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Lezione 19 Giobbe

La nostra lezione di Scrittura di oggi è tratta dal libro di Giobbe, e leggeremo il primo e l’ultimo capitolo del libro di Giobbe. Giobbe 1 e Giobbe 42. Ma prima di leggere, preghiamo.

Dal profondo dei nostri cuori, o Signore, Ti ringraziamo per aver messo il libro di Giobbe nella Bibbia. Ti ringraziamo per aver fatto sì che quest’uomo, Giobbe, vivesse e sperimentasse tutto ciò che ha sperimentato dalla sua nascita alla sua morte. E Ti ringraziamo per le cose che possiamo imparare dal modo in cui tu hai trattato lui e dalle sue risposte a Te.

Preghiamo che Tu possa infondere la verità di questa Parola con il Tuo Spirito profondamente nelle nostre coscienze e nelle nostre menti e nei nostri cuori e in tutta la nostra vita interiore. Per amore di Cristo, amen.

Giobbe capitolo 1 e capitolo 42.

C’era nel paese di Uz un uomo chiamato Giobbe. Quest’uomo era integro e retto, temeva DIO e fuggiva il male.

Gli erano nati sette figli e tre figlie.

Inoltre possedeva settemila pecore, tremila cammelli, cinquecento paia di buoi, cinquecento asine e un grandissimo numero di servi. Cosí quest’uomo era il piú grande di tutti gli Orientali.

I suoi figli solevano andare a banchettare in casa di ciascuno, nel suo giorno, e mandavano a chiamare le loro tre sorelle perché venissero a mangiare e a bere con loro.

Quando la serie dei giorni di banchetto era terminata. Giobbe li andava a chiamare per purificarli, si alzava al mattino presto e offriva olocausti secondo il numero di tutti loro, perché Giobbe pensava: «Può darsi che i miei figli abbiano peccato e abbiano bestemmiato DIO nel loro cuore». Cosí faceva Giobbe ogni volta.

Un giorno avvenne che i figli di DIO andarono a presentarsi davanti all’Eterno e in mezzo a loro andò anche Satana.

L’Eterno disse a Satana: «Da dove vieni?». Satana rispose all’Eterno e disse: «Dall’andare avanti e indietro sulla terra e dal percorrerla su e giú».

L’Eterno disse a Satana: «Hai notato il mio servo Giobbe? Poiché sulla terra non c’è nessun altro come lui, che è integro retto, tema DIO e fugga il male».

Allora Satana rispose all’Eterno e disse: «E’ forse per nulla che Giobbe teme DIO?»

10 Non hai tu messo un riparo tutt’intorno a lui, alla sua casa e a tutto ciò che possiede? Tu hai benedetto l’opera delle sue mani e il suo bestiame è grandemente cresciuto nel paese.

11 Ma stendi la tua mano e tocca tutto ciò che possiede e vedrai se non ti maledice in faccia».

12 L’Eterno disse a Satana: «Ecco, tutto ciò che possiede è in tuo potere non stendere però la mano sulla sua persona». Così Satana si ritirò dalla presenza dell’Eterno.

13 Cosí un giorno avvenne che mentre i suoi figli e le sue figlie mangiavano e bevevano vino in casa del loro fratello maggiore, giunse da Giobbe un messaggero a dirgli:

14 «I buoi stavano arando e le asine pascolavano nelle vicinanze,

15 quando i Sabei sono piombati loro addosso, e li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i servi. Io solo sono scampato per venire a dirtelo».

16 Egli stava ancora parlando, quando giunse un altro e disse: «Il fuoco di DIO è caduto dal cielo, ha investito pecore e servi e li ha divorati. Io solo sono scampato per venire a dirtelo».

17 Egli stava ancora parlando, quando giunse un altro e disse: «I Caldei hanno formato tre bande, si sono gettati sui cammelli e li hanno portati via, e hanno passato a fil di spada i servi. Io solo sono scampato per venire a dirtelo».

18 Egli stava ancora parlando, quando giunse un altro e disse: «I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del loro fratello maggiore.

19 quand’ecco un vento impetuoso, venuto dal deserto, ha investito i quattro angoli della casa che è caduta sui giovani, ed essi sono morti. Io solo sono scampato per venire a dirtelo».

20 Allora Giobbe si alzò, si stracciò il suo mantello e si rase il capo; poi cadde a terra e adorò,

21 e disse: «Nudo sono uscito dal grembo di mia madre e nudo vi ritornerò. L’Eterno ha dato e l’Eterno ha tolto. Sia benedetto il nome dell’Eterno».

22 In tutto questo Giobbe non peccò e non accusò DIO di alcuna ingiustizia.

Poi nel capitolo 42, dopo questo lungo periodo di sofferenza lungo tutto il libro:

42 Allora Giobbe rispose all’Eterno e disse:

«Riconosco che puoi tutto, e che nessun tuo disegno può essere impedito.

Chi è colui che offusca il tuo consiglio senza intendimento? Per questo ho detto cose che non comprendevo, cose troppo alte per me che non conoscevo.

Deh, ascolta, e io parlerò; io ti interrogherò e tu mi risponderai.

Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora il mio occhio ti vede.

Perciò provo disgusto nei miei confronti e mi pento sulla polvere e sulla cenere».

Ora, dopo che l’Eterno ebbe rivolto queste parole a Giobbe, l’Eterno disse a Elifaz di Teman: «La mia ira si è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me rettamente, come ha fatto il mio servo Giobbe.

Ora dunque prendete con voi sette tori e sette montoni, andate dal mio servo Giobbe e offrite un olocausto per voi stessi. Il mio servo Giobbe pregherà per voi; e cosí per riguardo a lui non vi tratterò secondo la vostra follia, perché non avete parlato di me rettamente come ha fatto il mio servo Giobbe».

Elifaz di Teman e Bildad di Shuah e Tsofar di Naamath andarono e fecero come l’Eterno aveva loro ordinato; e l’Eterno ebbe riguardo a Giobbe.

10 Quando Giobbe ebbe pregato per i suoi amici, l’Eterno lo ristabilí nel precedente stato; cosí l’Eterno rese a Giobbe il doppio di tutto ciò che aveva posseduto.

11 Tutti i suoi fratelli, tutte le sue sorelle e tutti i suoi conoscenti di prima vennero a trovarlo, mangiarono con lui in casa sua; essi lo confortarono e lo consolarono di tutte le avversità che l’Eterno aveva mandato su di lui; quindi ognuno di essi gli diede un pezzo d’argento e un anello d’oro.

12 Ora l’Eterno benedisse gli ultimi anni di Giobbe piú dei primi, perché egli ebbe quattordicimila pecore, seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine.

13 Ebbe pure sette figli e tre figlie;

14 e chiamò la prima Jemimah, la seconda Ketsiah e la terza Keren-Happuk.

15 In tutto il paese non c’erano donne cosí belle come le figlie di Giobbe; e il padre assegnò loro una eredità tra i loro fratelli.

16 Dopo questo Giobbe visse centoquarant’anni e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli per quattro generazioni.

17 Poi Giobbe morí vecchio e sazio di giorni.

Giobbe è un libro unico per diversi motivi. Primo, perché sebbene sia stato probabilmente scritto durante il tempo di Salomone, la storia si è svolta prima dei giorni di Mosè, probabilmente durante il tempo dei patriarchi, Abramo e contemporanei, rendendo la storia di Giobbe una delle storie più antiche di tutta la Bibbia.

La seconda cosa che lo rende unico è che è un poema, lungo quarantadue capitoli. È una delle più grandi produzioni poetiche di tutta la storia della letteratura. Giobbe è stato definito lo Shakespeare dell’Antico Testamento. Ma è più di una semplice poesia, è un poema epico. E molto probabilmente lo stesso John Milton ha usato il libro di Giobbe come modello per alcuni dei suoi grandi poemi epici, in particolare Paradiso Riguadagnato, che ha affinità con Giobbe sia nel tema che nella struttura. Ora, cos’è la poesia epica? È un argomento fantastico di per sé, e vi consiglio di leggere C.S. Lewis e il suo libro Introduction to Paradise Lost di John Milton.

Ma ci sono tre cose fondamentali in un poema epico. Riguarda sempre una persona grande, nobile ed eroica ed è scritto con una certa formalità. Ci sono molti aspetti cerimoniali. E il linguaggio è più grandioso, e lo stile è elevato. Un’altra cosa che rende unico il libro di Giobbe è che tutti gli altri libri della Bibbia trattano del popolo di Israele e delle sue relazioni con Dio.

