APOCALISSE 4
IL TRONO DEL GOVERNO
La lettera a Filadelfia (3:7-13) parlò di Cristo come la Porta, e Cristo promise “una porta aperta”. La lettera a Laodicea (3:14-22) concludeva con una chiamata ad aprire la porta a Cristo il re e salvatore. Poi Giovanni scrisse: “Dopo queste cose, io vidi, ed ecco, una porta aperta nel cielo, e la prima voce che avevo udito parlare con me come una tromba disse: “Sali quassù e ti mostrerò le cose che devono avvenire dopo queste” (4:1). Questa “prima voce” è la stessa sentita dal principio (1:10s.), proprio Gesù Cristo, che ora dichiara che “le cose che devono avvenire dopo queste” verranno rivelate alla chiesa per mezzo di Giovanni. In questo modo, Cristo, la porta a Dio, la via, la verità e la vita, è inoltre necessariamente la porta aperta ad una conoscenza del futuro, poiché Egli è la chiave di tutta la storia. I dettagli della storia furono spesso stati dichiarati dai profeti, il corso della storia, il suo obbiettivo e significato viene ora dichiarato da Gesù Cristo. Il cristiano non ha il diritto di essere sorpreso dalla storia, egli la comanda in Cristo, e perciò ne conosce la natura e il destino. Dopo aver rivelato la vera natura della chiesa storica (Ap. 2-3), Gesù Cristo ora rivela la natura della storia dalla posizione del trono. Lo scopo di questa rivelazione non è la soddisfazione della curiosità umana ma la preparazione della sua chiesa alla battaglia e alla vittoria. Egli non permetterà al suo popolo il lusso del compromesso con la loro stessa natura, col mondo o con la disperazione. Compromettere con la disperazione è comunque compromettere, per quanto possa definirsi l’afflizione della fede. Lo scopo della rivelazione è lasciare la chiesa senza scuse, e dare al credente forza e gioia nella sua resistenza.
Giovanni, quando gli fu aperto in visione, vide, prima di tutto “un trono”. Il fattore centrale del cielo non è la beatitudine angelica ma l’assoluta autorità di Dio sul cielo e sulla terra simboleggiata dal trono. Dio sul trono governa in modo assoluto l’intera creazione. Questo fatto è sottolineato attraverso tutta Apocalisse. “Egli è rappresentato sul suo trono in ogni capitolo escluso il 15, dove è nel tempio e 2, 9 e 10 dove non c’è occasione per menzionare il trono” [1].
“E colui che sedeva era nell’aspetto simile a una pietra di diaspro e di sardio; e intorno al trono c’era un arcobaleno che rassomigliava a uno smeraldo” (4:3). Il diaspro è probabilmente il nostro diamante, e il sardio una pietra di colore rosso sanguigno [2], L’intero universo è visto in una vampata di luce che scaturisce dal trono. Ma Dio stesso rimane nascosto in quella luce. La conoscenza di Dio rimane eternamente inesauribile per l’uomo, anche in cielo, cosicché la sua stessa rivelazione sottolinea la sua inesauribilità e la sua incomprensibilità. Egli è la fonte della vita, nella sua luce solamente vediamo la luce (Sl. 36:9) cosicché la vera comprensione di qualsiasi cosa è impossibile senza l’esplicita o implicita presupposizione di Dio il Creatore. Egli è il sole, alla cui luce vediamo ogni cosa, ma non possiamo mai guardare direttamente e immediatamente il sole. Egli non è l’oggetto della conoscenza, ma la necessaria presupposizione di ogni conoscenza. Conosciamo Dio veramente ma non in modo esaustivo. In ogni caso, più chiara è quella comprensione, più sarà chiara la conoscenza della sua incomprensibilità. La mente della creatura non può comprendere la mente del creatore, dire di possedere quella comprensione (di capire pienamente) è dire di possedere una mente uguale a quella di Dio, e cioè un pari statuto di autonomia e di divinità, o di affermare la partecipazione in quella divinità.
