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MATTEO 24

 

Per comprendere questo capitolo, esaminiamo la sua collocazione. Gesù aveva sconcertato i discepoli nella loro giudaica attesa di un regno messianico millenario. Aveva parlato della sua imminente morte a Gerusalemme, e della sua resurrezione. Aveva descritto il regno in termini molto diversi da ciò che Israele si attendeva. Il vangelo di Matteo dà in modo speciale grande prominenza ai suoi insegnamenti riguardo al regno, e nulla in quell’insegnamento conduce alla speranza dei giudei. Anziché confermare la speranza giudaica, Gesù pianse per la rovina che Gerusalemme stava per incontrare e, immediatamente prima del discorso di questo capitolo, aveva dichiarato: “Ecco, la vostra casa vi è lasciata desolata” (Mt. 23:38). Nei suoi insegnamenti durante la sua ultima settimana egli aveva enfatizzato questo punto con parabole e con proclami, dicendo bruscamente: “Perciò io vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a una gente che lo farà fruttificare” (Mt. 21:43). Fu precisamente perché Gesù negò il regno ai giudei e lo riservò a Dio, e ne diede perciò un’interpretazione totalmente differente, che la sua condanna da parte del Sinedrio fu resa inevitabile: “che non perisca tutta la nazione” (Gv. 11:50).

I discepoli, turbati da queste parole, richiamarono l’attenzione di Gesù verso il tempio, non perché gli edifici (Mt. 24:1) non gli fossero familiari, ma per ricordargli che questo era il tempio di Dio, e una garanzia, come essi assumevano, della permanenza di Israele nel piano di Dio. “Ma Gesù disse loro: ‘Non vedete voi tutte queste cose? In verità vi dico che non resterà qui pietra su pietra che non sarà diroccata ’” (v.2). Ciò fu sorprendente per i discepoli. E allora essi assunsero che Gerusalemme ed il tempio sarebbero potuti cadere solamente se la fine del mondo fosse stata vicina, e Gesù sarebbe stato presentato come Re del mondo, in un ordine ri-creato. La loro domanda dimostra che questa correlazione fu fatta chiaramente: “Dicci, quando avverranno queste cose. E quale sarà il segno della tua venuta, e della fine dell’età presente?” (v.3). La loro domanda in questo modo assume che tre cose siano identiche nel il tempo in cui devono accadere:

  1. la caduta di Gerusalemme e la distruzione del tempio, assieme alla devastazione della nazione.
  2. La sua venuta come Re in potenza.
  3. La fine del mondo.

Gesù, nel rispondere alla loro domanda, distingue questi tre eventi e, nel suo quadro della storia, elimina interamente qualsiasi riferimento ad un millennio nel senso giudaico o pre-millennarista. Era difficile per i giudei visualizzare la caduta del tempio e di Israele eccetto che nei termini della fine del mondo: essi confidavano nella loro propria giustizia, sicuri della propria superiorità e sicuri dei propri privilegi con Dio. Ma Gerusalemme cadde nella guerra del 66-70 D.C., e le poche pietre lasciate una sopra l’altra dopo quella brutale guerra e distruzione di Gerusalemme da parte di Tito furono tirate giù al tempo dell’Imperatore Giuliano.

La prima sezione principale, versi 4-28, tratta della caduta di Gerusalemme e la venuta di Cristo in giudizio su Israele in quella distruzione. La domanda fu posta da quattro discepoli: Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea (Mc.13:3), i quali chiesero “il segno” della sua venuta e della fine del mondo.

Per questo nostro Signore nella sua risposta tratta prima di tutto la questione dei “segni”. “Guardate che nessuno vi seduca” (Mt. 24:4) e ciò riguardo alla questione dei segni. Egli li avverte riguardo a falsi segni, e li specifica.

1. Si leveranno falsi messia, promettendo il millennio e il rovesciamento di Roma, e con ciò sedurranno molti Giudei (Mt. 24:11,23-24). A causa delle aspettative giudaiche di quel tempo, i falsi messia furono numerosi, e spesso ebbero successo, a volte conducendo migliaia in rivolta contro Roma. Per loro era facile fiorire, infatti era sopraggiunto l’anno 5000, e apparentemente sarebbe dovuta cominciare l’era del regno di Dio.