Ci sono delle eccezioni, ma non sono comunque come Giobbe. Ruth, per esempio, riguarda Ruth Naomi e Boaz. Esther, che abbiamo visto la settimana scorsa, riguarda Esther e Mordecai. Il Cantico dei Cantici parla di questa coppia sposata. Ma Giobbe è unico in quanto è l’unico libro della Bibbia su un singolo individuo, racconta la storia di Giobbe stesso. E ciò che lo rende unico è che Giobbe non era un figlio di Israele. Non viveva in Palestina. Viveva da qualche parte nel deserto arabico, a nord-ovest dell’Arabia e di Edom. E quindi la sua storia e la sua vita sono esterne alla storia di Israele.

Tutti conoscono, sicuramente, in una certa misura la storia di Giobbe. Un commentatore ha scritto che entrare nel mondo di Giobbe significa confrontarsi con uno degli enigmi più antichi e sconcertanti dell’umanità, la difficile situazione di una persona innocente sopraffatta da una tragedia inspiegabile.

Nel brano che leggiamo, vediamo che una serie straordinaria di disastri si abbatté sulla vita di Giobbe. Aveva una ricchezza, un’influenza, una devozione senza pari, ma senza alcun preavviso, fu scalzato dalla sua prosperità e ridotto alla condizione più pietosa e angosciosa che si possa immaginare. Tutta la sua ricchezza gli fu rubata. I suoi figli sono stati uccisi. La sua salute è andata persa. Sua moglie gli si è rivoltata contro. I suoi amici intimi lo accusarono di comportamento peccaminoso. E il libro di Giobbe è la storia dell’intenso conflitto interiore di quest’uomo. Come qualcuno ha detto, il suo smarrimento e la sua dolorosa angoscia, il suo alternare disperazione e speranza, le sue pietose suppliche per una empatia che gli viene negata, e la sua irritazione per i sospetti e le censure ingiuste che gli vengono rivolte, le sue lamentele selvagge e quasi appassionate contro la provvidenza di Dio che lo schiaccia, mescolate a espressioni di forte fiducia in Dio che non può abbandonare.

Questa tempesta selvaggia nella sua anima è rappresentata graficamente nelle sue fasi successive finché alla fine siamo condotti alla soluzione finale e alla conferma allo stesso tempo della provvidenza di Dio e dell’integrità del servo di Dio, Giobbe. E tutto questo è esposto nello stile più elevato della poesia, con immagini meravigliose, profondo pathos. Una volta iniziata la lettura non si può smettere.

Bene, ora che dire di quest’uomo Giobbe, questo personaggio nobile ed eroico che è il centro di questa storia? La maggior parte delle persone associa Giobbe a una vita di sofferenza. Voglio dire, quando si pensa a Giobbe, si pensa alla pazienza di Giobbe, si pensa a un uomo che ha sofferto per tutta la vita. Giusto?

Sbagliato!

Per la maggior parte della vita, Giobbe è stato ricco sfondato. Era in forma smagliante. Aveva una famiglia numerosa. Avevano tutti la loro casa. Era una famiglia unita. Lui era, per usare le parole del Libro di Giobbe, l’uomo più ricco, il più grande uomo d’Oriente. Era l’uomo più devoto dell’Oriente. E da qui fino all’età adulta, mentre i suoi figli crescevano, in altre parole, 30, 40, 50 anni nella prima parte della sua vita, fu prospero, devoto e felice. E poi la tragedia colpì, una tragedia dopo l’altra, e per un lungo periodo di tempo Giobbe fu nell’abisso della tragedia e dell’afflizione.

Tutto questo finì quando tutte le lezioni che dovevano essere apprese furono apprese, e poi Giobbe fu benedetto da Dio anche in misura maggiore di quanto non fosse stato prima che queste tragedie lo colpissero, così che visse fino a 140 anni e morì da felice vecchio uomo devoto pieno di vita e pieno di gioia e pieno di giorni. Quindi tutta la sua vita, eccetto questo unico inconveniente, eccetto questo periodo di una certa entità, la maggior parte della sua vita fu di prosperità, di felicità e di gioia nel Signore. Ora, il motivo per cui dico questo è perché quando arriviamo a studiare queste ore buie di agonia che Giobbe sperimentò sotto grave afflizione, dobbiamo capire cosa precedette e cosa seguì nella sua vita.

Dio benedice con prosperità in questa vita gli uomini che cercano di servirlo, e il mistero nel libro, il mistero che stiamo per esaminare è il contrasto tra ciò che Giobbe ha dovuto sopportare durante quel periodo di sofferenza e ciò che la Bibbia insegna agli uomini devoti di aspettarsi: una vita di prosperità, se siamo devoti, e quale vita Giobbe stesso abbia sperimentato – prima e dopo le sue sofferenze, e come possiamo mettere insieme questo periodo di sofferenza con questa grande verità biblica, per citare Paolo: “la devozione è utile per tutte le cose, poiché contiene la promessa per la vita presente e anche per la vita a venire”. Ora ciò che rende il libro di Giobbe unico in un altro senso è che è uno dei due libri della Bibbia che spiega le eccezioni a questa regola.

La norma è che le persone devote possono aspettarsi di prosperare ed essere felici in questa vita. E ci sono due libri, uno dei quali è Giobbe, che ci dice che ci sono due eccezioni. Sapete qual è l’altro? È il libro dell’Ecclesiaste. Il libro dell’Ecclesiaste e Giobbe furono scritti per parlare delle eccezioni a questa norma e cioè che gli uomini devoti possono aspettarsi di prosperare. E se dovessimo semplicemente distillarlo in questo semplicissimo riassunto, l’Ecclesiaste ci dice che è possibile che qualcuno prosperi e non sia pio. E il punto di Giobbe è che è possibile che qualcuno sia pio e non prosperi. Che c’è una norma, ma ci sono delle eccezioni.

Ora parliamo del carattere di Giobbe. Tre volte nei primi due capitoli di Giobbe ci viene data una descrizione del carattere di Giobbe.

La prima volta è dell’autore del libro ispirato dallo spirito. E le altre due volte sono l’effettiva valutazione verbale di Giobbe da parte di Dio stesso. Per esempio, guardate il capitolo 1 versetto 1. È una bella affermazione su quest’uomo.

C’era nel paese di Uz un uomo che si chiamava Giobbe e quell’uomo era integro, retto, temeva Dio e si allontanava dal male. Guardate il versetto 8. E il Signore disse a Satana: “Hai notato il mio servo Giobbe? Poiché sulla terra non c’è nessun altro come lui, che è integro retto, tema DIO e fugga il male”. Ragazzi, Davvero Dio aveva provocato Satana.

E poi nel capitolo 2 versetto 3. E il Signore disse a Satana “Hai notato il mio servo Giobbe? Poiché sulla terra non c’è nessun altro come lui, che sia integro, retto, tema DIO e fugga il male. Egli si mantiene saldo nella sua integrità, nonostante tu mi abbia istigato contro di lui per rovinarlo senza alcun motivo” Ora notate cosa dice questo verso sul carattere di quest’uomo. Di volta in volta è stato chiamato servo di Dio, come se quello fosse il nomignolo che Dio gli aveva dato. Era irreprensibile. Cioè era sincero nella sua professione di fede. Era fedele nel modo in cui viveva davanti a Dio e con le altre persone. Era uno che cercava di conformare la sua vita allo standard di giustizia di Dio. Era un uomo di rettitudine, un uomo di integrità. Sapeva cosa Dio gli chiedeva, e puntualmente, puntualmente adempiva ai suoi obblighi. Sapeva cosa Dio voleva, ed era fedele nel fare ciò che Dio gli aveva comandato di fare. Ed era un timorato di Dio. Era un uomo che temeva Dio. Cosa significa temere Dio? Charles Bridges, nel suo grande commento ai Proverbi, dice che il timore di Dio nei credenti è quella riverenza affettuosa con cui il figlio di Dio si piega umilmente e attentamente alla legge del padre. La sua ira è così amara e il suo amore è così dolce che da qui scaturisce un desiderio sincero di compiacerlo. Era anche un uomo che si allontanava costantemente dal male. Fuggiva quelle cose che non avrebbe dovuto fare. E di conseguenza, Dio dice di lui, non c’era nessuno come lui in tutta la terra.

Ora, questo è incredibile, perché ora tenete a mente che non viveva in Israele. Viveva in Edom. Sapete cosa c’è di così terribile in Edom? Edom era popolata dai discendenti di Esaù, che Dio odiava e che era una spina nella carne per il popolo di Dio e le sue generazioni. E proprio nel mezzo di questa cultura edomita, Giobbe si distinse come un uomo devoto in completa contraddizione con la cultura in cui viveva. Siamo tornati, non è vero, a un argomento che abbiamo sollevato più volte nelle Scritture, l’antitesi. Questo era un uomo che sapeva cosa fosse l’antitesi, un uomo devoto nel mezzo di una cultura ostile e malvagia.

A proposito, sapete cosa significa la parola Giobbe? È grandioso. Il nome di Giobbe significa uomo di inimicizia. O, per dirla in parole moderne, uomo di antitesi.