Ma, benché Dio rimanga eternamente inesauribile e nascosto, lo stesso nascondersi è una gloriosa rivelazione di se stesso, perché egli è nascosto alla vista dalla gloria del suo Essere come da gemme e da un arcobaleno di luce proveniente da un verde smeraldo. Questo arcobaleno non solo esprime la sua gloria, ma è anche un perpetuo ricordo all’uomo del patto di pace di Dio, il suo patto con cui promette di trattenere la sua ira dall’uomo sulla terra (Ge. 9:13-16). L’arcobaleno che nasconde Dio, allo stesso tempo lo rivela essere il Dio di grazia, il Dio che sceglie chi vuole e dalla sua misericordia li sostiene attraverso il tempo e l’eternità. Inoltre, il verde arcobaleno è promessa di primavera, una dichiarazione che il destino del suo popolo, il popolo dell’arca della salvezza, è il paradiso restaurato.
In riferimento a 4:4-8a il commento di Bowman è interessante:
I ventiquattro troni per gli anziani erano posti secondo il modello del sinedrio a semicerchio intorno al trono. Questi anziani rappresentano la Chiesa che siede in governo o giudizio sugli uomini e la storia (Lu. 22:30; Ap. 3:21). Il fenomeno fisico che procede dal trono esprime il potere di Dio e la sua maestà (Es. 19:16s.). Le sette lampade ardenti qui stanno per lo Spirito di Dio, com’era per il candelabro a sette braccia del tabernacolo (Za. 4:2s.) Il mare è la conca-lavabo di quest’ultimo (Es. 30:17s.) un simbolo di quella purezza senza la quale l’uomo non può avvicinarsi a Dio. Le quattro creature rappresentano tutta la creazione e i loro occhi l’intima conoscenza di Dio di tutte le sue opere. (Ez. 1:5s.) [3].
“Anziano” è un termine del Nuovo testamento per il ministerio di Dio e qui tipizza il popolo messianico di entrambe le dispensazioni, quella vecchia e quella nuova, la pienezza del popolo di Dio lo glorifica e regna con lui. Gli anziani “sono vestiti di candide vesti”, nella giustizia di Cristo. Gli “esseri viventi” (Ez. 1:5) sono chiamati in Ezechiele 10 cherubini. I lampi che procedevano dal trono sono la giustizia e il giudizio di Dio mentre illuminano le tenebre della storia, puliscono l’aria, e portano alla terra nuova e fresca potenza.
Il “mare” di cristallo è un punto in cui le opinioni differiscono. Alcuni, con Bowman, fanno riferimento a 1Re 7:23, al lavabo usato per la purificazione cerimoniale e chiamato “mare di metallo fuso”. Altri fanno riferimento a Isaia 57:20: “ma gli empi sono come il mare agitato”, o, in senso più generale al mondo o alla creazione. In Apocalisse 13:1, la bestia sale dal mare, ovvero dalla creazione; la nuova creazione significa che la vecchia passa via: “e il mare non c’era più” (21:1). D’altro lato, il mare viene associato col “mare di metallo fuso”, il lavabo, in 15:2 “un mare di vetro misto a fuoco”. Inoltre, il lavabo stesso rimanda al mondo, alla creazione e alla futilità del cosmo. Il “mare” nel pensiero Mesopotamico (apsu) è un termine usato sia per il catino dell’acqua santa del tempio sia per le riserve d’acqua dolce sotterranee, fonte di vita e di fertilità. Questo è il mare cosmico e, nel suo stare davanti al trono, rappresenta la creazione sotto l’assoluta autorità ed il governo del creatore. È anche il necessario corollario dell’altare. La salvezza è mediante il sacrificio dell’espiazione, mediante Gesù Cristo, ma il lavacro cerimoniale nel mare è indicativo della presupposizione della rigenerazione, il riconoscimento della creaturalità e la rinuncia alla tentazione di Satana e al peccato originale dell’uomo, il suo desiderio di essere come Dio (Ge. 3:5). Nella salvezza, quelli che una volta avrebbero voluto essere dèi, accettano gioiosamente il loro statuto di creature, quali uomini in e sotto il perfetto Adamo, Gesù Cristo, cosicché la rigenerazione implica il battesimo dentro l’umanità, la nuova umanità di Gesù, “l’ultimo Adamo” (1 Co. 15:45), e la rinuncia al proprio piano di salvezza apostata, l’auto deificazione. Il battesimo è perciò la morte del vecchio Adamo, e il nostro morire al vecchio uomo e alla sua umanità. Il battesimo è inoltre il nostro battesimo nell’umanità del nuovo Adamo, è battesimo dentro a Cristo, il vero e perfetto uomo, vero uomo di vero uomo.
