Capitolo IX 

Costantinopoli II: La Fallacia della Semplicità

 

Un antico e persistente pericolo è costituito dalla fallacia della semplicità. C’è un evidente risentimento da parte di moltissimi uomini contro la conoscenza che vada oltre la loro capacità. Come conseguenza, quando un impulso democratico governa la teologia esso cerca il minimo comune denominatore. Il folle e l’ignorante piagnucolano piamente per riavere “il semplice, vecchio vangelo”, quando in realtà il loro vangelo semplice da concepire è un’invenzione moderna. Mentre certe dottrine fondamentali della bibbia non sono affatto complicate, la bibbia nel suo complesso non è un libro semplice e non ci autorizza a soprassedere alle sue complessità per riposarsi sulle sue semplicità, perché ambedue gli aspetti sono inseparabili. Nessuno può considerare i profeti una lettura semplice, né elementari le epistole di Paolo, e le due assieme sono la parte più consistente della bibbia e non esauriscono la sua complessità. La richiesta di semplicità è di solito una richiesta di perversione e non c’è da stupirsi perciò che il vangelo di un’epoca democratica sia un vangelo pervertito.

La richiesta di semplicità non è solo una richiesta di perversione, ma è anche una richiesta di suicidio e il popolo, la chiesa o l’istituzione che la cercano tracciano la direzione verso una morte sicura. Bark ha giustamente posto l’attenzione su un fallimento critico della mentalità romana: “essi confusero la semplicità con la forza, come se l’una non potesse esistere senza l’altra” [1].

Il Socialismo è un eccellente esempio di fallacia della semplicità. Via via che un società diventa più complessa, essa di conseguenza necessita di maggiore decentralizzazione a specializzazione. Più grande è la complessità di una società e più ampia è la necessità di una libera crescita per le sue capacità specializzate e sempre più raffinate. Un socialista tuttavia riconosce solamente una espressione indipendente di specializzazione, quella dei controllori o manager statali. Questa risposta alla complessità sociale è una semplicità imposta ed una regressione ad una economia famigliare autarchica. In una semplice famiglia nel selvaggio West, per brevi periodi nella storia e per necessità, un uomo poteva dover assumere la maggior parte delle più importanti funzioni economiche e fare della famiglia un mondo indipendente. Una tal condizione è stata poco frequente e pure primitiva. La specializzazione implica la libertà di perseguire la vocazione scelta da ciascuno senza la necessità di eseguire compiti senza fine per i quali altri sono maggiormente dotati. Il Socialismo, la fallacia politica ed economica della semplicità, è suicida per sua stessa natura.

I primi quattro concili ecumenici dichiararono con fede la complessità della fede biblica in riferimento a certe dottrine. Oggi come allora le persone intellettualmente pigre si offendono per le dottrine che superano la loro intelligenza. Le dottrine della fede dovrebbero essere ridotte al livello della pigrizia umana! L’opera di base è stata compiuta dai primi quattro concili. Il quinto concilio, il Secondo Concilio di Costantinopoli del 553 d. C. dovette affrontare l’ostilità e la mancanza di comprensione delle complessità della dottrina cristiana sia da parte della società civile che di quella religiosa. Giustiniano I, un imperatore abile e motivato da buone intenzioni, convocò il concilio nella speranza che appianasse le differenze tra le scuole teologiche rivali e unisse perciò l’impero dal punto di vista religioso. Il concilio, con la sua enfasi sui dettagli delle complessità teologiche, servì solo a dividere l’impero. La reazione al concilio fu nel complesso sfavorevole, esso fu accettato di malavoglia e l’atteggiamento dei Cristiani da allora è stato caratterizza da oblio e noia nei confronti dei suoi dettagli.

“La Sentenza del Concilio” mise in luce il forte senso di responsabilità nel parlare contro l’empietà:

Il nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo, come impariamo dalla parabola nel Vangelo, distribuisce talenti a ciascun uomo secondo la sua abilità e al giusto momento chiede di rendere conto dell’opera compiuta da ciascun uomo. E se colui al quale è stato affidato un solo talento è condannato perché non lo ha fatto fruttare, ma lo ha conservato senza perdita, a qual più grande ed orribile giudizio sarà soggetto colui che non solo è negligente di per se stesso, ma che piazza pure una pietra d’intoppo e provoca offesa nella via di altri? Dal momento che è manifesto a tutti i fedeli che quando sorge una disputa concernente la fede, non solo si condanna l’uomo empio, ma anche colui che, pur avendo il potere di correggere l’empietà altrui, trascura di farlo. Noi quindi, a cui è stata affidata la guida della chiesa del Signore, temendo la maledizione che incombe su chi adempie con negligenza l’opera del Signore, ci affrettiamo a preservare il buon seme della fede puro dalle tare dell’empietà che sono state seminate dal nemico [2].

