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La libertà di peccare

Parecchi anni fa un uomo mi fece una domanda retorica: “Cosa farebbe lei se fosse Dio?” e poi procedette a rispondere da sé. “Io so cosa farei”. Continuò dicendoci cosa  avrebbe fatto se fosse stato Dio, e la maggior parte degli uomini concordarono. Questa fu la sua conclusione: Poiché Dio NON gli aveva fatto queste cose così ovviamente buone, e si suppone che Dio debba essere tutto-bontà, Dio non esiste.

L’essenza di tutto ciò che disse era molto semplice: sentiva che un Dio buono non avrebbe permesso all’uomo di peccare, di commettere errori, di trattare ingiustamente se stesso ed altri, e così via. In breve, l’uomo non dovrebbe avere la libertà di peccare. Il Giardino d’Eden per lui non fu paradiso perché proprio al centro c’era un albero per tentare l’uomo e distruggerlo. Durante tutta la nostra vita, indipendentemente da quanto si sia bene intenzionati, indipendentemente da quanto si sia“buoni”, siamo preda di orribili conseguenze per semplici errori. Per quest’uomo la lotta per la sopravvivenza di Darwin e la sopravvivenza del più forte era come minimo un’accurata descrizione della vita e del mondo. Lo sforzo umano, egli credeva, dovrebbe essere volto ad eliminare i problemi che frustrano e sgambettano l’uomo per mezzo d’intelligente pianificazione sociale e controllo. Solo così l’uomo potrebbe creare quel mondo che il Dio della bibbia ha rifiutato di creare.

Al cuore dell’argomento di quest’uomo c’era il desiderio di assumere il ruolo di Dio e prevenire l’uomo dal peccare. Nel suo argomento era implicito che attraverso lo stato l’umanità dovrebbe sforzarsi di creare quella grande comunità mondiale che Dio aveva rifiutato di creare. Naturalmente, per lui il peccato non era il problema: erano e sono le orrende circostanze e l’ambiente sociale che l’uomo deve affrontare.

L’uomo umanistico ha cercato di salvare l’uomo e il mondo mediate le opere della legge statale. Ho discusso gli approcci usati nei numeri 161-163 del Chalcedon Report nel gennaio-marzo 1979. Come ho indicato allora, il primo passo fu la legge come mezzo di riforma, la salvezza dell’uomo e della società per mezzo della legge.  Un passo basilare di questo piano fu l’introduzione del sistema carcerario, dei riformatori nei quali gli uomini dovevano essere riformati e fatti diventare utili cittadini.

Il secondo passo furono la regolamentazione, leggi usate per controllare l’uomo in modo da rendere impossibile peccare. In tale ordine sociale, tutti gli uomini sono controllati da varie agenzie dello stato in modo da prevenire qualsiasi esplosione di malvagità. Le proibizioni furono un passo cruciale verso questo fine; un altro è il controllo delle armi. Agenzie regolatrici per vigilare capitale, lavoro, agricoltura, pratica medica, e tutte le altre sfere d’attività sono ora comuni tentativi di abolire il peccato.

La procedura del terzo passo è ora in attuazione, la legge come mezzo di redistribuzione, e l’Agenzia delle Entrate è importante verso questo obbiettivo. I “mali” dell’ineguaglianza nella ricchezza e nelle opportunità deve essere livellato, si sostiene, dalla compulsione della tassazione, dalla confisca e da varie altre forme legalizzate di esproprio. Lo stato ridistributivo vuole un mondo al di là del bene e del male, al di la della critica e del giudizio, un mondo di totale eguaglianza, fatta eccezione per le élite di governo.

Eliminando la libertà di peccare, lo stato moderno diventa progressivamente sempre più coercitivo, e brutalmente tale. L’Arcipelago Gulag è la conclusione logica di qualsiasi tentativo dell’uomo di fare il ruolo di dio e di eliminare la libertà di peccare. Alla radice, i nostri problemi politici e quelli correlati hanno la loro scaturigine nel desiderio dell’uomo d’avere un nuovo Giardino d’Eden senza qualsiasi possibile fonte di tentazione e di caduta. Molti dei problemi concernenti l’educazione dei figli che confrontano oggi i genitori hanno origine simile. I genitori vogliono risparmiare ai loro figli la necessità d’essere messi alla prova e valutati, che significa che i genitori credono nell’indulgenza, non nella vera libertà. La vera libertà necessità di rischi, prove e tentazioni. Ha bisogno della possibilità dl fallimento, ma rende anche possibile il successo. Un mondo liberato dai rischi, liberato dai fallimenti è un mondo destinato a morire.