Il mare perciò è il cosmo, visto dall’uomo apostata come il proprio oceano di potenzialità, ma visto da Dio e dal popolo di Dio come il suo dominio, a lui assolutamente trasparente, per quanto oscuro e potenziale per l’uomo. In questa filosofia ispirata della creazione, ci viene mostrato l’intero universo governato dal trono di Dio. La creazione non è centrata sull’uomo o sulla natura; è centrata su Dio. L’universo intero è visto come una fiammata di luce che parte dal trono, ed è immediatamente chiaro che non ci sono angoli oscuri nell’universo di Dio. Ciò significa che non ci sono bruti fatti nella creazione. Ogni fatto è un fatto creato ed ha esistenza e significato solo nei termini della volontà creativa e dello scopo del Dio Trino. Con questa prospettiva, nessun fatto deve renderci disperati, perché tutti i fatti sono fatti–dati–da–Dio e devono essere interpretati, non in se stessi, ma in Dio solo. Romani 8 è una dichiarazione di questa stessa fede, come lo sono certamente tutte le Scritture.
I cherubini “pieni di occhi” dipingono la creazione, per usare una frase di Torrance: “oltre il (al di sopra del) caos” così determinatamente conosciuta nella loro santità al Signore, che essi vedono, non caos, ma il glorioso scopo del Re della creazione.
Anziché un oscuro e ferreo destino vediamo una creazione simbolicamente piena di occhi perché gli uomini non vedono più attraverso un vetro, oscuramente ma adorano il Creatore e vedono la sua gloria, vedendolo come sono visti. Gli occhi dell’Uno sul trono sono sempre stati e sono sempre sull’opera delle sue mani. Qui non c’è cieca fatalità, ma un Creatore onni-vedente sul Trono, e il Trono è sopra e intorno e in mezzo alla creazione [4].
Inoltre, come hanno indicato Beasley-Murray: “L’inno dei cherubini implica che la certezza del futuro trionfo di Dio è radicato nella sua stessa natura, il Signore, che è santo e onnipotente, deve venire” [5]. I cherubini, con la loro varia natura, riassumono la creazione uomo incluso e la tipizzano. Questa creazione, che geme ed è in travaglio sotto la caduta, guarda alla gloriosa redenzione in Cristo per il suo adempimento (Ro. 8:18-23). L’intera creazione, essendo stata creata da Dio per il proprio piacere (4:11) trova la propria salute, piacere ed essere, solo nel glorificare e servire Dio. La sua libertà è nella creaturale sottomissione, e la sua gloria è inseparabile dal suo destino in Cristo.
In questo modo la chiesa ed il cristiano trovano la propria identità e adempiono la propria natura in sottomissione (gettando davanti al trono le loro corone) e ascrivendo ogni gloria, onore e potenza al Dio trino, il quale come creatore è il solo degno di prendere la preminenza nella creazione (4:11). L’uomo conosce solamente se conosce in sottomissione a Dio, nel pensare i pensieri di Dio nella sua (di Dio) cornice di pensiero. L’uomo regna ed esercita il dominio solo in sottomissione al Creatore Redentore, senza il quale non c’è né vita, né potenza, né autorità. Tutta la creazione è governata dal trono, e l’uomo può avere conoscenza e dominio solo nei termini del trono. La creazione e la sua storia sono come un mare di vetro dal trono, non perché appaia liscio o non agitato, perché tale concetto è alieno alla visione, ma perché è assolutamente trasparente, totalmente sottoposto e totalmente incluso nel decreto eterno. La provvidenza di Dio nella storia all’uomo sembra oscura e incomprensibilmente complessa, misteriosa, e quasi senza forma. Ma dal trono tutta la storia è cristallina; il governo provvidenziale e l’autorità di Dio scaturiscono dal trono in un cerchio ininterrotto di dominio e di luce. Non ci sono angoli bui, crudi fatti, nella provvidenza di Dio.
