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APOCALISSE 21:1-8

LA NUOVA CREAZIONE

 

Secondo Ebrei 12:22-29: “Noi SIAMO accostati … alla…Gerusalemme Celeste”. La Nuova Gerusalemme è una realtà presente quanto una realizzazione futura. M.S. Terry, scrivendo nel 1890, sintetizzò questa questione appropriatamente:

La Nuova Gerusalemme quindi, è la raffigurazione apocalittica della Chiesa del Nuovo Testamento e del Regno di Dio. Il suo simbolismo esibisce la natura celeste della comunione e dell’amicizia tra Dio e il suo popolo, nella quale si entra qui per fede, ma che ci apre ad un indicibile pienezza di gloria per i secoli dei secoli [1].

La creazione di nuovi cieli e nuova terra cominciò con la resurrezione, con Cristo il primo frutto della nuova umanità e della nuova creazione. La nuova creazione implica la “scuotimento” e la ri-creazione del vecchio mondo. Il primo “scuotimento” avvenne al Sinai, quando la santità di Dio nella sua legge fu morte per il peccato e la ribellione del mondo. Il secondo e ultimo “scuotimento” cominciò con la resurrezione: “Ancora una volta scuoterò non solo la terra ma anche il cielo” (Eb. 12:26). Il commentatore puritano, John Owen, scrivendo su Ebrei 12: 25-27, disse:

Sono qui intesi i cieli del culto Mosaico, e la chiesa-stato Giudaica, con la terra del loro stato politico che le apparteneva 2*.

Di nuovo, Roderick Campbell ha indicato chiaramente:

Il fare nuove tutte le cose si riferisce alla rigenerazione spirituale e morale, alla redenzione nel tempo, alla “resurrezione di tutte le cose” al “tempo della riforma”, alla formazione di una “nuova creazione” alla fattura e completamento di “nuovi cieli e nuova terra”, in altre parole alla restituzione resa necessaria dall’ingresso del peccato e dalla caduta dell’uomo (Cfr. 2 Co. 5:17; Cl. 1:20).

Si noti attentamente la frase “tutte le cose” che viene ripetuta non meno di sei volte in Colossesi 1:15-20. Nota particolarmente i versi 19-20 “perché è piaciuto al Padre di far abitare in lui tutta la pienezza, e, avendo fatta la pace per mezzo del sangue della sua croce, di riconciliare a sé, per mezzo di lui, tutte le cose, tanto quelle che sono sulla terra come quelle che sono nei cieli”. Bisognerebbe notare anche che il “tutte le cose” di 2 Corinzi 5:17 si riferisce principalmente se non esclusivamente, alla realtà oggettiva, a cose esterne al credente, come ora gli sembrano. In entrambi i passi la trasformazione di “tutte le cose” si riferisce a fatti esterni piuttosto che ad esperienze soggettive [3].

Campbell dice inoltre:

La Nuova Terra è il lato inferiore o il lato dell’uomo del nuovo universo che è venuto in esistenza come risultato dell’opera di redenzione compiuta da Cristo quando fu sulla croce. Egli disse: “È compiuto”, e poi rese lo spirito (Gv. 19:30). La Nuova Terra significa gli effetti redentivi sulla terra di cui si parla nel Nuovo Testamento come “la rigenerazione”, il “tempo del cambiamento” (Vecchia Diodati “tempo della riforma” (Eb. 9:10) e “la restaurazione di tutte le cose” (Atti 3:21). In contrasto con questa Nuova Terra e opposta ad essa sta il mondo che ancora giace nel maligno (Ga. 1:4; cfr. Gv. 5:4).

