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APOCALISSE 2:8-17

LA FUNZIONE DELLO STATO

 

Le città e le chiese di Apocalisse 2 e 3 sono egualmente tipiche nel loro significato e devono essere comprese solamente nella loro piena portata, non come istituzioni limitate e ristrette, e le lettere di Apocalisse devono essere comprese nella stessa maniera.

Smirne, una città portuale, era sessanta chilometri a nord di Efeso. Una città particolarmente bella, si gloriava di essere la “Gloria dell’Asia”. Le sue strade diritte e larghe includevano la famosa “Strada d’Oro”. Smirne diceva d’essere la città natale di Omero. Città libera e sede d’assise, Smirne era importante per Roma quanto Roma era importante per Smirne. Di conseguenza era uno dei grandi centri del culto di Cesare, il quale, ai tempi di Domiziano, divenne obbligatorio in tutto l’Impero, con l’emissione di un certificato annuale di conferma dell’avvenuta adorazione richiesto a tutte le persone.

In Smirne, il culto di Cesare fu adattato quale coronamento e fulcro della vita e della religione locale. L’adattamento era l’essenza della religione statale in ogni luogo. La divinità patrona della città di Smirne era una variante locale di Cybele, la grande Divinità Madre dei Frigi, e tra i Romani, la Grande Madre degli Dèi, Grande madre dell’Ida (magna Deum Mater, Mater Deum magna Idaea). Questo culto fu uno dei grandi nemici della cristianità e per lungo tempo suo rivale. Cybele era la madre universale degli uomini e degli dèi, ed era strettamente collegata con la natura, l’abbandono orgiastico, e monti boscosi. I suoi sacerdoti erano eunuchi chiamati Galloi; vestivano femminile e portavano i capelli lunghi. Attis (o Adonis) era il figlio e amante di Cybele, il suo ciclo di morte e rinascita veniva ritualmente osservato come inverno e primavera, la morte della fruttificazione e la rigenerazione della vita delle piante da Madre Terra. Cybele era dunque la grande divinità Asiatica della fertilità. I suini erano associati con lei nei primitivi culti in Grecia e Anatolia, e la carne di maiale non era mangiata dalla gente di Pessino. Il culto entrò in Roma nel 204 a.C. ed era accreditato con l’aver aiutato Roma a sconfiggere Annibale. Fu solo molto più tardi, sotto Claudio, che il culto, in particolare la sua adorazione dell’albero sacro, fu ufficialmente pienamente incorporato nelle religioni riconosciute da Roma.

I sacerdoti umani di Cybele arrendevano la loro mascolinità alla divinità, principio della fertilità della natura, per poter ricevere indietro per l’umanità la fertilità della natura. Questo era, ovviamente, un’affermazione del principio di continuità: la natura era in se stessa sterile finché impregnata dal grande lavoro e dal sacrificio dell’uomo e resa fertile. Il Giorno del Sangue, il 24 marzo, sembra fosse una commemorazione annuale e, forse, da parte dei novizi, l’iniziazione in questo sacrificio. Il 25 marzo veniva celebrata la rinascita della natura, il Festival della Gioia (Hilaria), ove prevaleva universalmente la licenziosità, tutti gli uomini liberi di fare e agire come loro piacesse. Ci fu molto presto un tentativo di fondere questa osservanza con la Pasqua, che era chiamata da alcuni la Domenica della Gioia [1]. Il sommo sacerdote di Cybele, sia a Pessino che a Roma era chiamato Attis [2]. Il nome Attis indicava, non solo il dio Attis (o Adonis), ma anche ad Atys, uno dei primi re della Lidia, cosicché Attis non era solo il rappresentante dell’uomo che, con la sua morte liberava la fertilità della natura, ma anche il rappresentante del re, cosicché il punto focale del concatenamento tra la divinità e l’umanità avrebbe potuto ancora una volta essere stato il re- sacerdote. L’Asia era l’area principale e più forte di questa fede, benché Roma si sia data estensivamente a questo culto.