L’imperatore si aspettava pace ed unità, ma il concilio era deciso a rimanere saldo sulla verità. L’imperatore, fondamentalmente un uomo devoto, non cercò di obliterare l’opera del concilio. In parte, l’editto di Giustiniano che precedette il concilio dichiarò i suoi compiti chiedendo una condanna dell’opera di Teodoro di Mopsuestia, maestro di Nestorio, e di Teodoreto di Ciro, quest’ultimo maestro di Ibas di Edessa. Giustiniano sperava che una condanna della teologia della scuola di Antiochia sarebbe stata gradita ai Monofisiti, che in quel tempo guidavano la scuola di Alessandria. Il concilio condannò la teologia di Antiochia, ma senza rimettere in discussione la posizione assunta a Calcedonia con la conseguenza che furono tagliati fuori dalla fede ortodossa sia Antiochia che Alessandria.

Teodoro di Mopsuestia (circa 350-428 d.C.) sosteneva una dottrina semi pelagiana dell’uomo. Per lui, il peccato era la conseguenza della mortalità, non la sua causa, sicché la limitatezza è il problema base dell’uomo e la radice del suo peccato e caduta. L’uomo peccatore ha una volontà libera ed è capace di auto determinarsi, al punto che l’opera di Cristo come salvatore non è più un fattore determinante nella vita del peccatore. La grazia non è preventiva, ma cooperatrice, cioè l’uomo salva se stesso con la cooperazione di Dio. Per Teodoro di Mopsuestia qualsiasi confusione tra le due nature di Cristo era impensabile, ma le sue motivazioni non erano ortodosse. Per lui non c’era un’unione sostanziale tra Dio e uomo nell’incarnazione, ma piuttosto un’unione volontaria, che cominciò con la concezione. La dimora di Dio in Cristo era per buona volontà non per sostanza, né per operatività. C’erano forti elementi di universalismo nel pensiero di Teodoro di Mopsuestia e per lui la pienezza della salvezza significava la pienezza della definitiva unione con Dio [3]. Il suo pensiero rappresentò una versione più mite della filosofia che dominava la scuola di Antiochia.

I Monofisiti provarono per queste idee di Antiochia gli stessi sentimenti che Stalin provò per Trotsky. L’odio fu più aspro ed intenso, ma ciò nonostante si trattò di una lite familiare. I Monofisiti difendevano, come indicava il loro nome, un’unica natura di Cristo. Per essi, come evidenziò il Rainy, “Cristo è di due nature, ma non in due nature” [4]. Apparentemente essi stavano proteggendo la dottrina di Dio e la deità di Cristo, ma come notò Rainy: “cos’era questa ‘natura’ che non era né semplicemente divina né semplicemente umana?” [5]. Cristo era visto come possedere una sola natura che non era né la semplice natura divina, né una mera natura umana. Questo portava Cristo pericolosamente vicino alla posizione della cristologia ariana. In un caso il Cristo del pensiero monofisita non era né Dio né uomo ma una figura intermedia, o anche un Dio nel quale l’umanità era stata assorbita. Nell’altro caso la confusione delle due nature era suprema. In un caso Gesù Cristo non era co- sostanziale né con Dio né con l’uomo e nell’altro l’uomo diventa co-sostanziale con Dio. Una setta monofisita, gli Aphthartodocetae, affermò che il corpo di Gesù Cristo era creato incorruttibile, non in virtù della resurrezione, ma per l’unione con la divina natura, cioè con la trasmissione delle proprietà della natura divina alla natura umana. Nell’era moderna il pensiero monofisita è stato messo in evidenza ne Life of Christ di Henry Ward Beecher e nello Swedenborgianesimo, ed in ambedue i casi l’umanesimo è chiaramente manifesto.

Questi furono i problemi che il Secondo Concilio di Costantinopoli andava ad affrontare. Schaff ha indicato questo concilio come “Un mero supplemento al terzo e al quarto” [6]. I supplementi sono tuttavia spesso necessari e importanti. La fede di base riguardo alla Trinità era stata definita: ora gli errori andavano corretti e prevenuti.

Il Concilio emise quattordici anatemi. Sebbene le tracce della dottrina della perpetua verginità di Maria non siano accettate da tutti i protestanti ortodossi, il concilio è stato accettato da tutti i rami ortodossi della chiesa. Il primo anatema dichiara:

I

Se qualcuno non confessa che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno una natura o essenza, una potenza e forza; (o non confessa) la co-essenziale (cosubstanziale) Trinità, una Divinità in tre ipostasi o persone adorate, sia egli anatema. Perché c’è un Dio e Padre dal quale sono tutte le cose e un Signore Gesù Cristo per mezzo del quale sono tutte le cose e un Spirito Santo nel quale sono tutte le cose [7].