2. “Guerre e rumori di guerre” costituivano un altro falso segno. Roma aveva goduto una lunga epoca di pace, ma agitazioni cominciarono ad insinuarsi in tutto l’impero, e nella capitale stessa iniziò una lunga processione di imperatori che passarono velocemente dalla successione alla morte. I giudei furono perseguitati ed uccisi in molte parti dell’Impero a decine di migliaia. Questi “segni” (Mt. 24:6) sembrarono a molti preannunziare la fine del mondo.

3. Il prossimo falso segno era “carestie, pestilenze e terremoti in vari luoghi” (Mt. 24:7). Questi accaddero con particolare acutezza durante il primo secolo. Ci furono seri terremoti attraverso tutto l’impero ed anche a Pompei. Una carestia ai tempi di Claudio è menzionata in Atti 11:28.

4. La persecuzione costituisce un altro falso segno (Mt. 24:9-13), ma, come gli altri avvenimenti, queste cose sono solamente “l’inizio dei dolori” o delle doglie di parto (Mt. 24:8).

Tutti questi falsi segni caratterizzarono particolarmente l’epoca che precedette la caduta di Gerusalemme, ma hanno altrettanto caratterizzato altri periodi della storia, e per questa ragione costituiscono falsi segni. Questi

sono aspetti ricorrenti della storia che caratterizzano un mondo pregno di peccato e scosso. Tutte queste cose, che accaddero ai loro giorni e che costituirono fuorvianti segni della FINE, sono (v.8), invece, solo segni dell’INIZIO dei “dolori del parto” dell’era Messianica. In questo modo, questi eventi costituiscono falsi segni della fine, e veri segni dell’inizio. Sono elementi nel secondo scuotimento della terra (Eb. 12:23-27) “affinché rimangano quelle che non sono scosse”. Non che questi dolori siano i veri segni della fine, ma piuttosto che “questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo in testimonianza a tutte le genti, e allora verrà la fine”(Mt. 24:14). Il Grande Mandato che nostro Signore ha dato alla chiesa il giorno della sua ascensione enfatizzava che “Ogni potestà mi è stata data in cielo e sulla terra”, e questa potestà deve essere resa manifesta a tutti i popoli. “Andate dunque, e fate discepoli di tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro di osservare tutte le cose che io vi ho comandato. Or ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dell’età presente. Amen” (Mt. 28:18-20). Non è la conversione di ogni creatura ad essere il segno della fine, né lo è un mondo liberato da ogni opposizione e incredulità del vangelo, ma piuttosto un mondo che è stato portato sotto la disciplina del vangelo ed evangelizzato in ogni area. E questo è lontano dall’essere un segno specifico o facilmente identificabile della fine, né viene dato per questo. Piuttosto, è un promemoria, un sollecito della grande responsabilità che grava sulla chiesa in ogni epoca. In Colossesi 1:6, 23 vediamo l’estensione a cui la chiesa primitiva testimoniò al mondo civilizzato del suo tempo. Lenski traduce la frase conclusiva “non fino ad allora” la fine verrà. Il tempo non è definito. La chiesa può dire solamente che la propria responsabilità prima della fine le è stata data.

Nei versi 15-28, nostro Signore poi parla della caduta di Gerusalemme come sua venuta in giudizio, dissociandola dalla fine. Il Giorno del Signore e la venuta del Signore, anche la sua venuta sulle nuvole, è spesso annunciata nelle Scritture come una vera venuta, e come distinta dalla fine e allo stesso tempo parte di essa e suo precursore. La sua venuta è sia giudizio che misericordia (Is. 19:1).

La dissacrazione e distruzione del tempio è immediatamente riportata alla mente giudaica dal verso 15. Il riferimento a Daniele non significa che Daniele 9:27 e Daniele 12:11 sono adempiuti nella caduta di Gerusalemme. La profezia di Daniele fu adempiuta prima del tempo di Cristo, ed è descritta in 1 Maccabei 1:20-68. Questa desolazione è analoga alla precedente. In quell’avvenimento, comunque, la dissacrazione avvenne durante la Guerra Giudaica, sotto l’insistenza degli stessi zeloti, come acclara Giuseppe Flavio. Così, la desolazione che precedette la caduta del tempio (Mt. 24:2), fu in questa istanza giudaica. I giudei, avendo crocifisso il Signore della gloria, non diedero alcuna importanza, alla fine, di contaminare il tempio nella loro auto difesa. La desolazione del tempio, resa possibile dagli zeloti che fecero entrare nel santuario gli Idumei, col risultato che 8500 uomini furono uccisi, avvenne PRIMA dell’assedio di Gerusalemme da parte di Tito. Dunque, Gesù diede questo avvenimento come segno ai cristiani che la nazione era finita, e che dovevano fuggire. L’avvertimento di questi versi, perciò, è per credenti, i quali, fidandosi del proprio Signore, scapperanno quando la sua profezia avviene. Benché il tempio sia stato ulteriormente contaminato dai romani dopo la loro conquista della città, fu la precedente contaminazione a costituire un avvertimento ai cristiani in tempo sufficiente da dare un’opportunità per una rapida fuga. Luca 21:20 associa la desolazione con Gerusalemme circondata da soldati. I cristiani si salvarono dagli orrori della Guerra Giudaica precisamente perché furono allertati da queste parole e fuggirono. Nel sottolineare l’orrore e nel non permettere sprechi di tempo o ritardi le parole di nostro Signore diedero molta fretta alla fuga. Egli la chiamò pure (Mt. 24.21) la più grande tribolazione della storia, tale che non sarà mai eguagliata fino alla fine del mondo.

