Ascolta l'audiolibro:

Guida divina per la comprensione del libro dell’Apocalisse – Parte 9

Di Phillip G. Kayser, sermone del 26/07/2015

Parte della serie “Progetto Apocalisse”

Il sermone di oggi, illustrando il principio ermeneutcio n. 20, tratta della rilevanza di questo libro per il pubblico originale. Comprendere di star avendo a che fare con un Giovanni storico che scrive a sette chiese storiche esistite nel I secolo in una regione storica reale chiamata Asia influisce significativamente sugli esiti del nostro lavoro interpretativo.


Iniziamo questo sermone leggendo dal “maggioritario” di Wilbur Pickering Apocalisse 1, versi 4 e 5:

4 Giovanni alle sette Chiese che sono in Asia: grazia e pace a voi da Colui che è, che era e che viene, e dallo spirito composto di sette parti che è davanti al suo trono, 5 e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra[1].

 

Introduzione

Negli ultimi otto sermoni abbiamo approfondito, parola per parola, i primi tre versetti del capitolo 1 mettendo in evidenza come in essi l’apostolo Giovanni ci abbia dato degli indizi interpretativi fondamentali per un giusto approccio e, quindi, per una proficua comprensione del libro dell’Apocalisse. Prima di entrare nel vivo dell’esposizione di oggi, penso sia cosa molto utile fare un rapido riepilogo almeno dei primi otto principi, giacché questi presentano una stretta relazione con ciò che vedremo nel versetto 4.

Diverse settimane fa abbiamo visto che la parola “rivelazione” (apokalypsis, in greco) significa svelare qualcosa affinché la si possa vedere e comprendere in maniera chiara: questo è il primo dei trenta principi nel quale ci siamo imbattuti. Dio non ha voluto che questo fosse un libro difficile ed oscuro – occultante la verità; lo ha, invece, concepito come un’apertura, uno svelamento o scoprimento della verità.

E quando il sipario “scopre le quinte” (apokalypsis, per l’appunto), qual è la prima cosa che è possibile ammirare? Gesù Cristo – Gesù il Messia. È lui il fulcro di questo libro. Fin troppi commentari non sembrano considerare questo principio (il n. 2) e spaventano a morte i propri lettori portandoli a concentrarsi in maniera morbosa sul male, sull’anticristo, sulla persecuzione e su ogni altro aspetto tenebroso. E tutto ciò finisce spesso e volentieri per privare i cristiani di quella fede necessaria per fare la differenza nel mondo. Ma questo, in realtà, è un libro pensato per focalizzare la nostra attenzione proprio su ciò che Gesù compie in mezzo alle difficoltà: riguarda più Cristo che l’Anticristo, anche se parla di entrambi.

Il terzo principio mette fuori gioco le interpretazioni liberali dell’Apocalisse. La prima parte del versetto 1 dice: “Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede…”. Capiamo, quindi, di avere a che fare con le parole stesse di Dio: questo libro è da considerarsi un dono ispirato da Dio e, per tal ragione, deve essere trattato in ogni sua parte con tutta la riverenza del caso. E, in realtà, tutti gli evangelici si impegnano in ciò. Tuttavia, nel tentativo di procacciarsi lustro e rispettabilità accademica, capita come fin troppi evangelici finiscano per acquisire almeno un certo numero di idee di stampo liberale, senza purtroppo rendersi conto delle pericolose incongruenze e contraddizioni che tali posizioni apportano.

Considerando il principio n. 4, abbiamo appreso come questo libro non sia destinato esclusivamente ad esperti accademici o teorici specializzati. Si tratta di una rivelazione intesa per essere comunicata a tutti gli schiavi di Cristo – cioè, a me e a voi. Diffidate, quindi, di tutti quei sistemi ermeneutici capaci, per così dire, di confondere persino gli esperti più esperti. Questo è un libro per l’uomo comune.

Il principio n. 5, basandosi sulla parte del versetto 1 che dice “…che Dio gli diede per render noto ai suoi schiavi”, esclude completamente l’idea che possa trattarsi di un libro misterico sulla scorta delle opere appartenenti al filone gnostico-apocalittico. Per la sua decifrazione, infatti, non è necessario uno speciale codice o delle chiavi segrete possedute e dispensate da esclusive cerchie elitarie. Dio non nasconde nulla. Al contrario, è pronto a mostrare (“render noto”) il vero significato del libro a chiunque.