Questa è semplicemente una riproposizione della dottrina ortodossa della Trinità. La Trinità non è Unico Dio se le tre persone non sono eguali e della stessa natura, potenza e forza. Variazioni della dottrina ortodossa si manifestano nel triteismo e nell’unitarismo. Per la chiesa non c’è possibilità di sopravvivenza come corpo cristiano se gli scostamenti dal trinitarismo non sono dichiarati anatema.

II

Se qualcuno non confessa che ci sono due nascite di Dio la Parola, l’una dall’eternità del Padre, fuori dal tempo e incorporea e l’altra negli ultimi giorni quando scese dal cielo e fu fatto carne della santa, gloriosa portatrice di Dio e sempre vergine Maria e nacque da lei, sia egli anatema.

Gesù Cristo come vero Dio è perciò eternamente esistente, “fuori dal tempo e incorporeo,” in eterno l’unigenito del Padre è un Dio con lui. Nella sua umanità Gesù Cristo è vero uomo di vero uomo, nato dalla vergine Maria. Con questa affermazione si sancisce la sua umanità e la sua deità.

III

Se qualcuno dice che Dio la Parola che operò miracoli è uno e che il Cristo che soffrì è un altro; o dice che Dio la Parola è diventata la stessa del Cristo che nacque da una donna o è in lui come uno è in un altro e che non è il nostro stesso Signore Gesù Cristo, la Parola di Dio, che divenne carne e uomo e che i miracoli che egli operò e le sofferenze che egli ha volontariamente patito nella sua carne non sono sue, sia egli anatema.

Questo paragrafo enfatizza sia il lavoro di Calcedonia sia quello di Efeso. Siccome l’incarnazione fu reale, e l’unione delle due nature una autentica unione, è impossibile trattare Cristo come due persone, attribuendo certi atti alla natura divina ed altri alla natura umana. Ci sono due nature ma una persona ed attribuire i miracoli e le sofferenze a chiunque eccetto che a Gesù Cristo significa negare l’incarnazione. Il paragrafo è chiaramente ostile nei confronti di una unione delle due nature secondo Nestorio, mentre invece la persona di Dio e la persona di Gesù rimangono distinti, ma è anche altrettanto ostile al rifiuto monofisita dell’umanità dopo l’incarnazione. L’affermazione è che vi sono due nature in un’unica persona in perfetta unione. Vedere, come alcuni allievi hanno fatto, tentativi di conciliazione con i monofisiti in questi anatemi è privo di fondamento: il filo della loro lama taglia in ambedue le direzioni. Si condanna la confusione e l’assorbimento dell’umanità nella Divinità: sono condannati coloro che dicono “che Dio la Parola è diventata la stessa del Cristo che nacque da una donna o è in lui come uno è in un altro”.

IV

Se qualcuno dice che l’unione di Dio la Parola con l’uomo è avvenuta solo per grazia, o per operazione o per uguaglianza di onore e distinzione, o per elevazione e condizione o per potere o per compiacimento come se Dio la Parola si compiacesse dell’uomo sembrando l’uomo a Dio buono e giusto — come dice il delirante Teodoro; o che è avvenuta per mezzo dell’identità di nome, secondo ciò che i Nestoriani chiamano Dio la Parola Gesù [figlio] e Cristo, e così chiamano l’uomo separatamente Cristo e Figlio e così parlano chiaramente di due persone e ipocritamente parlano di una persona e di un Cristo solo secondo la designazione e onore e dignità e adorazione. Ma se qualcuno non confessa che l’unione di Dio la Parola con la carne animata da un’anima razionale e pensante, secondo una sintesi [combinazione] o secondo le ipostasi, come ebbero a dire i santi Padri e che perciò c’è una sola persona, di nome il Signore Gesù Cristo, uno della Santa Trinità, sia egli anatema. Come, tuttavia, la parola unione (enosis) è intesa in varie maniere, coloro che seguono l’empietà di Apollinario e Eutiches, affermando una scomparsa delle nature che si uniscono, insegnano di un’unione per confusione; mentre i seguaci di Nestorio e Teodoro, che gioiscono nella separazione, introducono un’unione meramente relativa. La Santa Chiesa di Dio, al contrario, respingendo le empietà di ambedue le eresie, confessa l’unione di Dio la Parola con la carne per combinazione, cioè personalmente. Perché l’unione per combinazione [sintesi] non solo conserva, a riguardo dei misteri di Cristo, ciò che è venuto assieme [le due nature] in modo non confuso, ma non ammette alcuna separazione [delle due persone].

