865 d.C. il Papa Nicola I, in una lettera ai Bulgari, proibì l’uso della tortura perché le confessioni non devono essere estorte con la forza e sono di conseguenza proibite.

Quando gli accademici cominciarono a studiare il Diritto Romano e, più tardi, Aristotele, le norme Greco-Romane cominciarono a rimpiazzare quelle bibliche. Mentre la legge biblica richiede prove, non confessione, ora, come ha notato Edward Peters in Torture (1985): “La confessione ha raggiunto l’apice della gerarchia delle prove” e vi è rimasta (p. 44). Le conseguenze sono state devastanti. Primo, ha semplificato l’opera di applicazione della legge. La prova “necessaria” viene estorta dal sospettato mediante la tortura. Peters notò che c’era un’analogia  con la contrattazione processuale (rito abbreviato). La maggior parte dei sospettati nel rito abbreviato sono colpevoli; il lavoro della polizia e del tribunale viene semplificato facendo sì che il sospettati si dichiari colpevole di un reato minore. Anche la tortura ha semplificato il procedimento giuridico; una maggioranza di sospettati potrebbe essere stata colpevole, ma per quanto riguarda il resto, beh, la giustizia umana non può essere perfetta.

Secondo, nel pensiero Greco-Romano, come Aristotele indicò chiaramente, la fonte della moralità è la politica e lo stato, non una religione. Tale fede sposta l’intero centro dell’universo morale dalla parola di Dio alla parola dello stato. Col ritorno del pensiero Greco-Romano, in Europa ebbe inizio questo spostamento dalla centralità della fede e della chiesa alla politica e allo stato. Noi oggi stiamo raccogliendo le conseguenza di quello spostamento nel paganesimo che abbiamo in vigore.

Terzo, come risultato di questo spostamento, lo stato moderno razionale e i suoi filosofi-re o élite divennero i grandi difensori dell’uomo. Ragione, progresso e la speranza dell’uomo venivano ora definiti in termini dello stato. Lo stato veniva considerato il salvatore dell’uomo dai mali e le superstizioni del cristianesimo e della chiesa. Per i filosofi dello stato, sospettare dello stato era come sospettare di Dio. Sostennero apertamente che il Giusto si identifica con ciò che lo stato fa. Il Marxismo sostiene l’infallibilità della dittatura del proletariato. Dello stato fascista, Mussolini disse: “Al di la dello stato, niente che sia umano o spirituale possiede alcun valore”. Nella Germania nazista, la giustizia divenne razziale: governava “Il giusto senso di giustizia del popolo”. Alcune della affermazioni peggiori provennero da filosofi idealisti inglesi: Bosanquet, Green, ed altri, che sull’insegnamento di Hegel identificarono lo stato col Diritto.

Così nel nostro tempo abbiamo avuto un cospicuo ritorno della tortura, e anche delle grandi uccisioni di massa. Nel XX secolo c’è stata l’uccisione di una percentuale dell’umanità più alta che mai mediante uccisioni di massa, campi di sterminio, carestie create dall’uomo, guerra, rivoluzione, tortura e così via. E non siamo ancora alla fine.

La tortura dell’uomo per mano dell’uomo è diventata talmente abituale che nel Marxismo e nel Fascismo la professione medica è stata regolarmente utilizzata in moderne sofisticate forme di tortura. C’è voluta la maggior parte di questo secolo (il XX) perché gli psichiatri occidentali fossero almeno indotti al punto di considerare di condannare le torture psichiatriche sovietiche.

Ciò non dovrebbe sorprenderci. Da quando la pratica medica s’è allontanata dal cristianesimo, è diventata sempre più una classe di tecnici professionisti che di guaritori. L’incapacità degli ordini medici di condannare e di bandire gli abortisti rende evidente questa deriva morale. Come potrà l’uomo condannare la tortura di adulti se non ha la volontà di condannare l’assassinio di bambini non ancor nati?

