39: La via del Signore

Atti 18:23-20-38

In questa sezione abbiamo incontrato più di una volta l’espressione “la via del Signore” o semplicemente “la via”. Non si tratta tanto della via di Dio a noi o della nostra via a lui ma è la via che Dio ha aperto davanti a noi nella vita, la via nella quale possiamo camminare con lui, la via in cui possiamo avere comunione con lui nella relazione del suo patto. Come Israele camminò attraverso il deserto col Signore che andava davanti a loro, così noi  camminiamo nella via del Signore.

I discepoli di Giovanni Battista che conoscevano solo il suo battesimo non conoscevano quella via a sufficienza. Questi discepoli di Giovanni non devono essere confusi con i primi discepoli del battista. Giovanni aveva sempre indicato via da sé; il battesimo di Giovanni era stato adottato da Cristo. Pertanto se, dopo la sua morte, alcuni mantenevano il suo battesimo per onorare lui non lo stavano onorando realmente quale araldo di Cristo. Peggio ancora, si stavano opponendo all’eclissi di Giovanni da parte di Cristo. Pertanto, il battesimo esercitato da questi seguaci di Giovanni non era veramente un battesimo cristiano. È mediante lo Spirito santo che l’uomo cammina nella via ed ha piena comunione col Signore. Mediante quello stesso Spirito ci è aperta la pienezza della vita. Non possiamo rimanere distaccati, come facevano i discepoli di Giovanni, perché il nostro interesse è per la santificazione di tutti gli aspetti della vita. Ecco perché la preoccupazione di Paolo era per tutto Israele e per il mondo intero, Roma inclusa! Che in questo passo incontriamo ripetutamente l’espressione “la via del Signore” è collegato al fatto che in questo periodo Paolo era impegnato in una lotta per l’intera sinagoga a Efeso mentre contemporaneamente bramava andare a Roma (19:31). Solo quando non fu più possibile conquistare l’intera sinagoga Paolo in Efeso separò la chiesa da essa.

          Concetto principale: La rivelazione della via del Signore nel mondo.

          La via del Signore e Apollo. Ad Antiochia Paolo non riuscì a riposare per molto tempo. Pensava alla sua promessa ai Giudei di Efeso e il suo cuore bramava riprendere il suo lavoro lì. Perciò presto partì per un altro viaggio.

Nel frattempo ad Efeso Priscilla e Aquila non erano rimasti con le mani in mano. In città era arrivato un Giudeo di nome Apollo, un nativo di Alessandria, una città che aveva una corposa colonia giudaica impegnata in studi sul Vecchio Testamento. E infatti, Apollo si dimostrò ben versato nelle Scritture. Aveva anche udito e creduto il vangelo del Signore Gesù Cristo. Sapeva anche del battesimo di Giovanni battista. Ciò che non sapeva era che il battesimo di Giovanni era stato adottato dal Signore Gesù e che il significato del battesimo di Giovanni era stato pienamente realizzato solo nello spargimento dello Spirito santo e nei doni speciali che lo accompagnavano. Non aveva compreso che ora Cristo, mediante lo Spirito santo, intendeva stabilire il suo regno sovrano su tutte le nazioni. Sapeva solo di una salvezza per Israele, proprio come Giovanni era stato istruito a battezzare solo Israele. Dell’intero significato della Pentecoste non aveva mai sentito parlare.

Questo Apollo era un oratore eloquente e molto entusiasta di spirito. Quando arrivò ad Efeso cominciò a parlare di Gesù Cristo nella sinagoga senza sapere nulla di Paolo. Aquila e Priscilla, che frequentavano ancora i servizi nella sinagoga di Efeso perché questa non aveva ancora preso una decisione per o contro il Cristo, lo udirono parlare. Che meraviglioso testimone per il Signore Gesù era questo Apollo! Ma che lacuna c’era ancora nella sua conoscenza! Così quei due lo portarono a casa loro e gli dissero tutto quello che avevano imparato da Paolo. Ampie prospettive si aprirono per lui. Vide che non solo c’era comunione fra Dio e Israele e un camminare insieme del Signore con quel popolo nellala via che attraversa la vita ma che il patto del Signore ora era per tutte le nazioni. Ora vide non solo il battesimo di Giovanni, ma come quel battesimo fosse stato completamente adempiuto nel battesimo con lo Spirito santo. Così, dall’essere un insegnante nella sinagoga, Apollo divenne un alunno di semplici credenti come Aquila e Priscilla.

