Il regno mondiale di Cristo

40: Imitatore del Cristo

Atti 21:1-23:35

L’azione di Paolo qui sembra molto calcolata. Insieme ad altri prese i voti di Nazireo; fece appello alla sua cittadinanza romana per evitare la flagellazione e gettò in mezzo al Sinedrio la questione della resurrezione dai morti come principale oggetto di contenzione tra i Farisei e i Sadducei. Tuttavia, dobbiamo tenere a mente che Paolo, spinto dallo Spirito, era pronto a soffrire il carcere e perfino la morte per il vangelo. Per quanto lo supplicassero non si trattenne dal fare il suo viaggio a Gerusalemme. Perché Paolo era così ansioso di incontrare i fratelli di Gerusalemme e di celebrare con loro la Pentecoste? Non per una divisione tra la chiesa di Gerusalemme e quelle dei Gentili. Nelle sue lettere Paolo si gloria nel grande mistero che nelle epoche precedenti era stato tenuto nascosto, ovvero che Cristo aveva rimosso l’ostilità tra Giudei e Gentili. Cristo aveva fatto dei due un corpo solo. Per questa unità Paolo era pronto ad offrire se stesso in sacrificio. In questo aspetto Paolo fu un imitatore di Cristo.

Il fatto che Paolo e altri quattro abbiano fatto un temporaneo voto Nazireo non era in conflitto col suo atteggiamento verso il cerimoniale o la sua lettera ai Galati. Paolo contrastava con decisione i tentativi di imporre la legge cerimoniale ai Gentili e di considerarla necessaria per la salvezza. Sarebbe stato un diniego della completa sufficienza di Cristo. Ma i credenti giudei potevano osservare essi stessi la legge purché non obbligassero i Gentili a farlo. Quella fu la posizione di Paolo anche nella lettera ai Romani. Pertanto, in quanto credente giudeo, poteva seguire uno dei precetti della legge a patto che tale osservanza non disturbasse l’unità tra credenti Giudei e Gentili. Questa è la ragione per cui resistette Pietro ad Antiochia quando quest’ultimo spezzò quella comunione non mangiando al tavolo coi credenti Gentili. Paolo fece questo voto a Gerusalemme per poter promuovere l’unità tra credenti Giudei e Gentili.

Paolo non fu disonesto nel promuovere la discordia nel Sinedrio sollevando la questione della resurrezione. In effetti, la questione per lui era la resurrezione dai morti connessa alla resurrezione di Cristo. Su questo punto i Farisei si attenevano alla lettera alle Scritture. Il fatto che la fede nella resurrezione significasse per Paolo una cosa diversa da quella dei Farisei era pecca dei Farisei non di Paolo. La fede, come Paolo la comprendeva, era fede in accordo con le Scritture.

          Concetto principale: Per fede siamo imitatori di Cristo.

          Pronto alla prigione e alla morte. Dopo che Paolo e i suoi ebbero salutato gli anziani di Efeso sulla spiaggia di Mileto, salirono sulla nave. In questo viaggio andò tutto bene. Arrivarono a Tiro, dove la nave doveva  scaricare il proprio carico, molto prima di Pentecoste. Durante il soggiorno lì di sette giorni Paolo dimorò con dei discepoli. A questi credenti lo Spirito santo rivelò che Paolo sarebbe presto stato imprigionato. Lo implorarono di non andare a Gerusalemme. La tentazione di disobbedire lo Spirito diventava sempre più forte. Tuttavia, Paolo rimase fedele. Alla fine del suo soggiorno lì i fratelli lo congedarono con preghiere.

Ci fu un’altra sosta di diversi giorni a Cesarea dove Paolo fu ospitato nella casa di Filippo l’evangelista che aveva conosciuto in precedenza. Quest’uomo aveva quattro figlie con doni profetici. Mentre Paolo e i suoi compagni di trovavano lì scese dalla Giudea un profeta di nome Agabo. Spinto dallo Spirito santo, costui prese la cintura di Paolo e simbolicamente si legò con essa mani e piedi. Poi profetizzò che a Gerusalemme Paolo sarebbe stato legato in quel modo e consegnato ai Gentili. Ciò fece una grande impressione non solo sui credenti di Cesarea ma anche sui compagni di viaggio di Paolo. Insieme lo implorarono di non andare a Gerusalemme. Paolo li rimproverò per il tentativo di indebolire la sua risoluzione. Dichiarò di essere pronto non solo ad essere imprigionato ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore.