Tutta la sua vita è stata segnata da un comportamento, da un vivere in un modo che era contraddittorio rispetto alla cultura che lo circondava. Era un uomo compassionevole. Più e più volte nel libro ci viene raccontata della compassione di Giobbe. Era compassionevole verso i suoi figli. Amava fare feste con loro, pregava sempre per loro e offriva sempre olocausti per loro affinché i loro peccati fossero coperti. Ma la sua compassione non si limitava alla sua famiglia perché andava oltre la sua famiglia. Ascoltate questo versetto del capitolo 29. Giobbe dice: “liberavo il povero che gridava in cerca di aiuto, e l’orfano che non aveva alcuno che l’aiutasse. La benedizione del morente scendeva su di me e facevo esultare il cuore della vedova. Ero occhi per il cieco e piedi per lo zoppo; ero un padre per i poveri e investigavo il caso che non conoscevo”. Giobbe era un uomo amorevole oltre che un uomo giusto, e il Nuovo Testamento parla della sua pazienza.

Giacomo 5 parla della pazienza di Giobbe durante la sofferenza e dice: “Ecco, noi proclamiamo beati coloro che hanno perseverato; avete udito parlare della pazienza di Giobbe, e avete visto la sorte finale che il Signore gli riserbò, poiché il Signore è pieno di misericordia e di compassione.” Lui, con pazienza, con pazienza, ha sofferto le afflizioni che erano su di lui così che la sua testimonianza divenne uno dei versetti più famosi di tutta la Bibbia, “Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo vi tornerò”. “Il Signore ha dato e il Signore ha tolto”. Il Signore mi ha dato figli e figlie. Il Signore mi ha dato bestiame e mandrie. Il Signore mi ha dato una vita sana. Il Signore mi ha dato una moglie che era comprensiva nei miei confronti. Il Signore mi ha tolto la mia ricchezza e la mia prosperità. Il Signore mi ha portato via i figli. Il Signore mi ha portato via la salute. Il Signore mi ha portato via la compassione di mia moglie. Benedetto sia il nome del Signore. Era un uomo umile. Sapeva che la disciplina, che la sofferenza a volte era il modo di Dio di disciplinare i suoi figli.

A volte Dio infliggeva dolore e dava sollievo solo  una volta apprese le lezioni, ma era anche umile nel senso che, sebbene sapesse di non essere cattivo come i suoi tre amici dicevano che fosse, e sebbene avesse la coscienza pulita in riferimento alle loro accuse, sapeva comunque di essere un peccatore. Sapeva che tutto ciò che Dio gli aveva dato di buono nella sua vita era per grazia di Dio. Nel capitolo 9 dice: In verità so che è così.

“Come può un uomo essere giusto davanti a Dio? Se uno volesse disputare con lui, non potrebbe rispondergli una volta su mille”.

“Dio è saggio di cuore e potente per la forza; chi mai si è indurito contro di lui e ha prosperato”. Questo lo rende chiaro.

Giobbe era un uomo che si rese conto di non poter giustificare se stesso agli occhi di Dio. A volte Dio lo trattava duramente nella sua stima delle cose, ma nonostante ciò doveva sottomettersi e confidare che Dio sapeva sempre cosa fosse meglio per lui. E anche se avesse ammesso mille peccati nella sua vita, Dio gliene avrebbe indicati altri mille. Questo era un uomo umile. Ed era un uomo di grande fede, e torneremo su questo un po’ più tardi. Era un uomo non solo di grande fede, era un uomo di grande fede in Gesù Cristo.

La sua fede a volte lottava, ma era sempre perseverante e trionfante anche in mezzo alle sue sofferenze. Quindi ricordate la sua grande testimonianza: Anche se Dio mi uccidesse,  confiderò in lui. (13:15) Non c’è nulla che Dio possa farmi, per quanto grave possa essere, che mi farà smettere di credere in lui, smettere di fidarmi di lui, smettere di amarlo, anche se mi uccidesse, io continuerei a fidarmi di lui. Ora, qual è il punto del Libro di Giobbe? Beh, è ​​una cosa difficile. È un libro difficile. È difficile perché è in contrasto con il modo di pensare della nostra cultura. Ma il punto focale del Libro di Giobbe è il mistero della provvidenza di Dio nella sofferenza di un uomo buono. Il mistero della provvidenza di Dio nella sofferenza di un uomo buono.

Perché un uomo buono, che è uno dei migliori, a cui è stata promessa una benedizione abbondante da parte di Dio, perché ha sofferto così intensamente come ha dovuto fare? Il Libro di Giobbe ci insegna che siamo nelle mani di Dio e che è prerogativa di Dio organizzare le nostre vite secondo qualsiasi modo egli ritenga migliore. Nel libro ci viene insegnato che è nostro dovere sottometterci al Signore in tutta umiltà, contentezza, obbedienza e sottomissione, indipendentemente da ciò che egli porta sul nostro cammino. Che gli apparteniamo sia nella vita che nella morte, anche se gli piace infliggerci gravi sofferenze.

Sebbene potremmo non sapere mai perché Dio ci manda la sofferenza, dobbiamo comunque glorificarlo e confidare in lui e confessare che in tutto ciò che Dio fa e porta nella nostra vita, egli è giusto e compassionevole, e quindi non possiamo mai mormorare o lamentarci o discutere con lui su nulla di ciò che fa nella nostra vita. Giobbe imparò che Dio non infligge sempre sofferenza a una persona per punire i suoi peccati. Dio ha delle ragioni segrete per fare molte delle cose che ci fa, e per le quali non rende conto a noi. E tuttavia dobbiamo fidarci di lui ed essere pazienti finché non gli piacerà di farci sapere perché ha fatto ciò che ha fatto.

Ora prendete il vostro piccolo grafico e voglio che vediate qualcosa sulla struttura del Libro di Giobbe. Il Libro di Giobbe mi ha fatto paura per un po’.

Non ci avrei fatto prediche per anni e anni e anni, non riuscivo a capire cosa dicesse. Non riuscivo a capire chi fosse il buono. Qualcuno ha detto, sai, la storia riguarda la pazienza di Giobbe. Un’altra persona ha detto che si tratta di una storia sulla pazienza di Dio con Giobbe. Quindi, voglio dire, ne ho avuto paura per un po’ finché non ne ho capito fondamentalmente la struttura, e questo aiuta sempre.

Il Libro di Giobbe riguarda il trionfo della fede di Giobbe durante la sofferenza. Nel primo capitolo abbiamo un’introduzione alla vita devota di Giobbe, e poi ci sono tre fasi di sofferenza che sperimenta nei capitoli da 1 a 31. Nella prima fase soffre la perdita dei suoi figli e delle sue ricchezze.

Nella seconda fase soffre la perdita della propria salute e della compassione della moglie. Poi, nei capitoli dal 3 al 31, c’è la maggior parte del libro, che è una serie di tre cicli di discorsi e risposte. Bisogna tenere traccia di chi dice cosa e quando.

Ci sono tre cicli. Nel primo ciclo, i tre amici di Giobbe tengono dei discorsi, e Giobbe risponde a ciascuno di quei tre discorsi. Nel secondo ciclo, i tre amici tengono altri tre discorsi, e Giobbe dà altre tre risposte formali.

Nel terzo ciclo, due degli amici fanno altri discorsi e Giobbe dà le risposte. Dovete tenere traccia di chi dice cosa. Fate attenzione alle virgolette.

E poi nel capitolo 38, dal capitolo 32 al 37, c’è la predicazione di questo grande giovane ispirato dallo Spirito Santo di nome Elihu che prepara Giobbe per una vera e propria rivelazione da parte di Dio. E così nei capitoli dal 38 al 42, Dio viene, condiscende, letteralmente predica se stesso  a Giobbe senza un intermediario, spiega l’intero problema.

Giobbe si pente.

Ora capisce a cosa è servita tutta la sua sofferenza. E così nell’ultimo capitolo del libro, Dio lo ristabilisce completamente spiritualmente e materialmente, con benedizioni ancora più grandi di quelle che aveva prima che l’intero processo iniziasse. Ora, ciò che voglio che esaminiamo per qualche minuto, sono due cose di cui voglio che parliamo oggi, dato che abbiamo tempo.

Una è questa delle tre fasi della vita di Giobbe che riempiono il libro di Giobbe. Parlerò solo degli elementi di base di queste tre fasi di sofferenza che ha dovuto sopportare e di come sono state risolte dalla predicazione della Parola di Dio. E poi voglio che prendiamo gli ultimi minuti insieme e parliamo del Cristo in cui Giobbe confidava. E in cui Giobbe credette. Ora guardiamo. Aprite la vostra Bibbia lì al libro di Giobbe.

