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APOCALISSE 5

TESTAMENTO ED ESECUTORE

 

Al centro della dottrina biblica della storia ci sono due importanti fattori, entrambi manifestati nelle loro reciproca relazione in Apocalisse 5; il primo è il libro, o rotolo, il secondo, è Gesù Cristo, il leone della tribù di Giuda, l’Agnello di Dio. Gesù è l’Agnello di Dio rispettivamente al suo ruolo sacrificale, non è una descrizione della sua natura, come vorrebbe il sentimentale arminianesimo col suo Gesù “mite e mansueto” come un agnello. Nella sua natura, Gesù è il Leone della tribù di Giuda, il governatore autorevole e sicuro di sé.

Il libro, o rotolo è “sigillato con sette sigilli”. Questo indica immediatamente la natura del libro. Il problema centrale, comunque, non è tanto il contenuto del libro, benché questo sarà rivelato con la sua apertura, ma chi sia capace di aprirlo. Il libro viene proteso alla chiesa: i ventiquattro anziani, da Dio, dalla sua mano destra. È il suo dono per loro. La mano destra è la mano dell’azione, potenza e benedizione: tutto questo viene offerto alla chiesa. Il libro è scritto dappertutto completamente “dentro e fuori” (5:1) senza spazio per aggiunte: la provvidenza di Dio ed il suo decreto sono chiaramente totali.

I sette sigilli sul libro o rotolo indicavano immediatamente alla chiesa che questo documento era un testamento. “Quando un testatore moriva il testamento veniva presentato e, quando possibile, aperto alla presenza dei sette testimoni che l’avevano sigillato, venivano tolti i sigilli, letto ad alta voce e reso esecutivo” [1]. Questo testamento o eredità che Dio offre alla chiesa è la promessa del regno. L’uomo aveva un tempo distrutto il regno che Dio gli aveva dato: la ribellione e apostasia di Adamo l’avevano fatto uscire dal paradiso e aveva fatto entrare nel mondo il peccato e la morte. La promessa di Dio di un Redentore che avrebbe distrutto il potere dell’avversario e riportato l’uomo al paradiso era stata data ad Adamo ed Eva, fu il nocciolo dell’alleanza con Abrahamo, fu adempiuta nella venuta di Gesù Cristo, e sarà manifestata in tutta la sua pienezza nel suo glorioso ritorno. Ma nella chiesa primitiva, nella sofferenza in cui erano quei santi, neanche pienamente consapevoli delle implicazioni dell’opera di Cristo, come rivela la lettera agli Ebrei, il regno e la gloria erano remoti, vivevano sotto il potere e l’autorità di Roma e nessun altro regno sembrava valere. Così, ai santi del Vecchio e del Nuovo Testamento è spesso sembrato che, benché Dio in effetti offrisse il regno, questo fosse remoto e irraggiungibile. Non c’era uomo che potesse restituire il paradiso, non c’era uomo che fosse capace di rendere esecutivo il Testamento e di dare all’uomo la sua eredità: “Ma nessuno, né in cielo né sulla terra né sotto terra, poteva aprire il libro e guardarlo” (5:3). La promessa di Dio e il suo scopo provvidenziale venivano estesi all’uomo; il regno gli era dato per testamento, ma nessun uomo era capace di impadronirsi dell’eredità, e nessuno era qualificato come esecutore del testamento.

Nessun uomo era qualificato ad aprire il libro, perché tutti gli uomini hanno peccato e sono privi della gloria di Dio. Nessuno ha guadagnato il regno, nessuno ha osservato i comandamenti; nessuno è capace di salvare se stesso o di purificare se stesso. Nessuno può farsi giusto da sé. Così, la chiesa di entrambi i Testamenti sente la propria radicale incapacità mentre sta sulla soglia del regno, e sta di fronte alle promesse di Dio e alla grande e designata eredità: il regno di Dio.

Dio offre il regno: l’uomo deve riceverlo, ma nessun uomo è qualificato per riceverlo. Giovanni sente la frustrazione dei secoli e piange. Le promesse di vita, la speranza del regno, la potenzialità e la speranza del corpo, la brama dell’anima, verso quale fine muovono se non verso la tomba? L’uomo cerca il proprio regno, e la sua fine è il peccato e la morte. Egli cerca di creare il proprio decreto e il proprio destino, e questi si rivelano essere solamente inferno e morte. Dio offre il suo regno all’uomo che perisce, ma come può l’uomo riceverlo?