È ironico, data l’ingiustizia della legge umanistica, che gli uomini dichiarino “barbarica” e “primitiva” la legge di Dio e affermino la validità delle moderne leggi umanistiche. La legge greca era brutale eccetto che per un numero limitato di élite, e la società greca era una società schiavista nella quale i pochi dell’élite consideravano la propria volontà come giustizia. L’idealizzazione dei greci è prodotto dei nostri moderni elitisti, che sognano poteri simili sulle masse, cioè sopra il resto di noi. È un sogno anti-cristiano.

Gli ecclesiali, con la loro indifferenza o la loro ostilità verso la legge di Dio, convalidano con ciò la legge umanistica. Per l’umanesimo l’uomo è un prodotto dell’evoluzione, non una persona creata d immagine di Dio. Per una fede evoluzionista, l’uomo è sacrificabile, perché siccome l’uomo controlla e guida l’evoluzione deve eliminare i meno adatti a creare l’uomo nuovo del futuro.

Non è più Dio e la sua Grande Assise, non è più la Corte Suprema dell’universo ad essere il punto focale della giustizia, ma lo stato temporale. Poiché lo stato è ora centrale, le ragioni di stato hanno rimpiazzato la legge di Dio. È significativo che quando il parlamento discute leggi fiscali, parla di chiudere tutte le “scappatoie”. Queste scappatoie sono zone di libertà ancora lasciateci dove i nostri soldi sono nostri; le ragioni di stato chiamano ciò che ci è permesso tenere “esenzioni” che lo stato può dare o togliere.

La legge biblica non è popolare tra gli uomini anche se limita il governo civile ad una dimensione minima; limita ferocemente la tassazione ad una somma minima; preserva le persone dalla tortura; richiede auto-governo; e amplia la libertà. Ha un grande difetto; accusa tutti gli uomini di peccato davanti a Dio, qualcosa che gli uomini rifiutano d’ascoltare.

Ma ascoltare dovranno! La Scrittura parla del Giudizio Finale. Questo tema una volta era importante nell’arte della chiesa e negli insegnamenti della chiesa. Gli uomini erano resi edotti che i libri verranno aperti per tutti noi e ci sarà un rendiconto finale e un giudizio pieno. Il Tribunale Ultimo istituirà giustizia ultima, piena e definitiva, talché sarà effettuata una restituzione e restaurazione totale. Il Giudizio Finale ci dice, primo: che la giustizia è inevitabile. Noi viviamo in un universo morale, l’universo di Dio e tutto ciò ch’è sbagliato verrà riparato. Questa giustizia è talmente totale che nostro Signore ci dice che includerà fino “all’ultimo centesimo” (Mt. 5:26). Gli empi diranno invano ai monti e alle rocce: “Cadeteci addosso e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello” (Ap. 6:16). Ogni bambino abortito sarà lì ad accusare i genitori e i medici colpevoli.

Secondo, il Grande Giudice è anche il nostro Salvatore e Signore, del quale siamo membra mediante la sua espiazione. Di qui sgorga la magnifica promessa e pegno: “ E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte né cordoglio né grido né fatica, perché le cose di prima son passate. …Ecco, io faccio tutte le cose nuove” (Ap. 21:4-5). Questo è l’apice glorioso della legge pattizia di Dio.

Alcuni dicono con fare terrorizzato: “Come si può tornare indietro alla legge biblica?” La risposta è: Non ci siamo ancora mai arrivati con la sua giustizia e la sua libertà! La legge umanistica è l’antico dispotismo idolizzato daccapo. I suoi adulatori non mancano mai. Gli Stuart e prima di loro i Tudor hanno avuto i loro cori di lacchè che li lodavano come salvatori. Ben Johnson, nel suo “Irish Masque” scrisse di “selvaggi” irlandesi trasformati in civili cortigiani dal potere divino di Re Giacomo (un omosessuale). “Dalla presenza del re” disse Johnson, quel lacchè dei lacchè, perfino i “selvaggi” irlandesi “uscirono tutti creature nate di nuovo!” Per pazzie simili, consultate il vostro giornale quotidiano, la vostra televisione, la più vicina università, e gli statalisti di ogni dove. Le loro speranze di giustizia sono negli atti dello stato, e gli atti dello stato li stanno portando alla catastrofe. 

R. J. Rushdoony (Novembre, 1985) 


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