Capitolo XIII 

Costantinopoli III: L’Abolizione di Dio

 

Il Sesto Concilio Ecumenico, il Terzo Concilio di Costantinopoli si riunì nel 680-681. È l’ultimo dei concili riconosciuto sia dalle chiese occidentali che da quelle orientali e dal protestantesimo ortodosso. Il settimo Concilio Ecumenico, il secondo Concilio di Nicea del 787, non è riconosciuto dai Protestanti, a motivo della difesa delle immagini.

Il problema era nuovamente l’eresia umanistica. Per alcuni questa affermazione è colpevole di riduzionismo e di eccessiva semplificazione; essi insistono nel vedere una fede onesta da tutti i lati, ma con delle incomprensioni intellettuali che caratterizzano alcuni o tutti i teologi e vescovi intervenuti. Il problema, ci viene detto, era complesso; complicato dalle differenze di significato create dai termini greci e latini, esso lo era ulteriormente dalle psicologie piuttosto dubbie derivate dall’antico mondo che avevano guidato le definizioni conciliari del Cristo. È consigliabile quindi di non abbracciare tout court le definizioni conciliari di ortodossia ed eresia.

La risposta a questo è che in termini di fede biblica il problema di base dell’uomo non è una conoscenza inadeguata, ma il peccato. L’uomo ha peccato deliberatamente ed ostinatamente contro Dio: egli ha cercato di elevare se stesso ad unica fonte della verità e della legge, punto di partenza e cornice di riferimento. Come ha scritto Van Til: “Come peccatore, l’uomo cerca di fare di se stesso l’unico scopo e regola di vita”. Inoltre Van Til aggiunge: “Qui perciò c’è il cuore del problema: in Adamo l’uomo ha respinto la legge del suo creatore e di conseguenza è diventato legge a se stesso. Egli sarà sottomesso a nessun altro che a se stesso. Egli sa di essere una creatura e che come tale deve essere soggetta alla legge del suo creatore”. Ma l’uomo si ribella contro questo. “Egli fa di se stesso il punto di riferimento finale in tutte le affermazioni” [1]. L’uomo peccatore non è neutrale; la sua conoscenza è indirizzata ad un fine, quello di stabilire la propria autonomia. L’unica relazione che egli tollera con Dio è una relazione democratica: su questa base arminiana, potendo indicare il proprio voto decisivo contro Dio e contro Satana e votando per se stesso, l’uomo trova Dio tollerabile. È ridicolo assumere che ci sia qualcosa di neutrale nell’uomo quando si avvicina a Cristo. Ciascuna fibra non neutrale dell’essere peccaminoso dell’uomo è tremante quando si avvicina a Cristo e cerca o di eliminarlo o di integrarlo nel suo sistema.

Il terzo Concilio di Costantinopoli si riunì per affrontare il monotelismo, un tentativo di integrare Gesù Cristo in un prospettiva esplicitamente non cristiana. Il monotelismo aveva concesso la vittoria a Calcedonia; esso accettò le dottrina delle due nature come necessaria alla rispettabilità religiosa, ma insistette sul fatto che Cristo fosse soggetto ad un’unica volontà, la volontà umana o mescolata con quella divina o assorbita da essa. Questa dottrina rappresentò un tentativo dell’imperatore Eraclio di unire gli Eutichiani e i Monofisiti con gli ortodossi e portare così unità religiosa all’impero. Nel corso della sua storia ha conquistato molti sostenitori di rilievo. Sergius, Patriarca di Costantinopoli fece il lavoro teologico per Eraclio e i suoi successori, Pirro, Paolo e Pietro lo continuarono. Pure Onorio, papa di Roma, lo sostenne. Altri rilevanti uomini di chiesa monoteliti furono Teodoro di Paran, Ciro di Alessandria, Macario di Antiochia e Stefano suo discepolo; tutti furono condannati dal sesto Concilio. Soforonio, un monaco palestinese, fu uno tra i primi a condurre la battaglia contro il monotelismo. Anche Martino I, papa di Roma, guidò la battaglia contro l’eresia e venne esiliato in Crimea dall’imperatore. Quando Papa Martino comparve a processo davanti alle autorità civili in Costantinopoli, gli fu negato il diritto di richiamare l’attenzione sulle eresie dei monoteliti: “Non mescolare qui nulla che appartenga alla fede, tu sei accusato di alto tradimento. Anche noi siamo cristiani e ortodossi”. Martino replico: “Volesse Dio che voi lo foste! Ma anche su questo io testimonierò contro di voi nel giorno del tremendo giudizio”. Un abate greco, Massimo, fu parimenti in prima linea nella battaglia contro il monotelismo e a causa di questa falsa credenza venne frustato e si vide amputare la mano destra e la lingua dall’imperatore, morendo poco dopo il 13 agosto del 662. San Massimo era stato il responsabile del sinodo Laterano del 649 convocato da Martino I ed aveva redatto la sua condanna nei confronti del monotelismo. L’imperatore Costante II gli fece tagliare pubblicamente la mano destra e la lingua per prevenire ulteriori scritti e discorsi in favore della fede da parte di Massimo che rifiutò qualsiasi tentativo, sia adulatorio che minaccioso di farlo tacere.

