RISORSE:

Benvenuti all’episodio 55 di Axe to the root, sono Bo Marinov e per la prossima mezz’ora parleremo di una teologia dell’egoismo, o meglio di un’idolatria dell’egoismo, o per essere più precisi un’idolatria dell’egoismo che negli ultimi 100 anni è stata istituita come “tendenza dominante” nei pulpiti delle chiese moderne e dei seminari  apparentemente “riformati” e che passa — usando un linguaggio teologicamente corretto — per “Teologia Riformata”.

Sì, è tutto teologicamente corretto, usa tutto il gergo delle vera teologia riformata nel suo costrutto teologico e terminologico. Però, come sappiamo dalla storia, tutte le eresie e le idolatrie possono essere adattate a parlare con linguaggio teologicamente corretto — e dalla storia della chiesa sappiamo che il compito dei teologi è sempre stato proprio questo: essere capaci di farsi strada tra fumo e specchi e riuscire ad identificare l’idolatria anche quando si esibisce con linguaggio teologicamente corretto. E l’idolatria dell’egoismo che affronteremo questa settimana è stata meticolosamente sviluppata per sembrare la vera ortodossia.

… Prima che cominciamo a spiegare la moderna idolatria, è necessario fare un salto indietro nella storia.

La religione descritta nel Vecchio Testamento era unica nel mondo antico, Unica per molti indici di riferimento, ma uno di questi è molto rilevante per noi ora: non aveva in essa elementi mistici. L’essenza della religione era il suo nocciolo etico/giuridico. Dio non era recondito, e l’uomo non doveva faticare per averne l’accesso spirituale; di fatto era esattamente l’opposto. Mosè dichiarò ad Israele che non c’era bisogno — come accadeva per i gentili — che gli ebrei cercassero di trovare Dio: “Ma la parola è molto vicina a te; è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica.”  (De. 30:14; Rom. 10:8). Le nazioni pagane non avevano un Dio simile; i loro dèi erano remoti, ed erano necessari riti elaborati per averne l’accesso, inclusi il sacrificio di figli, l’auto-castrazione, magie, ecc., e quell’accesso doveva avvenire attraverso un’élite di sacerdoti e di capi. Al contrario, i giudei dovevano solamente invocare Dio ed Egli avrebbe ascoltato. “Quale grande nazione ha infatti DIO così vicino a sé, come l’Eterno, il nostro DIO, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?” (De. 4:7). I riti nel tempio non avevano funzioni magiche, il loro scopo non era manipolare il favore di Dio, era solo evangelistico e rivelazionale. (Ne parleremo in un futuro episodio.) L’accesso dell’uomo a Dio non era mistico; ovviamente, non si ha bisogno di un rituale magico per parlare direttamente con qualcuno che vi sta seduto a fianco; ancor meno per parlare con qualcuno che è nella vostra bocca e nel vostro cuore. La relazione dell’uomo con Dio era pattizia, che significa etica/giuridica.  Questo significa che la questione principale della relazione divina-umana era la questione del bene e del male. L’uomo manteneva la sua relazione con Dio facendo il bene e la perdeva facendo il male. Nient’altro aveva importanza, né le cerimonie (che Dio sospese per lungo periodo aspettandosi comunque obbedienza pattizia), né intelligenza o abilità artistiche, né capacità politiche o sforzi collettivi. La sola cornice che Dio riconosceva era quella etica/giuridica: fai bene, sei in buona relazione con Dio; fai male, l’hai persa e sei nei guai. Le religioni pagane, d’altro canto, postulavano dèi che erano ben lontani dai loro adoratori in un altro reame, separato e dissimile dal reame materiale. Per cercarli ed invocarli, l’adoratore pagano doveva trovare il modo di colmare il divario tra i due mondi. Oggi sappiamo dei riti occulti usati nel voodoo e associati con l’Ouija; lo scopo di questi riti è di colmare il divario tra i due reami, e richiamare un essere dall’altro mondo. Tutte le religioni pagane sono essenzialmente una versione di Ouija; la loro adorazione è fondata interamente sul tentativo magico dell’uomo di colmare il divario col mondo spirituale per potersi procurare benedizioni dagli dèi che stanno in quel mondo.