E nel primo capitolo, i primi cinque versetti, vedete un’introduzione a Giobbe. E poi, partendo dal versetto 6 e arrivando fino al versetto 22, vedete la prima fase della sofferenza. È intensa. Senza un attimo di preavviso, un disastro dopo l’altro, questi colpi schiaccianti si sono abbattuti in rapida successione senza che Giobbe avesse il tempo di stabilizzarsi per la successiva onda d’urto. Perde la sua ricchezza. Perde i suoi figli.

E tuttavia la Bibbia, Dio dice di lui nel versetto 22, attraverso tutto questo Giobbe non peccò, né accusò Dio di alcuna ingiustizia. La fase due diventa più intensa. Nella fase due, Giobbe non è ancora consapevole di essere messo alla prova e messo alla prova da Dio, ma la sua sofferenza si intensifica.

Perde la sua salute. Guardate i versetti sette e otto del capitolo due. Poi Satana colpì Giobbe con piaghe dolorose dalla pianta del piede alla sommità della testa. E prese un coccio per grattarsi mentre era seduto tra le ceneri. E per giunta, la fede della moglie cede e lei è stufa della sofferenza. Non simpatizza più con Giobbe. Il suo unico consiglio a Giobbe è maledire Dio, morire e farla finita con questa cosa. Sono stanca di passare attraverso tutto questo per te. Sono stanca di vederti passare attraverso tutto questo.

Ma anche se è spinto verso profondità di dolore e agonia maggiori, la fede di Giobbe è trionfante. Satana è sconfitto e notate il suo amorevole rimprovero alla moglie nel capitolo due, versetto 10. Le disse: “parli come parlerebbe una  donna insensata. Dovremmo davvero accettare il bene da Dio e non accettare l’avversità in tutto questo? Giobbe non peccò con le sue labbra?” Dice, moglie, non ti lamentavi quando Dio ci ha dato tutta la sua ricchezza. Ora, perché ti lamenti quando lo stesso Dio ci sta dando questa avversità?

E poi nel capitolo due, versetto 11, passando attraverso il capitolo 31, vedete questa terza fase della sofferenza di Giobbe. Ha superato con successo due fasi, ma questa è difficile. E ciò che rende questa fase così difficile è la persistenza della sofferenza. Non accade e basta e poi se ne va. Lui rimane schiacciato sotto di essa.

La sofferenza continua e lui non ha idea del perché debba sopportare tutto questo e i suoi amici non gli sono di alcun aiuto. Un commentatore ha detto che il gocciolamento continuo consuma le rocce. Ci sono limiti oltre i quali la resistenza umana non può andare.

Il primo attacco di dolore e sofferenza non è affatto così formidabile come la sua continuazione prolungata, che logora la forza e consuma la capacità di resistenza. Il dolore, che può essere sopportato pazientemente per un breve periodo, diventa intollerabile dopo un periodo più lungo. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, è ancora costretto a trascinare il suo pesante fardello. E lo fa in silenzio. Quanto a lungo? Non lo sappiamo. È successo un po’ di tempo dopo la crisi, prima che i suoi amici arrivassero a confortarlo.

Senza dubbio erano passati diversi giorni prima che sentissero parlare della sua calamità. Quando arrivarono, la sua malattia aveva già alterato così tanto i suoi lineamenti e la sua forma che alzarono gli occhi, lo videro e non sapevano chi fosse. Quindi se siete stati sotto qualsiasi tipo di lungo periodo di grave malattia, saprete qualcosa sulla pressione e il peso, non solo della sofferenza, ma della sofferenza prolungata. E non avete motivo di sapere perché. Dio portò tre dei suoi amici più cari a vederlo. Elifaz di Teman, Bildad di Shuah, e Zofar di Naamath. Andarono da lui.

Lo amavano. Si preoccupavano per lui. Erano venuti per simpatizzare con lui e per confortarlo. Ma quello che è successo è che si sono rivelati i suoi tormentatori. E i loro consigli, anziché confortarlo, gli hanno fatto dire questo nel capitolo 16, ma che razza di consolatori siete? “Fino a quando mi affliggerete e mi tormenterete con i vostri discorsi?” Ora, perché Giobbe ha detto questo? Voglio dire, queste persone lo amavano. Erano venuti per simpatizzare con lui. Erano venuti per confortarlo. Com’è che finirono per peggiorare la sua sofferenza? Bene, leggete i discorsi di questi uomini, vedrete che erano molto intelligenti e che erano fondamentalmente teologicamente calvinisti nelle loro argomentazioni.

Tuttavia, i loro argomenti erano fallaci perché pensavano di aver collegato tutti i pezzi del mosaico e di aver compreso completamente la dottrina della provvidenza di Dio. Ne hanno tolto il mistero e di conseguenza hanno distorto quella grande verità biblica. Fondamentalmente, ciò che pensavano era questo e la loro mente era chiusa a qualsiasi altra cosa.

Il motivo per cui un uomo come Giobbe soffre così gravemente è perché c’è qualche terribile peccato malvagio nella sua vita che non ammette, non confessa e di cui non si pente. E se semplicemente lo ammettesse, confessasse e si pentisse, tutte le sofferenze se ne andrebbero. Ebbene, Giobbe aveva la coscienza pulita.

Ecco, questo è ciò che lo tormentava. Non era consapevole di alcun peccato profondo e oscuro che non stesse confessando e ammettendo davanti a Dio. E quindi, di conseguenza, ciò non fece che frustrare ancora di più quegli uomini. Diventarono molto critici nei confronti di Giobbe. Si irritarono molto con lui perché Giobbe era d’accordo con quello che dicevano. Sì, questo è il motivo per cui Dio punisce le persone. Questo è il motivo per cui Dio manda afflizioni, per punirli. Non si applica a me. E stava dicendo la verità.

Aveva la coscienza pulita davanti a Dio. E quali furono gli errori dei tre amici di Giobbe? Ricordate, lasciatemi solo menzionarne un paio. Questi tre uomini, per quanto devoti fossero, presumevano di comprendere i disegni e gli scopi della provvidenza di Dio tramite l’osservazione piuttosto che tramite la rivelazione.

Le ragioni per cui i loro consigli lo tormentavano erano perché presumevano di poter capire cosa Dio stesse facendo nella vita di un uomo da ciò che osservavano piuttosto che da ciò che era rivelato nella Parola di Dio. Questo è buon umanesimo. Pensavano, beh, se usiamo solo la nostra mente, se valutiamo e guardiamo le cose, possiamo capire.

E negarono in quella presunzione uno dei fondamenti basilari della Scrittura, e cioè che l’unico modo per comprendere la vita e la provvidenza di Dio, è alla luce, non della nostra osservazione, ma alla luce dell’insegnamento della Parola di Dio. Perché molte volte ciò che vedrete andrà controcorrente con questa. Abramo, hai 90 anni, avrai un bambino.

Tu e tua moglie. Giusto. Ho 90 anni, avrò un bambino.

Ciò che vedo e ciò che mi hai appena detto si contraddicono. E lodo il Signore che Abramo non determinò cosa avrebbe fatto in seguito in base alle sue osservazioni, ma in base alla sua fede incrollabile nella Parola di Dio. Gli amici di Giobbe pensavano che si potesse comprendere la vita semplicemente analizzando e osservando attentamente le cose, piuttosto che cercare di comprendere la vita tramite la Parola di Dio.

E in secondo luogo, questi uomini non ricordarono che Dio ha una varietà di scopi per le afflizioni. Una varietà di scopi. Lasciate che ne riveda alcuni con voi. Avevano ragione. A volte Dio visita persone empie con la sofferenza come suo giusto giudizio sui loro peccati. Dio punisce il peccato in questa vita così come nell’eternità. E Giobbe lo capiva e concordava con loro. Nel capitolo 15, versetto 20, dice: “Il malvagio soffre dolori tutta la sua vita, e sono numerati gli anni riservati al tiranno. Rumori spaventosi giungono ai suoi orecchi, e nella prosperità gli piomba addosso il distruttore. Non ha speranza di far ritorno dalle tenebre, e la spada lo aspetta. Va errando in cerca di pane; ma dove trovarne? Egli sa che il giorno di tenebre è preparato al suo fianco. Avversità e angoscia lo spaventano, l’assalgono come un re pronto alla battaglia, perché ha steso la sua mano contro Dio, ha sfidato l’Onnipotente”

Giobbe dice: Sono d’accordo con voi. Uno degli scopi della sofferenza è punire le persone, le persone empie, in questa vita per i loro peccati. Ma c’è un’altra ragione. Ed è che Dio spesso visita i suoi figli in castigo paterno. Come padre, castiga i suoi figli di tanto in tanto, manda afflizione nelle loro vite per aiutarli a essere più obbedienti.

