di Thomas Hilleke
l’originale qui
Alcuni cristiani citano erroneamente 1 Re 3:16-28, la storia del giudizio di Salomone tra due madri, per sostenere che la Torah di Dio sia insufficiente a dirimere tutti i casi penali, giustificando così leggi create dall’uomo per affrontare situazioni non esplicitamente contemplate. Questa interpretazione travisa il brano e mina l’adeguatezza della legge divina. Lungi dal dimostrare la necessità di una nuova legislazione, la sentenza di Salomone esemplifica come la Torah di Dio fornisca un quadro di giustizia anche in casi complessi, basandosi sui principi biblici senza aggiungere o sottrarre nulla alla Legge.
Il caso: una disputa con prove limitate
In 1 Re 3:16-28, due donne, entrambe madri, presentano una disputa al re Salomone: una sostiene che l’altra abbia scambiato il suo bambino vivo con uno morto. Come osserva 1 Re 3:18, le donne erano sole, il che significa che non esistevano altri testimoni, e l’unica prova era il bambino morto. Fondamentalmente, nessuna delle due donne accusa l’altra di omicidio, quindi il caso si basa esclusivamente sull’accusa di furto di minori. Secondo la Legge di Dio, questa mancanza di prove a sostegno – in particolare, il requisito di almeno due testimoni (Numeri 35:30, Deuteronomio 17:6, 19:15) – impedisce qualsiasi procedimento giudiziario basato esclusivamente sulle testimonianze contrastanti delle donne. Salomone, operando entro i limiti della Torah, non può condannare senza prove sufficienti, a dimostrazione delle garanzie intrinseche della Legge contro le punizioni ingiuste.
L’accusa e le pene bibliche
Una donna accusa l’altra di averle rubato il figlio, un atto che, se provato, comporta gravi conseguenze secondo la Legge di Dio. Esodo 21:16 e Deuteronomio 24:7 prescrivono la pena di morte per il rapimento, a dimostrazione della gravità della privazione del figlio a una madre. Al contrario, se l’accusa è falsa, Deuteronomio 19:16-21 prescrive che il falso accusatore riceva la punizione che intendeva infliggere – in questo caso, la morte. Tuttavia, con un solo testimone (l’accusatore) e senza ulteriori prove, nessuna delle due accuse può essere comprovata. La Legge di Dio privilegia il rigore probatorio, assicurando che la giustizia non sia influenzata dall’emozione o da testimonianze incomplete, un principio che protegge sia l’innocente che il processo giudiziario stesso.
La saggezza di Salomone dentro Legge di Dio
La soluzione di Salomone è un capolavoro di applicazione creativa della Legge di Dio senza crearne di nuove. In assenza di testimoni, escogita una prova: propone di dividere il bambino vivo tra le donne, sapendo che questo rivelerà le loro vere motivazioni (1 Re 3:24-25). La vera madre, spinta dall’amore, rinuncia alla sua pretesa di salvare il figlio, mentre l’indifferenza della donna colpevole ne svela la falsità. Come ha suggerito Adam Terrell, la prova di Salomone potrebbe riecheggiare Esodo 21:35-36, dove la proprietà viene divisa in casi di incertezza, fornendo un’analogia biblica per risolvere le controversie in assenza di prove evidenti. (Ascolta l’argomentazione di Terrell qui.) La madre innocente viene riabilitata, ricevendo il figlio, e la giustizia viene fatta nel quadro della Torah. In particolare, la donna colpevole, una falsa accusatrice che dovrebbe essere giustiziata secondo Deuteronomio 19:16-21, sfugge alla punizione per mancanza di due testimoni o di una confessione. Le sue azioni rivelano la sua colpevolezza, ma la Legge di Dio non consente la condanna sulla base di sole prove circostanziali. Per la sensibilità moderna, questo risultato può sembrare incompleto, eppure conferma lo standard di giustizia della Torah. La madre colpevole affronterà il giudizio finale davanti a Dio, poiché nessuno sfugge alla giustizia divina (Ebrei 9:27). La sentenza di Salomone dimostra che la Legge di Dio è sufficiente, anche quando la giustizia terrena appare limitata.
Non servono nuove leggi
La tentazione di creare nuove leggi per casi complessi come questo deriva da un’incomprensione della Torah di Dio. Deuteronomio 12:32 e Proverbi 30:6 proibiscono esplicitamente di aggiungere o sottrarre ai comandamenti di Dio, mentre Isaia 33:22 e Giacomo 4:12 affermano che Dio è l’unico Legislatore. Salomone non inventò una nuova legge, ma applicò i principi della Torah – criteri probatori, restituzione e discernimento – per risolvere la controversia. Questo caso sottolinea un principio teonomico fondamentale: la Legge di Dio è completa e fornisce una guida per ogni scenario, anche quelli che mettono alla prova la saggezza umana. Integrarla con leggi create dall’uomo rischia di usurpare l’autorità di Dio e di favorire l’ingiustizia.