13: Il buon pastore

Giovanni 10

Cristo qui non usa una parabola ma parla per allegoria. Ripetutamente usa varie figure retoriche quando fa riferimento a se stesso. In questo caso mescola le sue metafore intendendo che ci sono due idee diverse sebbene non prive di correlazione. Da un lato si definisce buon pastore e, dall’altro, si definisce la porta attraverso cui passano le pecore. Come ho detto non sono prive di correlazione perché il pastore spesso dormiva all’entrata dell’ovile diventando in questo modo la porta che proteggeva le pecore.

          Concetto principale: Il Cristo è il buon Pastore.

          Le mie pecore ascoltano la mia voce. La tensione tra Gesù e i farisei era fortemente aumentata in seguito alla guarigione dell’uomo nato cieco. Ora Gesù proseguì la sua conversazione con i farisei usando una figura retorica che prese dalla vita di un pastore.

La sera i pastori spingevano tutti i loro greggi in un ovile comune. Durante la notte uno dei pastori faceva la guardia contro bestie feroci. Al mattino gli altri pastori tornavano. Il pastore di guardia, il portinaio, permetteva loro di entrare. Ciascun pastore stava all’ingresso e chiamava fuori le sue pecore. Conoscevano tutte la sua voce, lasciavano l’ovile e aspettavano che il pastore le conducesse al pascolo.

Uno estraneo non sarebbe stato ammesso dal portinaio. Immaginate che qualcuno volesse rubare qualche pecora. Sarebbe dovuto venire di notte e scavalcare la recinzione dell’ovile. Quale che fosse la sua ragione per penetrare l’ovile, si può star certi che non era buona.

Fate un confronto col buon pastore. Piene di fiducia le pecore lo seguono anche quando le conduce in luoghi scabrosi e lungo precipizi. Si fidano e si sentono sicure perché la sua voce è loro famigliare. Non seguirebbero mai un estraneo volontariamente.

Con “estraneo” il Signore Gesù si stava riferendo ai farisei e agli altri  falsi conduttori del popolo; con buon pastore stava alludendo a se stesso. Quei conduttori venivano con cattive intenzioni, cercando il proprio vantaggio. Il gregge non li conosceva; quando parlavano le pecore non udivano la voce dell’amore di Dio e non potevano seguirli. Ecco perché quelli che realmente appartenevano al popolo di Dio, come il cieco dalla nascita, finirono col seguire Gesù.

          La porta delle pecore. I Farisei non compresero nulla di ciò che aveva detto. Il loro cuore deve veramente essere stato chiuso perché il messaggio era piuttosto chiaro. Le cose più semplici ci diventano oscure se i nostri cuori non vogliono comprendere. Ecco perché Gesù continuò a parlare con loro.

Disse letteralmente che tutti quelli che erano venuti prima di lui, con la pretesa di condurre il popolo ma in realtà tentandolo per allontanarlo da lui, erano ladri e briganti. Erano venuti a distruggere. Solo per mezzo di lui i capi avrebbero potuto diventare una benedizione per il gregge e condurre le pecore dentro la sicurezza dell’ovile o condurle al pascolo.

Lui era il pastore-portinaio che faceva passare i pastori e che permetteva alle greggi di entrare e uscire. Tale portinaio era come una porta all’ovile e proprio per questo disse: “Io sono la porta”. La sera faceva entrare le pecore e la mattina le faceva uscire.

Senza il buon pastore tutto il loro lavoro dei pastori era vano. E tuttavia era stato esattamente così. Ciascun pastore aveva agito in proprio, fin troppo spesso motivato dal proprio interesse. Com’era prevedibile ciò era stato di detrimento per le pecore. Solo se un pastore avesse parlato per Cristo e fosse stato motivato da lui avrebbe genuinamente potuto fare l’interesse delle pecore. Per mezzo di lui il gregge avrebbe avuto vita in abbondanza perché solo lui poteva dare vita in comunione con Dio. Per mezzo suo non manchiamo mai di nulla.

          Il pastore mette la sua vita per le pecore. Un buon pastore è uno che sacrificherebbe la sua vita per le pecore. Un mercenario pensa solo al suo salario e non gl’interessa nulla delle pecore. Se arriva un lupo, abbandona le pecore per salvarsi la pelle. Per un buon pastore, invece, le pecore sono un capitale e per loro rischierà la vita in un combattimento mortale.

In senso molto più eccelso il Signore Gesù avrebbe dato la sua vita per le sue pecore. Avrebbe deposto la sua vita per riconciliare e salvare il suo popolo, costretto da un amore che eccede di gran lunga qualsiasi criterio umano d’amore. Il suo amore per il suo popolo può essere paragonato solo all’amore che c’è tra lui e suo Padre. Quell’amore tra Padre e Figlio è il fondamento dell’amore del Figlio per il suo popolo.

Gesù avrebbe dato la sua vita non solo per il suo popolo in Israele ma anche per persone tra le nazioni del mondo. Da quelle nazioni il Padre gli aveva dato molti che fino a quel momento non avevano mai udito di lui. Secondo il decreto del Padre erano già sue pecore sebbene provenissero da un gregge altro dal popolo d’Israele. Tutti loro, comunque, sarebbero stati raccolti insieme in un solo gregge sotto un solo pastore. E oggi noi vediamo questo gregge di cui Gesù al tempo parlò e per il quale ha dato la sua vita.