Questo paragrafo, di nuovo condanna sia i Nestoriani che i Monofisiti. L’incarnazione è un’autentica unione, senza confusione o cambiamento, delle due nature in una persona, Gesù Cristo. Parlare dell’unione come una mera identificazione morale, o come unione di attività o operazione, significa negare l’incarnazione. Eutyches, specificamente nominato, fu un antesignano del pensiero monofisita. Il suo insegnamento e tutti gli insegnamenti del resto che dichiarano la scomparsa di una delle nature dopo l’unione, o la loro confusione, sono condannati. Sia il nestorianesimo che il monofisismo sono “eresie”. Questo anatema denuncia coloro che “ipocritamente parlano di una persona e di Cristo” ma in realtà “chiaramente parlano di due persone”.

V

Se qualcuno interpreta l’espressione: Una ipostasi di nostro Signore Gesù Cristo, nel senso di indicare in tal modo l’unione di molte ipostasi, e si impegna così a introdurre nel mistero di Cristo due ipostasi o due persone e dopo aver introdotto due persone, parla di una persona secondo la dignità, onore e culto come insistettero Teodoro e Nestorio nella loro pazzia: e se qualcuno calunnia il santo Sinodo di Calcedonia, come se avesse usato l’espressione ‘una ipostasi’ in questo empio senso, e non confessa che la Parola di Dio fu personalmente unita alla carne e che perciò c’è una sola ipostasi o persona e che anche il santo Sinodo di Calcedonia ha confessato una ipostasi di nostro Signore Gesù Cristo, sia egli anatema! Perché la Santa Trinità, quando Dio la Parola, uno della santa Trinità, fu incarnato, non soffrì l’aggiunta di una persona o ipostasi.

Nuovamente la condanna chiude ambedue le strade e fa della definizione di Calcedonia il testo dell’ortodossia. La strada dell’unità tra i monofisiti e l’ortodossia passa attraverso la sottomissione di tutti a Calcedonia. Questo fu un anatema che difficilmente avrebbe conciliato i monofisiti, ma la conciliazione non venne cercata a spese della verità.

VI

Se qualcuno dice che la santa, gloriosa, sempre vergine Maria è chiamata portatrice di Dio per abuso e non veramente, o per analogia, come se da lei fosse nato un mero uomo e non come se Dio la Parola si fosse incarnata da lei, ma che la nascita di un uomo era legata a Dio la Parola, perché egli fu unito all’uomo partorito; e se qualcuno diffama il santo Sinodo di Calcedonia, come se, secondo l’empia opinione di Teodoro, avesse chiamato la vergine portatrice di Dio; o se qualcuno la chiama portatrice d’uomo o portatrice di Cristo, come se Cristo non fosse Dio, e non confessa che è lei ad essere la portatrice di Dio, in senso proprio e in verità, perché Dio la Parola, che fu generato dal Padre prima dei mondi, s’incarnò per mezzo di lei negli ultimi giorni; e [non confessa] che è in questo pio senso che il santo Sinodo di Calcedonia l’ha riconosciuta portatrice di Dio, sia egli anatema.

Di nuovo si insiste sulla realtà dell’incarnazione in opposizione al nestorianesimo e a Teodoro di Mopsuestia. Con la condanna del nestorianesimo, gli umanisti si ritirarono sulla posizione non ancora condannata di Teodoro come un porto sicuro. Il concilio ora aveva condannato sia la radice che il ramo. Vennero anche condannati i tentativi di interpretare Calcedonia nei termini indicati da Teodoro: quando Calcedonia e i precedenti concili avevano parlato di Maria come thetokos essi lo intendevano nei termini di una Cristologia ortodossa, non di una unione volontaria.

VII

Se qualcuno, parlando della due nature non confessa che egli riconosce nella Divinità e umanità l’unico Signore Gesù Cristo, e così con questa menzogna vuol significare la differenza di nature, che vengono sostituite da un’inspiegabile unione senza confusione, senza che la natura della Parola sia cambiata in quella della carne, né quest’ultima in quella della Parola – perché ciascuna rimane ciò che era in origine dopo che è avvenuta l’unione personale – o che interpreta quella espressione in riferimento al mistero di Cristo nel senso di una separazione in due parti o, confessando le due nature in relazione all’unico Signore Gesù, la Parola di Dio incarnata, differenzia le nature delle quali è composto, ma che non sono distrutte dall’unione – perché egli è uno di entrambi, per mezzo di uno entrambi – concepisce queste differenze non come un’astrazione, ma usa la dualità per separare le due nature, e per fare due persone [ipostasi] separate, sia egli anatema.