Il principio n. 6 mette in chiaro come l’Apocalisse tratti di storia, di vera storia – non solamente di idee ed applicazioni teoriche; parla di “cose che devono presto accadere”. Questa particolare indicazione interpretativa esclude l’idealismo (probabilmente l’approccio amillenarista più comune in assoluto), secondo cui il libro rappresenterebbe idee e modelli teoricamente applicabili in qualsiasi epoca, senza però necessariamente mostrare puntuali eventi storici. Eppure, queste parole del verso 1 ci comunicano chiaramente come l’intero scopo del libro sia quello di mostrarci cose che avverranno nella storia. Ciò non significa che la scuola idealista non abbia nulla di buono da offrirci, anzi; io personalmente trovo che sia in grado di presentare gran belle applicazioni dei principi esposti nell’Apocalisse. Tuttavia, l’impostazione generale dell’idealismo è purtroppo da ritenersi sbagliata.

Inoltre, l’importanza di questa proposizione (“cose che devono presto accadere”) risiede anche in ciò: il futuro non è aperto ad ogni eventualità, come sostenuto dal “teismo aperto”; la storia raccontataci nel libro, grazie a quel “devono”, è da vedersi come una superba storia della Provvidenza divina. Questo è il principio n. 7. Il quesito fondamentale attorno al quale ruota questo principio è: “Chi governa la storia?” Alcuni commentatori danno l’impressione che la storia sia controllata da Satana, dalla massoneria o da qualche altra forza creaturale. Così non è. Quella raccontata nell’Apocalisse è una storia che “deve” aver luogo perché Gesù Cristo ne è il Signore. Sapere della Provvidenza divina dietro ad ogni singolo dettaglio di questa storia deve esserci di grande motivazione ed incoraggiamento. E nel sermone della scorsa volta abbiamo “bilanciato” il tutto considerando come i decreti e i giudizi divini siano, in chiave pattizia, condizionati e dipendenti dalle azioni contingenti degli uomini (come ben illustrato in Geremia 18). Quindi, in quelle che possono essere le nostre applicazioni pratiche, dobbiamo assolutamente evitare di scadere nel fatalismo e nell’arrendevolezza. Dobbiamo stare attenti a non ordinare la nostra vita secondo le nostre speculazioni sulla teologia decretale, ma secondo le prescrizioni bibliche della teologia pattizia. Infatti, la letteratura profetica presuppone sempre come ad avvenuto pentimento corrisponda pattiziamente un allentamento del giudizio.

L’ottavo principio ha a che fare con la parola “presto”. Tale indicatore temporale mostra come la maggior parte di questo libro tratti di eventi che hanno cominciato a verificarsi entro pochi mesi o addirittura settimane dalla stesura del libro. Indica dunque imminenza. Ricorderete – abbiamo dedicato un bel po’ di tempo a considerare le differenze tra i sette anni d’ira contro Israele e Roma, che erano in procinto di cominciare, e la lontana e ritardata Seconda venuta. Il primo di questi eventi, passato alla storia come “prima guerra giudaica”, segna la venuta di Cristo in giudizio nel 70 d.C., ed avviene effettivamente “presto”, discostandosi chiaramente dalla Seconda venuta. Entrambi sono eventi importanti per l’Apocalisse, ma la maggior parte di questo libro riguarda fatti la cui realizzazione si dice essere “prossima”, “vicina”. Alla fine del versetto 3 leggiamo: “…perché il tempo è vicino”.

Bene. Siamo adesso pronti ad enunciare e ad approfondire il nostro ventesimo presupposto.

 

Il principio n. 20 dice: questo libro dovrebbe essere considerato particolarmente rilevante per le sette chiese del I secolo per le quali è stato scritto (v. 4b)

È il versetto 4 ad introdurci a questo principio – un principio molto importante, al quale dedicherò dunque l’intero sermone di oggi.

La prima parte del versetto 4 ci presenta un Giovanni storico che scrive a sette chiese storiche esistite in una regione storica reale chiamata Asia. Non viene detto: “Giovanni, alla chiesa d’America o alla chiesa d’Europa nel 2015 – attenzione: qualcosa sta per abbattersi su di voi”, come neppure: “Giovanni, a tutta la chiesa…”. Non leggiamo neanche: “Giovanni, alle sette epoche della chiesa che si dispiegheranno dal I secolo fino alla fine dei tempi”, no. L’incipit del versetto è questo: “Giovanni, alle sette chiese che sono in Asia”. E che il verbo “sono” (cioè, al tempo presente) sia una traduzione appropriata lo si può dedurre dai tempi verbali, sia al passato che al presente, che troveremo ancora in ogni singola lettera alle chiese e che ci informano sulle varie cose che ciascuna di quelle chiese aveva fatto o era ancora intenta a fare proprio nel momento storico in cui Giovanni scrive.