Giobbe lo sapeva. Capitolo 5, versetto 17, leggiamo: Ecco, quanto è felice l’uomo, questo è Elifaz,” Ecco, beato l’uomo che Dio castiga perciò tu non disprezzare la correzione dell’Onnipotente  poiché egli fa la piaga, ma poi la fascia, ferisce, ma le sue mani guariscono”. Anche Giobbe lo sapeva, ma questo era più o meno il limite di questi uomini. Dio punisce i malvagi, Dio castiga i suoi figli, ed è per questo che soffriamo in questa vita, punto.

Ma c’è di più. Non riuscivano a capire che Dio invia prove purificatrici sul suo popolo in amore allo scopo di liberarlo da qualche cosa pericolosa nel suo cuore di cui potrebbe non essere consapevole, una certa fiducia in se stesso o un certo amor proprio. Egli li conduce attraverso queste sofferenze a una maggiore dipendenza da lui.

Come diceva spesso il signor Green, alcune delle lezioni più dolci e importanti che Dio ha per noi sono quando siamo sdraiati su un letto di grave malattia. Ci insegna delle cose e ci fa sentire dipendenti e dipendere da lui. E poi c’è un altro motivo per cui Dio manda le sofferenze, ed è semplicemente per manifestare ciò che siamo veramente.

Ricordate che fu per questo che Dio creò Satana. Vide Satana e disse: Satana, ora considera mio figlio Giobbe. Vuoi mettere alla prova qualcuno? Ho l’esemplare perfetto. Vedi se riesci a spezzare Giobbe. E guarda allora la sofferenza, Satana aveva i suoi piani, Dio aveva i suoi piani, i piani di Satana fallirono, i piani di Dio prevalsero sui piani di Satana e tutti i suoi furono compiuti. E qual era lo scopo di tutto questo? Qual era lo scopo di permettere a Satana di rendere dura la vita a Giobbe? Così che attraverso queste sofferenze il mondo vedesse di cosa è fatto Giobbe.

Così che voi vedreste di cosa è fatto Giobbe. Quest’uomo di fede, quest’uomo di integrità, quest’uomo che anche quando non capiva, si affidava comunque a Dio con la sua vita. E poi ci sono quelle sofferenze che sono il risultato della manifestazione dell’amore di Dio e della gentilezza di Dio per noi.

Sofferenze che hanno come scopo quello di attrarre il credente nell’amore di Dio e di insegnare al credente la grandezza di quell’amore. E questo è ciò che Dio fece a Giobbe. Bene, dopo tutti questi discorsi tormentosi giungiamo alla grande conclusione del libro di Giobbe che è dal capitolo 32 fino al 42.

Nel capitolo 32 abbiamo quattro discorsi di un giovane di nome Elihu. Non ha esperienza, non è particolarmente intelligente, ma è ispirato dallo Spirito Santo. E quindi ciò che predica qui in questi discorsi è la parola stessa di Dio. Ed Elihu chiarisce a Giobbe che la sofferenza non è sempre un segno dell’ira di Dio. È spesso un segno della sua grazia. E che Dio usa due strumenti nella vita degli esseri umani per staccarci dal male e per legarci a lui e a una vita di rettitudine.

E queste sono la sua parola e la predicazione di quella parola e nella sua provvidenza nel portare cose buone e piacevoli nelle nostre vite e nel portare cose dure nelle nostre vite in modo che possiamo dipendere da lui. Ma poi nei capitoli dal 38 al 42 vi incoraggerei a prendere semplicemente il libro di Giobbe e leggere prima i versetti dal capitolo 38 al 42. Lo vorrei fare ma non lo farò perché dovreste leggere i 37 capitoli precedenti per arrivarci.

Ma dal capitolo 38 al capitolo 42 abbiamo alcune delle parole più sublimi in tutte le pagine della Sacra Scrittura. Ora il Signore stesso parla direttamente a Giobbe, non usa alcun mezzo, parla direttamente a Giobbe con una grandezza e una maestà che non hanno eguali e che sono degne solo del Signore stesso. E cosa dice il Signore? Qual è lo scopo delle sue parole a Giobbe? Non certo di rendere conto a Giobbe dei suoi rapporti con lui. Non è per giustificare la sua provvidenza nei suoi confronti. Giobbe non ha autorità sul Signore. Jehovah non ha intenzione di porsi di fronte al giudizio delle sue creature. Non ha censure. È il Signore sovrano di tutti, responsabile solo verso se stesso. E quando viene a predicare a Giobbe, non viene per giustificare se stesso.

Non disse Giobbe ora lascia che ti spieghi cosa è successo. Venne per salvare Giobbe dalla sua agonia, non per dargliene contezza. C’è un versetto in Giobbe, è grandioso, dove ci insegna che una delle cose che Dio ha dovuto insegnare a Giobbe e una delle lezioni più difficili da imparare nella vita cristiana è che Dio non è responsabile nei nostri confronti. “Chi mi ha reso per primo un servizio perché lo debba ripagare?Qualunque cosa sotto tutti i cieli è mia”

Dio ha una buona ragione per tutto ciò che vi fa. Dio ha una buona ragione per tutto ciò che porta nella vostra vita. Potreste chiedere perché mille volte e Dio potrebbe non mostrarvi la ragione o dirvi la ragione finché non morite e andate in paradiso.

Ma Dio ha una ragione perfettamente buona, quindi se un giorno Dio dicesse, ora ti ricordi quell’anno nel 2024, quando hai avuto quella grave malattia e tutto quel dolore e angoscia e sei stato spaventato a morte per circa sei o otto mesi, e hai temuto che non saresti sopravvissuto. Lascia che ti dica cosa ho fatto. Lascia che ti dica cosa intendo realizzare con questo.

E quando diventa ovvio, è chiaro come il sole, ovviamente è questo che significava tutto. Ora, potrebbe non dirtelo finché non muori e vai in paradiso. Ma il punto è, il punto è che Dio non è responsabile nei tuoi confronti.

Lui ha una buona ragione per tutto ciò che fa, ma non intende dirtelo. Così dovrai fidarti di lui e dipendere da lui anche quando non hai idea di cosa stia cercando di fare nella tua vita. E quindi il punto del messaggio del Signore a Giobbe non è semplicemente quello di impressionarlo con il fatto che non si dovrebbe criticare l’onnipotenza di Dio. Il suo punto non è semplicemente che dovete rassegnarvi incondizionatamente alla volontà sovrana di Dio, qualunque essa sia. Il suo messaggio non era semplicemente che la creatura deve sottomettersi senza fare domande a qualsiasi cosa il creatore decreti, per quanto vere fossero tutte quelle cose. La lezione della parola di Dio a Giobbe in questi ultimi capitoli è che le afflizioni di Dio su Giobbe non erano il risultato dell’ira di Dio, ma erano il prodotto del suo amore, della sua benignità e della sua grazia. Dio non lo aveva trattato crudelmente. Aveva realizzato gli scopi della sua grazia per suo conto con metodi efficaci, sebbene fossero stati severi e molto dolorosi. Quindi cosa fa Giobbe quando sente questa parola? Dio che gli dice: Non ero arrabbiato con te. Con tutto quel dolore, non ti stavo punendo. Non ti stavo trattando crudelmente. Avevo un piano in tutto questo per mostrarti quanto ti amo e come avrei provveduto a te anche quando ti avessi portato via tutto ciò che è significativo. Tu hai ancora me, e io sono lì per te.

Quando Giobbe udì quelle parole, cadde prostrato davanti al Signore. Ora può confidare in Dio senza lamentarsi, non importa cosa la vita gli presenti. Che abbia capito o meno perché le cose accadono in un certo modo, ha imparato che in qualsiasi situazione si trovi, per quanto intenso sia il dolore, può sempre confidare in Dio che lo ama, che è compassionevole con lui, che è misericordioso con lui, per fare tutto ciò che è meglio per lui nella sua vita.

Ascolta cosa ha detto un commentatore.

Ora confida nel Signore in modo più profondo di prima. Ora può confidare in Dio in ogni cosa e credere che Egli faccia bene ogni cosa. Ora crede che l’Altissimo non possa fare nulla che sia fuori armonia con le sue perfezioni. Tutto ciò che fa deve essere giusto, buono e saggio.

La fede di Giobbe potrebbe non consentirgli di scandagliare i misteri di Dio, né di risolvere gli enigmi della sua provvidenza. Potrebbe non comprendere come sono queste cose, ma sa che Dio è tutto perfetto e tutto glorioso, e ha quella fiducia in lui che gli assicura che queste cose devono essere così. Se Dio ha mandato l’afflizione, questa non è nemmeno un’interruzione temporanea del favore e dell’amore di Dio per lui.

Né è sufficiente dire che l’afflizione è in grado di essere riconciliata con l’amore divino. È essa stessa un frutto di quell’amore. Dio, ora è importante che impariamo questo, Dio è ugualmente amorevole e clemente e compassionevole e benigno e tenero quando manda afflizione quanto quando manda prosperità e felicità.