Il sesto anatema parlava di coloro che distorcono la dottrina ortodossa e parlano dell’incarnato “come se Cristo non fosse Dio”. Nel settimo anatema, si citano alcuni altri di questi stratagemmi e ad essi si risponde in termini di Calcedonia. L’esito di base delle eresie fu la negazione dell’incarnazione. Ambedue le nature furono così divise che nessuna autentica unione poteva aver luogo, ma piuttosto un’associazione volontaria oppure le due nature confuse e l’umanità assorbita dalla divinità. Il risultato pratico e filosofico sia del nestorianesimo che del Monofisismo fu l’apoteosi dell’uomo; tutti e due rappresentavano il trionfo dell’umanesimo pagano e della teologia imperiale. La libertà occidentale è il prodotto della cristologia di Calcedonia e del trinitarismo del Credo Atanasiano. L’umanesimo implicito o l’esplicito tenterà o di separare l’uomo Gesù Cristo dalla persona di Dio eccetto che per una volontaria associazione aperta a tutti o di attribuirgli una divinità aperta a tutti gli uomini. L’anatema condanna tutto questo.

VIII

Se qualcuno non interpreta l’espressione, “di due nature” la Divinità e l’umanità, come l’unione avvenuta o come l’unica natura incarnata della Parola che, come insegnarono i santi Padri, dalla natura divina e umana si è costituita in un unico Cristo, essendo intervenuta un’unione personale, ma si sforza, con tali espressioni di ricondurre ad uno la natura o l’essenza della divinità e umanità di Cristo, sia egli anatema. Perché quando noi diciamo che l’unigenita Parola fu unita in modo personale, noi non diciamo che si sia verificata una confusione delle due nature l’una coll’altra; ma invece noi pensiamo che, mentre ciascuna natura rimane ciò che è, la Parola è stata unita con la carne. Perciò, anche, c’è un Cristo, Dio e uomo, lo stesso che è di una sostanza con il Padre quanto alla sua Divinità e di una sostanza con noi, quanto alla sua umanità. Perché la Chiesa di Dio condanna ugualmente e scomunica coloro che separano e tagliano a pezzi il mistero della divina economia di Cristo e quelli che lo confessano [8].

Di nuovo si riconferma Calcedonia e si condanna la confusione monofisita delle nature. Le sofisticate dottrine dei monofisiti non potevano celare la loro spinta sostanzialmente ellenistica e umanistica. Per la dottrina dei credi di Atanasio e Calcedonia, l’autentico universale è il Dio trino. Introducendo una confusione di nature nella persona di Cristo, l’umanità è fatta una con gli universali, con le fondamentali caratteristiche dell’universo. Di conseguenza l’umanità diventa il proprio Dio. La sovranità viene trasferita da Dio all’uomo e la salvezza diventa pure vie più un’opera dell’uomo e l’uomo diventa il nuovo universo. La liturgia Copta monofisita è arrivata di già a celebrare l’uomo al posto di Dio. Perciò un antico inno, mentre decanta il rispetto alla “Santa eguale Trinità” vede la congregazione cantare:

Nel nome del Padre e
il Figlio e lo Spirito Santo,
la Santa eguale Trinità
Degna, Degna, Degna di lode, la Santa Vergine Maria.
Degni, Degni, Degni, i Tuoi servi, i Cristiani [9].

Le dottrine riformate della giustificazione, predestinazione e grazia sovrana sono semplicemente i logici e necessari corollari di Calcedonia e del Credo Atanasiano e tutte queste assieme la fede biblica. L’umanesimo fa dell’uomo il nuovo universale e lo stato diventa il dio unificato in terra. Come conseguenza, mentre l’aspetto della dottrina cristiana può essere conservato, il cuore della dottrina può essere negato introducendo l’uomo nella divinità e facendo dell’uomo il nuovo universale. Quando la Scolastica reintrodusse l’umanesimo di Aristotele nella storia occidentale, la conseguenza fu il declino della cristianità ortodossa e della sua risposta trinitaria al problema dell’uno e del molteplice e degli universali. Gli universali della Scolastica divennero le idee e forme elleniche e la Trinità stessa venne rivista in termini di forme nel processo di trasformazione in sostanza (il Padre), struttura (il Figlio) e processo (lo Spirito), in modo che la trinità diventasse semplicemente la comune essenza dell’universo analizzata nei suoi aspetti. Gli universali quindi ebbero una non piccola immanenza e la lotta dell’Europa medievale divenne sempre più il contesto di rivendicazioni al titolo di concreto universale cioè, l’immanente espressione dell’ordine definitivo. Chiesa, stato e università reclamarono parimenti supremazia e sovranità come fecero gli anarchici e squallidi individualisti, personaggi di gruppi come gli adamiti e altri movimenti del tempo. Anche i mistici rivendicarono nella loro esperienza la stessa realizzazione dell’universale.

Qualsiasi scostamento da Efeso e Calcedonia e dal credo Atanasiano era un’avventura nell’umanesimo e la sostituzione di Dio con l’uomo.

IX

Se qualcuno dice che Cristo deve essere adorato in due nature, con le quali vengono introdotti due tipi di culti, quello per Dio la Parola e quello per l’uomo; o se qualcuno, eliminando la carne e confondendo la divinità con l’umanità o salvando solo una della nature o essenza di quelle che sono unite, così adora Cristo e non adora Dio fatto carne con la sua carne con un solo culto, come la chiesa di Dio ricevette dall’inizio, sia egli anatema.