Poiché la differenza tra i due mondi è metafisica (spirito contro materia) e non etica/giuridica, l’adoratore pagano, per poter guadagnare l’accesso al suo dio, deve effettuare qualche trasformazione metafisica od occultistica nel proprio essere. La dedicazione e la fedeltà etica non sono sufficienti — e spesso è proprio il contrario, l’immoralità è richiesta per raggiungere una più alta unione metafisica con gli dèi. (Si pensi alle orge cerimoniali, e alla prostituzione sacra nei templi pagani. Si legga anche Marx’s religion of revolution di Gary North). L’uomo deve operare su sé stesso per raggiungere un livello di consapevolezza mistica superiore che  — fate attenzione perché questo è importante — lo porterà lontano da questo mondo e gli aprirà così il mondo spirituale. I profeti pagani e gli sciamani e gli stregoni tutti dovevano forzarsi dentro ad una forma di trance o auto-ipnosi per poter ricevere una parola dagli spiriti. Nelle religioni antiche e nelle moderne pratiche New Age, entrambe, l’uomo deve fissare profondamente dentro a sé stesso, via dal mondo, per poter scoprire la sua vera natura e realtà. Il Don Juan di Carlos Castaneda si affidava pesantemente agli stupefacenti per raggiungere il suo alto livello di “consapevolezza” e questo ha influenzato un’intera generazione di giovani a sperimentare droghe. Ancora una volta, in tutte queste religioni ed ideologie, colmare la distanza tra il mondo materiale e quello spirituale richiedeva un’autoconsapevole ritiro dal mondo reale, e un’autoconsapevole concentrazione sul proprio io intimo dell’adoratore, il più profondo possibile, dentro alla scoperta delle proprie potenzialità spirituali, per poter fare la connessione con l’altro mondo.

Tutte le religioni pagane svilupparono i loro propri rituali e regole per tale ritirata dal mondo. Perfino l’auto-mutilazione fisica è stata usata come strumento: i candidati sacerdoti di molte sette pagane dovevano passare attraverso l’auto-castrazione per esserne qualificati. Il significato era chiaro: se vuoi accesso alla divinità, allontanati più che puoi dal mondo o addirittura renditi impotente nel mondo più che puoi per poter ascendere ad un livello spirituale più alto. (Si rammenti che la legge di Dio impediva agli eunuchi non solo di diventare sacerdoti nel tempio ma persino di essere membri dell’assemblea.) L’antica matematica è un altro esempio. Oggi si crede comunemente che i greci che svilupparono la matematica l’usassero per gli stessi scopi per cui l’usiamo noi ai nostri giorni per formule che modellano la realtà. Tuttavia, i pionieri della matematica greca, come Pitagora, videro nella matematica non uno strumento di conoscenza pratica per la trasformazione del mondo. Così non sia! La videro come un mezzo per acquisire illuminazione occulta e capacità di comunicare col mondo spirituale. Perché questo avvenisse la matematica doveva essere completamente scissa da qualsiasi applicazione pratica. Era solamente una torre d’avorio di scienza teoretica; era un’autoconsapevole castrazione della conoscenza a livello della totale inapplicabilità in modo da raggiungere un più alto livello di spiritualità occulta. (Si legga Mathematics: Is God Silent? Di James Nikel). La dedicazione religiosa dei matematici greci era talmente profonda che quando un membro della cerchia di Pitagora provò attraverso esempi pratici che i numeri irrazionali esistono effettivamente (che per il loro misticismo irrazionale era un concetto satanico), i discepoli di Pitagora scomunicarono quel membro, costruirono una tomba e vi offersero sopra libagioni come se fosse già morto.

I Giudei — e più tardi i primi cristiani — non avevano alcun misticismo nella loro religione. Non avendo misticismo, non avevano nulla delle sovrastrutture del misticismo: rituali elaborati e cerimonie, speciali riti magici di purificazione e di raggiungimento di consapevolezza e spiritualità superiori, formule per invocare esseri dall’altro reame, e, cosa più fondamentale, regole per il ritiro dal mondo reale, o per l’una o l’altra forma di auto-castrazione, in  modo da riuscire a penetrare nel mondo spirituale. È per questa ragione che i primi cristiani erano spesso accusati di “ateismo” dai loro contemporanei pagani.