Cos’era che costringeva Paolo ad andare a Gerusalemme e perché avrebbe sacrificato qualsiasi cosa per arrivarci? Era imperativo che il legame tra le chiese Gentili e quella giudaica rimanesse intatto e che fosse evitata una estraniazione tra i credenti Giudei e quelli gentili. Cristo aveva dato la sua vita per fare dei credenti Giudei e Gentili un solo popolo. La vita di Paolo era stata una continua lotta per stabilire quell’unione e si sentì costretto perfino a sacrificare la propria vita per essa. In questa maniera doveva essere un imitatore del Signore Gesù. Anche noi dobbiamo essere disposti a dare la nostra vita per servire nell’opera per la quale Cristo è venuto in terra.

Quando videro che Paolo non si era fatto dissuadere i suoi amici si rassegnarono alla sua decisione dicendo: “Sia fatta la volontà del Signore.” Così andarono a Gerusalemme. Alcuni dei discepoli di Cesarea andarono insieme per presentare Paolo a un certo Mnasone di Cipro, un anziano discepolo con cui Paolo avrebbe dimorato. Siccome Mnasone aveva vissuto tra i Gentili, comprendeva l’opera di Paolo meglio dei fratelli che non erano mai stati fuori di Gerusalemme.

          Il voto. I discepoli a Gerusalemme ricevettero Paolo con gioia. Il giorno seguente ci fu un incontro in casa di Giacomo, il fratello del Signore, che aveva la guida della chiesa. Tutti gli anziani erano presenti. Paolo raccontò una per una le cose che Dio aveva fatto tra i Gentili. Quando udirono il suo resoconto, i loro cuori traboccarono di rendimento di grazie ed essi glorificarono Dio.

Una difficoltà però c’era. Migliaia di Giudei a Gerusalemme e in Giudea erano giunti alla fede. Tutti questi si attenevano fermamente alla legge di Mosè. Anche Giacomo lo faceva, guadagnandosi il titolo de “il Giusto”. Tuttavia, ora era circolata la storia che Paolo consigliasse i Giudei in tutto il mondo di non circoncidere i loro figli e di non osservare la legge cerimoniale. Questa storia non era accurata perché Paolo predicava solamente che l’osservanza della legge non era necessaria per la salvezza e che perciò i Gentili non dovevano essere costretti ad osservarla. Lo aveva dichiarato nel modo più enfatico in modo che la questione della legge di Mosè non ponesse un cuneo tra i credenti Giudei e Gentili distruggendo l’unità della fede. Ad ogni modo Paolo non aveva alcuna obiezione a che i credenti Giudei osservassero individualmente la legge. Di per sé,osservare la legge era un simbolo di ciò che Cristo significava per loro. Osservare la legge poteva solo confermarli nella loro fede in Cristo.

Però, questa calunnia doveva essere stroncata sul nascere. La fratellanza suggerì che Paolo si unisse a dei fratelli che avevano fatto un voto di nazireato. Questi uomini avevano giurato di lasciarsi crescere i capelli come segno di devozione al Signore e di non mangiare niente che provenisse dalla vigna come segno che volevano essere mossi solo dallo Spirito santo. Se Paolo avesse fatto il voto con loro e oltre a ciò avesse accondisceso a pagare per tutti e cinque le spesa per la loro purificazione e i sacrifici a fine settimana, avrebbe dimostrato la sua alta considerazione del nazireato e pertanto della legge di Mosè. Ciò non avrebbe fatto sembrare che osservare la legge di Mosè fosse essenziale per la salvezza perché in precedenza i Gentili erano stati informati che non sarebbe stato loro richiesto nulla eccetto che si astenessero dall’idolatria, dall’immoralità e dal consumare il sangue.

Paolo accettò il loro suggerimento ansioso di promuovere l’unità tra credenti Giudei e Gentili. Prese il voto con gioia per eliminare ogni malinteso e di contraddire la calunnia. Aveva una grande stima del nazireato perché il vero compimento del voto era possibile solo per fede in Gesù Cristo che aveva dedicato se stesso a essere condotto solamente dallo Spirito santo. L’opera di Cristo era stata pure un compimento del nazireato. In quella fede Giudei e Gentili avrebbero dovuto essere uniti.

          Catene per amore di Cristo. In accordo con questa comune decisione Paolo prese il voto. Andò nel tempio con gli altri quattro fratelli a informare il sacerdote di quando sarebbero stati completati i giorni della loro purificazione e per rimanervi finché fossero stati offerti i sacrifici per loro.

Verso fine settimana Paolo fu riconosciuto nel tempio da diversi Giudei dell’Asia Minore. Lo presero e chiamarono rinforzi. Si lamentarono che Paolo insegnava agli uomini di rigettare la legge e il servizio del tempio. In più, lo accusarono di aver introdotto dei Greci nel cortile anteriore del tempio, un luogo riservato ai Giudei, e con ciò d’aver profanato il tempio. Sembra che precedentemente  lo avessero visto a Gerusalemme in compagnia di Greci provenienti da Efeso e avessero desunto che li avesse introdotti nel tempio.

