Capitolo sei

La Grecia

INTRODUZIONE

È difficile vedere realisticamente la storia greca perché l’antica Grecia è stata a lungo idolatrata e idealizzata dagli umanisti come la loro patria spirituale; da parte loro è  comprensibile. Lo sviluppo più chiaro dell’umanesimo nel mondo antico si ebbe con la filosofia greca. L’uomo è stato fatto misura di tutte le cose, mentre nella Scrittura solo Dio è misura e signore di tutte le cose.

Gli dei greci erano uomini divinizzati. Lo stesso Zeus, il capo degli dei, era stato un uomo una volta e la sua tomba fu indicata dagli scrittori greci. Fondamentale per la società e la fede greca era l’eroe, l’uomo-dio, l’uomo divino in un mondo caotico e in evoluzione. L’eroe divenne simile a un dio per ciò che fece e per gli atti che compì. L’idea moderna di leader o Fuhrer si basa in parte sul concetto greco di eroe.

Tuttavia, in questo mondo greco di uomini prevaleva il destino, per cui la visione dell’uomo era fondamentalmente pessimistica e senza speranza. Tutto dipendeva dall’uomo, dall’uomo eroico, ma l’uomo, sentivano i Greci, era un’indifesa pedina del destino, come anche gli dei. La morale della tragedia greca è che il destino governa e l’uomo è una pedina indifesa in universo perverso. In Eschilo, Sofocle ed Euripide le furie implacabili attendono tutti coloro che offendono gli dei, anche se lo fanno inconsapevolmente. Il punto centrale della storia di Edipo è che Edipo era totalmente all’oscuro di come aveva commesso i suoi peccati. Per la tragedia greca l’uomo non è un peccatore ma una vittima. Gli dei lo tormentano e il destino distrugge sia gli uomini che gli dei.

La tragedia non è una forma letteraria cristiana. Piuttosto, è pagana e talvolta, in forme moderne, è molto anti-cristiana. La tragedia presuppone che l’universo sia ostile all’uomo. Non vede l’uomo come un peccatore né l’universo come creato e governato da Dio. Vede invece l’uomo come una vittima. Il coro dell’Edipo Re di Sofocle dichiara:

Ahimè, voi generazioni di uomini, come considero la vostra vita una mera ombra! Dov’è, dov’è il mortale che della felicità conquisti più che una sembianza e, dopo l’apparenza, questa non sfumi via? Il tuo è un fato che mi avverte — tuo, tuo infelice Edipo, di non chiamar beata nessuna creatura terrestre.

La percezione tragica della vita precede il crollo della cultura perché incoraggia la convinzione che la vita sia perversa e senza speranza.

Le moderne rappresentazioni teatrali, i film, la televisione e i romanzi sono assai dediti a presentare tragedie e ad insegnare con ciò una religione anti-cristiana. La vita è presentata come insignificante o perversa, l’uomo non ha scampo né è colpa sua se cade.

L’umanesimo greco finì così nella disperazione. Ha chiesto all’uomo e all’uomo eroico più di quanto l’uomo potrà mai offrire. Di conseguenza, la sua conclusione è stata quella di cercare la fuga da questo mondo nel neoplatonismo, o disprezzare vita, verità e significato, nel cinismo.

CAPITOLO SEI

Il termine “Grecia” deriva da un nome romano dato a una colonia beota a Cuma nell’Italia meridionale. I Greci, invece, si sono sempre chiamati Elleni e il loro paese l’Hellas.

Prima del loro arrivo, un popolo mediterraneo il cui centro era Creta sviluppò la cultura minoica e, tra il 3000 e il 1100 a.C., diffuse la propria cultura sulla terraferma tra i Micenei, i Troiani e in Asia Minore. I minoici subirono gravi battute d’arresto nel c. 1600 e ca. 1400 a.C., quando i palazzi di Cnosso e Festo furono entrambi distrutti e ricostruiti. L’Iliade e l’Odissea di Omero, sebbene scritti nel periodo ellenico, riflettono il mondo miceneo che, essendo una cultura derivata, non fu mai uguale a quello minoico. Essendo Creta un’importante potenza marittima, la cultura minoica si estese in gran parte dei paesi del Mediterraneo orientale e ne controllò molti.