La fede nel Dio di Abrahamo era etica/giuridica, interessata principalmente con la rettitudine e la giustizia in questo mondo. Per un pagano questo ammontava a non credere in nessun dio; dopo tutto, quale dio poteva essere così vicino ai suoi adoratori da far sì che essi non avessero bisogno di alcun sforzo particolare per accedere a lui? Questa differenza era così nitida che Paolo ne fece il punto principale del suo sermone ad Atene; si legga attentamente il suo sermone sull’Areopago in Atti 17:22-29 per notare che in esso l’antitesi principale è tra un Dio che è vicino ai suoi adoratori e l’ignoranza dei gentili che credevano che gli dèi potessero essere avvicinati mediante templi e servizi resi da mani d’uomo.

Con un Dio così vicino, la santità per giudei e cristiani era obbedienza etica; e poiché l’obbedienza etica era impossibile per l’uomo decaduto, la santità risiedeva nella loro fede in un Salvatore che avrebbe colmato il divario tra il loro stato di decaduti e la santità di Dio. Non erano loro a dover faticare per acquistare quella santità; era compito del loro Salvatore. Una volta che la santità fu redenta e restituita, essi dovevano ritornare al loro compito di obbedienza etica. Per i pagani era troppo semplice, troppo facile. Che tipo di divinità poteva essere così lassista coi suoi adoratori da non richiedere che sudassero e si tagliuzzassero e invocassero urlando per tutto il giorno?

La chiesa primitiva cominciò senza nessuno di tali misticismi. Il Nuovo Testamento descrive la vita della chiesa negli stessi termini etico/giuridici e pratici che caratterizzavano la sinagoga. I cristiani si riunivano per spezzare il pane e poi andavano per i fatti loro portando il vangelo al mondo. Non erano focalizzati su una cristianità iper-spiritualizzata, o su una cristianità ossessa da qualche tipo di collegamento mistico col Cristo. La spiritualità era definita dall’abilità di un uomo di giudicare tutte le cose col criterio della legge di Dio (I Co. 2:15; Eb. 5:14). Perfino il loro spezzare il pane non era una cerimonia mistica; nei primi due secoli era semplicemente un pasto in comune. La sua parte pattizia, come descritta da Paolo in I Corinzi 11 concerneva giuramento e giudizio, non connessioni mistiche, e men che meno un iper-spirituale miglioramento di sé. Era un pasto, e poiché era un pasto pattizio, ebbene, avrebbe dovuto essere appunto — pattizio — cioè etico/giuridico. Il giudizio sarebbe arrivato da Dio. L’uomo non aveva sforzi da fare. Non era lì per compiere esercizi spirituali. Era lì per reclinare al tavolo, perfino distendersi comodamente se poteva, e semplicemente …  mangiare! Se fosse stato necessario del giudizio, ci si aspettava che Dio agisse, non l’uomo.

Il paganesimo, però, s’infiltrò nella chiesa fin dai suoi primi decenni. E c’era da aspettarselo, visto che la chiesa del primo secolo non aveva il conforto di 2000 anni di storia del cristianesimo. Idee pagane — in particolare dalla Persia e dalla Grecia — si insinuarono nella chiesa. E una delle prime di queste idee che s’insinuarono fu quella di una spiritualità diversa, più elevata, che richiede non solo dedicazione etica, ma anche purificazione rituale e profondo mistico egocentrismo. Quest’influenza pagana provocò lo sviluppo di molte pratiche mistiche nella chiesa, dall’ascetismo e monachesimo a differenti sette mistiche e pietiste, fino all’ascesa della religione cerimoniale. Centinaia e migliaia di persone, sospinte dalla prospettiva di raggiungere questa più elevata spiritualità, fuggirono ai deserti d’Egitto, Siria e Libia, e trascorsero anni e decenni vivendo come animali in caverne o in cima colonne, ingaggiati in profondi combattimenti mistici contro la loro immaginazione. Questa pratica non differiva per niente dalle religioni misteriche pagane e dagli eremiti. Aveva come scopo un collegamento occulto col mondo spirituale, richiedeva la ritirata dal mondo, ed era interamente ossessa con l’ego. Richiedeva una restituzione del vecchio dualismo pagano  agli insegnamenti della chiesa; il dualismo di Platone e dei Zoroastriani persiani (di fatto endemico a qualsiasi religione pagana) : il dualismo tra spirito e materia, tra sacro e mondano, tra natura e grazia, ecc. Il dualismo dovette essere sviluppato ulteriormente. Furono postulati due reami, con leggi e criteri diversi — lo spirituale e il mondano. Naturalmente lo spirituale era quello più elevato e le persone che si dedicavano interamente al reame spirituale erano di valore molto superiore nella società. Monasteri e conventi continuarono la stessa tradizione del paganesimo nell’immaginare qualche sorta di spiritualità mistica più elevata che era scissa dall’impegno etico e dall’obbedienza dell’uomo nel mondo reale. Eh, già, per non dimenticare la castrazione; non veniva praticata fisicamente, ma la chiesa romana richiese che tutti i suoi sacerdoti diventassero praticamente castrati. Concediamo che non fu tutto negativo. Molti monasteri e monaci furono attivi nelle applicazioni pratiche del vangelo. Dopo la caduta dell’Impero Romano furono i monasteri a preservare conoscenza preziosa — specialmente in argomenti pratici come agricoltura, costruzione, medicina, ecc. Furono dei chierici ad organizzare le difese contro i barbari e ad assumere funzioni di giudici in assenza del governo civile. La conoscenza fu preservata dagli sforzi di sacerdoti in luoghi come l’Irlanda e la Spagna Visigotica. Ma all’interno di questi grandi sviluppi c’erano ancora  i semi del vecchio paganesimo mistico.