Il ruolo di Apollo, comunque, non finì lì. Stava facendo progetti per andare in Grecia. Aquila e Priscilla, e quei di Efeso che avevano già preso una decisione definitiva per il Signore Gesù lo informarono che in Grecia i credenti erano stati costretti a rompere con la sinagoga. Lì si sarebbe scontrato con l’odio dei Giudei. Lo esortarono dunque a rimanere fedele al vangelo e gli diedero una lettera di accredito per i credenti di quei luoghi. Apollo contraddiceva i giudei in pubblici dibattiti provando dalle Scritture che Gesù era il Messia. Come risultato del suo lavoro molti giunsero a credere. Apollo era pervenuto alla comprensione del significato della Pentecoste e della via del Signore con tutte le nazioni.

          La via del Signore e il battesimo di Giovanni. Dopo che Apollo aveva lasciato Efeso vi giunse Paolo. Le persone con cui venne in contatto erano alcuni credenti che mantenevano la stessa posizione sostenuta in precedenza da Apollo. Forse erano perfino stati influenzati da Apollo. Non sapevano nulla del battesimo con lo Spirito santo. Paolo non amava le mezze misure. Sapeva che erano ignoranti della chiamata che, dal giorno di Pentecoste, era stata estesa a tutte le nazioni. Sostenevano ancora la posizione nazionalista giudaica. Perciò, a bruciapelo, chiese loro se avessero ricevuto lo Spirito santo quando erano giunti alla fede. La loro ignoranza si manifestò immediatamente quando risposero: “Non abbiamo neppure udito che vi sia uno Spirito santo”. L’intera rivelazione dello Spirito santo che nel giorno di Pentecoste era sceso a dimorare nella sua chiesa, quanto quei doni dello Spirito santo per mezzo dei quali aveva provato che il muro che separava Israele dalle altre nazioni era stato rimosso, tutto questo era loro sconosciuto.

Esterrefatto, Paolo chiese loro in cosa fossero stati battezzati. Il battesimo, come segno dell’innesto nella sua chiesa, non portava con sé la piena partecipazione dei doni dello Spirito santo? La loro risposta fu: “Siamo stati battezzati col battesimo di Giovanni”. Allora Paolo spiegò loro che il battesimo di Giovanni era stato il battesimo di pentimento, il segno e suggello della conversione alla grazia del Signore, che era comparsa in tutta la sua pienezza nel Signore Gesù Cristo e a risultato della quale era stato effuso lo Spirito santo. Il battesimo di Giovanni era stato adottato da Cristo e fatto diventare un battesimo per tutte le nazioni. Se la gente voleva voleva ancora tenersi stretta al battesimo di Giovanni, come nella tradizione nazionalista giudaica, quel battesimo non era genuino. Quella gente a Efeso non aveva conoscenza di tutte le cose che erano successe a Pentecoste e dopo. Quelli che li avevano istruiti in quel modo erano probabilmente persone che si opponevano all’avanzata del vangelo tra le nazioni e usavano il nome di Giovanni Battista per i loro scopi.

Queste persone, circa dodici di numero, furono convinte della verità da Paolo e furono battezzate nel nome del Signore Gesù. Quando Paolo ebbe imposto loro le mani, lo Spirito santo scese su di loro ed essi parlarono in  altre lingue e profetizzavano. Allora videro la salvezza del Signore per tutti i popoli e compresero qualcosa della profondità e della larghezza della grazia di Dio.

          La via del Signore e la sinagoga a Efeso. Dopo questo episodio Paolo entrò nella sinagoga. Per tre mesi parlò ai giudei con franchezza proclamando il Regno di Dio in Gesù Cristo. Sapeva dell’interesse del Signore per Israele e quindi anche per la sinagoga di Efeso. Tutte le persone dovevano essere liberate dallo Spirito santo da una vita di schiavitù sotto la legge. È per questa ragione che combatté con loro sperando di conquistare tutta la sinagoga.