Gli uomini che difesero la fede erano consapevoli del pericolo. Non erano immuni dalla paura umana, ma essi era ancora più soggetti al timore di Dio. Nel mezzo di ciascun concilio vennero piazzati i sacri Vangeli per indicare non solo l’autorità della Scrittura, ma anche la presenza di Gesù Cristo come guida sovrana di ogni autentico concilio ed adunanza cristiana. L’estrema serietà dei delegati e la loro ostilità alla più piccola deviazione dalla fede si basava sulla convinzione che l’eresia rappresentasse non solo una mancanza di comprensione, ma un tentativo deliberato di sovvertire e distruggere la fede, di attaccare ed abolire Dio. L’Illuminismo ha talmente distorto la prospettiva umana che l’uomo crede che la salvezza stia nella conoscenza e che il peccato sia perciò ignoranza; la volontà dell’uomo è di conseguenza guidata dalla sua mente e dalle informazioni a sua disposizione. Ma questa psicologia è aliena alla fede biblica: è la natura peccaminosa dell’uomo a governare la sua mente e la sua volontà e piegarli ai suoi propositi. Il problema dell’uomo non è l’ignoranza ma il peccato, non una mancanza di conoscenza, ma la volontà di cacciare Dio dal mondo. L’uomo non rigenerato è governato dal desiderio di essere il proprio dio e di volere la morte di Dio.

Dio può essere bandito dal pensiero filosofico in tre maniere diverse. Primo, ci può essere una completa negazione di Dio; si può sostenere che Dio non esiste e che quel concetto non è necessario.

Secondo, invece che una negazione di Dio, è la negazione dell’uomo che può essere usata per abolire Dio. Se l’uomo è ridotto a delle mere sensazioni o ad un animale i cui processi mentali sono privi di valore, l’uomo non può conoscere Dio perché per definizione non può conoscere alcunché. Negare Dio significa anche negare l’uomo, e perciò questi due correnti di pensiero vanno a braccetto [2]. Charles Darwin fece affidamento su questa negazione dell’uomo. egli non negò che Dio sembrasse essere un concetto ed una realtà inevitabile, dal momento che non era possibile spiegare il mondo a prescindere da lui ma, piuttosto che riconoscere Dio, Darwin negò l’uomo e qualsiasi validità alla mente ed al pensiero umano. L’ammissione di questo fatto da parte sua rivela bene la sua riluttanza ad accettare qualsiasi pensiero che provenisse da Dio. In una lettera a W. Graham, del 3 Luglio 1881, Darwin scrisse:

Ciò nonostante tu hai espresso la mia intima convinzione, sebbene molto più vividamente e chiaramente di quanto potessi fare io, che l’Universo non è il risultato del caso. Ma poi mi sorge sempre l’orrido dubbio che la convinzione della mente umana, che si è sviluppata dalla mente degli animali inferiori, non sia di alcun valore e per niente sicura. Crederebbe qualcuno nelle convinzioni della mente di una scimmia, ammesso che ci siano convinzioni in una tal mente? [3].