Le loro grida sollevarono tutta la città e la gente si raccolse presso il tempio. Trascinarono Paolo fuori dal tempio con l’intenzione di ucciderlo. Le porte del tempio furono subito serrate perché qualsiasi disordine era proibito in quel luogo sacro. Improvvisamente comparve sulle strade il comandante della guarnigione romana coi suoi uomini. Era già stato avvertito del tumulto e temeva una sollevazione popolare. Decise di intervenire immediatamente. Quando la gente lo vide smise di battere Paolo. Egli lo prese in custodia, lo legò con catene e chiese alla gente cosa avesse fatto. Non ne capì niente perché la folla cominciò a gridare cose incoerenti. Di conseguenza fece condurre Paolo nella fortezza, ma siccome la folla inferocita voleva farla finita con Paolo, dovette farvelo portare di peso dai soldati per la sua protezione.

Prima di entrare nella fortezza Paolo chiese permesso, in greco, di parlare alla gente.  Ciò sconvolse il comandante che pensava che Paolo fosse lo stesso Egiziano che proprio di recente aveva causato una sollevazione in Gerusalemme. Quando Paolo gli ebbe detto di essere un Giudeo nato a Tarso, il comandante gli diede il permesso di parlare alla folla. Ora incatenato, procedette a testimoniare di Cristo davanti alla gente di Gerusalemme.

          Apostolo per volontà di Dio. (Vedi 2 Corinzi 1:1, Efesini 1:1; Colossesi 1:1; 2 Timoteo 1:1.) Quando Paolo, in piedi sui gradini, fece cenno con la mano, la folla si zittì, ancor di più quando cominciò a parlare loro in ebraico che non era la lingua comune in Palestina. (Era l’aramaico). Volle sottolineare che non si era designato da solo a proclamare il vangelo ma che il Signore lo aveva chiamato a questo compito. Non aveva fatto altro che ottemperare obbedientemente.

Per spiegarsi bene raccontò loro della sua passata lealtà ai Farisei e della sua istruzione secondo le regole più rigide ricevuta nella scuola di Gamaliele. Aveva perfino perseguitato in credenti a Gerusalemme e aveva ottenuto lettere di raccomandazione dal precedente sommo sacerdote per gli anziani delle sinagoghe di Damasco per estirpare la fede nel Signore Gesù Cristo. Raccontò poi cosa gli era accaduto sulla via di Damasco e successivamente. Il Signore lo aveva vinto affinché potesse conoscere Cristo quale compimento della legge e di conseguenza testimoniare di Lui a tutti gli uomini. Perciò era stato battezzato.

Più tardi, a Gerusalemme, aveva visto il Signore Gesù in una visione. Il Signore gli aveva ordinato di lasciare velocemente la città perché la gente lì non avrebbe accettato la sua testimonianza. Egli non avrebbe voluto andarsene e aveva cercato di assicurare il Signore che la gente lì avrebbe sicuramente accettato la sua testimonianza visto che un tempo lui aveva perseguitato la chiesa. Ma nonostante le sue proteste il Signore lo aveva mandato ai Gentili.

Paolo voleva provare che non era stato per mancanza d’amore verso il proprio popolo che era andato ai Gentili. Informò la folla che il Signore aveva predetto che non gli avrebbero dato ascolto e non si sarebbero pentiti.

Purtroppo queste parole toccarono il tasto sbagliato. La folla non lo lasciò finire: si tolsero le vesti in disgusto, gettarono polvere in aria e gridarono: “Togli dal mondo un tale uomo, perché non è degno di vivere!”. Ma la Parola profetica del Signore fu adempiuta per mezzo della loro incredulità.

          Il processo davanti al Sinedrio. Come risultato di questa mania di persecuzione del popolo, Paolo rimase in catene. Era mediante la sofferenza che avrebbe seguito il suo Signore. Essendo l’incidente finito in quel modo, il comandante militare non ne capì molto. Ordinò che Paolo fosse interrogato a colpi di flagelli. Quando un centurione si apprestò ad eseguire l’ordine, Paolo chiese se fosse lecito flagellare un cittadino romano. Il centurione riportò questa informazione al suo superiore che ne rimase sconvolto. Non sapeva che Paolo fosse un cittadino romano benché avesse saputo che era nato a Tarso. La cittadinanza romana era un privilegio concesso a tutti i cittadini di Tarso. Di fatto, Paolo era tecnicamente superiore al comandante militare che la cittadinanza l’aveva acquistata. La flagellazione fu cancellata; il comandante rimase preoccupato perché aveva tenuto in catene un cittadino romano.