Ma anche qui le cose non riuscirono come desiderato  perché alcuni disobbedirono la chiamata del Signore. Davanti all’assemblea riunita parlarono male della via del Signore: aborrivano condividere la salvezza con altre nazioni. Per quella ragione la sinagoga si divise. Paolo prese con sé i credenti e se ne andò. Separazioni simili avverranno dappertutto perché dappertutto ci sono non-credenti. Un giorno il Signore Gesù Cristo stesso separerà i credenti dai non-credenti.

Paolo continuò a riunirsi coi credenti nella scuola di un certo Tiranno. Ogni giorno, per due anni, proclamò il vangelo tanto a Giudei che a Greci. Come aveva sperato, da Efeso il vangelo irradiò tutta l’Asia Minore. Tutto il mondo doveva sapere che Cristo è Re.

          La via del Signore e la chiesa a Efeso. A Efeso Dio fece molti miracoli per mano di Paolo. Divenne inequivocabilmente chiaro che la grazia del Signore significava la redenzione, la guarigione del tutto della vita. Il Signore era talmente vicino con la potenza della sua grazia che quando asciugatoi o grembiuli che erano stati su Paolo venivano posti su malati o posseduti questi guarivano. A qualche osservatore ciò potrà essere sembrato magia ma era assai diverso. Portare ai malati cose o indumenti che erano stati su Paolo era visto come segno di comunione con Paolo o meglio, con la Parola della grazia che predicava. Per fede dovevano accettare quella Parola.

Tuttavia rimaneva il pericolo che questo fosse visto come magia, specialmente in una città così piena di magia pagana, finché avvenne qualcosa che dimostrò l’immensa differenza tra magia e fede nel Signore Gesù Cristo. A Efeso viveva un capo sacerdote di nome Sceva i cui sette figli praticavano la magia (esorcismi). Qui siamo di fronte alla stessa abominazione che abbiamo incontrato nel caso di Elimas: i giudei, che possedendo la verità avrebbero dovuto essere una luce per le nazioni e avrebbero dovuto predicare sottomissione alla parola di Dio, stavano invece infittendo le tenebre con le loro bugie. Con le loro arti magiche, si vantavano di essere capaci di sottomettere al loro proprio controllo le potenze divine. Questi uomini videro e udirono dei miracoli fatti da Paolo. Lo considerarono potere magico e vollero imitare Paolo. Una volta, incontrando una persona posseduta, dissero: “Vi scongiuriamo per Gesù che Paolo predica…” In altre parole, volevano usare il nome del Signore Gesù come una formula magica. Però, lo spirito maligno rispose: “Io conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete?” Davanti alla potenza del Signore e della parola che Paolo predicava, Satana tremava, ma questi esorcisti di demoni che potere credevano d’avere su di lui? L’uomo che aveva lo spirito maligno si avventò su di loro con tale feroce violenza che fuggirono feriti e con gli abiti a brandelli. Tutti a Efeso, tanto Giudei che Greci lo vennero a sapere e furono presi da paura e il nome del Signore Gesù fu magnificato. Avevano visto chiaramente la differenza tra la magia e la fede in lui.

L’incidente fece un’impressione talmente profonda che molti che avevano praticato la magia credettero e confessarono i loro peccati. Radunarono insieme i loro libri in un mucchio e li bruciarono pubblicamente, rompendo chiaramente col loro peccato. Il valore di quei libri  ammontava a cinquantamila pezzi d’argento, indicativo di quanto fosse diffusa la pratica  e l’influenza della magia. Ora la Parola del Signore ottenne la vittoria: crebbe e prevalse. Nella via del Signore la gente fu liberata dalla magia.

          La via del Signore e la gente di Efeso. Ora Paolo era stato a Efeso due anni e tre mesi. Il Signore aveva benedetto riccamente la predicazione del vangelo nella città. Paolo cominciò a pensare di attraversare la Macedonia per visitare la chiese greche e poi ritornare a Gerusalemme. E aveva un altro progetto ancora: voleva andare a Roma. Bramava portare il Vangelo nella capitale del mondo perché il suo interesse non era di mettere insieme piccoli gruppi di credenti un po’ qua e un po’ là, ma che tutto il mondo e tutte le nazioni riconoscessero Cristo come Re. Mandò avanti in Macedonia due dei suoi aiutanti ma lui stesso rimase a Efeso ancora per un po’ di tempo.