Darwin non concluse, da questa mancanza di fiducia nella mente umana, che le sue proprie ipotesi scientifiche fossero per nulla fidate. Non gli venne in mente di invalidare la scienza e l’evoluzione per via di questa visione dell’uomo: essa venne usata solamente contro Dio. Questo è ovviamente un pensiero immaturo, ma anche molto più chiaramente un pensiero peccaminoso.

Terzo, Dio può essere negato con un’affermazione di Dio che lo riduca ad una pertinenza dell’uomo o ad un suo prigioniero. Dio può di conseguenza venire smaccatamente adorato, ma la gloria e la potenza sono praticamente trasferite all’uomo.

I monoteliti di fatto abolivano Dio con un’affermazione che introduceva l’umanità nella Divinità e faceva l’uomo uno con Dio, al punto da annullare a tutti gli effetti la cristianesimo. Essi lo fecero nel nome del cristianesimo, ma la conseguenza fu l’atrofia umanistica.

La lettera del papa Agato al sesto Concilio ecumenico rappresentò un’importante punto nella lotta contro il monotelismo. Agato riaffermò saldamente la posizione di Calcedonia:

Ma quando noi facciamo una confessione riguardante una delle stesse tre persone di quella santa Trinità, del Figlio di Dio, o Dio la Parola e il mistero della sua adorabile dispensazione secondo la carne, noi affermiamo che tutte le cose sono doppie nell’unico e stesso nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo secondo la tradizione evangelica; cioè, noi confessiamo le sue due Nature, vale a dire quella divina e quella umana delle quali e nelle quali egli, anche dopo la meravigliosa ed inseparabile unione, sussiste. E noi confessiamo che ciascuna delle sue nature ha la sua propria naturale caratteristica e che quella divina ha tutte le cose che sono divine, senza alcunché di peccato. E noi riconosciamo che ciascuna [delle due nature] dell’uno e dello stesso incarnato, cioè l’umanizzata (humanati) Parola di Dio sia in lui senza confusione, inseparabilmente ed immutabilmente. Perciò noi detestiamo ugualmente la bestemmia della divisione e della mistura. Perciò quando confessiamo le due nature, le due volontà naturali e due naturali operazioni nel nostro unico Signore Gesù Cristo, noi non affermiamo che esse siano contrarie od opposte l’una all’altra (come coloro che si discostano dal sentiero della verità ed accusano la tradizione apostolica di farlo…) [4].

Per l’ellenismo la confusione e la co-mistura erano naturali e necessarie; questo determina il suo umanesimo. La materia rappresentava il mondo dell’essere primordiale, mentre la forma rappresentava l’essere divino e l’universo è il prodotto della mescolanza delle due. La prospettiva biblica dell’essere creato e dell’essere non creato e creativo di Dio era totalmente aliena all’ellenismo. La filosofia greca, se poteva concepire una totale mescolanza e confusione, non poteva comprendere l’incarnazione. Di conseguenza, una volta avvicinatasi alla dottrina dell’incarnazione, cercò di adattarla allo stampo della mistura e confusione come passo logicamente necessario. Cristo quale forma suprema deve necessariamente essere mescolato con la materia per procurare la struttura logica o logos per tutti gli uomini e per l’intera filosofia. Per questo i monofisiti insistevano su un’unica natura: qui in quest’unica natura ebbe luogo la confusione e co-mistura delle nature. Ma Calcedonia e Costantinopoli II avevano bloccato questa forma di pensiero dichiarandolo un’eresia. Logicamente la tradizione ellenica e specialmente quella neoplatonica richiedevano la confusione e la co-mistura e quindi ricomparirono sotto le vesti del monotelismo, la dottrina delle due nature ma dell’unica volontà. Se questa dottrina avesse trionfato la chiesa avrebbe stagnato o sarebbe diventata il canale per un nuovo sviluppo dell’ellenismo. Accaddero ambedue le cose, ma la condanna del monotelismo rese possibile la sopravvivenza dell’ortodossia.