La riforma, naturalmente, distrusse la falsa dicotomia tra sacro e mondano, restituendo alla chiesa l’antitesi pattizia della bibbia. Non c’erano più nessuna spiritualità più elevata o più nobile coscienza o cognizione mistica. Lavoro e preghiera erano sacri entrambi, o potevano essere profani, in violazione della Scrittura. Ciò di cui la maggior parte degli oppositori della Riforma al tempo in cui avvenne e la maggior parte dei cristiani oggi non si rendono conto è che la dottrina della Sovranità di Dio è prima e soprattutto una dottrina della vicinanza di Dio. Quella vicinanza di cui parlò Mosè quando disse in Deuteronomio 30:12-14:

Non è in cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo per portarcelo e farcelo ascoltare, perché lo mettiamo in pratica?” Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi passerà per noi di là dal mare per portarcelo e farcelo ascoltare, perché lo mettiamo in pratica?” Ma la parola è molto vicina a te; è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica (De. 30:12-14).

Un Dio che è assolutamente sovrano è anche un Dio che non ha bisogno degli sforzi dell’uomo per stabilire un collegamento spirituale. Egli dona l’accesso a qualsiasi tentativo dell’uomo perché un tale Dio può essere dovunque, vicino ai suoi adoratori, di fatto perfino nella loro bocca mentre parlano. Restituita in questo modo la dottrina della Sovranità di Dio i cristiani non avevano bisogno di nessuno sforzo speciale per raggiungere Dio. Una preghiera semplice, o perfino una preghiera in silenzio sarà ascoltata, senza esercizi mistici e riti sfarzosi. In questo modo l’uomo era nuovamente libero di concentrarsi sulle applicazioni pratiche del vangelo nel mondo reale. Ne risultò un’enorme crescita di innovazioni e d’industria; ed infine la civiltà occidentale stabilì la sua superiorità tecnologica ed economica. Non perché gli occidentali siano in alcun modo migliori del resto del mondo, ma perché la fede che adottarono era superiore. Quando nella vita tutto è spirituale, quando non si deve operare per avere accesso a Dio, e quando Dio è tanto vicino quanto la vostra bocca, non ci sono limiti alla creatività e alla crescita. Gli uomini vanno al lavoro e producono perché sanno che non devono spendere ore e giorni a procurarsi la misericordia di Dio. La posseggono già.

L’antitesi dovrebbe essere ovvia a qualsiasi cristiano riformato: un Dio che è vicino in contrasto a dèi che sono remoti, in un altro reame. Accesso a Dio provveduto da Dio stesso in contrasto ad un uomo che va a tastoni nelle tenebre cercando di toccare qualcosa che non sa nemmeno cosa sia. Obbedienza etica e dedicazione in contrasto a esercizi mistici e rituali per colmare il divario tra i due reami. Piena pratica giuridica partecipazione nel mondo che Dio ha creato in contrasto a ritiro, passività e auto-castrazione. La fede biblica non è mistica; non cerca di manipolare Dio affinché ascolti. All’incontrario, Dio ascolta anche quando desidereresti non lo facesse. Non cerca di creare una consapevolezza di livello superiore. La tua consapevolezza pattizia di livello superiore è molto semplice e razionale: è la tua conoscenza della legge di Dio e la sua applicazione per giudicare tutto. Semplice e chiaro.

