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APOCALISSE 18

LA CADUTA DI BABILONIA

 

Il grandioso progetto dell’uomo è di creare un paradiso senza Dio, un mondo perfetto nei termini della totale auto-affermazione. Le politiche dell’uomo sono tese a questo scopo, e a questo fine egli rivolge ogni sforzo. Le conseguenze di questo grandioso progetto sono descritte in Apocalisse 18.

Questo capitolo echeggia il Vecchio testamento quando proclamava la condanna sulle nazioni. I profeti videro le nazioni in guerra, non semplicemente contro Israele o Giuda, le quali ricevettero ambedue la giusta ricompensa per i propri peccati, ma contro il Signore degli eserciti. Dio aveva elevato le nazioni quale suo flagello e strumento, ma essi fecero dell’auto- deificazione e dell’auto-glorificazione il proprio fine. Questo, il loro orgoglio, fu la scaturigine della loro corruzione, la loro dichiarazione di indipendenza da Dio e dall’uomo, la loro perversa dissolutezza con la vita umana e col mondo, e la loro cocciuta cecità di fronte al giudizio. Apocalisse 18 echeggia e riassume l’intero giudizio profetico di Dio sul sogno delle nazioni. È il giudizio divino sul resuscitato sogno di Babele, un mondo senza Dio, il paradiso contraffatto di Caino e di Nimrod. Vi risuonano le profezie di Isaia contro Babilonia (cap. 13, 21, 47), quanto quelle di Geremia (cap. 50-51), e v’è riflesso anche il giudizio di Ezechiele su Tiro (cap. 26-27).

Il primo passo in questo giudizio è lo smascheramento, annunciato nel verso 1. Secondo il Lord: “L’Angelo del verso 1 simboleggia un corpo di persone che con luce irresistibile sveleranno il carattere apostata di Babilonia” [1]. L’angelo o messaggero rappresenta la saggezza, data in maniera divina, di mostrare la perversità, la futilità e la condanna di Babilonia. Sotto la luce delle Scritture, Babilonia è mostrata senza valore e corrotta. Prima della sua caduta, viene dato il proclama: “E’ caduta, è caduta Babilonia la grande, ed è diventata una dimora di demoni, un covo di ogni spirito immondo, un covo di ogni uccello immondo ed abominevole” (v.2). Proprio come i profeti in anticipo annunciarono la caduta dell’impero di Babilonia, e Dio in fedeltà alla propria parola lo fece accadere esattamente come aveva dichiarato, così al cristiano è richiesto di testimoniare nello stesso spirito. Babilonia, il sogno di un paradiso senza Dio, sicurezza dalla culla alla tomba per mezzo dell’agire umano, è condannata e finita. La chiamata a separarsi è parte dell’annuncio (v.4). Gli uomini devono separarsi da questo sogno di Babilonia, e da qualsiasi cosa ad esso connesso, se non vogliono condividere la sua condanna.

I peccati di Babilonia (v. 5) sono descritti come un’enorme montagna, un’altra torre di Babele che raggiunge il cielo nella loro presunzione e audacia. Non sono stati dimenticati da Dio, ma “Dio si è ricordato delle sue iniquità” ed ha atteso, poiché è la pazienza del Signore ad essere la nostra salvezza (2 Pi. 3:8-15). La pazienza di Dio estende al peccatore un’opportunità di pentimento, e al redento un’opportunità per operare il significato della propria salvezza. Ma, infine, il giudizio arriva: poiché i peccati di Babilonia erano doppi, la sua punizione sarà, con severa giustizia, doppia.

Babilonia aveva confidato nella propria onnipotenza e nella propria capacità di perdurare (v. 7). Ora, il giudizio scende su di lei: Le sue piaghe sono quadruplicate, come se i guai per lei provenissero da ogni angolo: la morte, per la sua derisione della possibilità di rimanere vedova, cordoglio, per la sua sfrenata baldoria, fame, per la sua abbondanza; e fuoco, la punizione per le sue fornicazioni” [2]. Essa fu un nemico per l’umanità nel sedurre le nazioni, i re e i mercanti ad una falsa valutazione della loro funzione, della loro natura, del loro destino. Ora perisce, totalmente, proprio come una grossa macina (del tipo fatto girare da animali da tiro) scompare, quando gettata nel mare (v.21).

Il risultato della sua caduta fa fare cordoglio ai mercanti e agli importatori, e ai viaggiatori (vv. 11-17), in altre parole, al mondo del commercio e degli affari. Vengono perduti i mercati di:

1. tesori (oro, argento ecc.)
2. il vestiario di lusso
3. articoli lussuosi per la casa
4. aromi e profumi
5. articoli alimentari
6. mezzi di trasporto
7. il traffico o mercato di persone umane.