Questa divinità-madre aveva una strettissima affinità con lo statalismo ed era nei fatti largamente l’espressione religiosa della fede nella politica. L’uomo, attraverso la sua attività politica, estrae da una sterile, ma potenzialmente grande natura, tutta la fruizione del potere statale e realizza lo sviluppo della vita ed il benessere dell’uomo. Benché lo sforzo ed il sacrificio siano molto reali, i risultati per l’uomo sono incalcolabili: il Giorno del Sangue conduce alla Festa della Gioia. L’evirazione (smascolinizzazione) dell’uomo è la salvezza sociale dello stato. Inoltre, lo stato poi tende a diventare la grande madre-divinità della cittadinanza, Attis. In Smirne, nel 196 a.C., fu eretto un tempio a Dea Roma la dea di Roma, e fu la prima città a farlo, gloriandosi allora e da allora di essere la città che sia serviva Roma sia riceveva della sua generosità, orgogliosa del proprio ruolo di Attis per la Cybele di Roma. Smirne, come città era stata morta ed era stata riportata in vita, e, sotto Roma, “ebbe una carriera di prosperità quasi ininterrotta” [3]. Smirne era perciò politicamente e religiosamente strettamente alleata con Roma, ed era nei fatti e nello spirito un centro del culto dell’imperatore.

Cristo, parlando a questa chiesa e città, cominciò: “E all’angelo della chiesa in Smirne scrivi: queste cose dice il primo e l’ultimo, che morì e tornò in vita” (2:8). L’auto- identificazione di Cristo è un assalto diretto contro Smirne. Quale “primo e ultimo”, cioè la totalità di ogni sovranità, decreto e divinità, ogni partecipazione alla divinità da parte di altri uomini e dèi viene immediatamente eliminata, e negati sia la fede in Cybele sia il culto dell’imperatore. Inoltre, la vantata resurrezione di Smirne come città, e il mitologico risveglio della vita e della fertilità celebrato nel rituale Cybele- Attis, furono ugualmente relegati al disprezzo e messi al bando dalla storia dall’affermazione enfatica che era Lui “che fu morto e tornò in vita nuovamente” (che è la traduzione da preferirsi secondo molti); “fu morto” è pieno di forza, significa “divenne morto” o “divenne un cadavere”. La storia qui viene bruscamente posta contro il mito, come avviene in tutta la Scrittura.

Ma se il Signore comanda la storia, perché allora Smirne prosperava e la chiesa impoveriva? “Io conosco le tue opere, la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia tu sei ricco)” (2:9) Tribolazione è letteralmente pressione, e la povertà è destituzione, cosicché la difficoltà della chiesa è apertamente riconosciuta da Cristo; ciò nonostante sono ricchi poiché stanno in piedi con Cristo e in sicuro comando della storia, contrariamente a Smirne in fuga dalla storia e dalla realtà. La fede nello statalismo di Smirne rappresentava un cosmico “monismo”, una conversione di entrambi, la natura e lo stato, in una madre munifica che toglieva o cercava di togliere ai suoi figlioli ogni cosa spiacevole, mentre Dio Padre abbandonava i suoi Figli in Cristo alla dura realtà della maturazione. La loro era ricchezza di vita, mentre Smirne aveva solo morte con i fiori.

“Conosco la calunnia di coloro che si dicono Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana” (2:9). In un capolavoro di fantasia, Rist caratterizza questa affermazione come “antisemitismo” 4. Effettivamente, i Giudei di Smirne non solo ostacolavano la chiesa, ma anche utilizzarono il culto dell’imperatore per trascinare i cristiani al processo e alla morte. Molto tempo dopo, nel 160 d.C. i Giudei ebbero parte attiva nel martirio di Policarpo di Smirne, portando perfino combustibili per bruciarlo, benché fosse il loro giorno di Sabato. Questo fu un orrore particolare per i giudei credenti, i quali, come Paolo, desideravano ardentemente la salvezza del vecchio Israele. (Ro. 10:1) poiché i legami di sangue erano molto forti. Contro tutto questo il Signore dichiarò la dura realtà: i “giudei” non sono più i veri giudei o Israele di Dio, ma una sinagoga o assemblea di Satana, l’avversario di Dio. Devono essere considerati storicamente, non sentimentalmente o idealmente. I membri di questa sinagoga, anziché essere in alcun tipo di relazione con Dio, erano in aperta bestemmia contro di Lui attraverso i suoi santi e perciò, veramente, “la sinagoga di Satana”. I giudei cristiani di Smirne dovevano perciò vedere i loro parenti nella carne, non in termini razziali ma nella prospettiva religiosa.