Ma non semplice e chiaro agli odierni cristiani riformati. Qualche mese fa ho ascoltato un sermone di una celebrità, un riformato ben conosciuto e rispettato. Lo ammetto, non ascolto quasi più sermoni di celebrità. Sono tutti eguali, per me. Parlano tutti delle stesse cose ripetendole all’infinito, e sono tutti concentrati sulla stessa limitata gamma di argomenti: Le confessioni, i sacramenti, salvezza personale, appartenenza alla chiesa e obbedienza agli anziani e santità personale. A volte si allargano fino a palare delle famiglie cristiane e di genitori e figli, ed anche qui ripetono tutti le stesse cose all’infinito. (Non so perché le persone sui quei banchi abbiano bisogno che siano loro ripetute le stesse  semplici cose all’infinito).

Per me, ogni moderno sermone che ascolto è esattamente lo stesso sermone di quello precedente, però da un versetto diverso. L’ampia applicazione etica/giuridica della fede a tutta la vita è assente. Questo particolare sermone, però, mi era stato raccomandato da un amico, così decisi d’ascoltarlo.

Il predicatore era molto emozionale e il suo argomento era la santità personale e come trattare il peccato. Non un cattivo argomento, naturalmente, noi tutti ne abbiamo bisogno. Visto che il predicatore passava per riformato mi aspettavo che applicasse la comprensione riformata della questione, vale a dire: “Tu sei un peccatore. Punto. Non c’è per te modo di cambiare questa situazione. Ma Dio l’ha già cambiata. Tu sei ora ancora un peccatore ma sei un peccatore redento. E sei anche un peccatore trasformato. Pertanto, pentiti dei tuoi peccati e chiedi a Dio di aiutarti nella tua incredulità, e questo è tutto. Ed ora, vai a trovarti un’occupazione produttiva e fa del mondo un posto migliore per il regno di Dio. E se il peccato ritorna da te, rimproveralo e rigettalo. Se gli soccombi, chiedi perdono, impara la tua lezione e … torna al tuo lavoro. Mai persistere nei tuoi peccati, o su quale miserabile peccatore tu sia. Persisti nei propositi che Dio ha per la tua vita.”

Ma mi sbagliavo. Il predicatore, che si supponeva riformato, non avrebbe permesso ai suoi ascoltatori di andarsene liberi così facilmente. Se volevano santità avrebbero dovuto faticare per averla.

All’inizio parlò, sì, del nostro peccato generale e dei peccati che commettiamo. Menzionò che c’è una soluzione già pronta: pentiti e credi. Con un Dio così vicino a noi, nulla di più e necessario. Di fatto nulla di più si può fare comunque. E qui, dove il suo sermone avrebbe dovuto procedere sul regno e sul lavoro ad esso associato, tornò indietro. Questo era solo il passo iniziale. C’era di più.

Una volta che ci siamo pentiti, secondo lui, dobbiamo penetrare nella profondità del nostro cuore e cominciare a cercare altri peccati da confessare e dei quali pentirsi. Cominciare ad esaminare la presenza del peccato in ogni pensiero che abbiamo mai avuto, ogni desiderio che abbiamo mai avuto. Esaminare il nostro appetito, il nostro desiderio per indumenti più sfiziosi. Esaminare il modo in cui pensiamo e sogniamo. Esaminare il nostro vocabolario, le parole che usiamo. Cercare attivamente di trovare qualsiasi peccato che abbiamo commesso o che commettiamo.

Poi tornare al nostro passato. A quali peccati siamo stati più predisposti. Cosa possiamo fare per evitarli. Generare una consapevolezza di questi peccati. Spendere del tempo ogni giorno ricapitolando questi peccati e chiedendo a Dio che ce ne liberi. La nostra mente deve dimorare su queste cose tutto il tempo. La nostra santificazione e perfezione è la cosa più importante per noi. Più importante del nostro lavoro e del nostro ministero. Se non raggiungiamo quella perfezione che Dio richiede nel pentimento, la nostra vita è una vita sprecata. Noi siamo in obbligo d’applicarci a questi esercizi, costantemente, e arrovellarci per quella purezza senza la quale nessuno vedrà il Signore.

Il nostro lavoro per il regno? È solo secondario. Infatti, meglio se non lo facciamo se non abbiamo prima risolto il problema con la spiritualità e la purezza. Nient’altro conta.