La parola “cielo” nelle Scritture (come per esempio “il cielo domina” Da. 4:26) non significa necessariamente i cieli fisici o astrali, ma piuttosto il divino governo del mondo e dell’uomo. “Terra” non significa necessariamente il pianeta materiale su cui viviamo o qualsiasi parte di esso come città o compagna. La Nuova Terra non significa (come alcuni pensano) il nostro presente pianeta purificato dai suoi mali morali e spirituali. Non significa che questo mondo fisico presente verrà purificato così da diventare un luogo adeguato in cui i santi dimoreranno quando Cristo ritorna, o dopo che sarà suonata l’ultima tromba. La Nuova Terra significa qualcosa totalmente nuovo, qualcosa che venne in esistenza con l’inaugurazione dell’epoca in cui noi ora viviamo. Significa qualcosa che può essere visto solo per fede [4].

Il commento di Calvino su Ebrei 2:5 aiuta a chiarire questo punto:

Per rendere la cosa più chiara, supponiamo due mondi: il primo, quello vecchio, corrotto dal peccato di Adamo; l’altro, posteriore nel tempo, come rinnovato da Cristo… È quindi ora evidente che qui il mondo a venire non è quello che speriamo dopo la resurrezione, ma quello che cominciò all’inizio del regno di Cristo, ma che avrà senza dubbio il suo pieno compimento nella nostra redenzione finale [5].

Ciò definisce chiaramente la questione: non c’è regno per noi, se non siamo nel regno ora, non c’è una nuova creazione a cui guardare innanzi nell’eternità, se siamo fuori da quella nuova creazione ora. Il regno c’è, e deve venire; i nuovi cieli e nuova terra ci sono e devono venire. La pienezza è alla fine dei tempi, ma è qui oggi nella realtà. Ciò significa che i cristiani stanno trascurando la loro eredità e mancano di far uso del loro potere in Cristo: vivono nei termini di vittoria domani anziché vittoria oggi, in termini di gioia domani anziché gioia oggi. Come possiamo godere il cielo se non possiamo godere la terra? Come possiamo gioire nell’ordinamento eterno al di là del tempo quando non possiamo gioire nella nuova creazione oggi? Apocalisse fu scritto a cristiani sofferenti e turbati, e anche a cristiani compiaciuti e soddisfatti di sé, i quali attendevano la venuta del regno e sentivano che i problemi del mondo rappresentavano un ostacolo a Cristo e al suo regno. Ma Apocalisse rende chiaro che il regno è ora e che, non è evadendo il conflitto, la responsabilità e la sofferenza, ma assumendoli, che i cristiani e la chiesa guadagnano la loro eredità. Sia il compromesso col mondo che la fuga da esso assumono che Cristo sia impotente e che il suo regno sia nel futuro e non abbia vero potere oggi.

La buona notizia viene annunciata: “Il mare non c’è più”. Il mare è il mondo, il mondo apostata e non credente. Le nazioni si impongono quale vero regno, come il vero bene comune dell’uomo, in opposizione al regno di Dio. Esse reclamano il dominio, il controllo ed il potere. Ma Dio dichiara: “Il mare non è più”. Le nazioni, Egli disse a Isaia, sono come nulla davanti a lui (Is. 40:15 s.). Ora, la nuova creazione essendo stata stabilita e l’opera di espiazione di Cristo essendo stata apertamente presentata, il Signore si muove contro le nazioni. Non ci sarà più mare, e la buona notizia viene annunciata in anticipo. I regni di questo mondo diventeranno i regni del nostro Signore e del suo Cristo. Le nazioni apostate saranno spezzate, e sarà preparata la via per i servi del Signore.