La cultura minoica cadde prima dell’invasione di un popolo indoeuropeo, gli Elleni o Greci, provenienti da diversi gruppi: gli Arcadi, gli Ioni, i Beoti, i Dori, gli Illiri e i Traci. Il loro movimento verso quest’area iniziò tra il 3000 e il 2000 a.C. . Tra il 1400 e il 1180 a.C., quando l’ultimo stato minoico, Illium o Troia, fu saccheggiato, invasero l’area e il risultato fu il declino culturale. Il periodo che seguì, 1200-800 a.C., è stato chiamato l’ “Età oscura” della Grecia, ma anche l’epoca successiva, 800-600 a.C., fu cupa. L’estesa colonizzazione di Italia, Sicilia, Nord Africa e Asia Minore in quest’ultimo periodo furono dovuti in parte al desiderio delle persone di fuggire dalle condizioni oppressive sia economiche che politiche del proprio paese. Queste colonie divennero importanti centri commerciali oltre che centri intellettuali. Il periodo che seguì alla Grecia, in particolare dal c. 650-500 a.C., fu un periodo in cui aumentarono tirannia e rivoluzione. Le città-stato, di cui Atene e Sparta sono oggi le due più popolarmente conosciute, erano afflitte da una serie di problemi politici ed economici: varie riforme non riuscirono a risolverli definitivamente. Le guerre persiane, iniziate in Grecia nel 492 a.C. e terminate nel 479 a.C.,furono presto seguite da problemi ancora più seri, la guerra tra le città-stato greche.

Ciò culminò nella Prima Guerra del Peloponneso nell’ultima parte del V secolo a.C. Trattare anche soltanto le guerre del Peloponneso,  o gli sviluppi di Atene e Sparta, richiederebbe diversi capitoli. Le città erano quasi costantemente in guerra. Quando Sparta ebbe la preminenza, Atene formò delle leghe contro di essa. Più tardi, Tebe formò una lega che le permise di esercitare un ruolo dominante. Durante queste lotte, la Persia, che in precedenza aveva visto la Grecia interferire in Asia Minore, ora interveniva spesso per impedire a qualsiasi gruppo di acquisire un potere troppo grande.

Nel frattempo, un’altra potenza era in ascesa quando Filippo I nel 356 a.C. divenne re di Macedonia.

Prima di esaminare brevemente la fase macedone della storia ellenica, passiamo al contributo ellenico: l’influenza di queste città-stato sulla storia occidentale.

Molto è stato detto sul dono della “democrazia” all’Occidente da parte dell’antica Grecia. L’evidenza è chiara che la democrazia non era favorita dalla maggioranza, né era caratteristica della società greca, dove la tirannia era più comune della libertà. Lo stato di diritto, che caratterizzava la Media-Persia, non era in alcun senso uno stile di vita ellenico. Atene, che si suppone la più illuminata, aveva un’usanza chiamata ostracismo, secondo la quale qualsiasi uomo pubblico poteva essere bandito tramite voto per dieci anni, poi ridotti a cinque. Presumibilmente progettato per eliminare i tiranni, servì a bandire i migliori uomini di Atene. Temistocle, che sconfisse i Persiani a Salamina, fu bandito e andò in Persia dove un governo più saggio gli diede un alto incarico. Plutarco, scrivendo dell’ostracizzazione di Temistocle, osservò: “Infatti l’ostracismo fu istituito non tanto per punire l’offensore, quanto per mitigare e pacificare la violenza degli invidiosi, che si deliziavano nell’umiliare uomini eminenti, e che, scaricando su di loro questa disgrazia, avrebbe potuto sfogare parte del loro rancore”. Plutarco racconta poi ulteriormente di Aristide il Giusto che durante una votazione un analfabeta che non lo conosceva gli chiese di descrivergli “Aristide”. Aristide chiese se gli fosse stato fatto qualche torto. “Nessuno,” disse, “nemmeno conosco quest’uomo: ma sono stanco di sentirlo chiamato ovunque il Giusto.” Sebbene le città-stato greche avessero di tanto in tanto alcuni leader molto capaci, la loro situazione abituale era quella di problemi auto-inflitti.