Il quadro cronologico

Ebbene, prendendo sul serio queste parole (“Giovanni, alle sette chiese che sono in Asia”), non si può che rifiutare l’interpretazione dello storicismo, come pure quelle di alcune versioni del dispensazionalismo, le quali considerano ciascuna chiesa nei capitoli 2 e 3 come rappresentante di una particolare “epoca della chiesa” – con la nostra generazione che starebbe attualmente vivendo nell’epoca di Laodicea, proprio prima della grande tribolazione.

Ma noi abbiamo visto come la grande tribolazione non sia un evento che pone fine alla storia del Nuovo Patto; piuttosto, è un evento che inaugura la storia del Nuovo Patto. L’intera vicenda della grande tribolazione, come pure quella della guerra dei sette anni (la grande ira), rientra nel I secolo – come ci si aspetterebbe logicamente nel momento in cui si ritiene che tutte e sette le chiese dei capitoli 1, 2 e 3 siano vere e proprie chiese del I secolo. Insomma, in questi capitoli c’è una sequenza storica con la quale dobbiamo confrontarci e che non è possibile eludere. Si tratta di vera storia, una storia di cui conosciamo pure i dettagli e la progressione lineare. Per esempio, abbiamo già visto che la guerra di sette anni in Israele, divisa in due periodi di 1260 giorni, durò dal 66 al 73 d.C., con il tempio distrutto e bruciato esattamente nel mezzo; più 1290 giorni di ulteriori ostilità contro gli ebrei che si estesero per tutto l’Impero (30 giorni precisi oltre i 1260); inoltre, abbiamo anche detto della fortezza di Masada, nella quale si rifugiarono gli ultimi strenui ribelli giudei, che cadde esattamente 1335 giorni dopo la caduta del tempio.

Ma anche nel momento in cui in qualche maniera si cercasse di ignorare quel “sono” del versetto 4, vale a dire il tempo presente adoperato in riferimento alle sette chiese, i problemi per storicisti e compagnia bella non sarebbero comunque finiti. Andare a spalmare quanto illustrato nei capitoli da 1 a 3 su un lasso di tempo di 2000 e passa anni evidentemente mal si armonizza con quanto appreso nel versetto 1 (ovvero che queste “cose … devono presto accadere”), come pure con quanto ribadito da Giovanni nel versetto 3 (“…il tempo è vicino”). E dilatare i tempi del libro proiettandoli in un futuro lontano fa sì che non si possano “prendere sul serio” gli indicatori temporali disseminati in ancora tanti altri passaggi; come, ad esempio, il versetto 9, nel quale leggiamo come lo stesso Giovanni prenda parte alle sofferenze di quelle chiese nella tribolazione che verrà esposta nei suoi scritti, o il versetto 19, nel quale si dice come il libro tratti delle cose “che sono e quelle che stanno per accadere dopo queste”. Il greco in questo verso è mello (“star per…”, “essere sul punto di…”), un chiaro indicatore di imminenza di cui abbiamo già parlato nel recente passato.

Detto ciò, non possiamo però non andare a vedere come obietterebbero i rappresentanti delle scuole già menzionate. Direbbero come, in effetti, il tempo fosse vicino solo per gli eventi della prima “epoca della chiesa” – la presunta epoca di Efeso – che, secondo loro, andrebbe dal I secolo fino al 315 d.C. Ammettono, quindi, come molte delle cose descritte nel libro stessero effettivamente per cominciare ad adempiersi già a quel tempo: ecco, dunque, come quelle cose fossero “vicine”. Beh, sentendola così, la cosa parrebbe mostrare una certa logica, ma esaminiamola più da vicino e vediamo quanti problemi susciti una tale spiegazione.

Quello più evidente è che tutti i passaggi riguardanti ciascuna delle sette chiese presenta espressioni simili circa l’imminenza delle difficoltà che avrebbero presto raggiunto quei santi. Ad esempio, diamo un’occhiata al capitolo 2, verso 10. Parlando alla chiesa di Smirne, Giovanni dice: “Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita”. Come non notare i due mello presenti in questo versetto (“stai per soffrire” e “sta per gettare”)!