Diciamo che Dio sta facendo delle cose per te, che tutti nella tua famiglia stanno bene, che hai abbastanza soldi per pagare le bollette del mese e ne avanzano molti e puoi fare delle cose speciali con questi soldi e puoi dire, oh Dio è buono. Dio è amorevole, è gentile, è compassionevole, oh quanto amo Dio. Ma poi ti manda un ictus, tuo figlio si rompe il collo in un incidente d’auto, perdi tutti i tuoi investimenti, tua moglie ti lascia, tutto va in pezzi.

Cosa dici allora? Oh, Dio è così buono. È così amorevole e gentile e cortese e compassionevole. E vedi, questo è ciò che Giobbe dovette imparare, che Dio non è meno appassionato nei tuoi confronti quando ti fa ammalare e ti fa soffrire di quanto non lo sia quando ti rende felice.

Che tutto nella vita del figlio credente di Dio è una dimostrazione dell’amore di Dio, della misericordia di Dio e della grazia di Dio per lui. Quindi il libro finisce con questa meravigliosa nota della restaurazione di Giobbe, è restaurato spiritualmente, è portato al pentimento, è portato a una rinnovata devozione al Signore e a una fede più forte, e poi in cima a tutto questo Dio raddoppia tutte le benedizioni materiali su di lui ed è molto più ricco di quanto non fosse mai stato prima che tutto iniziasse. È una grande storia.

Ma ora nei minuti rimanenti che abbiamo, e questo è ciò a cui più tengo di arrivare, non conosco nessun libro nell’Antico Testamento che ci presenti il ​​Signore Gesù Cristo in modo più esplicito e profuso del libro di Giobbe. Giobbe non era solo un uomo di fede, e ricordate ora, questa è una delle storie più antiche della Bibbia, questo risale ai giorni dei patriarchi. Giobbe non solo aveva una fede forte che era in grado di perseverare esposta al fuoco, ma Giobbe aveva una fede specifica in un Cristo incarnato.

Aveva fede in un mediatore e in un redentore che era Dio e uomo. Qualcuno ha idea di chi potrebbe essere? Il Signore Gesù Cristo stesso? Diamo un’occhiata ad alcuni versetti. Andiamo al capitolo 9 di Giobbe. Esamineremo circa quattro testi.

Giobbe capitolo 9. Ora ricordate che questo è un linguaggio elevato, esaltato, metafora e immagine elevata. Giobbe 9, 30-33.

Giobbe 9, 30-33. Anche se mi lavassi con la neve e pulissi le mie mani con la soda, tu mi getteresti nel fango di una fossa, le mie stesse vesti mi avrebbero in orrore. Egli infatti non è un uomo come me, a cui possa rispondere e che possiamo comparire in giudizio assieme. Non c’è alcun arbitro fra noi, che ponga la mano su tutti e due.”

Qui si sente il ​​desiderio di Giobbe che Dio e lui stesso si trovino faccia a faccia e risolvano questa questione della sua integrità che tutti stavano mettendo in discussione. E per risolvere questa questione, perché questo uomo pio sta soffrendo così gravemente? Dice che questo Dio, poiché è infinito e trascendente, non è un uomo.

Non potremo mai stare su un terreno comune. E così dice, desidero un arbitro. Desidero un mediatore. Desidero qualcuno che faccia da tramite. Desidero un uomo che ponga la mano su Dio, e che ponga la mano su di me, e rappresenti gli interessi di entrambi, e lavori per una piena comprensione e riconciliazione tra noi. Si sente l’anelare per quest’uomo.

E tuttavia si sente anche la sua angoscia in quanto ammette qui che non esiste alcun mediatore umano. Ma poi più attraversa la sofferenza, più la sua fede cresce in conoscenza e in forza. Andiamo al capitolo 16 di Giobbe.

Il sedicesimo capitolo di Giobbe e i versetti dal 18 al 22.

“O terra, non coprire il mio sangue, e il mio grido non trovi alcun luogo di riposo. Già fin d’ora, ecco, il mio testimone è in cielo, il mio garante è in alto. I miei amici mi deridono, ma i miei occhi versano lacrime davanti a Dio. Possa egli sostenere le ragioni dell’uomo presso Dio, come fa un uomo con il suo vicino. Passeranno infatti pochi anni ancora, e me ne andrò quindi per una via senza piú ritorno”.

Vedete, sta maturando man mano che la sofferenza continua. Questa è una negazione di ciò che ha detto prima. Prima ha detto che non c’è un arbitro tra noi.

E ora dice, il mio testimone e il mio avvocato è in cielo. Ho un testimone. Ho un avvocato. Ho un arbitro che garantisce per me. È in cielo. È Dio stesso.

E così ora supplica Dio come suo amico più verace. Dice, potrebbe non esserci alcun arbitro umano tra me e te, ma ho qualcosa di meglio. Un arbitro è completamente imparziale e neutrale. Ma Giobbe dice: Ho un arbitro in cielo che garantisce per me. Ora comprendete il quadro. Un giorno, Giobbe e noi dovremo comparire tutti davanti a Dio nel Giorno del Giudizio, e Dio è il grande giudice. Sarà un giorno fantastico. Sarà un giorno terrificante.

Sarà un giorno che incute timore reverenziale per tutti noi. E ci sarà paura e tremore in ognuno di noi quando saremo davanti al giudice. Ma alcuni di noi, quando saremo con tutto il resto della razza umana, e siamo qui in questo giorno tremendo con Dio seduto dietro la sbarra del giudizio, mentre saremo condotti in aula, Dio guarderà alcuni di noi e dirà: “Ti conosco”. Tu sei mio figlio. Siamo amici. Ho mandato mio figlio a prendere la punizione che i tuoi peccati di oggi meritavano. Vieni qui e siediti sulle mie ginocchia mentre giudichiamo i malvagi.

Vedi, dice Giobbe, Dio è dalla mia parte. Io sono dalla sua. C’è questa armonia. Dio garantisce per me. Ma ora notate qualcosa su questo versetto.

Versetti dal 18 al 22, capitolo 16. Giobbe credeva che Dio lo avrebbe protetto da Dio. Ora pensateci un attimo, Giobbe dice: Dio mi proteggerà da Dio. Mettiamola in un altro modo. Dio manterrà la mia posizione davanti a Dio.

Ora, come vedrete, ciò che vedete è un’ombra accennata della dottrina della Trinità. Che Giobbe capisce che ci sono delle distinzioni da fare in Dio. Lui non ha la stessa comprensione che abbiamo noi, perché abbiamo il Nuovo Testamento. Ma il Dio di Giobbe, come il nostro Dio, non è altro che il Dio trino, e lui ne aveva capito qualcosa. E quindi ciò che sta realmente dicendo qui in quel grande versetto, Oh, che un uomo possa supplicare Dio come un uomo con il suo prossimo. Sta desiderando ardentemente un redentore divino incarnato.

Signore, ti lodo perché sei il mio avvocato, il mio testimone, il mio arbitro. Vorrei che tu avessi pelle e ossa. Oh, se fossi anche un uomo. Oh, che questo mediatore, questo che mi garantisce e perora la mia causa, che è il Dio vivente, oh, che possa anche essere un uomo che interceda presso Dio in mio favore.

Ora giungiamo al capitolo 19, e ci rivolgiamo lì a uno dei testi più notevoli di tutta la Bibbia.

Deve essere classificato come uno dei passaggi più importanti dell’intera Bibbia. La fede di Giobbe ora sta maturando mentre la sofferenza continua. Ha desiderato ardentemente un arbitro umano. Si rende conto che Dio è quell’arbitro che garantisce per lui. Ma desidera ardentemente che Dio diventi un uomo, che possano guardarsi faccia a faccia. Ora notate cosa dice in Giobbe capitolo 19 e versetti dal 23 al 27.

Oh, se le mie parole fossero scritte oh, se fossero incise in un libro; se fossero scolpite per sempre su una roccia con uno stilo di ferro e col piombo! Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si leverà sulla terra. Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, nella mia carne vedrò Dio. Lo vedrò io stesso; i miei occhi lo contempleranno, e non un altro.

Che potente testimonianza.

Ora capite il contesto della vita di Giobbe. Tutto ciò che era ritenuto importante per lui è scomparso. Voglio dire, è lì in piedi in mezzo alle macerie. La sua ricchezza è andata, i suoi figli sono morti, la sua salute è persa, sua moglie gli si rivolta contro. Tutto ciò che è importante per un uomo è distrutto. E Giobbe è lì in mezzo a tutto questo, se fosse un italiano contemporaneo, e vedesse tutte queste cose intorno a lui come macerie, probabilmente si sparerebbe, diventerebbe un alcolizzato, diventerebbe un tossicodipendente, perché queste sono le cose che compongono la vita di un uomo oggi.