Dare la sua vita per le pecore sarebbe stata un’azione volontaria; nessuno avrebbe preso la sua vita da lui. Se non lo avesse voluto non avrebbe dovuto morire per mano dei suoi assassini. Depose volontariamente la sua vita per il suo popolo; il Padre gli aveva dato l’autorità di compiere quest’atto di redenzione. E, allo scopo di rimanere il buon pastore, aveva ricevuto anche l’autorità di riprendersi la vita. Sarebbe risorto per condurre il suo popolo alla salvezza.

Fece tutta questa opera per un amore che non ha eguali tra gli uomini. Ogni amore umano risulterà difettoso mentre il suo è tutto in tutti. Non sorprende che gli uomini non abbiano compreso Gesù quando parlò in questo modo. Alcuni giudicarono che avesse un demonio o fosse pazzo mentre altri furono profondamente impressionati e dissero: “Queste non sono parole di un indemoniato; può un demone aprire gli occhi ai ciechi?”. Furono tutti confrontati con l’amore di Dio che è ben al di là di ogni nostra comprensione. Ma in molti si accese un odio feroce.

          Alle mie pecore do vita eterna. La festa dei tabernacoli fu seguita da diversi mesi dei quali Giovanni non ci dice nulla. Può essere che Gesù sia tornato a insegnare in Galilea durante quel periodo. Nel mese di Dicembre fu di nuovo a Gerusalemme per l’Hanukkah o festa di dedicazione, ovvero la festa che commemorava la purificazione del tempio. In quell’occasione i Giudei ricordavano come Giuda Maccabeo aveva purificato il tempio dopo che Antiochio Epifane lo aveva dissacrato (165 a. C. Vedi I Maccabei iv e Giuseppe Flavio Antichità Giudaiche xii. 7. 6).

Gesù stava passeggiando nel colonnato coperto sul lato orientale del cortile  che era chiamato il portico di Salomone. Lì i Giudei lo circondarono e e gli chiesero di dire chiaramente se fosse il Messia. Lo avvertirono di non tergiversare. Vollero sapere se li avrebbe liberati dal giogo di Roma e anche  purificato il tempio come già aveva fatto Giuda Maccabeo.

Gesù non poteva dare una risposta diretta. Essi si aspettavano un altro tipo di Messia, un Messia politico. Disse loro ciò che già sapevano ma che a loro non bastava. Perché non credevano sebbene le sue opera testimoniassero di lui? Non credevano perché non appartenevano al suo gregge: i loro cuori non erano aperti a lui. Solo le sue pecore riconoscevano la sua voce e solo per loro Gesù era il Messia.

Cominciò a dire loro chi è e cosa fa il vero Messia. Dà al suo popolo vita eterna, non come si aspettavano loro, una soluzione politica. Inoltre, preserva il suo popolo in quella vita eterna di comunione con Dio talché nessuno può rapirle (le sue pecore) dalla sua mano o da quella del Padre. Il popolo che lui raccoglie è anche il possesso più prezioso del Padre. Egli poteva garantire quella comunione col Padre solo perché era uno col Padre. Infatti egli è sia il Figlio di Dio sia Dio stesso. In lui la pienezza dell’amore di Dio è giunta fino a noi.

Quando i Giudei lo udirono asserire che era il Figlio di Dio raccolsero delle pietre per lapidarlo. In perfetta calma stette loro in faccia. Chiese loro per quale delle sue opere lo volessero lapidare. Confusi, ma lo stesso inviperiti risposero che non era per alcuna delle sue opere me per blasfemia, specialmente perché aveva dichiarato di essere uno col Padre. Con calma indicò loro che nelle Scritture delle persone sono a volte chiamate “dèi”, per esempio quelli a cui era pervenuta la parola di Dio e che avevano parlato nel suo nome. Aveva forse sbagliato nel definirsi Figlio di Dio, visto che era stato mandato nel mondo dal Padre? Il fatto che lo avesse mandato il Padre era chiaro, assolutamente chiaro dai miracoli che faceva. Diede loro una possibilità e subito scelsero di farsi colpevoli d’aver rigettato la rivelazione di Dio in lui.

Le sue parole fecero traboccare il vaso. Ora si infuriarono e cercarono di prenderlo.  Indurirono i loro cuori e non cedettero alla Parola dell’amore di Dio, la Parola del Buon Pastore. Ma d’altronde, perché il suo amore ci catturi i nostri cuori devono essere aperti.

Gesù sfuggì il loro tentativo di prenderlo e ritornò di là del Giordano dove Giovanni aveva fatto i suoi battesimi. Lo sforzo fatto lì da Giovanni aveva avuto successo perché ora molti avevano creduto nel Signore Gesù. Si resero conto che tutto ciò che Giovanni aveva detto di lui  era vero. Questo per noi è un segno che la missione di Giovanni era vera. Seppur molti abbiano rigettato il Cristo, la sua opera di raccolta del suo gregge proseguì.


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