Il significato di ciò è molto chiaro. Il crollo del sogno di Babilonia, di un paradiso umano senza Dio, viene precipitato da una grande delusione o collasso nel campo dell’economia. La situazione può essere descritta come un caos economico: proprio gli stessi mezzi che dovrebbero condurre al paradiso umano precipitano il crollo della speranza. Tutti i normali canali di scambio crollano e si frantumano bloccando tutto.

Abbiamo visto precedentemente che le nazioni e le potenze che distruggono Babilonia sono proprio quelle stesse che piangono su di lei, essendo suoi seguaci. Questo è un aspetto significativo della natura del peccato. Quando Oscar Wilde scrisse che “Ogni uomo uccide le cose che ama”, descrisse vigorosamente, non il cristiano, ma il peccatore che avanza incessantemente lungo il corso della propria perversità. Come ha commentato Lensky sulla caduta di Babilonia: “Non c’è razionalità nell’irrazionalità dell’anti-cristianesimo, meno di tutto quando sono le sue stesse seduzioni a causarne la fine prima del completamento. L’amante di una prostituta la strangola e poi piange come uno sciocco” [3]. Oggi vediamo lo stato distruggere le fondamenta dello stato, il commercio distruggere le fondamenta del commercio, il lavoro distruggere la natura e la struttura del lavoro, e l’agricoltura distruggere la terra stessa che la nutre. Nella loro avidità creano condizioni destinate il loro collasso. Questo porta all’eliminazione proprio di quella cosa che desiderano, alla morte di quella Babilonia che cercano di creare, allo scalzare le fondamenta di quella torre di Babele che cercano di costruire. “I frutti che la tua anima tanto desiderava si sono allontanati da te, e tutte le cose ricche e splendide si sono allontanate da te e tu non le troverai mai più” (v. 14).

Davanti a tutto questo, ai santi di Dio viene presentato un chiaro dovere: gioire. Deve essere loro presentato, perché sarà loro tentazione condividere nel lamento della loro generazione e piangere la giusta ricompensa del peccato. Ma il chiaro comandamento è (v.20): “Rallegrati su di essa, o cielo, e voi santi apostoli e profeti perché Dio, giudicandola, vi ha fatto giustizia”. Qualsiasi altra cosa possa essere detta riguardo al crollo della speranza umana, questo deve essere ricordato (v.24): le implicazioni del sogno hanno significato morte in ogni epoca per il popolo del Signore. Questo paradiso senza Dio non è responsabile solo della morte dei profeti e dei santi ma di “tutti coloro che sono stati uccisi sulla terra”, vale a dire che la guerra, la tirannia e l’orrore di tutte le epoche sono state dovute alla ribellione dell’uomo contro Dio, al suo desiderio di essere il proprio dio, e del suo tentativo di ridare forma al cielo e alla terra secondo le fattezze della sua natura di peccatore. Come disse Giacomo, le guerre nascono dalla natura dell’uomo, come tutti i conflitti umani (Gc. 4:1 s.). E la natura dell’uomo il peccatore è di essere il proprio dio e di creare il proprio paradiso in spregio a Dio. Da questa forte passione fluisce il sangue dei santi e “di tutti coloro che sono stati uccisi sulla terra”.

Rist ha richiamato l’attenzione sul fatto che il verso 21 è “ovviamente modellato secondo la forma simbolica dell’atto riportato nell’oracolo contro Babilonia” preso da Geremia 50-51. Geremia, dopo aver profetizzato contro Babilonia, mandò Seraia, che stava per andare a Babilonia, con un rotolo della profezia, da leggersi al suo arrivo e poi, da gettarsi nel fiume Eufrate, zavorrato con una pietra. “Mentre sta affondando nel fiume egli dovrà profetizzare che Babilonia stessa affonderà in modo simile come risultato del giudizio di Dio e non si rialzerà mai più (Gr. 51.59-64)” [4].

Proprio come Babilonia fu dichiarata terminata nella storia, destinata a svanite totalmente, così Babilonia la Grande è destinata a svanire e divenire niente di più che un orribile ricordo.

Il giudizio su Babilonia descritto in questo capitolo riflette diversi eventi storici passati e futuri:

  1. La Torre di Babele, e la sua caduta, sono chiaramente echeggiati.
  1. La Babilonia del Vecchio Testamento, la sua ascesa e la sua caduta vengono ovviamente in mente.
  2. Sono richiamati l’Impero Romano ed altri imperi e stati del tempo di S. Giovanni.
  3. Futuri tentativi dell’uomo di costruire un ordinamento anti-cristiano vengono condannati in anticipo.
  4. Il grandioso tentativo finale di costruire tale ordinamento culmina in un finale disastro di dimensioni mondiali.

Note:

1 Citato da John Peter Lange: Commentary on the Holy Scriptures, Revelation; Grand Rapids, Zondervan, ristampa della traduzione originale del 1871, p. 124
2 Boyd Carpenter in Ellicott, op. cit. ,VIII, p 615.
3 R.C.Lensky, Interpetation of St. John’s Revelation, p.522 4 Martin Rist, Interpreters Bible, Vol. 12, p. 503 s.


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