Gerusalemme era affollata di compagnie di pellegrini per la Pasqua.

Ne morirono approssimativamente un milione, molti per crocifissione, e due milioni furono venduti a morire come schiavi. Ma gli orrori più grandi avvennero all’interno della città prima della sua fine, quando la fame e la paura portarono i sedicenti eletti a indicibili orrori e cannibalismo. I Romani distrussero sistematicamente la città e vi gettarono il sale dopo aver arato la terra dove prima questa sorgeva. “E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuna carne si salverebbe; ma a motivo degli eletti, quei giorni saranno abbreviati” (v. 22). Agli eletti, i cui parenti di sangue erano tra quelli destinati alla distruzione, fu risparmiata una più lunga agonia, e il tempo dell’assedio fu abbreviato da Dio. Perfino Tito lo riconobbe: “Certamente noi abbiamo avuto l’assistenza di Dio in questa guerra, e non fu alcun altri che Dio che espulse i giudei da queste fortificazioni, poiché cosa avrebbero potuto fare le mani degli uomini, o qualsiasi macchina per rovesciare queste torri?” [1].

Di nuovo, Gesù trattò con la speranza prematura della sua venuta. Durante l’assedio, i falsi messia abbondarono, e molti li seguirono nella speranza di una liberazione miracolosa. Secondo Giuseppe Flavio, molti di questi erano nel libro paga di Roma. Egli registra anche segni e meraviglie, nella forma di strani fenomeni naturali. Gesù marchia come false tutte queste speranze: “Ecco, ve l’ho predetto” (vv. 23-26). La Sua venuta alla fine non avrà bisogno di essere annunciata da falsi profeti e da uomini impazziti di terrore. Sarà immediata e ovvia a tutti gli uomini in tutto il mondo (v. 27). Come il lampo è visto da tutti, ed è nel cielo, così la sua venuta sarà vista da tutti e sarà nel cielo e non sulla terra. Questi falsi messia e i falsi profeti che li annunciavano abbondavano in Giudea per una sola ragione: era divenuta un putrido carcame e perciò attirava gli avvoltoi. Le carogne attraggono i mangiatori di carogne, e un’abbondanza di ciarlatani religiosi indica la presenza di un popolo spiritualmente morto e marcio che è pronto per la ripulitura (v. 28).

Matteo 24:29-35 forma un passo comunemente malinteso, interpretato senza riferimento al simbolismo del Vecchio Testamento e al suo significato biblico. Isaia 13:10 e 34:4-5 devono essere letti in questa contesto, e pure Ezechiele 32:7-8. I profeti descrivono la caduta degli imperi del Vecchio Testamento parlando del sole oscurato, la luna che non risplende, le stelle che cadono dal cielo, l’esercito dei cieli che si dissolve, e dei cieli arrotolati come un rotolo. Queste cose vengono precisamente considerate come adempiute nei termini della caduta degli imperi del Vecchio Testamento, rendendo così ovvio che non possono essere intesi letteralmente. Questi stessi avvenimenti sono predetti per l’era del vangelo da Pietro, nel citare Gioele 2:28-32, in Atti 2: 16-21, e hanno luogo “PRIMA che venga il grande e terribile giorno dell’Eterno”. Perciò, essi non sono manifestazione della fine dei tempi, ma eventi dell’era del vangelo. Nel Vecchio Testamento essi rappresentano i governatori e le potenze delle nazioni, proprio come nel sogno di Giuseppe simboleggiano autorità. I profeti nel parlare in questo modo dichiararono che le autorità umane della loro era sarebbero state scosse e distrutte prima della venuta del Figlio nato dalla vergine. Ora, Cristo dichiara: “Ora, subito dopo l’afflizione di quei giorni” (Mt. 24:29), cioè dopo la caduta di Gerusalemme, avverrà nuovamente lo scuotimento del mondo, e l’era del vangelo vedrà ogni autorità umana scossa, confusa e distrutta, e Cristo stabilito quale solo vero sovrano dell’uomo, delle nazioni e dell’universo.