Durante quel periodo a Efeso ci fu un grande tumulto. In città c’era un’immagine della dea Artemis (Diana), che si diceva fosse caduta dal cielo. E infatti la città ospitava anche un famoso tempio di questa dea. Un certo Demetrio, un artigiano che faceva miniature d’argento del tempio, forniva il suo prodotto a molti negozianti che dal commercio di questi oggetti traevano un grande guadagno. Siccome il vangelo stava guadagnando un’influenza molto grande, Demetrio vide minacciato il suo mercato di queste icone e di conseguenza sollevò tutti quelli che avevano interessi in questo commercio. Per prima cosa fece appello ai loro interessi, la prospettiva di perdite finanziarie li impauriva. Poi diede alla sua azione anche una coloritura religiosa: il culto di Artemis avrebbe potuto cadere in disuso. Siccome l’idolatria serve i propri interessi ci fu un grande tumulto.  La gente si riversò sulle strade gridando: “Grande è Diana degli Efesini!” Tutta la città si aggregò al tumulto e si riversò nel teatro trascinando con sé Gaio e Aristarco, Macedoni, compagni di viaggio di Paolo.

Quando Paolo udì cosa stava succedendo volle andare lì. La causa di Cristo era in ballo. Però i credenti non lo lasciarono andare; a quanto pare temettero che la folla inferocita avrebbe fatto Paolo a pezzi. Anche alcune persone prominenti di questa parte dell’Asia Minore lo pregarono che non si presentasse nel teatro per nessun motivo. Possiamo vedere quanti cittadini prominenti ci fossero tra i seguaci di Gesù.

Nel frattempo le grida fuori dal teatro proseguivano e molti si unirono al tumulto senza nemmeno realmente sapere di cosa si trattasse. I Giudei non credenti temettero che sarebbero stati implicati anch’essi perché originariamente i cristiani erano considerati una setta giudaica.  Questi Giudei non-credenti perciò volevano che fosse molto chiaro che non avevano niente a che vedere con quei cristiani. Spinsero avanti un certo Alessandro affinché spiegasse alla folla la posizione dei Giudei. Ma costui non riuscì a zittire la folla perché quando questa notò che era Giudeo si infuriò ancor di più. Per due ora continuarono a gridare: “Grande è Diana degli Efesini!”.

Come sarebbe andata a finire? Chi avrebbe rabbonito la folla? Fortunatamente comparve il cancelliere della città e calmò la folla adirata. Quest’uomo sapeva come controllare il popolo. Rassicurò la folla che nessuno poteva dubitare l’onore della dea Artemis e che Efeso godeva di uno statuto privilegiato perché l’immagine della dea era stata trovata in quella città. Non c’era nessuna necessità di tumultuare perché nessuno aveva offeso la dea o derubato il suo tempio. Oltre a ciò, egli concluse che qualsiasi accusa avrebbe dovuto passare regolarmente attraverso i tribunali. Li ammonì che la notizia di questo tumulto avrebbe potuto giungere fino a Roma dando ad Efeso una cattiva nomea. Il suo discorso spense la baraonda e la gente tornò a casa propria.  Però, l’ostilità nei confronti della via del Signore era ora venuta allo scoperto. Non tutta la città fu vinta all’evangelo. Anche qui si evidenziò una divisione.

          Vittoria sulla morte. Paolo lasciò Efeso viaggiando attraverso la Macedonia finché giunse di nuovo a Corinto dove rimase per tre mesi. Intendeva andare via mare da Corinto alla Siria perché il suo progetto di andare a Roma lo pressava sempre di più. Ma prima voleva celebrare Pentecoste a Gerusalemme e consegnare la colletta che aveva ricevuto dalle varie chiese per l’impoverita chiesa di Gerusalemme. I Giudei, però avevano ordito un complotto contro di lui. Stavano facendo progetti per ucciderlo mentre saliva a bordo o durante il viaggio stesso, perciò Paolo dovette ritornare comunque a piedi attraverso la Macedonia. Fu accompagnato da credenti da varie regioni. C’era un forte legame di fede con questo predicatore del vangelo.