Nel momento in cui Giovanni scrive queste parole, quella prova furiosa era in procinto di abbattersi su Smirne, non solo su Efeso. Ma se Smirne non è da considerarsi come una chiesa storica, bensì una particolare “epoca della chiesa”, il cui inizio sarebbe avvenuto dopo due secoli e mezzo dalla scrittura di questa lettera, allora le due occorrenze di mello nel verso appena letto non avrebbero senso alcuno. Giovanni parla di molte cose che sarebbero accadute presto o, comunque, di cose che avrebbero seguito in maniera prossima e celere la fine della stesura dei suoi scritti. Dire che quelle cose sarebbero accadute in maniera prossima e celere solo per gli eventi di Efeso, della presunta prima “epoca della chiesa”, semplicemente mal si concilia con la grammatica del testo.

Esaminiamo adesso un altro esempio ancora. Oliver Greene, un premillenarista dispensazionalista, segue l’esempio di molti dispensazionalisti, nonché storicisti (a-, pre- e postmillenaristi), quando identifica l’epoca di Filadelfia come il periodo che va dal 1750 fino agli anni successivi la Seconda guerra mondiale. Leggiamo Apocalisse 3:10. Si parla qui della chiesa di Filadelfia: “Perché hai osservato con costanza la mia parola, anch’io ti preserverò nell’ora della tentazione che sta per [mello] venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra”.

Insomma, può mai essere credibile che Giovanni mandi un avvertimento ad una chiesa del 1750 che è in procinto di sperimentare una prova che colpirà tutta la terra? No. Perché mai usare un “star per” in riferimento a qualcosa che accadrà ben 1700 anni più tardi? Questo versetto indica chiaramente quanto l’ora della tentazione per la chiesa di Filadelfia fosse tanto imminente quanto quella delle prove di tutte le altre chiese. Capite bene – quell’imminenza sarebbe, invece, fuori luogo in uno schema che vede le chiese essere una sequenza di diverse epoche che va dispiegandosi nella storia partendo dal I secolo.

Il fatto è che tutte le prove predette da Giovanni accaddero nel I secolo. Praticamente l’intero mondo conosciuto sprofondò nel caos dal 66 al 70 d.C. E se questo libro fu scritto nel 66, allora l’imminenza che appare nelle sue parole è cosa da prendere molto seriamente; ma anche se fu, invece, scritto nel 64, rimane più che appropriato considerare il tempo dei fatti descritti come “vicino”. In ogni caso, nel 68, l’Impero “morì” e rimase diviso in tre parti per un anno e mezzo, un tempo, questo, di grandi turbolenze e difficoltà, con milioni di cittadini, romani e no, che morirono nei conflitti e nelle carestie che ne seguirono. Questo fu il giudizio di Dio sull’Impero pagano di Roma. E abbiamo già avuto modo di dare un’occhiata a questa incredibile e convulsa porzione di storia del I secolo dando i nomi dei maggiori protagonisti e citando le date degli eventi già qualche settimana fa; quindi, stavolta non mi dilungherò ulteriormente su questi fatti.

È significativo che a Daniele, quando scrisse della grande tribolazione che il popolo di Dio avrebbe attraversato, fu detto di sigillare il libro e di non preoccuparsene. Come mai? Beh, perché i tempi effettivamente erano lontani: 500 anni sono un tempo che possiamo considerare lungo. Ma quando Giovanni scrive di quella stessa grande tribolazione gli viene detto: “Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino” (Ap. 22:10). Poiché entrambi i brani, sia in Daniele che in Apocalisse, presentano formulazioni pressoché identiche, fatta eccezione per l’indicatore temporale “vicino”, allora logica vuole che il tempo di attesa per la realizzazione degli eventi descritti nell’Apocalisse avrebbe dovuto essere minore di 500 anni; eppure, molti commentari guardano a quelle cose come giacenti ancora in un futuro prossimo rendendo quel “vicino” di Giovanni un tempo lungo 2000 anni.

Ecco il problema: se i 500 anni di Daniele sono da vedersi come molto lontani, tanto da non dover destare nessuna preoccupazione, e, invece, i presunti 2000 e passa anni dell’Apocalisse sono vicini, allora è impossibile, oltre che vano, dare un senso agli indizi temporali che ci fornisce la Scrittura. E la gente dice: “Sì, ma davanti al Signore mille anni sono come un giorno”. Il fatto è che, però, il senso di questo versetto è semplicemente quello di rivelarci come Dio sia al di sopra del tempo; sia senza tempo. Invece, i testi di Apocalisse che stiamo studiando non hanno nulla a che fare con l’atemporalità di Dio, dal momento che sono lì proprio per rivelarci il quadro e la sequenza cronologica dei fatti descritti. E in questi sermoni introduttivi abbiamo visto come Dio sia, in realtà, molto preciso e attento nell’utilizzo dei numerosi indizi temporali nella sua Parola. Abbiamo anche visto come sia chiaramente possibile tracciare e verificare nella storia alcuni degli eventi predetti in questo libro.