Se gli eventi di questi versi (29-35) si riferiscono alla fine del mondo, allora Gesù ha dichiarato qualcosa ovviamente non vero e impossibile nel dire: “in verità vi dico che questa generazione non passerà, finché tutte queste cose non siano avvenute” (v.34). La stessa cosa si applica a Matteo 16:28: “In verità vi dico che alcuni di coloro che sono qui presenti non morranno prima d’aver visto il Figlio dell’Uomo venire nel suo regno”. Se queste affermazioni sono vere, allora il linguaggio di questo passo deve necessariamente essere figurativo, nello stesso senso in cui è utilizzato nel Vecchio Testamento. Roderik Campbell ci indica il vero significato quando scrive “Quando leggiamo di Cristo venire ‘con le nuvole’ dobbiamo cercare quegli eventi nella storia nei quali l’occhio della fede troverà l’evidenza del fatto che Cristo sta ora guidando la sua chiesa, governando tra le nazioni della terra, e portando avanti, per mezzo di giudizio e di misericordia i suoi propositi nella redenzione dell’uomo. Alla sua ascensione ‘una nuvola lo accolse e lo sottrasse alla vista’ (Atti 1:9). Lo nascose alla vista fisica dei discepoli” [2].

La distruzione dello stato Giudaico in adempimento della profezia di Cristo è il “segno” che egli governa “con potenza e grande gloria”, e tutti i popolo vedranno in ciò una prova visibile della sua sovranità assoluta. Che le nazioni rifiutino di riconoscere la sua sovranità non costituisce obiezione: tutte le cose, inclusi il cuore, la mente e la coscienza del non credente, testificano della totale ed assoluta sovranità di Dio il Figlio.

Non appena il vecchio patto ed il suo tempio, popolo e città sono finalmente giudicati e tolti di scena, comincia la piena proclamazione ai Gentili. Questo è descritto nel verso 31. Il “potente suono di tromba” è spesso considerato applicarsi solamente alla fine del mondo. L’utilizzo del Vecchio Testamento acclara che la tromba suona per chiamare il popolo di Dio all’adorazione, per marciare in vittoria, per annunciare la nuova luna, e per proclamare il giubileo. Tutti questi significati sono inclusi nel verso 31. È la proclamazione del vangelo a tutta la creazione, guardando avanti alla sua grande ri-creazione. È la proclamazione del nuovo “anno” o era della storia, il tempo di giubileo, la redenzione degli schiavizzati. È la chiamata a marciare alla vittoria, e la chiamata ad adorare Dio il Figlio. La tromba compare con un simile significato in Isaia 27:13, e Isaia 61:1 fu utilizzato da nostro Signore (Lu. 4:17-21) per dichiarare l’inizio del grande giubileo dell’era del vangelo.

La parabola del verso 32 è spiegata con chiarezza da nostro Signore nei versi 33-35. Il suo significato è chiaro: la caduta di Gerusalemme, tutti i segni di cui ha parlato finora, non sono segni della fine ma semplicemente dell’inizio. Quando il fico germoglia, e le foglie cominciano a spuntare noi sappiamo che l’estate è vicina, NON L’INVERNO. Con queste parole di J.M. Kik: “La distruzione di Gerusalemme non fu un segno terribile, fu il segno dell’inizio dell’estate. Sarebbe stato l’inizio di una messe mondiale”. Così, essi dovevano essere incoraggiati da questi segni e, nonostante l’immediato dolore per la caduta della loro nazione, dovevano fidarsi in modo assoluto della sua parola in tutte le cose, poiché: “I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt. 24:35).