Nel campo dell’economia, gli stati greci hanno avuto il doppio onore di avere uno dei sistemi monetari più solidi della storia, secondo l’economia classica, vale a dire una solida base d’oro e argento, e tuttavia fu continuamente afflitta da problemi economici e disagi. Il denaro greco divenne ampiamente utilizzato e il greco fu ampiamente parlato come lingua degli affari.

L’arte e la letteratura greca hanno esercitato un’influenza molto maggiore nella successiva storia occidentale di quanto non abbiano mai fatto nella loro stessa cultura. Per gran parte della cultura occidentale essi divennero normativi: “classici”, talché allontanarsi dalle forme greche era allontanarsi dalla norma.

Con l’illuminismo del XVIII secolo, come in precedenza col Rinascimento, i classici ellenici furono considerati i grandi momenti della storia culturale, e grandezza significava riconquistare il loro spirito.

I tre drammaturghi più importanti furono Eschilo (526-456 a.C.), Sofocle (495-405 a.C.) ed Euripide (480-406 a.C.), le cui tragedie furono grandi espressioni della prospettiva ellenica sulla vita. Aristofane (c. 448- 385 a.C.), un drammaturgo umoristico, è noto per la sua satira sulla vita del suo tempo. In poesia Omero  e Esiodo  tra i primi poeti e successivamente Pindaro, Anacreonte, Meleagro e altri furono degni di nota. Erodoto (484-428 a.C.?) è uno scrittore interessante e pettegolo, a volte chiamato “il padre della storia” da studiosi che scelgono di ignorare i più antichi storici biblici. Tucidide (471-c. 400 a.C.) è famoso per la sua storia della guerra del Peloponneso. L’architettura greca è rinomata, l’Acropoli e il Partenone sono due grandi esempi dell’età di Pericle. Tra gli scultori, Mirone (450 a.C. circa), Policleto (430 a.C. circa) e Fidia (500-431 a.C.) sono i più celebri.

È in filosofia, tuttavia, che la mente ellenica esercitò la sua massima influenza sull’Occidente. La prospettiva greca può essere riassunta nell’espressione “L’uomo è la misura”. La risposta biblica sarebbe: “Dio è la misura.” Queste due opinioni polari costituiscono l’antitesi della cultura occidentale: due posizioni sempre in guerra tra loro.  Molte altre influenze sono presenti nella cultura occidentale, ma sono mediate attraverso l’uno o  l’altro contesto, in particolare quello ellenico.  Anche il Cristianesimo è stato ampiamente influenzato dal pensiero ellenico, talché gran parte della storia della Chiesa è più ellenica che biblica.

La filosofia greca nelle sue importanti formulazioni iniziò a Mileto, sulla costa dell’Asia (Turchia) con Talete, Anassimandro e Anassimene rappresentanti della scuola di Mileto. Talete ha trovato la causa di ogni cosa  nell’acqua. Esiodo in precedenza aveva posto la domanda: “Qual è stato il principio?” La sua risposta fu: “All’inizio ebbe origine il caos”. Talete nel VI secolo a.C. similmente voleva all’inizio una risposta naturalistica, ma a quanto pare con potenzialità più fertili per lo sviluppo di ogni essere. Anassimandro era meno pronto a citare un elemento quale fonte; piuttosto, la fonte da cui tutte le cose si generavano e si sviluppavano era l’infinito. Anassimene, come Talete, voleva un’origine più specifica e citava l’aria o una leggera nebbia come scaturigine del cosmo.

I Pitagorici, il cui pensiero era centrato nelle colonie greche dell’Italia meridionale, introdussero un naturalismo mistico e trasformarono la matematica in metafisica. La matematica è un ponte tra scienza e filosofia e condivide alcuni aspetti di entrambe. Per i Pitagorici il cosmo era l’unione dell’Illimitato e del Limitato. La mezza via tra i due rappresenta un rapporto o proporzione che è il migliore. La salute è quindi un equilibrio degli opposti del corpo, il caldo e il freddo, l’umido e il secco, e la malattia è una perturbazione dell’equilibrio corporeo. Tutta la realtà è quindi l’espressione di un rapporto o equilibrio matematico. I Pitagorici sostenevano anche varie altre idee, inclusa la credenza nella trasmigrazione delle anime.