“Non temere ciò che dovrai soffrire ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in prigione per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita” (Ap. 2:10). Di fronte alla vita facile dei non credenti di Smirne, Gesù promette la certezza della sofferenza. È una perversione ed un immorale svilimento della cristianità che alcuni predicano, promettendo ogni tipo di felicità in cambio del pensiero positivo, o affermando che Cristo rapirà i suoi santi togliendoli dalla tribolazione. I pii che dichiarino: “Grazie Dio sono salvato e tutti i miei problemi sono spariti” potrebbero benissimo non essere salvati, e certamente non sono onesti. Cristo promette tribolazioni, fatiche e prove al suo popolo. Sono i morti a non avere problemi, o i viventi morti, come la gente di Smirne e di Efeso, aderenti ad una fede che sostiene che la castrazione è santità, la diminuzione della vita è vita, e l’assenza di vizi è virtù. La salvezza nella religione Romana ed Ellenica era una salvezza automatica (deux ex machina), un rapimento miracoloso o una liberazione dall’avversità dentro ad una situazione felice e lussureggiante. La salvezza biblica, come sottolinea l’incarnazione, è nel contesto della vita è non è una liberazione dai problemi e dai conflitti, ma la promessa di forza per combattere e per vincere. La promessa da parte di Gesù che avremo tribolazione è perciò più di una dichiarazione di onestà singolare: è una rivelazione della stessa natura della fede biblica com’è dichiarata o dedotta per esegesi dall’incarnazione e la resurrezione di Cristo, con la totalità della sua vita. La richiesta di una salvezza automatica (deux ex machina) da parte di cristiani è dunque un radicale errore ed un’offesa.

La “corona di Smirne” era una frase familiare che indicava la collina chiamata Pagos, con i suoi grandiosi edifici pubblici, e la frase suggeriva ancora una corona d’edera o una ghirlanda floreale, spesso indossata da adoratori di bacco e di altre divinità in occasioni rituali [5]. Contro tutta questa esibizione imponente, Cristo offre la vera corona, “una corona di vita”, nelle tribolazioni e attraverso le tribolazioni, non isolata da esse. “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese: chi vince non sarà certamente colpito dalla seconda morte” (2:11) La chiamata a soffrire, perciò, non è per amore della sofferenza o in disprezzo della vita: nessuna falsa santificazione viene profferta, e neppure l’ ascetismo. La guerra aperta tra i due regni o imperi implica la tribolazione, e quella tribolazione e combattimento sono un passo essenziale verso la vittoria.

La chiesa di Smirne rimaneva in una posizione di non compromesso, nonostante fosse stremata dall’ostilità dei parenti giudaici. La chiesa di Pergamo, comunque, nonostante alcuni marcati aspetti di forza, non era senza compromesso.

Pergamo, a nord est di Efeso, era una capitale, storicamente la più grande dell’Asia Minore. La sua famosa biblioteca conteneva 200.000 libri, e la parola “pergamena” proviene da he pergamene charta, la carta di Pergamo. Religiosamente era dedicata all’adorazione dell’Imperatore, e anch’essa prese il titolo di neokoros, gli spazzini del tempio di Cesare. Era anche devota in maniera prominente al culto di Dionisio, il dio-toro, e ad Asclepio, il dio della guarigione, il cui simbolo era il serpente.

Dionisio o Bacco è meglio conosciuto come la personificazione dell’estasi e dell’ubriachezza. Secondo una delle forme del mito, Dionisio o Zagreus fu ucciso dai Titani mentre occupava il trono di Zeus, e un rituale annuale di rivitalizzazione era parte di quella fede. Egli era la divinità della vegetazione e appariva anche in forme animali (toro o capro), doppiamente connesso con ciò con l’agricoltura e la fertilità. Però, Dionisio non era meramente fertilità nello stesso senso di Cybele, ma era l’estasi della fertilità e la relativa eccitazione.

Asclepio, conosciuto come Asclepios Soter, Asclegio il salvatore, era un dio di guarigione e il suo emblema era il serpente, spesso il serpente intrecciato. Nel suo tempio vagavano liberamente bisce addomesticate e si credeva che i malati, lasciati li per la notte, fossero guariti dal tocco di queste bisce.

