Capitolo XXI 

L’Uomo e i Credi

 

John J. Moment nel suo studio sui credi ha un capitolo intitolato: “L’uomo nei Credi”. In una spiegazione ereticale Moment espose l’universale fratellanza di Dio, la fratellanza di tutti gli uomini e la divinità in tutti gli uomini, dichiarando:

Lo sforzo di esaltare Cristo diminuendo il divino nella nostra comune natura umana è pressappoco ciò che nei primi giorni ha fatto la chiesa andando avanti nel degradare l’uomo per magnificare la grazia di Dio. Questo processo cominciò nel quinto secolo con Agostino nel corso di un lungo e aspro dibattito con un uomo irlandese chiamato Morgan, meglio conosciuto alla storia sotto il suo nome latinizzato di Pelagio. Pelagio sosteneva che ogni uomo ha il proprio destino nelle proprie mani, che qualsiasi uomo è capace di elevarsi alla perfezione morale con la propria forza. Agostino, in opposizione a questa visione iper ottimistica della razza, alla fine, a suo notevole imbarazzo, si trovò a difendere la posizione che al di fuori dalla potenza del vangelo non ci può essere del bene in alcun uomo. Pelagio ebbe la possibilità di richiamare la chiesa alla sua fede primitiva nel fatto che non solo c’è del bene in ogni uomo, ma che quel bene, ovunque trovato, è il dono di se stesso da parte di Dio e divino nel senso più letterale…
Noi non stiamo indulgendo in un discorso figurato, ma stiamo parlando quasi letteralmente quando diciamo che in uno e nell’altro dei santi della storia, nell’uno e nell’altro dei nostri amici riconosciamo una Presenza divina e questo, dopo tutto, è un altro termine per incarnazione [1].

In contrapposizione alla sovranità di Dio e alla predestinazione, Moment era preoccupato di conservare la libertà umana, il credo che “ogni uomo ha il proprio destino nella proprie mani” sicché l’uomo è essenzialmente il proprio salvatore, divino egli stesso, e quindi una specie di “incarnazione”. Moment era un ministro nella Chiesa presbiteriana, negli USA, ma sostanzialmente ancora una Pelagiano e un umanista, sebbene un laureato all’Università di Princeton, prima di Wilson.

Un altro umanista, non cristiano, è il dr. Szasz, uno psichiatra che è preoccupato di preservare la libertà umana dai pericoli della psichiatria. Le acute critiche del dr. Szasz alla psichiatria, al concetto di malattia mentale, che egli definisce un mito e della relazione tra la psichiatria e la legge, sono di grande valore e meritano un ampio ascolto, ma questo concetto di libertà, mentre è nobile nell’intenzione, è debole nella pratica. Il dr. Szasz ha scritto:

L’individuo non può mai fuggire dal peso morale della propria esistenza. Egli deve scegliere tra l’obbedienza all’autorità e la responsabilità nei confronti di se stesso. Le decisioni morali sono spesso difficili e penose da prendere. È quindi sempre presente la tentazione di delegare questo peso agli altri. Ancora, come tutta la storia ci insegna, coloro che tolgono questo fardello all’uomo – siano essi sacerdoti o signori della guerra, politici o psichiatri – gli devono togliere anche la libertà e quindi la sua vera umanità.
Uno psichiatra umanista deve perciò ripudiare questo incarico apparentemente terapeutico, l’inseguimento che spesso ne risulta, intenzionalmente o inconsapevolmente nei confronti della tranquillità morale conquistata a spese della libertà e della responsabilità. Invece di cercare di diminuire i pesi morali dell’uomo, un tal psichiatra deve mirare ad incrementare i suoi poteri in modo da renderlo all’altezza del suo compito. E in cosa consiste questo compito? Nessuno lo ha espresso meglio di Albert Camus quando scrisse: “L’aspirazione della vita può essere solo l’incremento della libertà e della responsabilità da trovarsi in ogni uomo e nel mondo. Non può essere, in alcuna circostanza, la riduzione o la soppressione della libertà, neppure in via temporanea” [2].

Questo passaggio riflette molto chiaramente il fatto che il dr. Szasz è un prodotto della cultura cristiana e la sua fede umanistica e i suoi obiettivi sono condizionati da questo fatto. Egli vuole libertà e responsabilità morale. La scelta, come lui la vede, è “tra l’obbedienza all’autorità e la responsabilità nei confronti di se stesso”. A questo punto il dr. Szasz gioca con il linguaggio e con se stesso. Essere responsabili significa dover rispondere a qualcuno o a qualche cosa, ad una legge o ad un’autorità che sta oltre noi stessi e nei cui confronti siamo responsabili. “La responsabilità nei confronti di se stesso” significa che l’uomo non ha alcuna responsabilità: egli è libero di fare tutto ciò che gli piace ed ogni suo capriccio è la sua legge. L’uomo non ha altra legge più di piacere a se stesso. Ma se il dr. Szasz ribatte che egli vuole significare con l’espressione “responsabilità nei confronti di se stesso” certi standard di condotta e leggi morali al quale l’uomo è chiamato a conformarsi, allora quegli standard sono stati creati da un’autorità che sovrasta l’uomo e alla quale egli deve obbedire. Il dr. Szasz ci ha quindi chiesto di scegliere “l’obbedienza all’autorità”; egli ha semplicemente preferito un’autorità umanistica al posto di Dio.