Insomma, vi sono così tanti elementi di questo libro che semplicemente non hanno senso non prendendo sul serio il fatto che tutte e sette le chiese erano vere chiese esistenti nella storia del I secolo. Ad esempio, che senso avrebbe per Apocalisse 7 dirci delle dodici tribù d’Israele presentandocele come ancora ben separate e distinguibili l’una dall’altra al momento dell’arrivo dei giudizi della grande ira? Oggi, infatti, non esiste più nessuna delle tribù elencate. Basta chiedere a qualsiasi rabbino e non potrà che confermare come tutte le tribù si siano mischiate, tanto da risultare ormai indistinguibili. Le genealogie sono perse – non esistono più. Ciò vuol dire l’adempimento delle profezie legate alla grande ira, come pure quelle della grande tribolazione, non possano che esser fatte risalire al I secolo, quando le tribù apparivano ancora intatte e separate l’una dall’altra.

 

Illustrazioni di come la rilevanza di questo libro per il pubblico originale influisca sulla nostra interpretazione

PRINCIPIO GENERALE: un adempimento passato non nega l’applicazione al presente; anzi, ne amplifica il valore.

Ma lasciamo da parte i dati prettamente cronologici e osserviamo adesso le implicazioni della rilevanza per il pubblico originale. Questa è, infatti, davvero l’aspetto più importante del principio n. 20. La maggior parte dei libri di ermeneutica afferma come sia assolutamente fondamentale cercare innanzitutto di cogliere il significato del libro come inteso da parte del pubblico originale. Questo è vero quando si studia Deuteronomio, Matteo, Ebrei o qualsiasi altro libro della Bibbia. E se è vero che gli scritti dell’Apocalisse furono concepiti per le chiese del I secolo, allora, prima ancora di iniziare a cercare possibili applicazioni per la storia del nostro tempo, dovremmo ben comprendere come quei santi recepirono ed intesero le parole di Giovanni. Il significato originale, quindi, deve essere compreso prima di metter su qualsiasi applicazione.

Il fatto è che, però, molti interpreti moderni fanno esattamente il contrario: sfruttando quella che sembra essere una libera associazione, consentono al testo di stimolare il pensiero sulle somiglianze con alcuni eventi attuali finendo per metter su applicazioni del tutto fuori luogo. Ho un libro di Francis Gumerlock, fondato su un gran lavoro di ricerca e documentazione, intitolato The Day And The Hour. Questo libro espone alcune delle idee più folli che i commentatori degli ultimi duemila anni hanno pensato di poter desumere dall’Apocalisse. E, badate bene, ogni idea folle nasce perché le persone ignorano questo principio fondamentale dell’ermeneutica che stiamo esaminando oggi.

Dobbiamo allora chiederci, quando Apocalisse 13 invita i lettori a capire quale sia l’identità della bestia e quale sia il calcolo da compiere per la decifrazione del numero del suo nome, con chi stava parlando? Si stava rivolgendo ai cristiani del I secolo o forse a dei fanatici esperti informatici del XXI secolo con troppo tempo a disposizione per smanettare davanti ad un computer? Nella mia ricerca mi sono imbattuto in numerosi candidati per la bestia, per alcuni dei quali sono stati utilizzati speciali codici informatici capaci di generare il 666. Ed è sempre molto curioso notare come per molte di queste identificazioni dell’anticristo non siano stati utilizzati il greco, l’ebraico o il latino, come ci si aspetterebbe, ma l’ortografia inglese, sequenze dell’alfabeto inglese o il codice per la codifica di caratteri ASCII (acronimo di American Standard Code for Information Interchange, lett. “codice standard americano per lo scambio di informazioni”).

Nel 1990 l’autore Gary D. Blevins, nel suo 666: The Final Warning! (“666: l’avvertimento finale!”), osservò come ciascuna delle parti del nome di Ronald Wilson Reagan contenesse sei lettere; da ciò dedusse, quindi, come il presidente Reagan fosse la bestia e Papa Giovanni Paolo II il falso profeta. E, secondo tale teoria, l’Impero fu ferito alla testa quando James Brady, la guardia di sicurezza del presidente americano, fu sparato e ferito proprio alla testa durante un attentato[2]. In un tale caso ovviamente non vi è la minima traccia di esegesi. Capite bene come si tratti di libera associazione.