A questo punto si fa avanti il “familiare-redentore”.  La famiglia non è centrale solamente per la legge, per la fede e per la tipologia della bibbia, ma entra nella sua dottrina della redenzione. Apocalisse ci da l’adempimento della legge dell’Antico Testamento riguardo al familiare-redentore, i cui testi fondamentali sono Levitico 25, Ruth, e Geremia 32:1-15. La responsabilità verso i propri consanguinei e parenti era basilare alla società. Rompere il pane con un altro uomo, o mangiare il suo sale, significava essere incorporato nella sua vita, il suo corpo o famiglia. Ogni pasto era sacramentale. Il ruolo femminile di fornaia sottolineava la sua importanza nel patto familiare, il ruolo maschile quale ospitante, il quale solo poteva estendere la protezione della famiglia ad un altro, o la negava al trasgressore, enfatizzava il suo ruolo di capo nella comunità della famiglia.

Redimere, nel suo significato basilare, significa, riacquistare, ricomprare, “e si riferisce sempre a proprietà che è uscita dalle mani del proprietario originale, per vendita, pegno, o prestito e che egli riacquista sotto le leggi che governano questi casi. Solo il proprietario originale, o qualcuno che agisce per lui, ha il diritto di redimere una proprietà impegnata” [2].

C’erano alcuni obblighi che spettavano al familiare-redentore:

  1. Doveva essere il familiare più prossimo di colui che redimeva.
  2. Doveva pagare tutti gli oneri accessori e soddisfare ogni richiesta legale.
  3. La redenzione di un’eredità poteva richiedere il matrimonio.
  4. Doveva vendicare il torto che il familiare avesse subito.

Un familiare-redentore doveva redimere un’eredità persa (Le. 25:24-28). Un familiare-redentore doveva riscattare il familiare dalla servitù (Le. 25:47-54). Un familiare-redentore doveva vendicare la morte del proprio familiare (Nu.35:12,19).

Adamo aveva perso la sua eredità, e venduto la sua razza alla schiavitù del peccato. Gesù prese su di sé carne e sangue, diventando così il parente più stretto, il familiare redentore di giudei e gentili, pagò il prezzo e riscattò i prigionieri. A tempo debito farà vendetta su satana, il grande nemico del suo popolo (Ap. 20:1-3) [3].

In questo modo Gesù entra nella storia come il nostro parente più stretto, familiare redentore, per redimerci dal potere del peccato e della morte e per restituirci il paradiso, il regno di Dio. La nostra salvezza non è meramente negativa, ma positiva, non solamente dal peccato e dalla morte, ma dentro alla giustizia, santità, conoscenza e dominio nel suo regno eterno, ricreandoci a sua immagine e ristabilendoci nella nostra chiamata quali re, sacerdoti e profeti di Dio l’Onnipotente. Questo è lo scopo di Dio dichiarato dall’inizio, fatto conoscere all’uomo per la rivelazione della sua parola. Come Dio disse ad Abrahamo, che chiamò nei termini del familiare-redentore e dell’umanità redenta: “Celerò io ad Abrahamo quello che sto per fare poiché Abrahamo deve diventare una nazione grande e potente e in lui saranno benedette tutte le nazioni della terra?” (Ge. 18:17-18).

Gesù Cristo, il nostro parente più stretto, ci redime con la sua opera espiatoria sulla croce. Il mediatore è quindi investito dell’ufficio di Re sull’universo (Ap. 5:7-14) [4]. È visto come l’uomo-Dio, il Leone della tribù di Giuda, ed erede del trono di Davide. La sua famiglia e il suo lignaggio sono veramente umani. Ma egli non è solo il compimento di Davide e di Giuda, il suo culmine e Ramo, ma anche “la radice di Davide” (5:5), la Radice e il Ramo della casa di Davide, il suo divino creatore e sorgente, e il suo figlio umano ed erede. Egli è l’Agnello di Dio, il sacrificio espiatorio, e l’agnello pasquale adempiuto, ma come agnello con sette corna, è la totalità dell’onnipotenza e del potere, e con sette occhi, onnisciente, con tutte le epoche a portata della sua vista e nel possesso della pienezza dello Spirito di Dio nel suo controllo “di tutta la terra” (5:6).