Perciò Gesù, definitivamente e con grande forza, dissociò la caduta del tempio e di Gerusalemme dalla fine del mondo. Egli predisse molto certamente la caduta di Gerusalemme, e diede segni espliciti di avvertimento della sua venuta, per poter salvare i suoi discepoli e i suoi seguaci dall’essere coinvolti nella sua tragica fine. Ora egli rende egualmente chiaro che NON c’è SEGNO della vicinanza della fine del mondo. La predicazione del vangelo in tutto il mondo e la frantumazione dell’autorità umana vengono dati, ma nessuno dei due è sufficientemente specifico da rendere l’uomo capace di indicare con certezza il suo ritorno. “Quanto poi a quel giorno e a quell’ora, nessuno li conosce, neppure gli angeli dei cieli, ma soltanto il Padre mio”(v.36). “Vegliate dunque, perché non sapete a che ora il vostro Signore verrà” (v.42; vedi anche v.44). Proprio come gli uomini ai giorni di Noè non ebbero altro avvertimento della venuta del diluvio oltre alla chiamata al pentimento e alla dichiarazione del giudizio, “così sarà pure alla venuta del Figlio dell’Uomo” (v. 39). I cristiani poterono essere avvertiti della venuta del Signore in giudizio su Gerusalemme e così salvare se stessi. Ma ora non ci sarà per il peccatore opportunità di sfuggire o per il cristiano per prepararsi: sarà “preso” prima di rendersi conto dell’avvenimento. I santi saranno rapiti e portati via nel momento stesso in cui il mondo sarà distrutto.

La parabola del verso 43 è utilizzata per insegnare a vegliare e non deve essere spinta a concludere che il Signore è paragonato a un ladro. Precedentemente, ai versi 12-13 la perseveranza viene data come un segno della vera fede. Questo viene nuovamente affermato nei versi 45-51. Il falso servitore perde la fede nel governo del Signore a motivo del “ritardo” e prontamente stabilisce il proprio ordinamento, il quale è una manifestazione del peccato. Quando gli uomini sentono che Dio è remoto e il suo governo è assente, gettano via ogni ritegno e rivelano la loro vera natura. L’esame della pazienza nel ritardo è la messa alla prova dei santi. Più specificamente, il servo è l’amministratore del Signore, il ministro, l’anziano, l’operaio cristiano, e ogni cristiano con responsabilità il quale, avendo la sensazione che il Signore venga meno nei suoi confronti e nel governare ogni cosa, utilizza ciò che considera impotenza di Dio come propria opportunità per indulgere verso se stesso e per stabilire il proprio governo; anziché fare il proprio lavoro in fede e con pazienza, egli usa i propri privilegi cristiani per stabilire se stesso nel peccato, nel potere e nell’auto-indulgenza. Alla sua venuta il Signore fa gettare di fuori tali uomini e li destina ad una porzione con gli ipocriti, poiché tali sono (v.51), ma il servo che ha ben presente di essere un servitore, e fedelmente attende il suo Signore e ha fiducia nel suo governo, sarà grandemente ricompensato. Quelle cose che prima teneva in amministrazione le possederà ora come un re in Cristo. “Beato quel servo che il suo padrone, quando egli tornerà, troverà facendo così. In verità io vi dico, che lo costituirà sopra tutti i suoi beni”. Il regno sarà dato ai santi quale loro eredità in Cristo. Le parabole del capitolo 25 vengono dunque indirizzate alla chiesa per esortarla alla fedeltà e alla resistenza. Esse enfatizzano il fatto del lungo ritardo (dal punto di vista umano) nella seconda venuta: “Lo sposo tardava” (25:5, vecchia Diodati “tardando lo sposo”; in 25:19, le parole “ora, dopo molto tempo, ritornò il signore di quei servi” nuovamente enfatizza la necessità di avere pazienza, e la percezione del ritardo dal punto di vista umano.

Così, nostro Signore ci mette in guardia contro il cercare di stabilire delle date, cercare segni, e di avere fretta al suo tardare. Egli offre la caduta di Gerusalemme come pegno del suo assoluto governo e sovranità, un segno da far portare il lutto alle nazioni ma da far gioire i santi. La stessa assoluta sovranità che egli manifestò nel profetizzare la caduta di Gerusalemme e nel comandarla, la manifesta oggi quale solo e assoluto Signore della storia. Le “tribù della terra” hanno grande ragione di essere in lutto, ma noi dobbiamo gioire, essendo entrati nel giubileo, ed essendo incaricati di chiamare altri dentro a quella vita di vittoria, sperimentata qui in potenza molto reale, e nella sua pienezza nell’era a venire.

 

Note:

1 Marcellus Kik. Mattew XXIV, Philadelphia: Presbyterian and Reformed Publishing Co., 1948, p.62. 2 Campbell: Israel and the New Covenant, p. 71


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