19: L’offerta d’amore

Giovanni 19:17-42

Giovanni descrive alcuni eventi che non sono stati menzionati negli altri vangeli. In questo capitolo tratteremo solo con questi eventi. Sullo sfondo qui c’è il sacrificio che Cristo ha fatto in amore.

Giovanni non tratta di proposito con la sofferenza più atroce. Il suo essere abbandonato da Dio. Menziona, però, che Cristo, prima di dichiarare “È compiuto”, disse anche “Ho sete”. La sua sete ci dà qualche comprensione della sofferenza che aveva già sopportato. Non aveva menzionato la sua sete in precedenza: l’aveva semplicemente subita volontariamente. La sua sete simboleggiò la sua sete spirituale per la comunione col Padre e con altri esseri umani, una comunione che gli fu negata.

          Concetto principale: Cristo porta la sua offerta d’amore.

          Tirare i dadi per la sua tunica. Quando i soldati ebbero condotto Gesù sul Golgotha lo crocifissero tra due assassini. Pilato aveva ordinato che  sopra il suo capo ci fosse un’iscrizione che diceva: “Gesù di Nazareth, il re dei Giudei”. Con questa insegna Pilato beffò i Giudei e si vendicò di loro che gli avevano forzato la mano per questa condanna.

I soldati divisero gli indumenti di Gesù in quattro parti proprio davanti ai suoi occhi. Con lui avevano già finito e potevano procedere col dividersi le sue cose. Tuttavia, la sua tunica era qualcosa di speciale, un indumento tessuto in un sol pezzo senza cuciture. Era stato il dono d’amore di qualcuno per onorare Gesù. I soldati non vollero dividerlo perciò se lo giocarono a dadi. Anche questo era stato predetto nelle Scritture (Salmo 22:18).

Gesù arrese volontariamente questo dono d’amore per guadagnare per il proprio popolo il diritto di amare Lui e, per mezzo di Lui amare anche Dio. Per mezzo della sua morte molti sarebbero venuti a onorarlo col dono del loro amore.

          Cara donna, ecco tuo figlio; figlio, ecco tua madre! Diverse donne stavano presso la croce, tra loro Maria la madre di Gesù. Anche il suo discepolo Giovanni era lì vicino. Erano sopraffatti dal dolore per la crocifissione. Gesù soffrì ancor di più per la loro sofferenza, specialmente per quella di sua madre (Isaia 53:4). Egli conosce la nostra sofferenza nella carne.

In aggiunta, ora doveva porre fine a questa relazione personale  durata trentatré anni della sua vita. In seguito alla sua vittoria sarebbe andato ad un’altra vita.  Vero che che quella vita aveva le proprie relazioni di natura più sublime ma Lui sarebbe stato conosciuto primariamente come Capo del suo popolo; il legame personale con Maria non sarebbe più esistito. Non sarebbe più stata sua madre ma semplicemente una delle persone che erano state benedette mediante il suo sacrificio, una che avrebbe avuto la propria collocazione tra le persone che lui aveva acquistato col proprio sangue. Perciò dovette dire addio a Maria come propria madre. Si rese conto degli effetti che questo taglio della relazione madre-figlio avrebbe avuto su di lei perché ella non era ancora capace di vedere l’ordine più alto di relazione che il suo sacrificio avrebbe portato. E Gesù soffrì di questa situazione perché lui era ancora lungi dal godere questa relazione più eccelsa. Per il momento si sentiva solamente lasciato solo e abbandonato.

Ma anche mentre la salutava provvide conforto per sua madre. Le diede Giovanni per figlio, come uno che avrebbe preso il suo posto nel prendersi cura di lei e designò Maria come madre di Giovanni; era nata una nuova relazione, una che fu tenuta cara da ambedue come evidenza dell’amore di Cristo per loro. Eppure, nel farlo il Signore Gesù sacrificò qualcosa di immenso valore. Ora entrò in una solitudine ancor più grande. Però si guadagnò il diritto di stabilire queste relazioni spirituali più eccelse, spirituali, eterne.

Mentre siamo sulla terra noi sperimentiamo sempre il taglio di relazioni. Tuttavia, se questi legami sono santificati dall’amore di Gesù l’inevitabile rottura non è permanente. Al contrario, le relazioni che abbiamo sulla terra sono trasformate in relazioni di ordine superiore.

          Ho sete. Gesù patì sulla croce per ore. Non non saremo mai in grado di comprendere pienamente cosa soffrì. Tanto Dio che l’uomo gli si voltarono contro. Sperimentò l’inferno dell’abbandono. La sua sofferenza corporale contribuì a questo fatto: il dolore lancinante lo rese consapevole che tutti, specialmente Dio, gli avevano voltato le spalle. Quella, per Lui, era una realtà dolorosa. Una sete insopportabile si aggiunse ai suoi patimenti. Da quanto tempo non beveva qualcosa! La sua sete andò ad aggiungersi a tutta l’agonia che aveva sperimentato dal suo arresto in poi, dalle efferate battiture all’esposizione al sole crudele. E non c’era sollievo, neanche un bicchiere d’acqua per spegnere la sua sete, non una singola parola da Dio per alleviare il terrore che aveva. Più di quanto la sua gola secca bramasse l’acqua, la sua anima aveva sete di comunione con Dio. Ma ambedue gli furono negate.

