Dio non muta, né nei suoi attributi, né nei suoi decreti, né nei suoi patti. Il Signore, che fin dal principio ha posto l’uomo nell’alleanza, non ha mai intrattenuto con lui relazioni se non in termini di patto. A dispetto della visione espressa da alcune confessioni di fede protestanti, come la Confessione di fede di Westminster, che insegnano una successione di patti distinti — uno delle opere prima della caduta, uno di grazia dopo — la testimonianza biblica e teologica più coerente attesta invece l’esistenza di un unico, continuo e sovrano patto di Dio con l’umanità. Tale patto, fondato sin dall’origine sulla grazia e sulla signoria di Dio, è lo stesso che guida la storia della redenzione, dalla creazione alla consumazione.
Nel giardino, l’uomo fu creato nella comunione con Dio, chiamato a vivere secondo la sua Parola. Ma questa chiamata all’obbedienza non era la base su cui guadagnarsi la vita: era la forma concreta della risposta dell’uomo ad una relazione già stabilita nella benevolenza divina. Come afferma l’insegnante riformato S. G. De Graaf, il patto originario con Adamo fu propriamente un patto del favore di Dio, e non un contratto legalistico basato sul merito¹. La grazia precede sempre il comandamento. L’obbedienza, allora come oggi, è la risposta dell’uomo redento, non il mezzo della sua giustificazione.
R. J. Rushdoony osserva che «il Patto con l’uomo in Eden era basilarmente lo stesso Patto ristabilito dopo la Caduta con gli uomini pattizi e poi col popolo stesso del Patto, Israele, nell’epoca del Vecchio Testamento e, da allora, il popolo di Cristo». Egli prosegue chiarendo che «qualsiasi ed ogni Alleanza o Patto Dio stabilisca con l’uomo ha come primo e superiore aspetto la grazia» e che «il patto è stato in ogni epoca primariamente ed essenzialmente un patto di grazia»². La cosiddetta obbedienza richiesta ad Adamo, lungi dall’essere mezzo di salvezza, era semplicemente la forma pratica e storica della sua fedeltà all’alleanza stabilita per grazia. La legge, dunque, non è da vedersi come un’aggiunta estranea al patto, né un vincolo imposto dall’esterno, ma come la struttura stessa dell’alleanza. «Poiché il patto è un patto di grazia», scrive ancora Rushdoony, «ha inevitabilmente una legge. Senza una legge non c’è patto»³. In ogni tempo, la legge del patto rappresenta ciò che Dio richiede all’uomo in quanto partecipe dell’alleanza. E così, fin da Eden, l’uomo è stato chiamato a vivere nella benedizione di Dio camminando nei suoi precetti.
Pierre Courthial, teologo e docente riformato francese, illumina ulteriormente questa realtà, affermando che «dalla creazione di Adamo ed Eva, dall’inizio del Patto di Grazia, il Vangelo precede e sottende ogni comandamento». Egli aggiunge: «In nessun momento della storia, nemmeno quando furono creati i nostri progenitori, gli esseri umani hanno dovuto stabilire la loro giustizia con l’osservanza della Legge»⁴. La legge, quindi, diversamente da quanto accade nell’evangelicalismo contemporaneo, non è opposta al Vangelo, ma lo accompagna e lo esprime nella vita ordinata del credente. Il Vangelo, fin dal principio, è stato la parola di benedizione, e la legge ne è sempre stata il contenuto pratico.
Ronald Cammenga riassume questa unità pattizia in termini chiari: «Lo sviluppo storico all’interno della Bibbia non procede da un ordine di creazione con l’umanità basato sull’obbedienza ad un ordine qualitativamente diverso con Abramo basato sulla fede, per poi ritornare a un rapporto basato sull’obbedienza con Israele. Piuttosto, l’originaria relazione di alleanza di Dio con l’umanità prima della caduta basata sulla creazione viene ristabilita sia con Abramo che con Israele come atto di redenzione»⁵. Insomma, non ci sono due o tre modelli di relazione tra Dio e l’uomo, ma un unico e continuo patto creazionale-redentivo, amministrato secondo la provvidenza e l’economia divina nella storia.