Nei versi 1-8, abbiamo i nuovi cieli e la nuova terra descritti nel loro eterno splendore e nella loro realtà presente, e messi in contrasto con la morte eterna del mondo di Babilonia. Nel verso 1, come abbiamo notato, abbiamo la grande dichiarazione: “Il mare non era più”. Dalla prospettiva dell’ordinamento eterno il mare rabbioso e turbolento, dal quale provenne la bestia, e che tipizza le nazioni che si stabiliscono quali vero regno, il vero bene comune dell’uomo in opposizione al regno di Dio, non c’è più. Per mezzo di Isaia, Dio dichiarò enfaticamente che il suo giudizio era sopra le nazioni. Inoltre, con la venuta di Emmanuele, il Figlio di Dio nato dalla vergine, la sovranità delle nazioni fu rivelata essere meno di niente, totalmente inesistente, e la sovranità del Signore fu pienamente rivelata. Il cristiano di oggi, come ai giorni di Giovanni, si fa troppo spesso sommergere dalla furia del mare, e ha la sensazione che Dio sia remoto, ma il Signore dichiara, per mezzo di Giovanni: “Il mare non è più”. “I pagani tumultuano” (Sl. 2), ma tutto il loro complottare contro il dominio del Signore è ridotto a nulla dalla venuta di Gesù Cristo, il quale procede a “spezzarle con il bastone di ferro” (Sl. 2:9). Ciò a cui stiamo assistendo non è il trionfo delle nazioni ma la loro frantumazione, e noi dobbiamo “servire il Signore con timore e gioire con tremore” (Sl. 2:11) mentre vediamo queste cose.

Il tabernacolo della presenza di Dio è descritto sia nella sua pienezza, quale gloria dell’ordinamento eterno, e sia quale realtà della vita della vera chiesa. La morte e le tristezze della vita sono abolite dalla resurrezione di Cristo, e noi entriamo in quella vittoria qui ed ora, e nella sua pienezza alla resurrezione dei morti. Non col compromesso, non sedendoci ai margini e separati dal conflitto, ma combattendo per vincere e diventando per questo assetati riceviamo la nostra eredità e berremo dell’acqua della vita (21:6-7). E il Signore è l’inizio e la fine, l’Alfa e l’Omega di tutte le cose, inclusa la nostra vita cristiana, la nostra fame e la nostra sete, il nostro lottare e il nostro vincere. Perciò, “Baciate il Figlio, perché non si adiri e non periate per via, perché la sua ira può accendersi in un momento. Beati tutti coloro che si rifugiano in lui” (Sl. 2:12).

La parola “nuovo” viene usata ripetutamente per descrivere questa creazione. Due diverse parole greche vengono tradotte “nuovo” nel nostro testo italiano, “neos”, che riguarda il tempo, e “kainos” che riguarda la qualità [6]. La parola “kainos” fu utilizzata per descrivere la tomba di Gesù (Mt. 27:60; Gv. 19:41), e anche gli “otri” per il vino nuovo, indicando, in entrambe le istanze non che la tomba o gli otri erano appena fatti, ma piuttosto non ancora usati ovvero pristina per la tomba e freschi ed elastici per gli otri. Questa stessa parola: “kainos” viene usata qui e attraverso tutto il libro di Apocalisse.

Note:

1 Milton S. Terry, Biblical Hermeneutics, New York: Eaton & Mains, 1980, p. 382.
2 John Owen. An Exposition of Hebrews, Vol IV (Evansville, Indiana: Sovereign Grace Publishers, 1960), p. 366.
* N.d. T. Il senso dell’intero capitolo di Owen è che Cristo ha inaugurato un nuovo regno religioso e politico dopo aver scosso quello giudaico che era fatto di cose scuotibili, es. arca, cherubini, tempio ecc., sostituendoli con le cose reali che non possono essere scosse. Riguardo al paganesimo e in un senso più generale Cristo ha scosso: rimossi per sostituirli, cielo, cioè l’oggetto delle fede, il luogo verso cui si guarda, e la terra, il luogo ove la fede viene messa in pratica politicamente.
3 Roderick Campbell: Israel and the New Covenant, Philadelphia, Presbyterian and Reformed Publishing Co., 1954 p. 108.
4 Ibid, p. 113 s.
5 Giovanni Calvino: Commentaries on the Epistle to the Hebrew; Traduzione di John Owen. Grand Rapids: Eerdmans, 1949. p. 58.
6 W. Boyd Carpenter, in Ellicott, op. cit.,VIII, 627.


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