Consideriamo questo problema un po’ più in profondità e facciamolo teologicamente. Primo, abbiamo visto la soluzione statalista; gli statalisti dicono: preveniamo la possibilità di peccare affinché abbondi la grazia. Ovviamente, la grazia intesa qui è la grazia umanistica, uno spirito benefico da parte di tutti gli uomini che creerà la grande comunità mondiale dei sogni dell’uomo. In tale fede, la grazia è un fattore puramente negativo; è l’assenza di qualsiasi opportunità di peccare. Produce una società illiberale, un cimitero. Se tale società potesse essere realizzata, l’uomo cesserebbe d’essere uomo. Non sorprende che qualche pensatore socialista abbia visto questo mondo ideale come paragonabile a un formicaio o un alveare. La consapevolezza personale scomparirà e, come per le formiche, tutti gli uomini subordinati saranno come le formiche operaie.

Lungo i secoli, una seconda risposta è scaturita ripetutamente da fonti eretiche. Paolo riassume questa posizione in Romani 6:1: “Che diremo dunque? Rimarremo nel peccato, affinché abbondi la grazia?”. L’antinomismo spesso flirta con questa malvagia dottrina. Poiché Dio è tutto amore e tutto grazia, si è sostenuto, il peccato attira l’amore pietoso, la grazia, la misericordia di Dio. Prima della Rivoluzione Russa, alcune sette in quella nazione esibì evidenze di tale credenza, come hanno fatto dei gruppi in altri luoghi lungo i secoli. Tutte tali visioni manifestano una dottrina di Dio meccanicistica, come se da Dio ci fossero delle reazioni automatiche a certe condizioni.

Né le immaginarie grandi comunità “non si pecca” degli states, né quelle manichee e alcune antinomiane che peccano deliberatamente possono produrre grazia: è sempre un dono di Dio, ed è grazia sovrana. Niente che l’uomo possa fare può produrre grazia. Però, la grazia nella vita dell’uomo produce fede e fedeltà, lo spirito d’obbedienza al Signore.

La legge dell’uomo cerca di creare un mondo libero da tentazioni nel quale l’uomo non possa peccare, e al suo posto crea invece l’inferno in terra. La legge dell’uomo ha per proprio scopo una grazia naturalistica prodotta con l’abolizione legalistica di tutte le possibilità di tentazione, prova, valutazione e fallimento, ma anziché produrre uomini della grazia produce mostri umani.

È piuttosto ovvio che l’uomo ha bisogno d’essere messo alla prova. Adamo aveva la libertà di peccare e di pagarne il prezzo. Anche noi abbiamo una libertà simile, e anche noi dobbiamo pagare un prezzo per tutti i nostri peccati.

William Blake, spesso fonte di ogni eresia, su un punto vide la questione chiaramente quando scrisse: “Io vidi il dito di Dio avanzare, dare un corpo alla falsità affinché potesse essere cacciata per sempre”. L’uomo è creato ad immagine di Dio, ma questo non fa di lui un dio. Gli da un potenziale molto grande per esercitare il domino sotto Dio, ma al contempo lo tenta di assumere la parte di Dio. Ad ogni modo, come disse Salomone: “L’Eterno ha fatto ogni cosa per se stesso, anche l’empio per il giorno della sventura (Pr. 16:4). Noi non apparteniamo a noi stessi, siamo stati comprati a prezzo, e dobbiamo perciò servire e glorificare Dio (1° Co. 6:19-20).

Ciò che il permesso che Dio ci ha dato di peccare significa per noi è che impariamo velocemente che non siamo dèi, e che “il salario del peccato è la morte” (Ro. 6:23). Noi ci ribelliamo contro questa cognizione, e possiamo sopprimerla, ma non siamo utilizzabili dal Signore fino a che, per sua grazia, accettiamo il fatto di ciò che siamo e di ciò che dobbiamo diventare in Cristo.

Ero un giovane quando lessi per la prima volta una riga da una porzione conclusiva del poema di James Russel Lowell “Under the Willows”. Lowell parlava degli uomini come “Noi che solo per naufragio troviamo le spiagge della sapienza divina”. Aveva ragione. Non sono le nostre opere, né la nostra giustizia autonoma che ci salvano. Dio ci fa fare naufragio per renderci pronti per la sua grazia.

Noi viviamo ora in un’epoca di giudizio che si abbatterà presto su di noi. La Scrittura rende chiaro che giudizio e salvezza vanno assieme; la croce è l’esempio supremo della loro coincidenza. È il simbolo del giudizio di Dio su di noi, e della sua grazia verso la salvezza. Senza giudizio non avremmo speranza. Il mondo procederebbe allora sistematicamente verso l’inferno.

La libertà di peccare in Eden, e nel mondo, è il proposito di Dio. Mediante i nostri peccati, sappiamo di essere solo uomini, per quanto orgogliosi e arrabbiati del nostro peccare. Per la sua grazia, sappiamo di essere sue creature, chiamati ad essere i suoi uomini di dominio, sacerdoti, profeti e re e nel suo regno sempiterno.

Una canzone popolare medievale ringraziava Di per la caduta di Adamo, concludendo così:

Benedetto sia il momento che la mela fu colta!
Cosicché possiamo noi cantare: Deo Gratias”

R. J. Rushdoony   (settembre, 1986)


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