Da una prospettiva ellenica la salvezza dell’uomo implica un’ascesa sulla scala dell’essere verso la deificazione. L’uomo deve progressivamente rinunziare al mondo della materia per il mondo della forma, cioè lo spirito. Ovunque sia prevalso l’ellenismo, lì è prevalso l’ascetismo e il monachesimo. Nella Chiesa occidentale l’ascetismo ed il monachesimo dopo un primo trionfo declinarono e sono diventati sempre più dei cimeli della chiesa piuttosto che la sua forza centrale. Nelle chiese monofisite gli ordini monastici controllano tutti gli alti uffici perché rappresentano per definizione la verità ed il potere più alti della chiesa.

La Definizione di Fede del concilio parlò della carne e della volontà dell’umanità di Cristo come “deificata”, ma con questo volevano dire che, sotto la dottrina delle appropriazioni economiche la carne e la volontà umana saranno interamente governate dalla natura divina e saranno e furono quindi uno senza confusione con la deità 5. Essa fu, disse la Definizione, “una relazione economica”. Dopo aver rivisto le conclusioni dei cinque precedenti concili la Definizione recita:

Con la definizione di tutto ciò noi similmente dichiariamo che in lui ci sono due volontà naturali e due naturali operazioni indivisibilmente, incontrovertibilmente, inseparabilmente e senza confusione secondo l’insegnamento dei santi Padri.

E queste due volontà naturali non sono il contrario l’una dell’altra (Dio non voglia!) come sostengono gli empi eretici, ma la sua volontà umana segue, non resistente e riluttante ma piuttosto sottomessa, quella divina ed onnipotente…

Noi glorifichiamo le due naturali operazioni indivisibilmente, immutabilmente, senza confusione e inseparabilmente nello stesso nostro Signore Gesù Cristo, nostro vero Dio, vale a dire un’operazione divina ed una umana, secondo il divino predicatore Leone che più chiaramente afferma quanto segue: “Perché ciascuna forma compie nella comunione con l’altra ciò che propriamente le appartiene, la Parola facendo ciò che le è proprio e la carne ciò che appartiene alla carne”.

Perché non ammetteremo una naturale operazione in Dio e nella creatura, come non esalteremo nell’essenza divina ciò che è creato, né faremo scendere la gloria della natura divina nel luogo destinato alla creatura.

Noi riconosciamo i miracoli e le sofferenze come di una e la stessa (persona), ma dell’una o dell’altra natura delle quali egli è e nelle quali egli esiste come meravigliosamente si esprime Cirillo. Preservando quindi l’assenza di confusione e l’indivisibilità, noi brevemente facciamo tutta questa confessione credendo che nostro Signore Gesù Cristo sia uno della Trinità e dopo l’incarnazione nostro vero Dio; noi diciamo che le sue due nature brillarono nella sua unica subsistenza nella quale egli compì miracoli e sopportò sofferenze per mezzo dell’intera economica relazione, non in apparenza ma per davvero e ciò per la differenza della due nature che deve essere riconosciuta nella stessa Persona, perché sebbene unite assieme ciascuna natura vuole e fa le cose che le sono proprie e in modo indivisibile e senza confusione.

Perciò noi confessiamo due volontà e due operazioni che in lui al meglio concorrono alla salvezza della razza umana [6].

Il concilio disse chiaramente che il monotelismo fece due cose: primo, esaltò “nella divina essenza ciò che è creato”, e secondo, “ha fatto scendere la gloria della natura divina nel luogo destinato alla creatura”. Il concilio si rivelò inflessibile nei confronti di questa confusione umanistica.

Nell’esporre la sua Definizione all’imperatore il concilio, dichiarando che satana “ha sollevato gli stessi ministri di Cristo contro di lui” espose la sua decisione nel Prosphoneticus:

E come noi riconosciamo due nature, noi riconosciamo del pari due naturali volontà e due naturali operazioni. Perché noi dobbiamo negare che una delle due nature che sono in Cristo nella sua incarnazione sia senza una volontà o operazione: per non sottrarre le caratteristiche di queste nature, noi sottraiamo le nature alle quali queste proprietà appartengono. Perciò noi neghiamo o la volontà naturale della sua umanità, o la sua naturale operazione: per non negare ciò che è la cosa principale della dispensazione per la nostra salvezza e perché non si attribuiscano passioni alla Divinità… .
Perciò noi dichiariamo che in lui ci sono due naturali volontà e due naturali operazioni, che procedono assieme e senza divisione… [7].