Gesù dichiarò di essere il familiare-redentore, dichiarando che le Scritture (Is. 61:1-2) si adempivano in lui, ma la gente di Nazareth, coscienti della povertà della sua famiglia, disprezzarono la sua dichiarazione, nonostante la qualità delle sue parole fosse convincente (Luca 4:16-21). Annunciandosi come familiare-redentore, proclamò che quel grande giubileo di libertà sarebbe venuto solamente per mezzo della sua persona e della sua opera.

Cristo Gesù conseguì il suo potere come re dell’universo e dell’eterno regno di Dio attraverso la sua vittoria sul Calvario, ed ora, quale parente più prossimo dell’uomo “Egli venne e prese il libro dalla mano destra di Colui che sedeva sul trono” (5:7). Cristo è la chiave della storia e la porta del regno. Lui solamente apre il regno all’uomo e rivela il significato di tutta la storia.

Quando l’onnipotente e onnisciente Agnello, il Dio-uomo, prende il libro e si assume la responsabilità come esecutore testamentario dell’asse patrimoniale e come familiare-redentore dell’uomo, cielo e terra e tutta la creazione risuonano con la gioia di tutti gli esseri creati a questo primo atto di restituzione e compimento. Tre poderosi inni vengono cantati a sua lode, come ci si aspetterebbe, poiché tutta la creazione trova il proprio compimento solo in Cristo.

  1. Il primo inno dai quattro viventi e dai ventiquattro anziani. La chiesa, tipizzata negli anziani, è la chiesa di tutti i tempi, non quelli in cielo, ma quelli in terra, i quali offrono “turiboli d’oro pieni di profumi” o incenso, le preghiere dei santi (Sl. 141:2) adempiendo in questo modo la loro chiamata di sacerdoti in Cristo. Cantano un “cantico nuovo”, cioè un cantico di gratitudine per una nuova, inattesa e immeritata benedizione. Il loro è un inno di gioia per la redenzione, una redenzione universale che chiama gli eletti da ogni “tribù, lingua, popolo e nazione” per essere “fatti a Dio re e sacerdoti e regneranno sulla terra” La Luzzi Riveduta dice: “Ne hai fatto per il nostro Dio un regno e de’ sacerdoti, e regneranno sulla terra” (5:8-10). La chiesa regna oggi in Cristo perché Egli governa e revoca in tutte le cose per la sua totale provvidenza e fa in modo che perfino l’ira degli uomini gli dà gloria (Sl. 76:1).
  2. Nel secondo inno (5:11-12), l’esercito celeste canta le lodi dell’Agnello e il suo essere degno, poiché “fu ucciso”, “di ricevere potenza”. Il Figlio di Dio morì perché noi potessimo vivere, e noi a nostra volta dobbiamo morire perché egli possa vivere in noi. L’intera creazione trova la propria vera vita e compimento in lui, cosicché non è solo l’uomo, ma altrettanto l’esercito del cielo a gioire nella venuta del grande esecutore e nella restituzione dell’eredità perduta.
  3. Il terzo inno (5:13-14) è il coro poderoso di tutte le creature di Dio in cielo, terra e mare che lodano l’Agnello “nei secoli dei secoli”. Paolo in Romani 8:20-22 ci da uno scorcio dalla lode universale a Dio, come pure in Filippesi 2:10s. Questa gioia è inevitabile “che la creazione stessa venga essa pure liberata dalla servitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Infatti noi sappiamo che fino ad ora tutto il mondo creato geme insieme ed è in travaglio” (Ro.8:21-22). Dinanzi a questa grande redenzione, ci si può solamente aspettare, ed è inevitabile “che nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio delle creature (o cose) celesti, terrestri e sotterranee, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre (Fl. 2:10-11).

 

Note:

1 T. Zahn ,Introduction to the New Testament, Vol. 3, p.393s.
2 M.M.B. ,Revelation , Vol. I., Pittsbourgh: Silver Publishimg Co., n.d., p.62
3 Ibid. ,p. 62s.
4 Si veda W. Hendriksen, More Than Conquerors, Grand rapids


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