Il dr. Szasz ha ragione nel dichiarare che “L’individuo non può mai fuggire dal peso morale della propria esistenza”. Con questa frase egli ha affermato la forza morale e l’autorità di una legge che trascende l’uomo. Szasz insite ulteriormente sulla necessità morale dell’uomo di essere libero, ma se l’uomo è responsabile solo a se stesso e non c’è legge oltre alla sua volontà, egli non ha la responsabilità per essere libero. L’uomo può, se lo sceglie, essere uno schiavo o un uomo libero; ambedue le scelte sono valide se è la sua scelta.

Ma il dr. Szasz ha equiparato la libertà all’umanità e togliere all’uomo la sua libertà significa togliergli “la sua vera umanità”. Evidentemente il dr. Szasz ha una rivelazione speciale che fa della libertà la definizione dell’uomo, perché altrimenti il suo umanesimo non permetterebbe una definizione. L’uomo è uomo, e qualunque cosa un singolo individuo sia, ciò che egli decide di essere definisce la sua vita e l’intero suo significato. L’umanesimo è logicamente un’anarchia totale, come vide Marx; pragmaticamente Marx propese per il collettivismo totale come l’alternativa e come una via maggiormente pratica per negare la legge di Dio.

Inoltre il dr. Szasz suggerisce che la libertà illimitata, assieme a Camus, è l’autentico destino dell’uomo. Ma il vero destino dell’uomo, come afferma la fede biblica, invoca una libertà limitata e un potere limitato. dal momento che l’uomo è uomo, esso non può essere null’altro. Può l’uomo capovolgere il tempo della sua nascita e tornare al tempo passato? Può egli scegliere di essere un chimico se le sue attitudini sono quelle di un ecclesiastico? Può egli di sua volontà determinare il tempo della sua morte o lo stato della sua salute e finanze? L’uomo è in qualsiasi punto limitato nella propria libertà, perché l’uomo è una creatura. L’autentica libertà dell’uomo è una libertà limitata ed il suo vero potere è un potere limitato.

L’uomo non è libero di essere un dio, perché l’uomo è una creatura. La libertà dell’uomo è di essere ciò che Dio lo ha creato per essere e l’uomo è in tutti i punti e in tutte le cose responsabile e in obbligo di dover rispondere a Dio. È il peccato dell’uomo che gli fa cercare l’indipendenza da Dio e questo anelito non è solo un volo lontano da Dio, ma anche da se stesso, perché l’uomo è creazione di Dio ed ogni fibra del suo essere testimonia in ogni momento di Dio. Il dr. Cornelius Van Til ha evidenziato che se l’uomo peccatore potesse trovare nell’universo un pulsante da premere che gli procurasse un’esperienza di indipendenza dal Dio trino, l’uomo premerebbe solamente e sempre quel pulsante. Ma quel pulsante non esiste. L’uomo è inevitabilmente una creatura di Dio e in ciò si trova la sua libertà e la sua gloria.

I credi e i concili, con la loro irremovibile insistenza sulla sovranità di Dio, affermano implicitamente e fermamente lo stato di natura dell’uomo. In questa fede c’è l’unica speranza dell’uomo.

Davide, nel Salmo 8, cantò con diletto del ruolo dell’uomo, per fede, sotto Dio. la sorte dell’uomo redento è grande: “Tu lo hai fatto dominare sulle opere delle tue mani, hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi” (Sl. 8:6). L’uomo fu creato per esercitare il dominio sulla terra sotto Dio; in Gesù Cristo, l’uomo è rigenerato per compiere la propria chiamata.

Ma l’uomo, a prescindere da Dio, è nulla. Per l’uomo cercare una via di fuga da Dio significa cercare l’impossibile. L’uomo non può fuggire da Dio che è onnipresente, né da se stesso, perché è creazione di Dio. Come disse Davide: “Se salgo in cielo Tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti, eccoti là” (Sl. 139:8). Non c’è possibilità di scampo, perché non c’é un altro universo, né un singolo fatto o atomo che non sia creato da Dio. Non c’è alcun rifugio né riparo da Dio; di conseguenza il sogno esistenzialista di fuggire da Dio verso la libertà da Dio è un mito.