I Monoteliti, facendo assorbire la volontà umana in quella divina, spalancarono la porta per un simile assorbimento delle volontà di tutti gli uomini redenti nella volontà divina in modo da fare della santificazione una deificazione progressiva.
Neander ebbe ad osservare a riguardo:

La questione riguardante le relazioni reciproche delle volontà umana e divina in Cristo era connessa, in un modo che merita attenzione, anche alla questione riguardante la relazione tra la volontà umana e quella divina nei redenti nel loro stato di perfezione. Alla fine molti tra i monoteliti supposero che l’esito finale del perfetto sviluppo della vita divina nei credenti avrebbe provocato in loro, come nel caso di Cristo, una totale assorbimento della volontà umana in quella di Dio; in questo modo in tutti ci sarebbe stata una soggettiva quanto oggettiva identità di volere che, se si evidenzia fortemente, avrebbe portato ad una nozione panteistica di un completo assorbimento di tutta l’individualità dell’esistenza in un unico spirito originale. Maximus lo capì molto bene e combatté zelantemente contro cotale nozione [8].

Nel 711 un Monotelita, Filippico o Bardano divenne imperatore e la persecuzione dell’ortodossia venne ripresa per due anni fino a che Anastasio II lo detronizzò e pose fine alla persecuzione.

Giovanni Damasceno (680-764) fu l’ultimo teologo orientale a prestare una significativa attenzione al problema. Nella sua “Esposizione della fede ortodossa” Giovanni evidenziò che qualsiasi posizione diversa da quella ortodossa avrebbe negato l’incarnazione:

Ma se coloro che dichiarano che Cristo ha un’unica natura e dicono anche che quella natura è semplice, essi devono necessariamente ammettere o che egli è Dio puro e semplice e quindi ridurre l’incarnazione a una mera finzione, o che egli è solo uomo, in accordo con Nestorio. E che dire quindi del suo essere “perfetto nella divinità e perfetto nell’umanità?” Perché è certamente chiaro a chiunque che prima dell’unione la natura di Cristo era una sola [9].

Il terzo concilio di Costantinopoli chiarì che l’incarnazione non era una finzione: essa fu reale. Il concilio parimenti chiarì che ad essere una finzione era l’apparente cristianità dei monoteliti: era un umanesimo che di fatto aboliva Dio e nessun teologo poteva ignorarne le implicazioni. Essi, da parte loro, dichiararono: “Noi non esalteremo nella divina essenza ciò che è creato, né faremo scendere la gloria della natura divina nel luogo destinato alla creatura”. La posizione dei monoteliti era mortale e, nonostante l’onestà di alcuni dei suoi umili credenti in alcuni periodi della storia dei Monoteliti al pari dei monofisiti, tale posizione era sterile e decadente. Non si trattò di Cristianità ortodossa e non aveva nulla del vigore della fede biblica. Il Monotelismo non fu un umanesimo onesto ed aperto e di conseguenza non poté svilupparsi nei termini del suo reale significato. Il suo vigore fondamentale stava nell’ostilità ed il suo destino è stato di decadenza ed estinzione.

Note:

1 Cornelius Val Til, A Christian Theory of Knowledge (Filadelfia: Westminster Theological Seminary, 1954), 27 , 26.
2 Vedi R.J. Rushdoony, By What Standard? (Filadelfia: Presbyterian and Reformed Publishing Company, 1958, 1965).
3 Francis Darwin editore, The Life and Letters of Charles Darwin, vol. I (New York: Basic Books, 1959), 285.
4 Percival, Decrees and Canons, 330.
5 Su questo punto vedi Giovanni Damasceno, Exposition of the Orthodox Faith, Cap. XVII.
6 Percival, 345.
7 Ibid., 347.
8 Augustus Neander, General History of the Christian Religion and Church, vol. III (Boston: Crocker & Brewster, 1855), 183.
9 Giovanni Damasceno, “Exposition of the Orthodox Faith” cap. III, in Nicene and Post-Nicene Fathers Seconda Serie, vol. IX, 47.


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