Questa volta fu appropriato per Paolo appellarsi alla sua cittadinanza romana. Il Signore Gesù Cristo aveva abolito l’inimicizia fra le nazioni, quindi anche fra Giudei e Romani. Non era necessario che un credente rifiutasse i  privilegi della propria cittadinanza romana perché ogni cosa al mondo era stata santificata da Cristo. Aveva ripristinato la comunità delle nazioni.

Il giorno seguente il comandante indisse una sessione del Sinedrio. In sé questa fu un’umiliazione per questo massimo organo politico/religioso. Poi introdusse Paolo nel Consiglio dopo aver rimosso le sue catene. In un certo senso Paolo stette davanti al Sinedrio da uomo libero. Il comandante voleva sentire le due versioni della storia per poter finalmente capire perché i Giudei ce l’avessero con Paolo.

Senza cerimonie o lusinghe introduttive Paolo cominciò a rivolgersi al Sinedrio. Li chiamò: “Fratelli” e disse che aveva sempre agito in buona coscienza davanti a Dio. Questo fece molto adirare il sommo sacerdote che era già agitato per l’umiliazione inflitta al Sinedrio, talché ordinò che Paolo fosse colpito sulla bocca. A sua volta adirato per questa ingiustizia Paolo protestò: “Dio percuoterà te, muro imbiancato. Tu siedi per giudicarmi secondo la legge e, violando la legge, ordini che io sia percosso”. Paolo non sapeva che l’ordine era stato dato dal sommo sacerdote. Quando ne fu reso edotto fece ammenda ricordando le parole della Scrittura: “Tu non dirai male del principe del tuo popolo” (Esodo 22:28). Paolo era giustificato nell’opporsi all’ingiustizia, come anche il Signore aveva fatto quando colpito, ma l’autorità del governo doveva venire onorata.

Col Sinedrio di questo umore era impossibile avere un processo ordinato. A Paolo non sarebbe nemmeno stata data un’opportunità di testimoniare di Cristo. Perciò, siccome desiderava dimostrare quanto la nazione fosse divisa contro se stessa come risultato della rivelazione della Scrittura, disse di essere sotto processo per la speranza della resurrezione dei morti. I farisei credevano la resurrezione mentre i Sadducei la rigettavano. Tra i membri del Sinedrio non c’era unità di vedute nemmeno riguardo alla rivelazione di Dio. E nel processo di Paolo, la questione era proprio la benedetta resurrezione dei credenti che, dopo tutto, è il frutto della resurrezione di Cristo. C’era veramente una vittoria sulla morte e una restituzione della vita in comunione con Dio?

L’identificazione della questione da parte di Paolo causò un serio disaccordo nel Sinedrio. I farisei dissero di non trovare colpa in lui concedendo che fosse interamente possibile che uno spirito o un angelo avesse parlato con Paolo. Ma i sadducei volevano la pelle di Paolo. La disputa divenne talmente violenta che il comandante temette che si sarebbero fatti a pezzi l’un l’altro: fece togliere velocemente Paolo dall’incontro.

La notte seguente il Signore di rivelò a Paolo. Gli stette vicino e gli disse: “Paolo, coraggio, perché come tu hai reso testimonianza di me in Gerusalemme, cosí bisogna che tu la renda anche a Roma.” Che conforto deve essere stato per Paolo! Sebbene il suo discorso al popolo fosse stato interrotto e la sua arringa al Sinedrio tagliata, Paolo aveva tentato di testimoniare di Gesù. C’era stata una testimonianza fatta nel suo nome e Gerusalemme ora era in fermento a causa del vangelo. Per Paolo significava che ora poteva andare a Roma anche se non sapeva ancora come.

          Salvato da morte. Il giorno seguente alcuni Giudei giurarono di non mangiare né bere finché non avessero ucciso Paolo. Più di quaranta persone erano implicate in questo complotto e concordarono col Sinedrio di chiedere al comandante di riportare Paolo al loro tribunale. Lungo la via lo avrebbero ucciso.

la notizia di questa cospirazione trapelò. Un nipote di Paolo avvertì lui e il comandante. Il comandante mandò segretamente Paolo via da Gerusalemme scortato da quasi cinquecento soldati. Paolo fu portato a Cesarea, la sede del governatore romano Felice. Il comandante, Claudio Lisia, spiegò a Felice in una lettera i motivi per cui gli aveva mandato Paolo.

Che il complotto fosse trapelato era stata opera del Signore; in questo modo Paolo fu salvato dalla morte. Il mandato che Paolo aveva di proclamare il vangelo non era ancora giunto al termine.


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