L’uomo tuttavia compare nei credi e proprio in maniera diretta e semplice: “Io credo” e anche questa presenza è per grazia, la grazia preveniente di Dio. L’uomo è stato posto in essere, assieme alla totalità della creazione, per mezzo della parola creativa e del potere di Dio e l’uomo viene richiamato nella presenta del Dio trino e nella comunione con lui da quella stessa parola rigenerativa e creativa.

La natura e il destino dell’uomo è di essere uomo sotto Dio, di esercitare il dominio sulla terra sotto Dio e in Cristo di trionfare sul peccato, sulla morte e il nemico. Ogni tentativo di introdurre l’uomo nel credo è un tentativo di abolire Dio che di fatto abolisce l’uomo. Thomas J. Altizer, nel difendere la sua teologia della morte di Dio in un dibattito con Kohn Montgomery disse: “Il cristiano può gioire nella morte di Dio … perché egli è libero da qualsiasi tipo di norma e perciò è lasciato vivere pienamente nel presente: egli è liberato” [3]. Altizer rivela qui chiaramente la forza motrice della sua scuola di pensiero. Primo, è la vecchia tentazione satanica, il peccato originale dell’uomo di essere come Dio, di essere egli stesso il conoscitore o colui che stabilisce il bene e il male e le norme prime (Ge. 3:5). Di conseguenza l’uomo vuole la morte di Dio per rendere possibile la propria nascita come Dio. Secondo, l’uomo identifica la libertà e la liberazione come indipendenza “da qualsiasi tipo di norma prima”. L’uomo vive quindi in un vuoto morale, un mondo reso totalmente privo delle norme prime di Dio e sigillato in modo antisettico da Dio. Terzo, l’uomo è quindi libero di creare le proprie norme, di essere la propria norma prima. Ciò può essere conquistato o per mezzo dell’anarchia, nella quale ciascun singolo individuo rappresenta la propria legge ultima, o per mezzo dello statalismo totale nel quale la volontà collettiva dell’uomo incorporata della dittatura rappresenta la norma ultima.

L’esito non è la morte di Dio, ma la morte dell’uomo. L’anarchia, come riconobbe Marx, può solo distruggere l’uomo e la società, ma il totalitarismo, in particolare di questa specie, è pure distruttivo dell’uomo. Primo, l’uomo si ritrova sprovvisto di appello contro l’ingiustizia e contro il proprio peccato e fallimento. Dal momento che l’uomo è la norma prima, che appello può avere l’uomo contro se stesso e quale fonte di aiuto? Se la norma prima è lo stato, allora l’uomo non ha alcun appello contro lo stato, dal momento che quindi lo stato è Dio. Il risultato è la tirannia assoluta. La tirannia della psicoanalisi è che non permette all’uomo di fuggire dall’infallibilità dell’inconscio, perché l’uomo è governato dall’inconscio. Ovunque l’uomo fondi la norma prima, l’esito è sempre lo stesso: la tirannia assoluta. Secondo, il peso dell’infallibilità ricade sull’uomo peccatore e sullo stato peccatore. La norma prima è l’individuo singolo o collettivo, e la norma prima è una norma infallibile, perché non c’è alcun’altra norma con la quale la prima possa essere giudicata fallibile. Di conseguenza non è possibile alcun progresso, dal momento che non è possibile applicare ad una norma infallibile alcun concetto di superiore o inferiore, di migliore o peggiore. Terzo, l’unico modo nel quale il progresso può essere immaginato è quello di creare una norma trans umana o macro umana, una norma cioè che renda possibile superare l’uomo. In termini di evoluzione, questo implica l’abolizione dell’uomo. L’uomo, si sostiene, deve essere una singola cellula nella nuova forma di vita del futuro, la “macro vita”, in modo che il singolo individuo non sia di valore superiore ad una cellula di pelle, capello od unghia e sia prontamente strizzabile come parte di una pustola, tagliabile come un capello lungo o tranciabile come un’unghia indesideratamente lunga. Tuttora questo concetto di uomo come singola cellula della “macro vita” è seriamente presa in considerazione e programmata [4].

Quando l’uomo diventa oggetto del credo, quando l’uomo si trova “nel credo” la conseguenza è l’abolizione dell’uomo. La salvezza dell’uomo è nel dichiarare i credi biblici, confessare il Dio trino e di trovare in lui la salvezza, la libertà e la vita. Quando l’uomo dichiara: “Io credo…” egli diventa confessante della gloria e della verità di Dio e il destinatario della grazia e prosperità di Dio.

Note:

1 John J. Moment, We Believe (New York: Macmillan, 1942), 102 e ss.
2 Thomas S. Szasz: “Mental Illness is a Myth,” in Popular Psychology, Maggio 1967, vol. I, n. I, 58.
3 Inter-Varsity News, Maggio 1967, “Dialog on the Death of God,” 2.

4 Henry Still, Will the Human Race Survive? (New York: Hawthorne Books, 1966), 246-248.


Altri Libri che potrebbero interessarti