Facilità, abbondanza, comfort, felicità, ricchezza, popolarità, famiglia, salute, tutte queste cose. Così che oggi togli queste cose a un uomo, non gli resta altro. La sua vita è finita.

Ma Giobbe no. Tutte queste cose gli sono state tolte e sono in macerie intorno a lui, e in mezzo a tutto questo Giobbe dice: “Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si leverà sulla terra. Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, nella mia carne vedrò Dio. Lo vedrò io stesso; i miei occhi lo contempleranno, e non un altro.”

Ecco la fede di Giobbe in un Redentore vivente, non solo nelle dottrine, non solo nei principi etici, non solo nelle istituzioni, che sono tutte importanti, ma qui il riposo di Giobbe, la fede, riposa in una persona vivente, un Redentore, un Vindice. Sapete cosa significa la parola Redentore? L’abbiamo studiata quando abbiamo studiato Ruth. In ebraico, è goel. Significa il parente più prossimo. Qualcuno la cui responsabilità è, se un parente stretto è in difficoltà, di riscattarlo dalla schiavitù, di pagare tutti i suoi debiti, di recuperare le sue proprietà, di onorare il suo nome e, se muore, di vendicare la sua morte, così che un Redentore era qualcuno che avrebbe riscattato quella persona da qualsiasi problema o conflitto in cui si trovava e l’avrebbe liberata e liberata da tutte le varie cose che la tenevano incatenata. E qui  Giobbe dice: Ho un Redentore.

Egli è un Redentore vivente. Nell’Antico Testamento, la parola Redentore è usata ripetutamente per Dio. Nel Nuovo Testamento, è usata ripetutamente per il Signore Gesù Cristo. Il Redentore di Giobbe è proprio colui che nei suoi momenti di debolezza lui pensava fosse il suo nemico che gli aveva mandato una sofferenza così terribile nella sua vita. Ma ora tutto cambia. Si rende conto che questo Dio della provvidenza è il suo stesso Redentore che garantisce per lui, e che un giorno lo vedrà. Questo ha tutti i tipi di implicazioni messianiche, non è vero? Dice, So che il mio Redentore vive. È qui.

Lui è vivo. E nell’ultimo giorno, si ergerà sulla terra. Tutti i torti saranno raddrizzati. Tutti i diritti saranno benedetti. Lo capirò allora. Potrei dover tenere tutte le mie mogli fino a quell’ultimo giorno.

Ma questo mio Redentore, che è il Dio della provvidenza, che mi fa tante cose sconcertanti, un giorno si ergerà sulla terra. E poi notate che dice, “Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, nella mia carne vedrò Dio.”

Ora vedete qualcosa di insolito in questa affermazione? Sebbene la mia carne sia distrutta, tuttavia dalla mia carne vedrò Dio. Vedi qualcosa di insolito in questo? Egli dice, la mia carne è distrutta. I vermi l’hanno mangiata. Sono tornato polvere. Sto per morire. Il mio corpo tornerà polvere.

Dalla polvere sei venuto, alla polvere ritorni. Ma poi dice, ma io, nella mia carne, letteralmente con questi occhi, vedrò il mio Redentore quando verrà sulla terra. Ora, se la sua polvere è già stata mangiata dai vermi, come può dire che un giorno la mia polvere, la mia carne, vedrà Dio?

Per la risurrezione.

E ripetutamente nel libro di Giobbe, egli sottolinea la sua fede che un giorno Dio lo risusciterà dai morti. Questo mio corpo tornerà alla polvere. Ma avrò un corpo risorto. Avrò nuovi occhi. E con quegli occhi risorti, letteralmente e veramente guarderò il mio Redentore, che non è altri che il Signore Gesù Cristo stesso. Egli dice nel versetto 26: “Anche dopo che la mia pelle sarà distrutta, nella mia carne vedrò Dio”. E poi il versetto 27, Dio in forma umana. Voglio dire, non puoi vedere Dio a meno che non sia incarnato. Questo è il punto.

“Lo vedrò io stesso; i miei occhi lo contempleranno, e non un altro. Il mio cuore si strugge dentro di me.”

Vedrò Dio incarnato. Giobbe sapeva che il suo Redentore era uomo e Dio in una sola persona. Ma notate il versetto 27, “che io stesso contemplerò”.

Vedete quella parola io stesso? In ebraico, significa letteralmente dalla mia parte. Dalla mia parte o per me. Quindi ciò che dice è: Nell’ultimo giorno, quando il mio divino Redentore umano verrà a stare sulla terra, e io lo vedrò, lo vedrò come uno che è dalla mia parte. Come uno che è per me. Ho sbagliato molte volte nella mia vita nel pensare che Dio fosse contro di me. Ma vedrò chiaramente in quell’ultimo giorno. E il mio occhio lo vedrà. E non un altro, non uno sconosciuto. Non qualcuno che non conosco. Lui apparirà quel giorno come mio amico. Che sarà il mio Redentore. E il mio testimone. E il mio avvocato. E il mio vendicatore. E il mio Redentore. E lo vedrò. E notate la sicurezza con cui parla. Non dice: Quanto a me, spero proprio che il mio Redentore viva. E spero proprio che nell’ultimo giorno egli si alzerà sulla terra. Notate tutte le forti parole di certezza qui nel versetto 25. E quelle che seguono.

Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si leverà sulla terra. Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, nella mia carne vedrò Dio. Lo vedrò io stesso; i miei occhi lo contempleranno, e non un altro.

Che io stesso contemplerò. E che il mio occhio vedrà, e non un altro. C’era una certezza nella fede. C’era la certezza della fede. Perché Giobbe aveva una speranza. Aveva una sicurezza. Aveva una sicurezza. Non basava ciò in cui credeva sulle sue osservazioni, come i suoi amici. Non basava ciò in cui credeva su ciò che i suoi occhi vedevano. Ma basava ciò in cui credeva su ciò che Dio gli aveva detto nella sua parola. E quindi sapeva che la parola di Dio è sempre vera. Aveva una speranza e una certezza. Che anche quando la sua vita gli stava crollando addosso, lui era ancora in piedi. E forte. E aveva ancora vita. E aveva ancora un futuro. Perché tutte queste altre cose che erano importanti per lui non erano ciò che costituiva il cuore della sua vita. Al cuore della sua vita c’era il suo Redentore. E finché aveva il suo Redentore e il suo Redentore aveva lui c’era sempre un futuro di speranza per lui.

E poi guardate il capitolo 33.

Il capitolo 33 di Giobbe. E leggiamo i versetti dal 23 al 28.

Ma se presso a lui vi è un angelo, un interprete, uno solo fra mille, che mostri all’uomo il suo dovere.  Dio ha pietà di lui e dice: “risparmialo dallo scendere nella fossa; ho trovato il riscatto per lui”

Allora la sua carne diventerà piú fresca che nella sua fanciullezza ed egli tornerà ai giorni della sua giovinezza. Supplicherà Dio, troverà grazia presso di lui e potrà contemplare il suo volto con giubilo, perché Dio avrà ristabilito l’uomo nella sua giustizia. Rivolgendosi alla gente dirà: “ho peccato e violato la giustizia, e non sono stato punito come meritavo. Dio ha riscattato la mia anima, perché non scendesse nella fossa e la mia vita può vedere la luce”.

Che passo è questo. Andate a casa e meditateci sopra.

Si tratta di un angelo che sarà il mediatore di Giobbe. Non un angelo qualsiasi, perché è uno su mille. Ora l’inflazione ha fatto aumentare le cose.

È uno su un miliardo. In altre parole non ha eguali sulla terra, questo angelo. Il mio mediatore è un angelo. Il mio intermediario. Colui che mi riconcilierà con il mio Dio. E mi libererà dalla mia agonia. Lui è un angelo. Questo è un tipico modo dell’Antico Testamento di parlare del Figlio di Dio. Ripetutamente in tutto l’Antico Testamento Egli è chiamato l’angelo del Signore. Qualcuno che è identificato con Dio. E tuttavia distinto da Dio.

Che porta anche una forma umana. E così l’angelo del Signore in tutto l’Antico Testamento non è altro che il Figlio di Dio. In uno stato pre-incarnato. E così Giobbe dice qui il mio angelo. L’angelo del Signore. Il Figlio di Dio stesso verrà e sarà il mio mediatore. E non ha eguali. E notate cosa farà. Qual è l’opera del suo mediatore. Nel versetto 23 l’ultima parte. Egli verrà per ricordare all’uomo ciò che è giusto davanti a lui. È venuto per essere un rivelatore. Per rivelare la via giusta per Dio. La via giusta per la salvezza. Per rivelarci le profondità della mente di Dio.