In questo modo, il culto di Dionisio offriva salvezza attraverso l’evasione dentro all’estasi, dentro la religione esperienziale, e il culto di Asclepio offriva un culto di guarigione, mentre il culto dell’imperatore offriva all’uomo il suo anello della catena dentro all’ordinamento divino per mezzo dello stato. La legge e la pace Romana erano pietre fondamentali di quell’ordinamento divino, e i Cesari la manifestazione visibile di quell’ordinamento e direzione. Valeriano, che pervenne al potere nel 253, proclamò la natura di quella direzione in una moneta in cui dichiarava di essere il “restauratore della terra” ed il suo co-imperatore e figlio Gallieno iscrisse in un’altra moneta ubique Pax, “Pace in terra” [6]. L’autorità romana aveva dunque quale propria direzione, scopo e obbiettivo questo ordinamento divino-umano, il cui fondamento era la legge. La funzione fondamentale della religione era attualizzata dallo stato, e le funzioni religiose subordinate erano attualizzate dai culti. Contro questa legge e autorità la parola o legge di Cristo il Re dichiarò la propria autorità. “E all’angelo della chiesa in Pergamo scrivi: queste cose dice colui che ha la spada affilata a due tagli” (Ap. 2:12). Dovunque qualsiasi stato assuma come proprio obbiettivo “la vita buona”, e un ordinamento messianico come propria funzione anziché quella della semplice amministrazione della giustizia, deve necessariamente dichiarare guerra al regno di Dio e a sua volta essere oggetto degli attacchi da parte dei cristiani, e questo è vero oggi altrettanto di quanto lo sia stato al tempo di Roma. Non possono esserci concessioni: Cristo chiama tale stato “il trono di satana” (2:13). Oggi, come allora, molta della chiesa abita “proprio lì dov’è il trono di satana”. Lo stato moderno si assume, col consenso delle chiese false e compromesse, il ruolo della salvezza e della religione, e lascia le consolazioni e i doveri periferici della religione alle chiese.

Nel complesso, comunque, la chiesa di Pergamo era stata fedele. Si era mossa in una sfida diretta contro l’impero: “abiti” (Katokein) implica lo stabilimento di una dimora fissa e permanente. La chiesa stava reclamando i regni di questo mondo per Cristo e stava testimoniando fedelmente addirittura fino alla morte, come nel caso di Antipa (2:13). Il conflitto era inevitabile a partire dal fatto che “satana abita” Katocrei nello stesso luogo, reclamando il regno per Cesare. Ma la spada non è nella mano di Roma ma in quella del Signore, la cui stessa parola (2:16) detiene maggiore autorità e potere di tutta la potenza di Roma. Se non vorranno combattere per il Signore dovranno combattere contro di Lui. La spada che Egli porta, inoltre, è la daga romana a due tagli, non un’arma orientale. La daga era l’emblema dell’autorità romana. Questa autorità Cristo reclamò come propria e sfidò Roma su territorio romano. Ma, bisogna notare che Cristo si muove per primo contro la chiesa e gli uomini negligenti. C’erano alcuni che compromettevano in Pergamo, seguaci di Balaam e i nicolaiti. Balaam (Nu. 24-25,31) per mezzo di Balak fece cadere Israele a nell’idolatria e nella fornicazione, nella corruzione come mezzo per vincere la fede piuttosto che con un assalto diretto. Questi uomini, in effetti, stavano raggiungendo lo stesso fine, cercando di far mescolare la chiesa e il mondo, di ammorbidire l’offesa della croce, e di far causa comune con Roma nella ricerca religiosa dell’uomo. Il loro peccato primario era spirituale, e le conseguenze apparenti nel reame della moralità. Ma gli uomini non possono dedicare Cristo al compromesso, per quanto possano dedicare istituzioni al compromettere, e il risultato della loro compromissione non è pace ma guerra con Cristo stesso (2:16).

Una doppia promessa (2:17) viene data a chi vince:

  1. “La manna nascosta”, un sostegno soprannaturale, la provvigione e la liberazione caratterizzeranno la loro vita quotidiana. La loro resistenza e il loro successo sarà nascosto al mondo per quanto riguarda la sua causa ma non i suoi effetti.
  2. “Una pietruzza bianca, e sulla pietruzza sta scritto un nuovo nome che nessuno conosce, se non colui che lo riceve”. La pietruzza bianca ha una varietà di significati nell’impero Generalmente era un cubo o un rettangolo di pietra o di avorio. Era simbolo di vittoria, o anche di assoluzione, e ancora anche un biglietto gratuito per cibo o divertimento. Questi ed altri significati sono tutti suggeribili in questo contesto. Anche il nome nuovo era compreso nell’impero come riferimento all’imperatore e al suo titolo nell’assunzione del potere. Con Antipa, che fu chiamato da Cristo “il mio fedele martire”, Gesù Cristo gli diede nientemeno che il proprio titolo. In Apocalisse 1:5 Gesù Cristo stesso è chiamato il fedele “martus”, e questo è proprio il titolo che Egli diede ad Antipa [7]. Così, il nome imperiale di Cristo è dato al credente trionfante ed è un simbolo di vittoria e pegno d’ingresso nel vero reame dell’uomo, il regno di Dio.