I Milesi erano d’accordo sul fatto che il cambiamento è evidente e che deve esserci un fondamento d’unità dietro il cambiamento del mondo. I Pitagorici non contestarono queste idee, ma Eraclito, un efesino, lo fece. Come potrebbero coesistere cambiamento e permanenza (immutabilità)? Come potrebbe esserci un cambiamento in molti, una molteplicità di cose e un’unità costante, l’unicità dell’essere? Eraclito poneva così il problema fondamentale della filosofia: come conciliare l’uno e i molti. La sua risposta fu che non esiste un essere statico, un elemento immutabile, ma solo il cambiamento, il movimento, che è signore dell’universo.

La scuola eleatica, comprendente Senofane, Parmenide, Zenone e Malisso, ha negato che il cambiamento sia reale; invece, lo vedevano come un’illusione. L’unione o unità di tutto l’essere era per loro la sola realtà. Un’altro gruppo di filosofi —Empedocle, Anassagora, Leucippo e Democrito assunsero la visione opposta: solo il cambiamento è reale talché la permanenza dell’immutabilità appartiene ai molti  e il cambiamento è semplicemente delle relazioni mutevoli dei molti immutabili. Per Empedocle i molti erano quattro elementi separati: Terra, Acqua, Aria e Fuoco. Anassagora riteneva che ciò fosse troppo limitato come concetto di molti o della molteplicità dell’essere. Leucippo e Democrito concordarono che solamente i molti, la pluralità delle cose, era reale e formulò la dottrina degli elementi atomici come realtà dell’essere.

Sorsero ben presto i sofisti, insegnanti il cui compito era preparare i giovani al dovere e alla carica politica, e le implicazioni politiche della filosofia iniziarono a svilupparsi. Che cosa è più reale o vero, gli atomi o cittadini di uno Stato o la loro unità, lo Stato? Lo Stato è solo un mito convenzionale, oppure l’individuo è irreale e la sua vita è vissuta veramente solo nello Stato, nell’unità delle cose? L’uomo o lo stato sono reali? Il sofista più importante, sebbene abbia esplorato anche altre direzioni, fu Socrate (ca. 470-399 a.C.), che Aristofane caricaturò nella sua opera teatrale Le Nuvole. Socrate fu seguito dal suo grande allievo Platone (428-348/7 a.C.). Per Socrate e Platone, come mostra chiaramente La Repubblica di Platone, l’uno-delle-cose era più importante. Di conseguenza La Repubblica è il grande progetto per uno stato totalitario in cui i re-filosofi possono legiferare a piacimento sulla vita degli uomini, poiché l’uomo non è fondamentale o reale ma piuttosto lo è lo stato. Così, nel Libro V, 461, leggiamo la discussione sulla criminalità di un uomo che ha figli senza il permesso dello Stato, o in un’età non consentita dallo Stato: “Pertanto, se un uomo più vecchio o più giovane vorrà procreare per la comunità, diremo che la sua colpa va contro la religione e la giustizia, in quanto genererà allo Stato un figlio (che, se sfuggisse al controllo, sarà il frutto di un concepimento non consacrato dai sacrifici e dalle preghiere che sacerdotesse, sacerdoti e tutta quanta la città innalzeranno in occasione di ogni matrimonio perché da cittadini buoni e utili nascano figli migliori e ancora più utili; questo figlio nascerà invece nella tenebra, accompagnato da una grave intemperanza)”.

Aristotele (384-322 a.C.), precettore di Alessandro Magno, cercò di ristabilire un equilibrio tra forma e materia, l’uno e i molti. Pur essendo un correttivo rispetto a Socrate e Platone, il suo Politica rese comunque lo stato più elementare e lasciò l’uomo solo come un “animale politico”, cioè una creatura dello stato, mentre lo stato è una creazione della natura stessa. Si rendeva conto che nello Stato dovevano esserci sia unità che pluralità per sfuggire alla tirannia, ma, mentre tentava di provvedere a ciò nella sua idea di Stato, sosteneva anche che “il fine dello Stato è la buona vita”, che l’uomo si  realizza, non in termini di fede, né in un Dio trascendente ma nello stato. Di conseguenza, nel libro VIII del suo Politica, poteva solo dire: “Nemmeno dobbiamo supporre che qualcuno dei cittadini appartenga a se stesso, perché appartengono tutti allo Stato e sono ciascuno parte dello Stato”. Di conseguenza, riteneva che l’istruzione dovesse essere “un affare di Stato” e che questo “non deve essere negato”. Non sorprende che Platone e Aristotele abbiano favorito l’ascesa del totalitarismo ai loro tempi e successivamente.

