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APOCALISSE 10

PACE E GIUDIZIO

 

Gesù Cristo, tabernacolo della gloria di Dio, la colonna e la nuvola del viaggio nel deserto di Israele, appare ora parzialmente velato da nubi e dal fuoco. Mentre allora aveva dimorato col suo piccolo gregge nel deserto, ora, in virtù dell’estensione mondiale della chiesa, copre terra e mare e adombra il mondo intero. L’arcobaleno sul suo capo lo rivela essere il principio della pace e il fondamento dell’Alleanza di Dio con Noè. Nel dominare il mondo intero con le sue dichiarazioni e promesse pattizie, Egli alza la tensione nel mondo e rende il peccato sempre più volontario, più manifestamente arbitrario, mentre la sua signoria viene sempre più asserita e resa manifesta.

Il principio della pace è contemporaneamente il principio della rottura della pace, e quindi il principio del giudizio. La pace romana significava il potere ed il giudizio romani. Pace significa il prevalere di un ordine e della tranquillità di quell’ordine. Gesù Cristo, così, è non solo il principe di pace, ma anche il Signore del giudizio. I due sono inseparabili. Per poter eliminare il giudizio l’uomo deve necessariamente eliminare la pace. Odiare il giudizio è odiare la pace, significa la creazione dello stato perpetuo di guerra quale condizione dell’uomo. I cosiddetti amanti della pace che guerreggiano contro la legge e l’ordine Cristiano cercano non la pace ma perpetua rivoluzione. Il giudizio esiste solamente come mantenimento dell’ordine. Il Giudizio Finale, il giudizio totale e assoluto introduce la pace assoluta. Per eliminare il giudizio è necessario eliminare ogni forma di ordine. Perciò, mentre gli uomini, religiosamente, socialmente e giuridicamente esorcizzano e cercano di eliminare l’inferno ed il giudizio, essi ottengono, non la tranquillità e la pace che professano di desiderare, ma proprio quella stessa discesa all’inferno che cercano di evitare, poiché l’inferno è l’assenza e la negazione di qualsiasi principio di legge ed è il caos della totale affermazione di volere e di essere. Nella perfezione di Dio, tale totale affermazione è una inevitabile e necessaria conseguenza del suo essere. Dio, quale assoluta santità, giustizia e verità, nella totale affermazione della sua volontà e del suo essere, procede nei termini di ciò che Egli è: santità giustizia e verità. Ma per l’uomo affermare la sua volontà ed il suo essere quali ordine totale e assoluto è affermare l’inferno. Il continuo tentativo dell’uomo di esorcizzare e di abolire il giudizio e l’inferno, è dunque parte integrante della sua dichiarazione di essere come Dio. È la dichiarazione dell’uomo di essere il proprio universo e la propria legge. Poiché l’uomo è una creatura e sotto la legge, non egli stesso legge, e perché l’uomo può peccare ed ha peccato contro Dio, l’inferno è una realtà. Se non ci fosse l’inferno non ci sarebbe l’uomo. Una creazione senza l’inferno è una impossibilità e una contraddizione. I tentativi dunque di abolire l’inferno ammontano anche tentativi di abolire l’uomo, di creare un ordine ideale nel quale gli uomini non sono niente altro che pedine degli scacchi da essere mossi da un gruppo di auto-designati dèi, all’uomo è negato il privilegio di essere uomo, questo è riservato alle nuove divinità dell’essere.

L’arcobaleno significa il patto di grazia. Cristo appare alla chiesa nella persona di Giovanni, ma il suo messaggio è per il mondo intero. Egli dichiara (v.2) il proprio titolo sul mondo intero piantando un piede infuocato sul mare e un altro sulla terra mentre torreggia nel cielo. Proclama la pienezza del giudizio, i sette tuoni. Giovanni si affretta a scrivere queste cose, desiderando la fine e la piena liberazione dei santi. È la fine della storia che Giovanni brama, la grande conclusione. Egli viene trattenuto dalla sua fretta “non scrivere”. Ma, affinché Giovanni non divenga impaziente ai tempi di Dio, gli viene detto “che non vi sarebbe più alcun ritardo, ma nei giorni in cui il settimo angelo farà udire la sua voce, quando egli suonerà la tromba, si compirà il mistero di Dio, secondo quanto Egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti” (vv. 6-7). “Che non vi sarebbe più tempo” (Diodati) significa “non vi sarebbe più alcun ritardo” (Nuova Diodati). All’uomo sembra che Dio stia ritardando: Dio assicura l’uomo che nella dispensazione Cristiana il tempo degli indugi è passato.

A Giovanni viene quindi dato un piccolo libro, e gli viene anche chiesto di mangiarlo. Questo è un simbolo profetico familiare che significa masterizzare le richieste di Dio nei nostri confronti, digerire il significato della Sua parola, fare del suo scopo talmente parte della nostra vita da essere come il cibo assimilato e divenuto esso stesso vita. A prima vista, la chiamata dell’evangelista Giovanni sembra essere una chiamata gloriosa e felice, ma gli viene fatto comprendere che essa implica non solo il dolce ma anche l’amaro, persecuzioni e sofferenze. Tutto ciò era già stato sperimentato da Giovanni, ed egli lo vede ora come la provvidenza di Dio ed il prezzo necessario della sua vocazione. Solo coloro i quali fanno della volontà di Dio parte integrante della loro vita possono conoscere sia la dolcezza che l’amarezza dell’obbedienza. Ci sono entrambe, e a Giovanni non viene permessa alcuna illusione riguardo alla sua vocazione. L’eredità è in via di restaurazione, la terra promessa viene reclamata per i santi, ma non senza pretese su di noi. Solo quando Giovanni accetta entrambi l’amarezza e la dolcezza della sua vocazione può veramente essere commissionato con potere. “Tu devi profetizzare ancora intorno a molti popoli, nazioni, lingue e re” (v. 11). Questo è l’ordine che viene dato a Giovanni come rappresentante di tutta la chiesa. La nostra potenza come cristiani è nel mangiare il piccolo libro, nell’accettare la nostra chiamata sia nella sua amarezza sia nella sua dolcezza.

Come Torrance l’ha abilmente espresso:

Sicuramente c’è qui una domanda che dobbiamo chiedere a noi stessi. Se non c’è assenzio, siamo veramente in contatto con la Parola di Dio? Se il nostro messaggio non turba e qualche volta perfino tormenta, non sarebbe meglio chiederci se abbiamo mai veramente mangiato la Parola di Dio? Questo capitolo ci dice molto chiaramente che in questo mondo non possiamo partecipare alla Parola di Dio senza amarezza. Perché la Chiesa di Gesù Cristo oggi si confà così bene con l’ambiente intorno a se? Perché i cristiani vivono vite così confortevoli e perfino indisturbate in questo mondo malvagio e tumultuoso? Sicuramente è perché non siamo coerenti con la Parola di Dio [1].

 

Note:

1 Thomas F. Torrance, The Apocalipse Today, Grand Rapids; EErdmans, 1959; p.70.


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