Sarebbe bene notare che queste lettere sono delle chiamate alla battaglia, non solo nella loro terminologia tecnica militare, ma anche nella loro diretta dichiarazione di odio e guerra sia verso il nemico sia verso chi compromette. Davide poteva dichiarare: “Benedetto sia l’Eterno, la mia rocca, che ammaestra le mie mani alla guerra e le mie dita alla battaglia”(Sl. 144:1; Cfr. Sl. 18:34). Guerra e conflitto in qualsiasi senso sono sia un prodotto del mondo decaduto sia una sua necessità. La capacità di combattere viene persa dove sia perso il significato, dove il male divenga semplicemente l’altra faccia della realtà, o venga relativizzato. Come ha osservato Robert Rendall: “Perché ripudiare il male se esso è parte della realtà ultima?” [8]. Roma, con la propria fede, si era ritirata da quel conflitto basilare ed era capace solo di opporsi a coloro che con suggerimenti di vita disturbavano la sua morte ordinata. Se il male è il principio ultimo delle cose quanto la giustizia, allora la morte è il principio ultimo quanto la vita, e possibilmente più basilare, poiché più prevalente. Lo stoicismo avrebbe presto affermato questo regno della morte, e il suicidio sarebbe presto divenuto quasi una virtù. La lotta basilare della chiesa, perciò, doveva essere con se stessa. Le lettere furono scritte con in mente questo. Oggi, come allora, bene e male, vita e morte, tutte le cose sono infatti ugualmente di valore ultimo per l’uomo, il quale rimane quindi sempre più snervato da ogni accenno di guerra. Contro cosa può guerreggiare, e dov’è il suo nemico? La prospettiva moderna post-darwiniana è sempre più incapace di fare guerra alcuna eccetto la guerra totale contro tutte le cose. O tutto viene condonato, o tutte le cose vengono selvaggiamente disprezzate e pestate sotto i piedi. Il risultato in entrambi i casi è la morte. La lotta basilare della chiesa è di nuovo con se stessa, e contro il compromesso.

Quando gli uomini eguagliano il bene e il male, sperano con Adamo di aprire una maggiore libertà all’uomo, e di rendere la vita più ricca nella sue possibilità e nelle sue attualità. Ma la relativizzazione è una spada a due tagli, anziché diventare più ricca con il rovesciamento della legge morale, la vita ne viene degradata allo stesso livello della morte e niente di più. Nietzsche comprese le conseguenze della sua vantata libertà e crollò sotto il suo peso. Dewey non potè spiegare perché, avendo relativizzato tutte le cose, la democrazia avrebbe dovuto avere un valore speciale, o perché la libertà e la dignità dell’uomo dovessero avere valore. L’anarchia dei valori conduce solamente ad un frenetico odio verso ogni realtà e alla guerra contro di essa, poiché la realtà è divenuta l’epitome delle tenebre col suo assorbimento livellante di tutti i significati. In questa triste equalizzazione, la teologia della chiesa moderna ha avuto una non piccola parte.

Il progressivo scetticismo religioso dell’Impero Romano non ridusse la sua natura religiosa ma piuttosto l’intensificò. L’uomo insiste sempre e cerca salvezza, se non da Dio, allora dallo stato, o da qualche altra agenzia che egli divinizza. La secolarizzazione della vita contemporanea è caratterizzata dalla crescita dello stato come ordinamento messianico. La frenesia dei risvegli e delle esperienze religiose hanno lasciato il posto al fervore politico e alla rivoluzione. L’ingenuo fervore dei movimenti religiosi di molti studenti di una volta è stato succeduto dalla passione per il radicalismo politico, una passione in senso religioso, in quanto la sostituzione, l’espiazione vicaria, e le stigmate intellettuali sono caratteristiche dello studente dedicato, le cui capacità di agire positivamente con capacità e sistematicità sono tanto piccole quanto sono grandi le sue necessita di drammatizzarle. La salvezza è sicuramente all’ordine del giorno, e lo stato è il nuovo dio e mostruosa creatura dell’uomo secolare autonomo.

Note:

1 J. Bingham, Works, vii. (Oxford, 1855), 317s.
2 Sir James gorge Frazer, edited by Theodore H. Gaster,The New Golden Bogh; New York: Criterion, 1959; p.315
3 Ramsay, op. cit., 383
4 Rist, op. cit.,383.
5 Ramsay, op. cit., 256,258
6 Ethelbert Stauffer, Christ and the Caesars; Phiuladelphia: Westminster, 1955; p. 238-240
7 Barclay, op. cit.,p.50
8 Robert Rendall, History, prophecy and God, London Paternoster, 1954, p.47.


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