Non avrei dovuto esserne sorpreso, naturalmente. Mentre altri predicatori sono meno emozionali e meno enfatici, la maggior parte dei sermoni nelle chiese riformate sono come questo: concentrati su questioni pietistiche e, molto spesso, come gli eremiti del deserto della prima chiesa, lavorare sodo per scovare demoni dovunque per poter ingaggiare contro di loro la “guerra spirituale”. C’è un’intensa concentrazione sul proprio ombelico, sulla propria perfezione spirituale, e sulla propria salvezza.

Il tutto deve venire, ovviamente, col fare del nostro lavoro pratico nel mondo una priorità inferiore. Magari non proprio male come gli eremiti, ma quasi. Magari non così brutale come la castrazione dei sacerdoti pagani, ma quasi. Al massimo al massimo, l’ambito del vostro lavoro  nel mondo dovrebbe essere limitato; avete bisogno di tempo per andare in cerca di quei demoni nel vostro cuore.

Sulla superficie sembra molto pio. Dopo tutto è vera spiritualità; spiritualità libera dal coinvolgimento nel mondo. Di fatto, il mondo e il nostro lavoro in esso, sono tenuti caldi finché raggiungiamo il vero accesso a Dio mediante esercizi spirituali. Ritiratevi e concentratevi su voi stessi. Gli antichi misteri pagani redivivi, in forma teologicamente corretta.

Dietro a questa mentalità, come dietro a tutte le mentalità pagane, c’è una visione del mondo dell’egoismo. Considera il vangelo come se fosse centrato sulla salvezza e la perfezione dell’individuo. C’è del vero nel detto che “Gesù morì per me”. Ma i moderni cristiani riformati lo intendono significare che quel “me” fu il punto centrale della morte di Gesù. Come se il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo avessero per loro obbiettivo ultimo e scopo la salvezza di individui. Con la salvezza diventata l’obbiettivo ultimo del vangelo, il regno di Dio rimane al secondo posto. Tutto riguarda ME. Quello era l’obbiettivo principale anche per il paganesimo. Il pagano adora i suoi dèi non perché creda che meritino adorazione, li adora perché vuole qualcosa da loro. La sua adorazione dei suoi dèi non è pattizia, è una transazione di mercato: io sacrifico questo per te, tu mi dai quest’altro. Gli dèi dovevano essere placati per procurare favori ai loro adoratori, fossero prosperità, salvezza o successo militare. Senza questi favori l’adorazione non serviva e non aveva alcun senso. Se gli dèi non recapitavano non meritavano adorazione.

Che il moderno pseudo-calvinismo sia focalizzato sulla stessa cosa è evidente, eccetto che il favore che viene ora ricercato è la salvezza personale. Salvezza personale, perfezione personale, purezza personale, e l’opera del regno di Dio, l’applicazione del vangelo a tutta la vita, portare sulla terra la giustizia e l’equità di Dio e amministrarle alla nostra società  sono negletti.

Ci siamo costruiti una confortevole religione di contemplazione dell’ombelico. Ed è questa religione che ha distrutto l’influenza della chiesa nella società. È tempo di gettarla nella pattumiera della storia.

Il lascito della riforma ci insegna che non dovremmo investire il nostro tempo nel raggiungimento della perfezione personale. Pietismo e misticismo non sono il lascito del vangelo e non sono il lascito della riforma. I nostri peccati sono reali, e il giudizio in cui incorrono è reale. Ma la nostra redenzione è ancora più reale. Noi non faremo meno peccaminosa la nostra peccaminosa natura con degli esercizi. Raggiungeremo la perfezione solo quando facciamo l’opera di Dio in questo mondo, e lasciamo che Dio faccia la sua in noi.

La nostra salvezza personale è solo un mezzo per un fine. E sarà meglio che la trattiamo così.

La lettura che assegno questa settimana è: You’ve Heard It Said, di Gary DeMar. Il libro contiene risposte semplici ma complete al moderno pietismo. Leggete il libro, insegnate ai vostri figli d’evitare il misticismo e il pietismo delle moderne chiese riformate. Niente uccide la vera spiritualità biblica come una religione di contemplazione dell’ombelico, una devota attenzione al sé e l’assoggettare tutta l’opera di Dio alla nostra salvezza e perfezione. Dio è la nostra perfezione. Ma Egli non farà il lavoro del regno per noi.


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