Stette a Filippi durante la Pasqua. Da lì passò a Troas, dove rimase sette giorni, infatti anche lì era stata fondata una chiesa. Nel primo giorno della settimana, che già era celebrato come il giorno della resurrezione di Cristo, la congregazione si riunì per celebrare la cena del Signore. Questa cena veniva celebrata a conclusione di un banchetto d’amore (l’Agapé), che veniva tenuto alla fine del servizio religioso. Ma prima Paolo tenne un discorso all’assemblea parlando per lungo tempo. Spiegò che avrebbe benissimo potuto essere l’ultima volta che parlava alle chiese dell’Asia Minore. Infatti, volta dopo volta durante questo suo ritorno a Gerusalemme lo Spirito santo gli rivelava per mezzo dei profeti che a Gerusalemme lo attendevano catene e prigionia. Che ne sarebbe stato di lui? Avrebbe già dovuto soffrire la morte a pro del vangelo? E che ne sarebbe stato del suo desiderio di portare la Parola a Roma? A Troas accadde qualcosa che in quei giorni lo rafforzò grandemente. Parlò fino a mezzanotte. La chiesa era riunita in una stanza al terzo piano. La stanza era piena e molte candele erano state accese talché la sala si fece molto calda. Un giovane di nome Eutico stava seduto sul davanzale di una delle finestre nel tentativo di sfuggire al caldo. Purtroppo si addormentò, cadde dalla finestra e fu raccolto morto. Ma Paolo scese dabbasso, si gettò sul giovane e lo abbracciò e dichiarò che la vita era tornata in lui. Qui Paolo mise in preghiera la propria vita per quella del ragazzo e il Signore lo esaudì. Nella Parola del Signore c’era potenza da vincere la morte. Questo deve aver potentemente rafforzato Paolo. Qualsiasi cosa fosse potuta accadere in futuro anche lui avrebbe vinto la morte. Tornarono di sopra e celebrarono la Santa Cena insieme. Dopo di ciò, Paolo continuò a parlare fino all’alba. Insieme ad Eutico, Paolo scese dabbasso, ambedue redenti dalla morte. Un giorno sarebbero dovuti morire ma la morte non poteva far loro del male.

Paolo mandò i suoi compagni a precederlo ad Asso via nave mentre lui camminò quaranta chilometri lungo la costa. È evidente che voleva stare da solo. Aveva molto da elaborare nella sua mente. Poi da Asso salparono tutti assieme.

          Costretto dallo Spirito santo. Navigando lungo la costa, Paolo passo anche da Efeso dove aveva molti legami stretti. Non poteva fermarsi perché altrimenti non avrebbe potuto essere a Gerusalemme in tempo per Pentecoste. Ma anche passare senza fermarsi non sarebbe stato giusto. Avrebbe mai rivisto Efeso? Alla fine Paolo fece chiamare gli anziani della chiesa di Efeso sulla spiaggia di Mileto. Lì parlò con loro. Essi sapevano di tutta la sua fatica a Efeso e in Asia Minore e di tutte le tribolazioni che aveva sofferto per amore del vangelo. Ora stava andando a Gerusalemme sapendo che probabilmente andava incontro all’imprigionamento. Nondimeno, semplicemente doveva andare perché lo Spirito santo lo stava conducendo lì: Paolo era pronto a morire per il vangelo. Volle esortarli per l’ultima volta ad essere fedeli nella loro conduzione della congregazione come lui stesso era stato fedele nel pieno campo d’azione del vangelo. Paolo predisse che nella congregazione si sarebbero infiltrati dei tentatori. Esortò gli anziani a ricordare come, in completa sottomissione al vangelo, lui, Paolo, non avesse cercato il proprio benessere ma aveva lavorato per provvedere alle proprie necessità e aveva sostenuto i poveri.

Quando ebbe così parlato, pregò con loro inginocchiandosi sulla spiaggia. L’addio fu emozionante e doloroso perché egli disse che probabilmente non l’avrebbero più visto. Costretto dallo Spirito santo e governato dalla Parola di Dio, Paolo infine partì. Non c’è dubbio che Paolo avesse una chiamata speciale per il vangelo, ma anche noi siamo soggetti alla Parola di Dio e dobbiamo servire quella parola in tutto ciò che facciamo.


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