Nel nono anatema si citano e si condannano parecchie forme di perversione della fede di Calcedonia. Primo, alcuni adoravano ambedue le nature di Cristo, la sua umanità al pari della sua Divinità, introducendo così il culto all’uomo nella cristianità nel nome dell’obbedienza alla fede. Secondo, altri confondevano le due nature e quindi in questa maniera adoravano l’uomo e introducevano l’umanità nella natura della Divinità. Terzo, altri ancora riducevano le due nature in una per assorbimento e quindi di nuovo distruggevano la biblica distinzione tra Dio e l’uomo e le loro differenti essenze. Il ponte tra l’essenza non creata di Dio e l’essenza creata dell’uomo fu gettato in modo singolare senza confusione in Gesù Cristo; il tentativo di operare un “congiungimento naturale” per confusione o assorbimento ha come obiettivo e significato l’obliterazione della distinzione tra Dio e l’uomo. Questa obliterazione è funzionale a fare dell’uomo il proprio dio.

X

Se qualcuno non confessa che nostro Signore Gesù Cristo crocifisso nella carne è il vero Dio, e Signore di Gloria e uno della Santa Trinità, sia egli anatema.

Dio può essere eliminato da una filosofia o da una religione non solo per mezzo della confusione con l’umanità in modo che Dio e l’uomo diventino fondamentalmente o potenzialmente uno, ma anche da un radicale e totale isolamento e separazione l’uno dall’altro. Se Dio è fatto “completamente altro”, un Dio nascosto che non rivela se stesso (come per l’arianesimo e la neo ortodossia), egli cessa di essere dio per l’uomo. Un dio nascosto che non ha parlato né può parlare, che non si rivela né ha una parola infallibile, deve consegnare l’universo in mano all’uomo. L’uomo alla fine parla; l’uomo ha qualche parola e le parole umane riempiono il vuoto di Dio come signore dell’Essere. Le negazioni della realtà dell’incarnazione e la realtà della crocifissione di Cristo, mentre apparentemente proteggono Dio dal mondo di mutevolezza e passione, in realtà proteggono l’uomo dall’interferenza di Dio. Se il Cristo crocifisso e risorto è semplicemente un uomo di rilievo, allora egli annuncia un nuovo mondo di potenzialità per l’uomo come il signore della creazione. Se questo Cristo crocifisso e risorto è vero Dio di vero Dio, come vero uomo di vero uomo, allora l’uomo è sotto il governo e decreto di Dio come creatura.

XI

Se qualcuno non condanna Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinario, Nestorio, Eutyches e Origene assieme ai loro empi scritti a tutti gli altri eretici condannati e scomunicati dalla Chiesa Cattolica e Apostolica e dai quattro santi sinodi già menzionati, assieme a coloro che hanno avuto o hanno lo stesso pensiero degli ertici e che rimangono ancora nella loro empietà, sia egli anatema.

Non è sufficiente essere contro l’eresia; bisogna essere anche contro gli eretici. L’idea che si possa odiare il peccato ed amare il peccatore è una contraddizione. Si può odiare il furto e amare il ladro che lo ha compiuto, od odiare l’omicidio ma amare l’omicida della propria famiglia, oppure odiare lo stupro, ma amare lo stupratore dei propri cari? In realtà, l’idea che questo possa realizzarsi è comune, ma altro non è che un’evidenza della degenerazione morale. Il concilio ha nominato vari eretici e li ha condannati e ha chiesto a tutti i credenti ortodossi di unirsi nella condanna. Coloro che si rifiutano di condannare gli eretici sono essi stessi colpevoli di empietà e sono scomunicati. O gli uomini si separano dall’eresia e dagli eretici in termini di fede, o sono separati dalla fede e dai fedeli.