La storia della filosofia greca continua oltre Platone e Aristotele, ed è importante. Per il nostro attuale interesse è sufficiente indicare i due principali percorsi di sviluppo. Alcuni enfatizzavano l’unità dell’essere e continuavano le tendenze stataliste del pensiero platonico oppure, con i neoplatonici, cercavano l’unità delle cose e l’unione mistica con l’unità ultima dell’essere. Tutto il misticismo ha in comune questo assorbimento con l’unità; è uno stato di pensiero comune durante o dopo un’era di statalismo, in cui gli uomini cercano un “uno” più grande dello stato in cui farsi assorbire. Il misticismo è sempre implicitamente o esplicitamente panteistico; insegna cioè che tutta la realtà è divina ed è un essere unico in tutti i suoi modi, momenti, manifestazioni, membra ed esistenze. La prospettiva biblica distingue nettamente tra l’Essere non creato: Dio, e l’essere creato: l’uomo e l’universo. Il pensiero non biblico nega questa distinzione e il panteismo insiste sull’unità di tutti gli esseri e sull’insensatezza delle differenze. L’obiettivo mistico è l’assorbimento nell’uno. Questo deve essere nettamente distinto dalla fede, che non cerca l’assorbimento, ma piuttosto la sottomissione e l’obbedienza.

L’altro filone principale della successiva filosofia greca fu quello atomistico, cioè le filosofie che vedevano non unità, ma solo pluralità, essendo i molti individui e cose esistenti l’unica realtà. Se la fede nell’unità si chiama totalitarismo filosofico, la fede nella molteplicità può essere chiamata anarchismo filosofico. I Cinici, una parola affine a canino e che significa cane, sono un buon esempio di questo filone del pensiero greco. L’uomo è reale, ma la moralità, la legge e le religioni sono miti soggettivi. Poiché solo la molteplicità, l’individuo è reale ed è il valore ultimo, non può esserci alcuna legge al di sopra o al di là dell’uomo che lo freni. La moralità è quindi un’assurdità per tali pensatori; un uomo può fare ciò che vuole. Nessuna legge può vincolarlo.

In sintesi, occorre richiamare l’attenzione su alcuni principi fissi di tutta la filosofia greca. In primo luogo, l’universo deve essere compreso solo in termini di se stesso, senza alcun riferimento a qualcosa di completamente al di là di esso come il Dio biblico. Qualunque dio permesso o necessario come causa prima doveva essere riconosciuto solo come parte di quel cosmo che si sviluppava insieme ad esso. In secondo luogo, la mente umana è capace di conoscere fatti finiti senza alcun riferimento a Dio, ed è essa stessa un agente neutrale capace di soppesare e valutare i fatti senza pregiudizi. Ciò, ovviamente, va contro l’insegnamento biblico secondo cui l’uomo è un peccatore, decaduto nel tutto del suo essere e incapace di neutralità. In terzo luogo, c’era una confusione tra l’umano e il divino o, più precisamente, nessuna reale distinzione tra i due, così che la divinizzazione di un uomo o di uno stato era un processo naturale purché fossero soddisfatte determinate condizioni. Per alcuni pensatori l’anima dell’uomo era divina e il suo corpo terreno, mentre la fede biblica riserva la divinità esclusivamente per Dio, vede l’uomo – corpo e anima – come creato, e nega la possibilità della confusione o della mescolanza tra divinità e umanità.

Da queste cose si vede quanto profondamente ellenici siano diventati il nostro pensiero, la cultura e la scienza occidentali. È anche evidente che la tensione fondamentale e la guerra civile nel cuore e nella mente dell’Occidente si trovano tra il cristianesimo ortodosso e lo spirito ellenico.

La filosofia greca marciò verso est verso l’India con Alessandro Magno. Ha avuto un effetto profondo su tutto il mondo antico, Giudea compresa. La signoria ellenica che continuò dopo la morte di Alessandro assorbì le idee native degli imperi, le adattò allo stampo greco e le mandò in marcia verso ovest in Europa. La prospettiva ellenica, quindi, è importante non solo di per sé, ma come grande trasmettitore di altre scuole di pensiero. La prospettiva ellenica nell’era cristiana cercò molto rapidamente di reinterpretare la fede cristiana nei termini delle categorie di pensiero greche.

Per tornare in Macedonia, quel regno era stato di minore importanza prima di Filippo I. Il giovane Filippo stesso per un certo periodo fu ostaggio di Tebe dopo un’invasione tebana, e durante quel periodo ricevette un addestramento militare. Come re, Filippo iniziò a ellenizzare il suo popolo e a rafforzare il suo esercito. Poi procedette alla conquista della Grecia, passo dopo passo. La sua vittoria fu completata nella battaglia di Cheronea nel 38 a.C. In alcune città furono collocate guarnigioni, ma alla maggior parte fu concessa notevole libertà. Filippo convocò le città-stato greche che inviarono delegati a un congresso a Corinto per fondare una lega ellenica

nella quale entrarono tutti gli stati tranne Sparta. La libertà e l’autogoverno degli stati costituenti furono riconosciuti, ma il potere militare fu collocato nelle mani di Filippo e dei suoi discendenti. Filippo volle una guerra persiana e il secondo congresso di Corinto nel 337 a.C. dichiarò guerra alla Persia.

Nel 336 a.C fu inviato in Asia Minore un esercito sotto il generalato di Parmeno.

Nel frattempo, Filippo, un uomo palesemente immorale, aveva divorziato dalla moglie Olimpia per sposare un’altra donna, e, nel corso di un banchetto con relativa ubriacatura, impugnò la legittimità di suo figlio Alessandro, figlio di Olimpia. Ne seguì una caustica scena pubblica tra padre e figlio. Nel giorno del suo matrimonio. Filippo fu assassinato da Pausania.

Sebbene si siano sospettati i Persiani, Olimpia e perfino Alessandro, non esiste alcuna prova per nessuno di questi sospetti.

Alessandro III, nato nel 356 a.C., succedendo al padre, dovette affrontare per primo una ribellione da parte di vari stati greci, Tebe, Atene, Arcadia, Elide ed Etolia. Muovendosi rapidamente, catturò e distrusse Tebe e ridusse in schiavitù i suoi abitanti. Gli altri stati si sottomisero a lui nel 335 a.C.

Alessandro attraversò l’Ellesponto nel 334 a.C. e incontrò un esercito persiano sotto Memnon di Rodi; lo sconfisse completamente presso il fiume Granico. Molte delle città greche allora si ribellarono alla Persia, ma alcune, come Mileto e Alicarnasso, memori della tirannia greca dei secoli precedenti, combatterono disperatamente contro Alessandro III preferendo i modi tolleranti dell’impero persiano. La resistenza di queste città greche ebbe le sue ripercussioni in Grecia, e Demostene, vecchio nemico dei Macedoni, ricominciò a parlare contro quella potenza. Alessandro ritenne che un ritorno in Grecia avrebbe fatto precipitare la rivolta delle città-stato greche, ma che un’ulteriore conquista le avrebbe intimidite. La scelta era tra più guerra o rivolta in Grecia.

Alessandro si mosse quindi per conquistare la Siria e l’Egitto, sconfiggendo Dario III a Isso nel nel 333 a.C., prendendo Tiro e Gaza dopo un lungo assedio e conquistando l’Egitto senza lottare. In Egitto fondò la città di Alessandria e visitò l’oracolo di Ammon per essere proclamato figlio divino di Zeus Ammon e quindi valido faraone. Nel mondo ellenico la città-stato o polis era essa stessa divina; in Egitto, il detentore della carica, il sovrano, era divino nella sua stessa persona. Nell’impero persiano, il sovrano era soggetto alla legge, ma il suo ufficio o posizione era divina, tanto che assumeva una funzione divina piuttosto che una natura divina. Alessandro doveva assumere tutti e tre i tipi di divinità politica, e tutti e tre sarebbero successivamente entrati in Roma e nella storia d’Europa. Alessandro lasciò l’Egitto e si recò a Gaugamela, vicino ad Arbela, dove sconfisse l’esercito persiano nel 331 a.C., conquistò Babilonia e Susa che si arresero e saccheggiò e bruciò Persepoli che aveva resistito.

Nel frattempo, in Grecia, Sparta, incitata e aiutata dalla Persia e pronta a ogni opportunità, si ribellò in alleanza con altri stati. Il governatore di Alessandro in Grecia, Antipatro, represse la rivolta con una forza superiore. Il suo generale in Media, Parmenio, fu assassinato da Alessandro, che temeva una rivolta dopo che il figlio di Parmenio, Fileto, era stato giustiziato per il suo coinvolgimento.

Dario fu assassinato nel 330 a.C. mentre fuggiva con alcune truppe, e Alessandro assunse il titolo persiano di Re dei Re e gli  succedette.

Nel 329 a.C., Alessandro con grande difficoltà vinse la resistenza iraniana sotto Spitamenes in Bactria. Nel frattempo, Alessandro iniziò a prendere la propria “divinità” molto sul serio, e i suoi compagni d’esercito se ne risentirono. Quando il suo fratello adottivo Clito, che gli aveva salvato la vita a Granico, gridò durante un banchetto versi di Euripide, affermando che il generale raccoglieva la gloria mentre l’esercito faceva il lavoro, l’ubriaco Alessandro lo uccise e poi passò tre giorni digiunando e maledendo se stesso. L’esercito tentò di confortare Alessandro processando il morto e decidendo in tribunale che era stato giustamente ucciso.

Alessandro fu ora invitato in India da un principe, Omphis, che governava a Taxila vicino all’Indo, e dal fratello di Omphis, Abisares, sovrano di Hazara e delle parti adiacenti del Kashmir. Omphis e altri visitarono Alessandro e gli offrirono la sottomissione se avesse attaccato il potente regno di Porus e avesse proceduto alla conquista dell’India. Nella battaglia di Idaspe (326 a.C.), Alessandro sconfisse Porus e avanzò attraverso il Punjab. Sulle rive dell’Idaspe il suo esercito si rifiutò di andare oltre, sapendo che lo attendevano il deserto indiano e una marcia di undici giorni verso la fertile regione del Gange. Alessandro rimase nella sua tenda due giorni, sperando che i suoi uomini cambiassero idea, dichiarando che lui stesso sarebbe andato avanti. Il terzo giorno Alessandro offrì sacrifici prima di attraversare il fiume ma gli auspici furono sfavorevoli e questo “Non fu certamente un caso”, commenta J.B. Bury. Alessandro riuscì ad ammorbidirsi, al ché le sue truppe furono felicissime. Tornò indietro nel 325 a.C. e si recò nella capitale persiana nel 324 a.C.

Furono quindi fatti piani per la conquista dell’Arabia, e a tal fine Alessandro si recò a Babilonia. Lì si ammalò improvvisamente e morì, non ancora trentatreenne, il 13 giugno 323 a.C.

Come amministratore, la preoccupazione principale di Alessandro era stata quella di avere mano libera per il suo programma militare. Di conseguenza, era pronto a continuare il sistema persiano, ma molte difficoltà si svilupparono perché non esisteva un controllo efficace. La tolleranza persiana deve essere combinata con un controllo rigoroso, non con l’indifferenza. Durante la sua assenza in India, la corruzione era diffusa e perfino la sua guarnigione militare in Media era diventata un’agenzia di saccheggio. Alessandro disciplinò severamente tutti gli interessati e poi procedette con piani per favorire la fusione delle culture greca e asiatica. Sperava di trapiantare i greci e i Macedoni in Asia e asiatici in Europa, e incoraggiare i matrimoni misti, cosa che ufficiali e soldati cominciarono a fare in gran numero. Mediante il servizio militare paritario sperava di ottenere un’ulteriore integrazione. La speranza di Alessandro non era che il vecchio sogno di Assiria e Babilonia resuscitato.

Militarmente, Alessandro trasse profitto dalla continua guerra in Grecia. Suo padre, quando ostaggio, aveva appreso i più recenti sviluppi della tattica e della strategia militare e li aveva applicati con abilità, così fece Alessandro. L’impero persiano, non avendo avuto alcuna vera sfida alla sua pace, non aveva tenuto il passo con gli sviluppi militari e  quando affrontò Alessandro era almeno cinquant’anni indietro rispetto ai tempi. Tutto il suo coraggio e la sua risolutezza furono inutili contro forze combattenti più moderne. Economicamente, l’impero di Alessandro legò più strettamente l’Oriente e l’Occidente. Fino alla lunga depressione in cui Roma entrò nell’era cristiana, il commercio si mosse liberamente e pesantemente dall’Europa fino alla Cina, e dalla Cina all’Europa.

Al tempo di Cristo il mondo aveva sperimentato un grado di unità economica che raramente si è ripetuto. Alessandro stabilì un sistema monetario uniforme in tutto l’impero. Ovunque andasse, Alessandro sapeva che avrebbe potuto conquistare eserciti con gli eserciti e mercanti e commercianti con l’oro. Costruì molte nuove città con un occhio attento ai vantaggi commerciali e favorì l’espansione degli scambi e del commercio. Alla morte di Alessandro seguì la lotta per il potere. Inizialmente fu creata una reggenza per Alessandro IV, nato da Roxana, moglie battriana di Alessandro, un mese dopo la morte di Alessandro, e Filippo III, fratellastro debole di mente di Alessandro, entrambi proclamati sovrani congiunti. I reggenti erano Perdicca, Cratero e Antipatro; la reggenza terminò nel 321 a.C. con Perdicca assassinato e Cratero ucciso in battaglia. Nel 317 a.C. Filippo III fu ucciso, così come Alessandro VI nel 309 a.C.

Una divisione dell’impero avvenne in un periodo in cui Antigono quasi riuscì a imporre unità e  pace, uno sforzo che si concluse con la battaglia di Ipso, 301 a.C., in cui Antigono fu ucciso. Nella divisione tra i generali macedoni che seguirono, Tolomeo si tenne l’Egitto la Palestina e Cipro e fondò la dinastia tolemaica d’Egitto come Tolomeo 1 Soter (il Salvatore). I Tolomei fecero dell’Egitto lo stato più potente nel secolo successivo. Dopo il 221 a.C., i governanti tolemaici furono deboli e nel 200 a.C. i loro possedimenti asiatici erano scomparsi. La politica tolemaica era stata un rigido controllo statale così che, quando il trono s’indebolì, la sua debolezza fu totale.

La seconda grande divisione andò a Seleuco I Nicatore (il Conquistatore), che conquistò la maggior parte del territorio asiatico, esclusa l’Asia Minore e la Palestina ma inclusa la Siria. Questo territorio fu più difficile da mantenere e la Persia orientale, il piccolo territorio dell’India e l’Afghanistan furono perduti abbastanza presto. L’obiettivo seleucide era la conquista della Palestina e dell’Egitto. Sebbene fosse un regno prospero ed economicamente sicuro, il regno dovette affrontare continui problemi in virtù della politica severa e spesso spietata di ellenizzazione forzata di tutti i popoli sudditi. Tutte le differenze nazionali dovevano essere cancellate e solo le religioni ufficiali, Zeus Olimpio e Baal Shamin, erano permesse. Una conseguenza di questa politica fu la guerra dei Maccabei.

La terza divisione era in Europa, detenuta dalla dinastia Antigonide, che apparentemente includeva Grecia e Macedonia. Gli stati greci erano in costante rivolta e il controllo non fu mai completo in alcun modo. Nelle battaglie che seguirono, alla fine Roma fu invitata come alleata degli Etoli contro la Macedonia. Alla fine, nel 146 a.C., Roma rinunciò al tentativo di stabilizzare l’area e la trasformò in province romane.

Oltre a queste tre divisioni principali, alcuni stati più piccoli e alcune città-stato che erano state originariamente membri dell’impero di Alessandro divennero indipendenti.

 

 

DOMANDE PER LO STUDIO

  1. Quali risposte ha dato la filosofia greca al problema dell’uno e dei molti? In che modo queste risposte hanno influenzato la cultura e la società greca?
  2. In che modo il cristianesimo biblico risolve il conflitto tra l’uno e i molti? Può davvero essere definito un “conflitto”?

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