L’esempio più strano nel quale mi sono imbattuto è, invece, quello riguardante Bill Gates; un esempio che, nonostante vedesse il suo autore insistere nel rivendicare massima serietà, io sinceramente ho sempre faticato a non vedere come uno scherzo. In ogni caso… Per l’elaborazione dei dati è stato utilizzato il codice ASCII arrivando a dimostrare come Bill Gates sia la bestia dell’Apocalisse. L’autore di questa operazione dice:

Il vero nome di Bill Gates è William Henry Gates III. Oggi è conosciuto come Bill Gates (III), dove “III” sta per l’ordine di successione (3°).

Convertendo le lettere del suo nome attuale nei valori ASCII e aggiungendo il suo (III), otterrai quanto segue:

B 66
I 73
L 76
L 76
G 71
A 65
T 84
E 69
S 83

  •      3

____________________

666!!

Alcuni potrebbero chiedersi: “Ma come ha fatto Bill Gates a diventare così potente?” Una coincidenza? O semplicemente l’inizio della schiavitù definitiva e totale dell’umanità???

Beh, tocca a voi decidere!

Prima, però, considerate quanto segue:

M S – D O S 6 . 2 1   77+83+45+68+79+83+32+54+46+50+49 = 666

W I N D O W S 9 5   87+73+78+68+79+87+83+57+53+1 = 666

Coincidenza? Beh, io non penso[3].

Beh, che dire. Ora, Giovanni naturalmente non si aspettava mica che i santi del I secolo conoscessero e sapessero utilizzare il codice ASCII. Questo è poco ma sicuro. E questo appena illustrato potrebbe, quindi, semplicemente finire nell’archivio dei casi più stravaganti, uno di quelli che la maggior parte delle persone ignorerebbe oppure bollerebbe subito come una sciocchezza. In giro vi sono, però, centinaia di altrettanto improbabili teorie che in qualche maniera riescono a far presa sulla gente; teorie che infrangono chiaramente il principio di rilevanza del pubblico originale.

In questo momento, ad esempio, la gente sta impazzendo per il libro di John Hagee, Four Blood Moons, e quello di Jonathan Cahn, The Mystery of the Shemitah. Ed entrambi questi autori stanno guadagnando davvero un sacco di soldi con le loro pubblicazioni. C’è addirittura una disputa tra Hagee e altri suoi colleghi su chi abbia rubato le idee a chi, con conseguenti guai giudiziari che erodono i patrimoni di tutti gli attori coinvolti. Osservando tutto ciò, però, non possiamo che constatare come in realtà questo genere di situazioni non rappresentino una novità, anzi; caratterizzano da secoli la storia dell’interpretazione dell’Apocalisse. Molte eclissi solari, lune rosse, sciami meteorici e altri fenomeni celesti del passato sono stati considerati la prova sicura di come l’Apocalisse si andasse adempiendo proprio nell’attualità della storia dei tanti interpreti di questo libro.

Nelle mie ricerche sulla materia ho contato quindici grandi guerre, tra il III secolo e il 1400, che i teologi nella storia hanno dogmaticamente considerato come le devastazioni elencate nel libro dell’Apocalisse. Gumerlock elenca centinaia e centinaia di esempi di cristiani persuasi di come la fine fosse vicina nel III, nel IV, nel V, come praticamente pure in ogni altro secolo della storia. Nel 1572 persino alcuni riformati (i quali generalmente tendono ad essere ermeneuticamente più attenti) furono indotti a pensare che proprio in quell’anno sarebbe avvenuta la caduta di Roma. Nel 1593 John Napier era assolutamente sicuro che l’ascesa dei turchi ottomani corrispondesse all’ascesa di Gog e Magog. Nel 1597 erano in molti a pensare che quella fosse la fine della storia poiché erano trascorsi mille anni dalla nascita di Maometto (l’Islam ha ovviamente avuto un ruolo centrale in molte interpretazioni storiciste dell’Apocalisse). Nel 1599 molti cristiani erano sicuri di come fosse finalmente apparso l’Anticristo. Nel 1666 in tanti erano assolutamente certi che lo zar russo Alessio e il patriarca della Chiesa russa Nikon fossero le due bestie di Apocalisse 11. Gli scrittori puritani Cotton e Mather – scrittori che, in realtà, al di fuori dell’ambito escatologico apprezzo – calcolarono che la caduta dell’Anticristo sarebbe avvenuto nel 1716. Insomma, come vedete, questo tipo di “errori di valutazione” sono stati e continuano ad essere veramente molto comuni e hanno tutti il loro errore cardinale nel non rispetto del principio n. 20: la questione della rilevanza del pubblico originale.