Nel versetto 24. Allora mi faccia grazia. Egli sarà un mediatore di grazia per i peccatori. Nel versetto 24b. Liberatelo. Egli sarà un mediatore di liberazione. Nel versetto 24c. Ho trovato un riscatto. Ho trovato un riscatto. Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito indebitamente ma per ministrare e dare la propria vita in riscatto per molti. È il prezzo che deve pagare per liberare qualcuno dalla fossa d’agonia e di peccato. E di oscurità e morte. E per pagare quel riscatto per Giobbe e per noi. Non è altri che il Figlio di Dio. Lui stesso.

Ora notate gli effetti di questa redenzione.

Questa redenzione è una su un miliardo. Non c’è nessuno come lui. È venuto per rivelare. È venuto per portare la grazia di Dio nelle nostre vite. È venuto per liberarci dal nostro peccato. E notate cosa tutto questo fa a un uomo o a una donna.

Versetto 25. Oh, che immagini! Allora la sua carne diventerà piú fresca che nella sua fanciullezza ed egli tornerà ai giorni della sua giovinezza. E torni ai giorni del suo vigore giovanile. Dice quando il mio Redentore verrà e mi rivelerà ciò che è giusto. E porterà la grazia di Dio nella mia vita. E mi libererà dal mio peccato. Ritroverò la mia giovinezza. Avrò una pelle e un corpo giovani.

Di cosa sta parlando? Sta parlando di rigenerazione. Sta parlando di resurrezione. Come può un uomo che è vecchio tornare giovane? Applicando ogni genere di roba sul viso e liberarsi delle rughe? E ritardare l’invecchiamento? Come si ritarda l’invecchiamento? Come si torna giovani?

Bisogna rinascere di nuovo.

Devi essere resuscitato dalla tomba. E quindi l’effetto qui è la resurrezione spirituale e fisica che questo mediatore porterà a Giobbe. E non solo, ma notate nel versetto 26 che dice: “Supplicherà Dio, troverà grazia presso di lui e potrà contemplare il suo volto con giubilo, perché Dio avrà ristabilito l’uomo nella sua giustizia”  Allora pregherà Dio e lui lo accetterà. Che ci sarà una vita di preghiera che sarà continuamente ascoltata da Dio.

Versetto 26b. Affinché egli possa vedere il suo volto con giubilo. Che una volta  che questo Redentore agisca in nostro favore vivremo costantemente davanti al volto di Dio. Ricordate quel grande idioma latino della Riforma: Coram Deo.

Ricordate la canzone di Judy Rogers? Coram Deo. Where’er we go.

Viviamo di fronte al volto di Dio.

Vegliando, dormendo, vivendo, respirando.

Viviamo di fronte al volto di Dio.

Se dovessi prendere le ali del mattino.

O abitare sotto il mare più oscuro.

Coram Deo.

La sua mano mi guiderà.

Lui resterà con me.

Una vita che è stata redenta dal Signore Gesù Cristo è una vita vissuta consapevolmente davanti al volto di Dio. È una vita di continua gioia. E di lode al Signore, non importa cosa accada in questa vita. Questo è ciò che Giobbe ha imparato. Non ha più importanza perché in tutto questo c’è il mio Redentore che sta lavorando per avvicinarmi a sé. E così Elihu conclude questo grande sermone.

Nel capitolo 33. Con i versetti dal 29 al 33. E notate come finisce.

Ecco. Dio fa tutto questo due volte, tre volte con l’uomo.

per scampare la sua anima dalla fossa e per illuminarlo con la luce della vita. Sta’ attento, Giobbe, ascoltami; sta in silenzio, e io parlerò.  Se hai qualcosa da dire, rispondimi, parla, perché vorrei poterti dar ragione. Se no, ascoltami; taci, e io ti insegnerò la sapienza”.

Questa è la conclusione del sermone di Elihu.

E con questo finiremo. Ecco, Dio fa tutte queste cose spesso con gli uomini per riportare la loro anima fuori dalla fossa, affinché possano essere illuminati dalla luce della vita. Presta attenzione vecchio Giobbe. Ascoltami. Stai zitto. Lasciami parlare. Allora se hai qualcosa da dire, rispondimi. Parla perché desidero giustificarti. Se no ascoltami, stai zitto. E ti insegnerò la saggezza. Questa è la conclusione della preghiera di Elihu. Un sermone. E in quel sermone ha chiamato, ha detto  a Giobbe come pensare in termini di provvidenza di Dio, a prestare molta attenzione alla parola predicata. A tacere quando Dio parla. Lasciare che la parola di Dio ti scruti. E ti corregga. E ti istruisca. E ti salvi dall’oscurità e dalla morte. Perché è con quella parola che proclama che Dio riporta le nostre anime dalla fossa, che possiamo essere illuminati con la luce della vita. E poi dopo che hai permesso che il tuo cuore fosse esaminato dalla parola di Dio. Poi dopo che ti sei sottomesso alla parola di Dio, poi porta tutte le tue lamentele contro la provvidenza di Dio, le cose che ti succedono che non capisci.

Pensi che sia più severo di quanto meriti. Bene, non lamentarti immediatamente. Siediti sotto la parola di Dio. Lascia che ti vagli. Ti metta alla prova. Ti insegni. Ti corregga. Non basarti sull’osservazione. Basati sulla rivelazione. E poi dopo che ti sei seduto sotto la predicazione della parola di Dio, ed è chiarita, ed è istruita, porta tutte le tue lamentele e i tuoi argomenti contro Dio Per il modo in cui ti sta trattando. E il punto è:

Allora non ne avrai. Non avrai lamentele. Non avrai lamentele. Non avrai argomenti. Perché il tuo cuore e la tua vita saranno stati portati In sottomissione al Dio vivente.

Quindi presta molta attenzione alla parola predicata di Dio. Questo è l’unico modo in cui capirai la tua vita. Se cerchi di capire cosa Dio ha portato su di te. O ti sta portando. O ti porterà. Da ciò che i tuoi occhi vedono ti troverai nelle stesse profondità di agonia, quella che ha sperimentato Giobbe. Lascia che la tua mente e la tua valutazione di te stesso e di questa vita e di ciò che ti accade siano governati dalla parola di Dio. Comprendi e confida nella provvidenza di Dio. E realizza che tutto ciò che Lui porta nella tua vita come credente è un’espressione del suo amore. E che le cose belle non sono più manifestazioni del suo amore che le cose dolorose. Che in ogni cosa il suo amore e la sua misericordia risplendono.

Non fidarti della tua rettitudine. Non fidarti della tua osservazione. Non fidarti della tua intelligenza. Non fidarti della tua capacità di osservare e analizzare. Fidati del tuo mediatore. Fidati del tuo redentore vivente. Fidati di Colui che ti  riscatta. Fidati del tuo avvocato. Confido che tu ne abbia uno. Confido che tu stia riposando solamente  nello stesso redentore vivente  in cui Giobbe confidò. Immagino che tu stia cercando da Lui solo la liberazione e da Lui solo solo l’illuminazione. Non c’è una buona ragione per non credere che Gesù Cristo è tutto ciò che Giobbe ha detto che sarebbe stato.

E c’è ogni ragione per credere che Gesù Cristo è tutto ciò che Giobbe ha detto che sarebbe stato.

Preghiamo. Signore ti ringraziamo per averci costretti a pensare a queste cose che sono così complesse. Che sono così misteriose. Perché abbiamo a che fare con piani e decreti che hanno origine nell’infinito. Nella mente del Dio trascendente. E le nostre menti sono così finite e così decadute. Sappiamo che non c’è assolutamente modo. Di cercare di capire. Perché la vita accade nel modo in cui accade. Se non mediante la fede in un redentore vivente. E nella sottomissione alla rivelazione di quel redentore. Oh Signore, dacci fede in lui. Non importa cosa accada. Aiutaci come Giobbe a rimanere fermi nella certezza. Che il nostro redentore vive. E nell’ultimo giorno egli verrà sulla terra. E sebbene i vermi distruggano questo corpo. Tuttavia nella nostra carne risorta vedremo Dio. E aiutaci, o Signore, a non cercare di capire le cose. A parte la tua parola. Perdonaci quando ci siamo lamentati. Perdonaci quando ci siamo amareggiati. Perdonaci quando siamo stati scontenti. Perdonaci ogni volta che abbiamo pensato che ci hai trattato con troppa durezza. Quando abbiamo osato pensare che non sei stato abbastanza comprensivo o tenero. Perdonaci quando abbiamo osato discutere con te, quando nei recessi più profondi e oscuri della nostra vita interiore abbiamo lottato. Preghiamo Signore che tu ci dia una fede trionfante come quella di Giobbe. Aiutaci a confidare in te, non importa cosa accada. E a sapere che in tutto ciò che ci accade come tuoi figli ci mostri il tuo amore, la tua misericordia e la tua grazia. E aiutaci a esserne contenti.

Per amore di Cristo. Amen.


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