XII

Se qualcuno difende l’empio Teodoro di Mopsuetsia, che dice (a) che Dio la parola è uno, e un altro è Cristo che attraversò le sofferenze dell’anima ed i desideri della carne; che per gradi elevò se stesso da ciò che era più imperfetto e per progresso nelle buone opere e con la sua condotta di vita divenne irreprensibile; e inoltre che come mero uomo egli fu battezzato nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo e attraverso il battesimo ricevette la grazia dello Spirito Santo e fu giudicato degno di essere figlio e fu adorato con riverenza come persona di Dio la parola, come l’immagine di un imperatore e che [solo] dopo la resurrezione divenne immutabile nei suoi pensieri e completamente senza peccato; e di nuovo (b), come dice lo stesso empio Teodoro, l’unione di Dio la parola con Cristo fu della stessa natura che l’apostolo dice esserci tra il marito e la moglie: “I due diventeranno un’unica carne”; e (c) fra altre cose blasfeme, osa dire che, quando il Signore dopo la resurrezione, ha soffiato sui suoi discepoli dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo” egli non ha dato loro lo Spirito Santo ma soffiò su loro come segno; (d) e di nuovo che la confessione di Tommaso, mentre toccò le mani e la faccia del Signore dopo la resurrezione, “Mio Signore e mio Dio” non fu fatta da Tommaso riguardo a Cristo, ma che, stupito dal miracolo della resurrezione, Tommaso abbia ringraziato Dio che aveva resuscitato Cristo; (e) e ciò che è peggio, in questa esposizione degli Atti degli Apostoli, Teodoro paragona Cristo a Platone, Manicheo, Epicuro e Marcione e dice che, come ciascuno di essi ha concepito la propria dottrina e ha dato ai propri discepoli il nome di platonisti, manichei, epicurei e marcioniti, nello stesso modo, quando anche Cristo ha ideato una dottrina, dopo di lui essi furono chiamati cristiani. Se qualcuno quindi difende il sopracitato empio Teodoro e i suoi empi scritti, nei quali ha riversato le sopra menzionate ed altre innumerevoli cose blasfeme contro il grande Dio, nostro Salvatore Gesù Cristo e non condanna lui e i suoi empi scritti, e tutti quelli che si aggiungono a lui o lo difendono o dicono che lui ha dato un’interpretazione ortodossa, o che ha scritto in sua difesa e dei suoi scritti; e che pensa o ha pensato in questa maniera e rimane infine in questa eresia, sia egli anatema.

Nell’analizzare gli insegnamenti di Teodoro di Mopsuestia il concilio mise il suo dito proprio nella loro base umanistica. Gesù Cristo venne ridotto al livello di un insegnante tra molti e fu al massimo un grande uomo che per mezzo di eccellenza morale divenne un’immagine o icona di Dio proprio come le immagini di un imperatore rappresentano l’imperatore e sono oggetto di culto. Questo riferimento “come l’immagine di un imperatore” è significativa nel fatto che le immagini degli imperatori di nuovo diventano centrali nella controversia iconoclastica. È anche significativo nel fatto che un’immagine o icona non è la sostanza; l’imperatore o il dio sono dipinti. Cristo, come icona del Padre, in questo senso è una possibile icona o immagine tra tante e un possibile insegnante tra molti. Quindi, nell’adorare Cristo come immagine del Padre, coloro che usavano la terminologia di Teodoro di Mopsuestia per proteggere il proprio nestorianesimo in realtà degradavano Cristo anche se lo adoravano. Quando la porta è aperta a molte immagini e a molti insegnanti, apparentemente sono tutti esaltati, ma in realtà sono tutti degradati nel fatto che la verità diventa proprietà di nessuno. Un Dio non rivelato significa una verità non rivelata e un dio non rivelato è anche un possibile dio non esistente e una verità altrettanto non esistente. L’uomo diventa quindi la propria misura, verità e vita e la verità oggettiva è sostituita dalla verità soggettiva.

XIII

Se qualcuno difende gli empi scritti di Teodoreto che sono diretti contro la vera fede e contro il primo e santo Sinodo di Efeso e contro Cirillo e i suoi dodici capitoli e [difende] tutto ciò che egli scrisse in difesa di Teodoro e Nestorio, gli empi, ed altri che pensano allo stesso modo di quelli nominati e ricevono loro e la loro empietà, e per amor loro chiamano empi gli insegnanti della chiesa, che mantengono e confessano l’unione ipostatica di Dio la Parola; e se non condanna gli empi scritti citati e coloro che hanno pensato e pensano in modo conforme e tutti quelli che hanno scritto contro la vera fede o il santo Cirillo e i suoi dodici capitoli e hanno perseverato in tale empietà, siano essi anatema.

Anche gli scritti del vescovo e storico della chiesa, Teodoreto, un amico di Nestorio, furono sottoposti ad esame e condannati. Teodoreto ha molti difensori moderni. Rimane tuttavia il fatto che la sua difesa del nestorianesimo era ben definita e la sua posizione non ortodossa. Per il concilio la condanna di questo uomo morto già da lungo tempo divenne necessaria, perché gli eretici contemporanei stavano cercando rifugio dietro le opinione di Teodoro, Teodoreto, Ibas e altri per sfuggire all’accusa di nestorianesimo.