A conferma e riflessione concreta di questa visione unitaria dell’alleanza, si distingue in modo particolare il Catechismo di Heidelberg (1563), il quale si differenzia tra i catechismi riformati per la sua struttura pastorale e per il modo in cui colloca la Legge nel contesto della gratitudine⁶. Fin dalla Domanda 1, che dichiara con splendida semplicità che la nostra unica consolazione nella vita e nella morte è appartenere a Cristo, il Catechismo costruisce un percorso teologico ed esistenziale che riflette l’economia del patto: prima la grazia, poi la risposta. Alla Domanda 2 si chiede: «Quante cose ti è necessario conoscere per poter vivere e morire nella beatitudine di questa consolazione?» e la risposta è tripartita: «Tre cose: in primo luogo, quanto sono grandi il mio peccato e la mia miseria; in secondo luogo, come sono redento da tutti i miei peccati e miseria; infine, come devo essere grato a Dio per tale redenzione.»⁷
La struttura stessa del catechismo — Miseria, Liberazione, Gratitudine — riflette l’ordine teologico dell’alleanza, in cui la legge non precede la grazia, ma la segue e la manifesta nella vita del redento. Mentre molti catechismi collocano l’esposizione della Legge nella prima parte, come specchio del peccato, è assai significativo notare come Heidelberg scelga deliberatamente di spiegarla nella terza parte (Domande 86–115), come via della riconoscenza⁸. Non si tratta di una variazione meramente formale, ma profondamente teologica: la Legge, per il cristiano, è il contenuto dell’etica pattizia, la via concreta con cui l’uomo redento esprime la sua comunione rinnovata con Dio.
La Domanda 86 pone la questione con chiarezza: «Poiché siamo stati redenti dalla nostra miseria per grazia, senza alcun merito da parte nostra, perché dobbiamo ancora compiere buone opere?» La risposta è inequivocabile: «Perché Cristo, dopo averci redenti col suo sangue, ci rinnova anche mediante il suo Spirito a sua immagine, affinché rendiamo con tutta la nostra vita testimonianza della nostra gratitudine a Dio…»⁹ Qui, la Legge non è rivale del Vangelo, ma sua naturale conseguenza. Essa non condanna più, ma guida. Non è condizione della salvezza, ma frutto del cuore rinnovato. L’obbedienza non è legalismo, ma amore pattizio. In questo modo, il disprezzo della Legge non costituisce una dimostrazione di libertà evangelica, ma piuttosto un segno di incomprensione della redenzione. Come può, infatti, chi ha gustato la grazia rifiutare la via che Dio ha stabilito per vivere nella sua comunione? Il Catechismo di Heidelberg ci ricorda con sobria chiarezza che la vita cristiana non è un pendolo tra libertà e norma, ma una progressione dall’adozione all’obbedienza, dalla giustificazione alla santificazione, dalla grazia alla gratitudine. La Legge, posta nel cuore stesso dell’alleanza, è il linguaggio dell’amore redento, la struttura etica della nuova creazione¹⁰.
Ecco, quindi, come riconoscere la visione dell’unicità dell’alleanza risulti fondamentale per affermare con decisione la validità e la permanenza della Legge nel tempo. Essa precede Mosè, precede il Sinai, precede la teocrazia israelita; è il carattere e la norma del Dio eterno, rivelata già ad Adamo, confermata con Noè, ribadita con Abramo, scritta con Mosè, e portata a compimento in Cristo. Il comandamento a non mangiare dell’albero, il mandato di dominare e moltiplicarsi, il compito di custodire il creato — tutto questo non era altro che legge rivelata come forma della grazia. Per questo, ogni epoca, incluso la nostra, è chiamata a riconoscere, onorare ed applicare questa legge, non come ombra cerimoniale, ma come espressione permanente del diritto e della giustizia di Dio, base del suo trono (Sal. 89:14). È in questo contesto concettuale che Herman Bavinck dichiara con vigore: «Il Vangelo non è eterno, ma temporaneo; la legge è eterna»⁶. La grazia non è alternativa alla legge, ma il suo fondamento e la sua forza. Il Vangelo ci giustifica, ma la legge ci istruisce; il Vangelo ci redime, ma la legge ci conforma a santità. Anche nell’eternità, la legge di Dio non verrà abrogata: sarà scritta perfettamente nei cuori ed osservata nella pienezza della comunione. La nuova creazione — inaugurata nella risurrezione di Cristo e già ora presente nella vita dei credenti — sarà l’ambito definitivo in cui il patto verrà vissuto senza più ostacoli, e la legge di Dio sarà amata ed osservata senza la macchia del peccato.
La visione che emerge è chiara e solenne: non c’è salvezza senza patto, non c’è patto senza legge e non c’è legge senza grazia. L’alleanza di Dio con l’uomo è una, santa, eterna. Essa è stata istituita prima della caduta, confermata dopo, progredita nella storia e compiuta in Cristo. Non è l’uomo a doversi adattare al patto, ma è il patto che, in ogni epoca — inclusa la nostra — conforma l’uomo alla volontà eterna di Dio.
Note: