Capitolo uno
Dio e Israele

Introduzione

Quando studiamo la Storia, dobbiamo riconoscere che la bibbia è l’unico  libro di storia infallibile: è la parola di Dio. Tutti gli altri libri di storia sono fallibili, spesso in errore e soggetti a continue revisioni o sostituzioni nei termini di ulteriori studi e ricerche. La bibbia è pertanto il nostro testo chiave per una comprensione della Storia.

Alcuni hanno asserito che molte religioni hanno ispirato libri e che tutti questi libri sostengono d’essere la parola di Dio. La risposta è chiaramente che tali asserzioni sono false. Tutte le religioni del mondo sono virtualmente non-teiste; vale a dire che non credono in Dio, in un Dio supremo, assoluto e perfetto. Di fatto, molte religioni sono ateistiche, e talvolta anche politeistiche, cioè non credono in Dio benché possano riconoscere molti dii o, più accuratamente, non dii ma vari spiriti e forze potenti. Talvolta i Kami dello Scintoismo giapponese sono chiamati dii dagli stranieri, ma si descrivono più correttamente come potenze. La parola Kami significa “superiore”, e la parola veniva applicata a qualsiasi oggetto, cosa, persona o spirito creduto possedere una condizione o un potere superiore.

Nel Buddhismo, nel Taoismo e nell’Induismo, non è Dio ad avere valore ultimo ma il nulla. Queste sono religioni essenzialmente ateistiche e la salvezza dell’uomo è la morte e il nirvana.

L’Animismo crede nel potere di spiriti e sostiene che perfino gli oggetti inanimati posseggono una vita personale o anima. Non crede in Dio ma piuttosto negli spiriti.

Infatti in nessuna di queste religioni c’è un Dio nei cui termini l’uomo possa dire: “Così dice il Signore”. Nessuna religione eccetto la fede biblica ha qualcosa che affermi d’essere la parola di Dio. Da nessuna parte nel mondo antico ci fu alcuna traccia di una tale fede o di un libro come la Bibbia.

Da allora la bibbia ha avuto imitazioni ma non rivali. La prima grande imitazione fu il Corano che prese in prestito la storia e la terminologia bibliche per rivendicare a sé l’ispirazione. Il Corano, ovviamente, non possiede né profezia predittiva verificata né storia inerrante. È un’imitazione della bibbia. Lungo i secoli sono stare fatte molte imitazioni e supposte aggiunte.

Il concetto di parola di Dio, di una rivelazione storica, è unica. Altri libri cosiddetti “sacri” ci danno idee astratte: la bibbia ci dà la storia dell’uomo a cominciare dalla creazione, la sua rivolta contro Dio, e l’attività redentiva di Dio volta a ristabilire l’uomo nel patto.

Clark, nei suoi commenti sullo studio di Heschel: I Profeti (1962) ha detto:

Questo insigne teologo giudeo, Abraham J. Heschel, sviluppa una massiccia antitesi tra greci ed ebrei. Seppur non dibattendo la storiografia in sé, quasi inconsciamente o automaticamente collega la denuncia profetica del male con una visione storica dell’universo. Dapprima cita Platone, Cicerone e Aristotele. Platone osserva apologeticamente che le vicende umane non meritano molta considerazione; Cicerone afferma che gli dèi si occupano di questioni importanti e trascurano quelle minori, Aristotele insegna che gli dèi non s’interessano affatto di dispensare buona o cattiva fortuna. Poi, con linguaggio poderoso mantenuto su una dozzina di pagine, il dr. Henschel imprime sui propri lettori la repulsione profetica del male e l’interesse di Dio per il suo popolo: “Per il profeta, comunque, non c’è soggetto che meriti considerazione quanto la condizione dell’uomo. Infatti, Dio stesso è descritto a riflettere la condizione dell’uomo anziché a contemplare idee eterne. La sua mente è preoccupata con l’uomo, con le concrete realtà della storia anziché con le questioni a-temporali del pensiero… L’interesse del profeta non è per la natura (delle cose) ma per la storia” [1].

Capitolo Uno

Prima di cominciare lo studio della Storia, è bene farsi la domanda: “Cos’è la Storia?”. James Harvey Robinson l’ha definita come “Tutto ciò che sappiamo riguardo  tutto ciò che l’uomo ha fatto, o pensato, o sentito”. Questa definizione rigetta l’idea che la Storia sia priva di significato. Se crediamo che il caso possegga valore ultimo, che il mondo non abbia significato e la vita non abbia direzione, allora la Storia non ha storia da raccontare fatto salvo per eventi disconnessi e vuoti. Il Macbeth di Shakespeare dice della vita: 

… una favola
raccontata da un idiota,
piena di rumore e di furore,
che non significa nulla.
(Macbeth, Atto V, scena V)

Per un uomo così la storia è nulla perché la vita è nulla. Ma ci sono uomini che, come Macbeth, non credono in alcuna direzione o scopo nell’universo, ma che lo stesso, come Robinson, credono che la storia sia importante. Per loro il significato della Storia è determinato dall’uomo e pertanto, come con Robinson, la Storia è definita nei termini dell’uomo. 

Per il cristiano ortodosso, il cui pensiero sia coerentemente biblico, il significato della Storia non proviene dall’uomo ma dal Dio trino. Tutte le cose visibili e invisibili sono state fatte da Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito santo: tre persone: un Dio. Siccome tutte le cose sono state fatte da Dio, tutte derivano il loro significato da lui e dal suo proposito per esse. Il significato della Storia, perciò, non proviene dalla storia stessa o dall’uomo ma da Dio il creatore. La Bibbia, il basilare, il più importante, e il solo infallibile libro di testo di storia, ci dice, tra le altre cose, due fatti importanti che riguardano la Storia.

Primo, che Dio ha creato l’uomo a sua immagine; ciò vale a dire in conoscenza (Cl. 3:10), giustizia e santità (Ef. 4:24) con dominio sulle creature e una chiamata a sottomettere la terra e a governarla sotto Dio (Ge. 1:28), e tuttavia l’uomo era passibile o soggetto a caduta (Ge. 3:1-19). L’uomo poteva scegliere se servire Dio o dare retta al tentatore e cercare d’essere il proprio dio, conoscendo o determinando da sé ciò ch’è bene e ciò ch’è male  (Ge. 3:1-6). In questo modo Dio stabilì la possibilità di due società, la Città di Dio e la Società di Satana. Altre religioni promettono di salvare l’uomo dai guai; la loro idea di salvezza implica il magico sollevamento dell’uomo da tutti i problemi e il dono della pace. La fede biblica dice che Dio prova ogni uomo e la salvezza non è liberazione dalla prova ma vittoria sui nostri problemi, non fuga ma trionfo.

Secondo, la Storia così non è solo la storia del sorgere e cadere dell’uomo e delle sue civilizzazioni nei termini del suo continuo essere messo alla prova, ma è la lotta tra due forze poderose per il dominio della storia: Cristo contro l’Anticristo, il Regno di Dio contro il Regno di Satana, e a noi è data la certezza che la vittoria appartiene a nostro Signore. A mano a mano che la storia progredisce, le questioni diventeranno sempre più chiare e meglio delineate, talché ci sarà uno sviluppo in entrambi i campi. La vittoria sarà del Regno di Dio e culminerà con la sua seconda venuta. Questo è il significato della Storia come la presenta la bibbia. Il mondo ha avuto il suo inizio con Dio e avrà la sua fine nei termini del suo proposito, non nei termini dell’uomo e dei suoi sogni messianici.

Il mondo ha avuto inizio con Dio il quale ha creato i cieli e la terra in sei giorni. La gloria di quella creazione originale è rimasta perfino dopo la caduta e la maledizione. L’uomo fu cacciato dal Giardino. Se ci fosse rimasto avrebbe avuto la certezza dell’immortalità, l’albero della vita, insieme al suo peccato. Dio non permette che l’uomo si senta sicuro nel suo peccato e pertanto l’insicurezza è scritta da Dio nella costituzione della storia dell’uomo peccatore.

Prima del diluvio, però, la vita dell’uomo echeggiava ancora la gloria di una magnifica creazione, e la durata della sua vita eccedeva i 900 anni. L’uomo aveva dunque considerevole sicurezza nel suo peccato e: “l’immaginazione (o tutti i disegni dei pensieri) del loro cuore non era altro che male in ogni tempo” (Ge. 6:5). Nel frattempo, abbondavano i matrimoni misti tra uomini dell’antica chiesa i “figli di Dio” e donne non-credenti “le figlie degli uomini”  e ciò portò a figli che erano “uomini potenti” nel senso che erano uomini di violenza e di pulsioni dittatoriali (Ge. 6:4).

Stime prudenti della popolazione al tempo del Diluvio, date da Alfred M. Rehwinkel in The Flood, vanno da 800 milioni a 11 miliardi. Le indicazioni dicono che fosse una cultura avanzata, dissoluta e sconsiderata. La sua distruzione è ricordata nelle storie di virtualmente tutte le civiltà e culture e sta sullo sfondo delle leggende di Halloween, visto che tutte le anime malvagie perirono improvvisamente  in un solo giorno nella grande distruzione del Diluvio. Henry M. Morris e John C. Whitcomb, Jr., in The Genesis Flood, ci danno contezza del significato di quanto registrato nella bibbia nelle sue implicazioni scientifiche.

Le indicazioni dicono che la civiltà prima del Diluvio era molto avanzata.  Per certo, dopo il Diluvio apparvero rapidamente delle grandi culture e ci sono evidenze che indicano un altissimo livello di realizzazione per l’uomo intorno al 2000 a.C. Le piramidi comparvero molto presto in Egitto; i grandi sviluppi della cultura Minoica superarono quelli successivi degli stati greci, e l’antica Ur sembra più vicina a noi di culture che le succedettero secoli dopo. Leggere la storia meramente come sviluppo è distorcerla: lo sviluppo c’è, ma sono presenti anche declino e degenerazione.

Dopo il Diluvio, la controversia basilare della storia ricomparve, ma questa volta in un mondo ove le conseguenze del peccato e la morte avevano un effetto più rapido a causa della vita più breve dell’uomo che diminuì in poche generazioni alla sua durata attuale. Con la Torre di Babele l’uomo cercò nuovamente di costruire  un unico ordine mondiale, un paradiso senza Dio. Questo è un tentativo costante nella Società di Satana. È la convinzione che l’uomo non abbia bisogno di un rinnovamento interno da parte di Dio ma solo di un cambiamento esterno nel suo ambiente. Secondo questa convinzione, il problema non è nell’uomo e non è dovuto al peccato. A rendere malvagio l’uomo sono forze esterne come ambiente, ereditarietà, retaggio culturale, educazione e simili. Si sostiene che se si cambiano queste condizioni per legge e mediante pianificazione statale si cambierà pure l’uomo. Per il cristiano di mentalità biblica questa è una falsa fede. L’uomo è un peccatore per scelta; la sua caduta è un fallimento morale, non è accidentale o ambientale.  L’uomo, in quanto peccatore non può redimersi da sé ma deve essere salvato e rigenerato da Dio in Cristo. Questa dunque è la questione fondamentale: chi rigenererà l’uomo, Dio o l’uomo e lo stato? Quelli che sostengono una salvezza operata dall’uomo, che avvenga o no nella chiesa, sono ancora ostili al governo regale di Cristo.

Secondo Ebrei 12:18-29, la Storia è sottoposta a due grandi scuotimenti. Il primo, nel periodo del Vecchio Testamento, vide tutti gli stati e gli imperi grandi e piccoli della storia antica frantumati nei loro sogni di un paradiso senza Dio. Poi comparve Gesù Cristo per dichiarare la pienezza della redenzione e per compierla con la sua morte e resurrezione, distruggendo il potere del peccato e della morte. Ma nell’era cristiana, le nazioni riesumeranno il loro antico sogno e il secondo scuotimento distruggerà definitivamente ciò che può essere scosso di modo che rimarrà solo ciò che non può essere scosso. Allora ci sarà il suo secondo avvento.

Da questo secondo inizio, cioè dopo la Caduta, Dio istituì due riti che sono presenti nelle pratiche o nel passato di ogni popolo: circoncisione e sacrificio. Il loro significato  vero e biblico è stato oscurato o pervertito, ma erano stati dato come testimonianza al genere umano. La circoncisione era un rito che evidenziava il fatto che non c’è speranza per l’uomo nella generazione, cioè nella nascita, perché l’uomo nasce peccatore e può generare solo altri peccatori. L’uomo, con la circoncisione, una specie di simbolica resa della speranza nella generazione, riconosceva che la sua speranza risiedeva solamente in una rinascita spirituale o rigenerazione. Nel sacrificio, era richiesto all’uomo che offrisse un animale di una varietà specifica o pura  senza difetto, ovvero: perfetto. Con questo indicava che meritava di morire per i propri peccati ma che la sua morte non aveva potere espiatorio. Solo la morte di uno innocente al suo posto poteva sia rendere a Dio la giustizia richiesta: la morte del peccatore, e anche la perfetta obbedienza di una vita senza difetto. Circoncisione e sacrificio, per quanto deformate da alterazioni pagane, rimasero per l’uomo una generale testimonianza. In aggiunta, poiché tutti gli uomini sono creati da Dio, tutto nell’uomo testimonia di Dio, talché la natura stessa dell’uomo, quanto cielo e terra, dichiarano la gloria di Dio e lo rivelano. Paolo dichiarò che “Infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, essendo evidenti per mezzo delle sue opere fin dalla creazione del mondo, si vedono chiaramente, affinché siano inescusabili” (Romani 1:20). L’uomo soffoca la verità nell’ingiustizia (Romani 1:18) o, potrebbe essere meglio tradotto, gli uomini sopprimono la verità a causa della loro ingiustizia perché sono in ribellione morale contro Dio. Nessun uomo, in qualsiasi luogo, può lamentarsi di essere privo di una testimonianza: tutti gli uomini hanno la totale testimonianza di tutta la creazione, incluso il loro proprio essere.

Dopo il Diluvio fu istituita anche un’ulteriore testimonianza: un popolo scelto o chiesa come testimonianza alle nazioni. Abrahamo fu chiamato ad essere lo strumento di questo patto di Dio con l’uomo e gli fu promesso che attraverso di lui sarebbe venuta la progenie promessa o Salvatore che sarebbe stato una benedizione per tutte le nazioni e l’erede di tutte le cose. La terra di Canaan fu promessa ai discendenti di Abrahamo come prova della grandezza delle cose a venire.

Il popolo di Abrahamo, gli Ebrei, furono trasferiti in Egitto dalla provvidenza di Dio fino alla pienezza dei tempi per i Canaaniti, vale a dire fino a che la giustizia di Dio avrebbe alla fine richiesto la loro distruzione. Giuseppe divenne lo strumento mediante il quale Israele andò in Egitto per la salvezza di entrambi i popoli. Le riforme di Giuseppe in Egitto non devono essere male interpretate come avessero costituito un moderno socialismo. La terra in effetti era stata proprietà dei templi dell’Egitto, la casta sacerdotale, con la gente come loro schiava. Giuseppe, senza offendere il clero, usò la carestia per trasferire al trono il titolo sulla terra per prevenire che potesse più tornare sotto il controllo dei templi, mentre dava l’effettivo titolo ai contadini per un venti per cento di tassa  del raccolto di grano o “seme” esclusivamente, con tutti gli altri raccolti esentati. Come ha evidenziato A. S. Yahuda in The Accuracy of the Bible, in quel tempo il grano non veniva seminato ogni anno talché non stupisce che il popolo abbia acclamato Giuseppe come suo liberatore sia dalla carestia che dall’oppressione (Ge. 47:25 s.).

Successivamente gli Egiziani schiavizzarono la crescente popolazione degli Ebrei. Mosè. Rimandato da Dio in Egitto per liberare Israele, fu usato da Dio per dichiarare contro l’Egitto dieci piaghe. Le prime tre e più leggere toccarono anche Goscen, un’area Ebraica, e la decima avrebbe colpito Israele se il sangue della Pasqua non fosse stato applicato. Le piaghe, dalla quarta alla decima, furono dunque contro l’Egitto. Fu una guerra contro gli dèi d’Egitto, contro una fede basilarmente naturalistica da parte del Dio soprannaturale. L’incapacità di faraone di accettare il giudizio di Dio dopo ogni piaga scaturiva dal suo naturalismo: tutto ciò che era avvenuto doveva avere in qualche modo una spiegazione naturale e le dichiarazioni di Mosè riguardo ai giudizi di Dio coincidevano meramente con le catastrofi naturali. Questa incapacità d’accettare la mano di Dio come determinativa portò alla catastrofe finale per le forze egiziane nell’attraversamento del Mar Rosso. Israele accetto la divisione delle acque “per fede” ma l’Egitto, vedendolo come solo un fenomeno naturale egualmente utilizzabile da loro, cercò anch’esso di attraversare e “quando invece gli Egiziani tentarono di fare ciò, furono inghiottiti” (Ebrei 11:29).

Israele ricevette da Dio l’ordine di occupare Canaan e di distruggere le sue popolazioni che Dio aveva condannato a morte. Al sentire moderno questo giudizio sembra scandaloso ma agli occhi di Dio non c’è nessuna moderna “reverenza per la vita” ma solo reverenza per la giustizia nei termini della sua legge. I Canaaniti praticavano una forma di culto della fertilità particolarmente degradato in cui le azioni rituali di perversione erano all’ordine del giorno. La paziente testimonianza di Dio era durata secoli e non era stata priva di pii capi come Melchisedeck, re di Salem. Il fallimento da parte d’Israele di portare forzatamente a termine la guerra contro i Canaaniti portò all’incorporazione dentro Israele di una continua fonte di corruzione. Il periodo dei Giudici, o governatori nazionali, fu marcato da cicli di degenerazione e apostasia, cattività,  e riforme spirituali e libertà.

L’apice dell’apostasia giunse verso la fine dei giorni di Samuele, quando la nazione rigettò Dio come proprio re e richiese un re umano, rigettando in questo modo la libertà in favore della schiavitù (I Samuele 8). Di conseguenza fu stabilita una monarchia con Saul come primo re. Dio usò la monarchia, primo, per rendere chiare agli ebrei le conseguenze dell’aver rigettato la libertà sotto Dio il Re in favore di speranze poste su un ordine umano e, secondo, per stabilire una monarchia come tipo (figura) di quella che aveva promesso al mondo intero sotto Gesù Cristo.

Dopo la morte di Saul, Davide regnò su una porzione della nazione per sette anni e il figlio di Saul, Ish-Bosceth regnò sul resto. Dopo l’assassinio di Ish-Bosceth da parte dei suoi stessi uomini, Davide divenne re della riunita monarchia intorno al 1050 a.C. Sotto il suo regno, la nazione unita divenne una potenza internazionale mediante una serie di guerre con la quali fu asserito sia il potere d’Israele che la sua indipendenza. Con riguardo a Canaan, la “terra promessa”, si devono notare due cose. In primo luogo, in quel tempo possedeva una fertilità, una vegetazione e risorse acquifere ora mancanti in Palestina che Dio successivamente  maledì a causa dell’apostasia del suo popolo. Secondo, la terra promessa non era un luogo appartato di pace e quiete ma la principale via commerciale del mondo antico. In tempi moderni, il commercio mondiale si è mosso principalmente lungo il Canale di Suez, i Dardanelli e Gibilterra. Nel mondo antico, la Palestina era l’incrocio di strade che collegavano nazioni e continenti. Il suo possesso dava a una nazione grande potere e ricchezza seppure i suoi confini geografici possano essere limitati. Se deboli, i popoli Palestinesi potevano contare su invasioni di altre potenze che tentavano di impadronirsene per comandare la ricchezza dei traffici mercantili. Israele era dunque locato in una posizione di continua messa alla prova ove, se mancavano carattere e forza, la guerra era una certezza.  Sotto Salomone, il figlio di Davide, questa forza si manifestò in un lungo regno di pace e di prosperità, e l’influenza di Salomone si fece sentire fino in India, nell’Africa profonda, e in tutta l’area del Mediterraneo. Verso la fine, però, l’impero di Salomone cominciò a subire gli effetti di due fattori che portarono poi alla sua successiva disintegrazione. Primo, il temporaneo sbandamento spirituale di Salomone (I Re 11:5-43) cui prese parte anche il popolo con ovvi risultati nella generazione successiva che contornò il figlio di Salomone – Roboamo. Secondo, la ricchezza d’Israele divenne tale che l’argento era comune come l’acciottolato delle strade di Gerusalemme (I Re 10:27), e il risultato fu l’inflazione. L’inflazione può essere causata dalla moneta a credito e da denaro a corso forzoso, ma anche da un grande influsso d’oro e d’argento come ricchezza non guadagnata. L’oro portato dall’America del Sud causò più tardi un’inflazione simile in Spagna.

Dopo la morte di Salomone, Israele fu diviso in due regni con la secessione di dieci tribù a formare il Regno del Nord – Israele, sotto Geroboamo I (930-910 a.C.) nel 930 a.C., e Giuda e Beniamino che rimasero fedeli alla linea della speranza messianica, la casa reale di Davide, nella persona di Roboamo (930-913 a.C.) Questo Regno meridionale fu chiamato Giuda.

Il Regno del Nord, Israele, fu all’inizio l’area più grande e più prospera, ma la sua storia è più breve (930-723 a.C.), e il suo trono passò di mano ripetutamente. Fin dall’inizio si diede all’apostasia malgrado la testimonianza di molti profeti. Fu frequentemente impegnato in guerre con Giuda a Sud e con la Siria a Nord, finché non fu definitivamente distrutto dalla nascente potenza Assira. Dopo Geroboamo I, i suoi successivi monarchi più importanti furono Omri (885-874 a.C.; tutte le date includono le co-reggenze ove ci furono) e suo figlio Achab (874-853 a.C.). È significativo che al suo tempo, la storia secolare abbia considerato molto importante l’edificazione dell’impero di Omri, ma la Bibbia gli dà solo breve menzione, riconoscendo la futilità del suo lavoro e richiamando invece l’attenzione alle conseguenze religiose dell’alleanza che Omri fece sposando suo figlio Achab con Jezebel. Il risultato di questa alleanza fu una feroce persecuzione della vera chiesa nel nome della religione ufficiale, il culto della fertilità ai Baalim. Il successivo grande monarca, con l’interludio di una riforma a mezzo cuore sotto Jehu (841-814 a.C.), fu Geroboamo II (793-753 a.C.) il cui lungo regno fu un periodo di grande sfruttamento, denaro di scarso valore e facile ricchezza, un declino dell’agricoltura, una distruzione della borghesia e grande espansione territoriale come risultato della temporanea eclissi dell’Assiria. Dopo Geroboamo II il collasso giunse rapidamente, con sei re che regnarono dal 748 al 723/2 a. C. In una successione di complotti e assassinii. La fine, per mano dell’Assiria, giunse con la gente che viveva ancora sotto l’illusione del loro recente potere cancerogeno e suicida sotto Geroboamo. Ne seguì la cattività e la dispersione d’Israele attraverso tutto l’impero Assiro. L’ascesa dell’Assiria a potenza mondiale cominciò nel 734 e fu completata nel 721 a.C. La stessa Assiria cadde nel secolo successivo, 607 a.C.,  e la sua caduta portò al potere mondiale Babilonia. Fu Babilonia che distrusse poi Giuda, il Regno meridionale tra il 606 e il 586 a. C.

Il Regno del Sud, sebbene anch’esso segnato dall’apostasia, diversamente da quello del Nord, non fu privo di alcuni capaci e pii monarchi, quali Asa (910-870 a.C.), Giosafat (873-848 a.C.), Joash (835-796 a.C.), Amatsia (796-767 a.C.), Uzza (791-686 a.C.) Jotham (750-731 a.C.) Ezechia, il suo governante migliore (716-667 a.C.), e Giosia, il suo ultimo buon governante (640-608 a.C.) Fatta eccezione per la breve usurpazione da parte della Regina Athaliah della famiglia di Achab, tutti i suoi monarchi appartennero alla casa di Davide. Nel Regno meridionale ci fu pertanto un grado maggiore di ordine sociale e di unità in virtù della forte lealtà alla linea davidica. Il Tempio di Gerusalemme, in quanto centro religioso, fu l’altro grande fattore unificante. Il Tempio, e la fedeltà ad esso, divenne strumento di delusione durante gli anni di declino della nazione, la gente infatti poneva la  propria fiducia nelle forme e nei riti della loro fede mentre la disonoravano nel cuore e nella pratica.

Durante il periodo della monarchia, specialmente dopo il 900 a.C., i profeti furono attivi nel loro ministero con Elia ed Eliseo i due grandi profeti del nono secolo. Il messaggio dei profeti fu il giudizio di Dio sul suo popolo per i loro peccati, la richiesta di giustizia e di fede, la dichiarazione del giudizio su tutte le nazioni del mondo antico, e profezie messianiche.

Dopo la caduta di Gerusalemme, seguì la cattività babilonese (606-536 a.C.) fatta terminare dalla conquista di Babilonia da parte della potenza di Medo-Persia nel 536 a.C. Un numero limitato di persone tornarono in Palestina sotto la guida del sommo sacerdote Giosuè e del principe davidico Zorobabel. Il Tempio e Gerusalemme furono ricostruiti con l’impeto impresso da Esdra e da Nehemia, e i profeti Aggeo, Zaccaria e Malachia furono anche profeti post-esilici. La Giudea era ora una provincia persiana, e continuò ad essere tale per due secoli. Il dominio persiano era complessivamente tollerante e per la Giudea questo fu un periodo di graduale crescita e sviluppo.

Questa pace fu succeduta dal ciclone del periodo Greco: 331-167 a.C. Alessandro magno invase la Palestina nel 332 a.C. ma nel complesso il suo trattamento della Giudea fu generoso. Dopo la sua morte nel 323 a.C., la Palestina divenne un trofeo conteso da fazioni in guerra, ovvero i Tolomei in Egitto e i Seleucidi in Siria, ambedue dinastie greche istituite dai generali di Alessandro. Sotto i Tolomei, i Giudei godettero una condizione più favorevole e Alessandria divenne un centro importante di vita e di pensiero giudaici. I Seleucidi vollero imporre la conformità religiosa e un riconoscimento della divinità dinastica. Antiochio Epifane (174-164 a.C) cercò di costringere la Giudea alla conformità assoluta, devastò Gerusalemme nel 168 a.C., profanò il Tempio, proibì la circoncisione pena la morte, distrusse ogni copia delle Scritture che riuscì a trovare e assassinò i loro possessori,  vendette schiavi molti, e torturò brutalmente per forzare le persone a rinnegare la loro religione. Ne risultò l’infiammata e feroce rivolta dei Maccabei che, con stupefacente accanita dedizione, e a dispetto di ostacoli apparentemente impossibili da superare, ottenne una grande vittoria e l’indipendenza per la Giudea nella Guerra Maccabea. Ne seguì un periodo d’indipendenza sotto i sacerdoti-governanti Maccabei, o Asmonei, 167-63 a.C.

Nel 63 a.C. i Romani sotto Pompeo conquistarono la Palestina e fecero governatore della Giudea, Antipatro, un Idumeo o Edomita, cioè un discendente di Esaù. Antipatro fu succeduto dal suo brutale figlio, Erode il Grande, 37-3 a.C. il quale governava la Giudea quando nacque Gesù e fu responsabile per il massacro dei bambini di Betlemme.

I governanti maccabei combinarono gli uffici di sacerdote e di principe, un connubio non valido sotto la legge di Dio. In precedenza, mentre il governante aveva doveri e funzioni religiose e il sacerdote aveva responsabilità civili, gli uffici erano chiaramente separati, e il re Uzza si trovò sotto il giudizio divino per aver tentato d’usurpare il ruolo sacerdotale. Gli uffici dovevano combinarsi solo nella persona del Messia, il cui ruolo era di essere “non di questo mondo” (Giovanni 18:36).  Pertanto, nonostante il suo eroismo, il periodo dei Maccabei mostrò scostamenti dalla fede come mostrò pure molte aspre tensioni e conflitti interni.

Abbiamo cominciato la storia del mondo con la storia biblica. La fede biblica è oggi la più importante nella storia mondiale. La sua influenza su legge, teoria politica, economia, filosofia, e tutte le altre aree di pensiero e di vita è impossibile da calcolare. E tuttavia la maggior parte dei libri di testo a livello mondiale o omette di menzionare questo aspetto della storia o dà una spoglia menzione degli ebrei, di Gesù Cristo, e degli inizi della chiesa in un paragrafo. La loro preoccupazione in effetti è di seppellire questa storia, e questo non sorprende perché due rivali filosofie della storia sono in guerra tra loro: quella biblica contro quella umanista. Per lo storico umanista i “fatti” stessi della storia sono diversi perché ha una filosofia che crea la propria dottrina della fattualità. Il sistema di valori e la fede che una persona ha farà tutta la differenza per quanto concerne il tipo di storia che registrerà come significativa. La Storia implica milioni di continui eventi non raccontati. La fede di una persona determinerà quali eventi siano importanti, vale a dire, quali siano i “fatti reali” della Storia. L’umanista si muove nella fede non meno del cristiano, ma la sua fede è nell’uomo. Giobbe dichiarò: “Ecco, uccidami egli pure; sì, spererò in lui” (Giobbe 13:15 Vecchia Diodati). Thomas Bell, uno scrittore morente e un umanista, nel 1960 scrisse dell’uomo: “Devo fidarmi di lui malgrado mi uccida”. Sentì che questa fosse la posizione “razionale”.  Non si tratta in realtà di una fede di dimensioni sconvolgenti e di sorprendente cecità? La fede non diventa ragione o scienza meramente perché la chiamiamo tale.

Note:
1 Gordon H. Clark: Historiography Secular and Religious, p. 3 s., Nutley, New Jersey: The Craig Press, 1971.

 

Domande per lo studio

  1. Come potrebbe uno storico di persuasione darwiniana spiegare l’ovvia devoluzione della cultura tra il 2000 e l’800 a.C. ?
  2. Gli storici hanno cercato nel passato di suscitare qualche legge con la quale spiegare i trionfi e le tragedie della Storia. Questi tentativi hanno variato dal mistico al quasi-scientifico, e gli storici contemporanei tendono a denigrarli tutti. Per il cristiano c’è effettivamente una legge della storia: di che legge si tratta, e in che modo questa “idea della storia” determina come i cristiani percepiscono le antiche civiltà?


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