Quando Hal Lindsey tenta di affermare che le cavallette fuoriuscite dal fumo dell’abisso nel capitolo 9 gli ricordano una bomba nucleare e gli elicotteri Cobra, bisognerebbe semplicemente fermarlo facendogli presente come nessun degno lavoro di interpretazione implichi l’esercizio della libera associazione di pensiero. L’unico quesito valido che dovrebbe animare il nostro lavoro di analisi sarebbe questo: “Ma, usando le Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento a disposizione di quelle chiese del I secolo, come si pensa che quei santi avrebbero interpretato tale brano?”. E, per quel che riguarda le cavallette del capitolo 9, beh, sono le Scrittura stesse a schiarirci efficacemente le idee: le creature fuoriuscite dall’abisso erano semplicemente demoni.

Gli storicisti di ogni genere e sorta sono noti per aver pensato di poter vedere nel testo papi e cardinali, mori e turchi, Riforma protestante e Controriforma cattolica e tanti altri eventi della loro attualità. Insomma, trattasi di eisegesi bell’e buona. Tra l’altro, se ci pensate, sono tutti casi caratterizzati da uno spiccato eurocentrismo, che di certo avrebbe grandemente stupito i membri delle chiese destinatari degli scritti di Giovanni. William White sottolinea che la visione storicista “raramente, se non mai, prende in considerazione la Chiesa al di fuori dell’Europa”[4]. Che rilevanza avrebbero mai potuto avere, per dire, le più recenti guerre europee per i santi del I secolo? Beh, evidentemente nessuna.  E vorrei chiarire qualcosa: se pare che la mia critica si concentri così tanto sullo storicismo, è perché questo sta cominciando a sperimentare una certa rinascita nei nostri ambienti.

Detto ciò, una domanda lecita ed appropriata da porsi sarebbe questa: “È possibile applicare i principi che individuiamo dietro i fatti e i problemi del I secolo a situazioni simili dei nostri giorni? Assolutamente sì. Infatti, è importante comprendere come ogni elemento analizzato possa presentare un significato con molte applicazioni. Tuttavia, la questione della rilevanza del pubblico originale deve sempre essere presa in considerazione quando si interpreta qualsiasi libro della Bibbia. Sono stupito dal numero di persone che finiscono per vedere proiettili, viaggi spaziali, Saddam Hussein e altri personaggi della propria attualità nel testo biblico. Insomma, tutta roba decisamente fuori posto. Se il pubblico originale di Giovanni avesse occasione di sfogliare alcuni commentari moderni, non avrebbe la più pallida idea circa il significato della maggior parte delle informazioni in essi contenuti. Vi immaginate le loro reazioni? “Che caspita può mai essere un sistema informatico? Apparentemente ve ne sarebbe uno proprio adesso in un posto chiamato Belgio che porta il nome “La Bestia”? E, comunque, che roba sarebbe un computer?” – insomma, inutile dirlo, si sentirebbero come totalmente fuori dal mondo.

Quindi, quando vediamo la caduta di un sistema commerciale e finanziario internazionale nel capitolo 19, non dovremmo freneticamente cominciare a passare in rassegna ogni quotidiano economico del paese per cercare di capire in quale anno potrà avvenire la caduta della nostra borsa. E, comunque, perché mai gli autori americani, come spesso accade, pensano che debba per forza trattarsi di Wall Street? Se proprio si vuole giocare a questo gioco, allora perché non pensare qualche volta, che so, alla borsa giapponese o a quella cinese? Il fatto è che nessuna di esse avrebbe comunque avuto rilevanza per Giovanni, per la chiesa del I secolo, per l’Asia o per l’Impero romano. Quando, però, riusciamo a vedere – com’è giusto che sia – il vero adempimento di questo fallimento finanziario nel capitolo 19 nel I secolo, allora anche le applicazioni per noi utili nella gestione delle dinamiche legate al sistema finanziario del nostro tempo ci diventano chiare.

AUTORE: la maniera in cui cerchiamo di definire l’identità di “Giovanni” influisce sulla nostra comprensione del resto dell’Apocalisse

Diamo, quindi, un’occhiata alla prima parte del versetto 4, così da comprendere quanto sia importante stabilire l’identità dell’autore per un migliore intendimento del contenuto dei capitoli successivi. Questo versetto inizia con “Giovanni” che porge i saluti.