XIV

Se qualcuno difende la lettera che si dice che Ibas abbia scritto a Maris il Persiano, nella quale si nega che Dio la Parola sia divenuta carne e uomo dalla santa portatrice di Dio e sempre vergine Maria e nella quale si mantiene che nacque da lei mero uomo, chiamato il tempio; e che Dio la Parola è uno e che l’uomo è un altro; e nella quale il santo Cirillo che proclamò la vera fede di Cristo è accusato di eresia, come se avesse scritto le stesse cose dell’empio Apollinario; e nella quale il primo santo Sinodo di Efeso viene censurato, come se avesse condannato Nestorio senza indagine e discussione; e i dodici capitoli del santo Cirillo chiamati empi e opposti alla vera fede e Teodoreto e Nestorio e le loro empie dottrine e scritti difesi; se qualcuno difende la lettera in questione e non la condanna assieme a coloro che la difendono e dice che è giusta, o lo è parte di essa e chi ha scritto o scrive in difesa di essa e delle empietà in essa contenute e si azzarda a difenderla o a difendere le empietà in essa contenute con il nome dei santi Padri del santo Sinodo di Calcedonia e perseverano fino alla fine, siano essi anatema.

L’Ibas a cui si riferiva l’anatema, era Vescovo di Edessa in Siria dal 435 al 457; Ibas tradusse le opere di Teodoro di Mopsuestia in siriaco e le distribuì massicciamente per la Persia e la Siria. Egli fu accusato di Nestorianesimo ed assolto due volte, ma il Concilio di Efeso nel 449 lo depose. Quello di Calcedonia lo ristabilì dopo un esame, come fece anche con Teodoreto, dopo che Teodoreto alla fine aveva consentito che si censurasse Nestorio. Il secondo concilio di Costantinopoli evitò di condannare Teodoreto e Ibas, ma condannò quei loro scritti che contenevano specifici errori. Nel caso di Ibas la lettera in questione è citata come una “che si dice che Ibas abbia scritto” insinuando un dubbio. La lettera conteneva affermazioni di questo tenore: “Coloro che mantengono che la Parola si è incarnata e fatta uomo sono eretici e Apollinari” [10]. La posizione di Ibas, a prescindere da questa lettera era sospetta.

Il secondo Concilio di Costantinopoli quindi difese abilmente l’opera di Efeso e Calcedonia. Esso non ne rappresentò un ulteriore sviluppo, ma rappresentò un’abile difesa della fede e il suo lavoro fu necessario. Non è sufficiente, nell’affrontare un pericolo presente, evitarlo citando il fatto che qualcuno ha già affrontato il problema nel passato. Se un nemico attacca oggi, esso deve essere combattuto oggi, ma senza una rinuncia alle vittorie passate. Una chiesa non può dire, se un uomo sorge tra le sue fila negando l’infallibilità della scrittura, che non può discutere oggi con lui perché la confessione se ne è occupata qualche secolo fa. Piuttosto deve riconfermare la vecchia confessione con una nuova condanna degli eretici. Questo fece il secondo Concilio di Costantinopoli.

Il concilio inoltre, non temette la complessità e la raffinatezza della dottrina. Esso tracciò la linea chiaramente, perché l’alternativa era cancellare o al massimo confondere la linea tra Cristianità e umanesimo. Un ritiro verso la semplicità della fede è un ritiro nella morte. Il disprezzo che gli uomini riservano per coloro i cui insegnamenti sono difficili non è segno di carattere, ma che nelle loro gole c’è l’eco di morte di una chiesa e di una cultura. Oggi le chiese che tracciano nettamente la linea sono piccole e sole, crescono solo con difficoltà, mentre i modernisti e gli arminiani che cancellano la linea di offesa e introducono l’umanesimo nella chiesa sembrano fiorire. Ma la loro crescita è solo una crescita di corruzione e la loro sola luce è la fluorescenza della decadenza.

Note:

1 William Carroll Bark, Origins of the Medieval World (Garden City, New York: Doubleday Anchor Books, 1960 [1958]), 144.
2 Percival, Decrees and Canons of the Councils, 306. Come fa notare il periodo conclusivo del primo paragrafo si riferisce a Papa Virgilio.
3 L.Patterson, Theodore of Mopsuestia and Modern Thought (London: Society for Promoting Christian Knowledge, 1926), 17, 19 e ss., 21, 35 e ss., 47 e ss., 62-65.
4 Robert Rainy, The Ancient Catholic Church, From the Accession of Trojan to the Fourth Generale Council (A.D. 98-451) (New York: Charles Scribner’s Sons, 1902), 403.
5 Ibid.
6 Schaff, Creeds of Christendom, I, 44.
7 Questo e i successivi anatemi sono tratti dal Vescovo Carlo Giuseppe Hefele: A History of the Councils of the Church, IV (Edinburgh: T.& T. Clark, 1895), 329-342. Vedi anche Percival, 321-316.
8 Per l’ultima clausola Percival traduce: “chi introduce confusione in quel Mistero “.
9 Aziz S. Atiya, “Historical Introduction,” Coptic Mucic (Folkways Records, Album FR 8960, New York, 1960).
10 Landon, Manual of Councils,I, 200.


Altri Libri che potrebbero interessarti