In questi termini, perciò, l’aspettativa che la storia culminerà nel trionfo dell’Anticristo, non solo è una dualista resa del mondo materiale a Satana, ma anche una diretta offesa contro l’annunciata potenza e supremazia di Dio nella storia e nella creazione, e attraverso, e sopra di esse. Le interpretazioni premillennialiste e amillennialiste sono contaminate col retroterra dell’eresia manichea, con la sua resa della materia alle tenebre. Un’eresia ulteriore annuvola le interpretazioni Premillennialiste delle Scritture: l’esaltazione del razzismo fino a farlo diventare principio divino. Ogni tentativo di riportare il giudeo dentro le profezie come giudeo è dare alla razza e alle opere (poiché la discendenza razziale è opera umana) priorità sulla grazia e sull’opera di Cristo e non è niente di più e niente di meno che paganesimo. È significativo che il premillennialismo sia quasi invariabilmente associato con l’arminianesimo. Vale a dire che l’introduzione della razza nella prospettiva profetica è parte integrante dell’introduzione delle opere nell’ordine della salvezza. Dopo tutto, questa è l’essenza del fariseismo che crocifisse Cristo e che si mascherò e ancora lo fa, da epitome della santità. Non può esserci compromesso con questa perversa eresia.
Questa, dunque, è una visione implicita con la vittoria perché esplicita nella sua visione della totale sovranità. La cornice di riferimento rivela ulteriormente questo fatto. Secondo Burch: “l’Apocalisse fu ispirata da, e concepita all’interno del contesto della Festa delle Capanne (o Tabernacoli)” e riflette anche la Festa di Pentecoste. Il lezionario della sinagoga per la Festa dei Tabernacoli era Zaccaria 14, che ci da una visione della trasformata e Nuova Gerusalemme: “non c’è notte lì” vista essenzialmente in Apocalisse 4 e più doviziosamente dichiarata più avanti. La lezione per Pentecoste era Ezechiele 1, pure usato in Apocalisse 4 (Ez. 1:4-10, 26, 28; Cfr. Ez. 10:1,12-15,20-22) [6].
La festa dei tabernacoli era una festività del raccolto che commemorava il soggiorno di Israele nel deserto, e un “tipo” della raccolta dei gentili nel Regno di Dio. Per giudei e gentili entrambi era una festa di rimembranza, che richiamava il loro girovagare nel peccato nel deserto e la loro gloriosa entrata nel regno, la terra promessa. La Pentecoste celebrava il fatto che Dio aveva dato la legge a Mosè. La Pentecoste cristiana celebra la scrittura della legge sulle tavole del nostro cuore per la dimora dello Spirito santo. Sono tutte feste gloriose e sono giustamente echeggiate in questo capitolo.
Note:
1 Rist, op. cit., p. 401.
2 R.C.H.Lensky, Interpretation of Saint John’s Revelation (Columbus, Ohio. Wartburg, 1943), p. 171. Harry Buis, The Book of Revelation,(Philadelphia, Presbyterian and reformed, 1960, p.27.
3 John Wick Bowman, The Drama of the Book of Revelation, Philadelphia, Westminster, 1955, p.43.
4 Thomas F. Torrance, The Apocalipse Today,Grand Rapids, EErdmans, 1959, p.32
5 G.R. Beasley-Murray, “Revelation” in F Davidson, A.M.Stibbs, E.F. Kevan The New Bible Commentary, Grand Rapids Eerdmans, 1953, p.1177.
6 V. Burch, Anthropology and the Apocalipse, An Interpretation of” the Book of revelation”in relation to the Archaeology, Folklore, and religious Literature and Ritual of the Near East, London, Macmillan, 1939, p.18-20.