Eppure soffrì volentieri. Se noi abbiamo acqua in abbondanza è perché lui soffrì la sete. E il conforto che abbiamo nella comunione con Dio lo dobbiamo a Lui che ottenne quella comunione per noi. D’altro canto, se qui sulla terra ci manca qualche cosa, non dovremmo dire che ciò che vogliamo maggiormente è godere la vita. Gesù rinunciò volontariamente a ogni piacere per poter ottenere per noi la comunione con Dio. Quella comunione, perciò, deve essere il punto focale della nostra vita. Infatti, qualsiasi altra cosa desideri darci qui sulla terra oltre la comunione con Dio, dobbiamo aspettarla dal Signore e con gratitudine ricevere qualsiasi cosa ci voglia dare. Un  giorno i nostri desideri santificati saranno soddisfatti alla perfezione.

Un soldato intinse una spugna in un vaso pieno d’aceto, infilatala su un ramo d’issopo, la spinse fino alle labbra di Gesù. Gesù accettò perché sapeva che la sua sofferenza più terribile, essere abbandonato da Dio, era terminata. La battaglia era stata combattuta e il sacrificio era stato fatto. Non aveva amato se stesso più di quanto aveva amato Dio ma si era donato per riguadagnare il mondo a Dio. Ecco perché ora disse: “È compiuto”.

Tutto quanto era necessario per la redenzione del mondo e della razza umana ora era stato compiuto. Non ci è richiesto che diamo un nostro contributo, per esempio opere buone. Il suo amore fu perfetto e altrettanto la sua offerta d’amore. Tutti i suoi sono salvati completamente da quel sacrificio.

Dopo di ciò “rese lo spirito” e arrese la sua offerta d’amore a Dio a completo pagamento dei nostri peccati. Così comprò la nostra libertà.

          Non gli sarà spezzato alcun  osso. Era già il pomeriggio del venerdì. Al tramonto sarebbe cominciato il sabato. In più, questo era un sabato speciale perché era Pasqua. Dei criminali condannati, considerati maledetti, non potevano essere lasciati appesi alla croce fino a sera perché in quell’evenienza la terra (il paese) sarebbe stata contaminata. Perciò i Giudei chiesero a Pilato che i tre crocefissi venissero uccisi e seppelliti. Pilato acconsentì.

Di regola, i criminali che erano stati crocefissi venivano uccisi spezzando loro le gambe e trafiggendo il loro cuore. La rottura delle gambe era una ulteriore tortura. Questa procedura fu seguita per i due ladroni ma il Signore Gesù era già morto.

Per averne l’assoluta certezza uno dei soldati infilò la lancia nel suo costato e gli trafisse il cuore facendo uscire un rigurgito di sangue e di acqua. Dio lo aveva decretato intenzionalmente. Fece in modo che Giovanni, un testimone oculare, lo mettesse per iscritto per noi nel suo vangelo, talché nessuno potesse dubitare che il Signore Gesù fosse veramente morto. Gesù aveva suggellato la sua offerta d’amore con la propria morte.

Gli fu anche risparmiata la rottura delle gambe e il suo corpo fu disteso nella tomba integro. Anche questo fu il compimento di una profezia. Dell’agnello che veniva mangiato a Pasqua non doveva essere rotto alcun osso; l’agnello veniva servito intero. Per mezzo di questo segno il Signore promise che il suo popolo sarebbe stato salvato tutto intero. Sarebbe stato restaurato in un unico pezzo. Il corpo integro del Signore Gesù ci profetizzò che il suo corpo spirituale, ovvero il suo popolo, rimarrà integro e un giorno sarà restaurato a unità. Ci aspettiamo che questa profezia sarà compiuta nella gloria.

Che il suo costato sia stato trafitto richiama anche un altro verso delle Scritture: “ed essi guarderanno a me, a colui che hanno trafitto” (Zaccaria 12:10). Anche quella promessa sarà compiuta. I credenti di ogni epoca hanno ammesso di essere loro quelli che lo hanno mandato a morte Gesù. Quelli che non credono dovranno anch’essi fare i conti con lui che, nella loro inimicizia, hanno perseguitato e ucciso.

          La sua sepoltura. Giuseppe d’Arimatea ricevette da Pilato il permesso di seppellire il corpo di Gesù in accordo col diritto della famiglia. Ai ladroni fu probabilmente data una sepoltura semplice in una fossa comune, ma Dio concesse al Signore  Gesù una sepoltura che profetizzava di cose a venire.

Giuseppe d’Arimatea era un discepolo di Gesù. Però, poiché temeva i Giudei non lo aveva mai ammesso apertamente. Ora con questa azione lo confessò pubblicamente perché il corpo di Gesù fu deposto nella sua tomba di famiglia che si trovava nelle vicinanze. Si presentò inoltre un altro discepolo segreto di Gesù, Nicodemo, un membro del sinedrio. Egli portò una mistura di mirra e aloe, dichiarando così apertamente il proprio amore.

Sarebbe stato facile per queste persone prominenti rimanere nascoste in questo momento. Non c’era più alcun motivo per negare alcunché.  E invece, proprio in questo momento, si resero apertamente manifesti, più velocemente del resto dei discepoli.  L’amore di Gesù fu la causa di queste professioni di fede. Il suo amore li spinse a testimoniare pubblicamente. Questa era per certo prova che la sua vita non era terminata. Nel cuore dei suoi Gesù non era stato seppellito: in loro il suo amore era vivo. Con la sua sepoltura  ottenne il diritto di dimorare nei cuori di quelli del suo popolo per sempre.


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