Capire chi fosse l’apostolo Giovanni è un aspetto che fa davvero la differenza nell’interpretazione dell’Apocalisse. Ad esempio, il fatto che Giovanni fosse stato specificamente incaricato come apostolo presso i giudei (come deducibile da Galati 2:9) è cosa da molti ignorata nell’approccio interpretativo sia di 1 Giovanni che dell’Apocalisse. Eppure, questo è un elemento decisivo per capire come mai l’ultimo libro della Bibbia parli così tanto dei giudei. Gesù aveva assegnato a Giovanni il compito di andare “ai circoncisi”. I suoi scritti sono chiaramente rivolti ai cristiani ebrei, i quali erano tentati di allontanarsi dalla fede proprio come i cristiani perseguitati nell’Epistola agli Ebrei erano tentati di ricadere nel giudaismo. (Vorrei a questo punto cogliere l’occasione per segnalarvi il lavoro di Ken Gentry, che ha il pregio di riuscire a rendere la storia dell’Apocalisse tanto viva proprio perché prende molto seriamente i dettagli storici del contesto culturale ebraico. Non vedo l’ora che il suo nuovo commentario venga pubblicato).

È importante capire come Giovanni fosse un leader giudeo per i giudei. Era talmente giudeo che il libro dell’Apocalisse meriterebbe non solo un dizionario speciale contenente i tanti ebraismi, ma anche una grammatica speciale illustrante il particolare uso del greco influenzato dalla grammatica ebraica. E c’è da dire come i commentari più datati manchino del tutto di soffermarsi su tali aspetti rovinando, quindi, inevitabilmente l’esito delle loro interpretazioni. Grazie a Dio, però, un certo numero di opere moderne fanno ormai davvero un buon lavoro per quel che riguarda il dato linguistico. Insomma, è importante afferrare come si tratti di un libro ebraico in tutto e per tutto.

Una volta che si apprende quanto l’Apocalisse si concentri sul ministero giudaico del giudeo Giovanni verso i cristiani provenienti dal giudaismo, allora la tipica accusa liberale, secondo cui l’ultimo libro della Bibbia sia portatore di tratti antisemiti, non può che apparire semplicemente ridicola. Antisemita l’Apocalisse non lo è per nulla. Tuttavia, i liberali sono soliti tirare in ballo i brani di Apocalisse 2:9 e 3:9, nei quali Giovanni afferma che i giudei “dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana” – parole queste, a detta liberale, cariche di antisemitismo. Eppure, la verità è che qui Giovanni sta porgendo delle scuse a nome di una chiesa che, seppur in parte composta da gentili, è molto ebraica ed è la vera erede della chiesa dell’Antico Testamento. Le controversie tra giudei e gentili in questo libro devono, quindi, assolutamente essere inquadrate ed intese alla luce del fatto che Giovanni era l’apostolo presso i giudei ed amava i giudei.

Bene – è importante rimarcare questa verità contro ogni insensata accusa di antisemitismo. È altrettanto importante, però, rimarcare quanto pure l’idea opposta, ovvero quella legata al cosiddetto “consenso giudaico-cristiano” (che è alla base del pensiero politico occidentale), sia da rigettare. L’amore di Giovanni per i giudei non lo portò a credere nell’idea eretica che ci fosse un consenso, vale a dire una qualsivoglia conformità valoriale, tra il giudaismo e il cristianesimo. Personalmente detesto l’espressione “consenso giudaico-cristiano” (coniata ad inizio Novecento in ambito liberale, in parte proprio per contrastare l’antisemitismo con l’idea che il fondamento della moralità e del diritto negli Stati Uniti rappresentasse un terreno comune condiviso da ebrei e cristiani). Non esiste consenso tra il giudaismo moderno e il cristianesimo. Nelle Scritture vediamo Gesù castigare il giudaismo in maniera chiara e decisa; altrettanto fanno l’apostolo Paolo e l’apostolo Giovanni. E proprio l’amore di quest’ultimo per la chiesa ebraica unitamente alle severe condanne del giudaismo nel libro dell’Apocalisse è da prendere come un salutare correttivo alla moderna eresia insita nella cosiddetta “teologia dell’alleanza duale (o teologia della doppia alleanza)”, secondo cui gli ebrei sarebbero salvati osservando la legge e i gentili, invece, mediante la fede in Gesù Cristo. Permettetemi di citare le parole di un leader evangelico molto importante, le cui pubblicazioni vanno a ruba. Costui dice:

Non sto cercando di convertire il popolo ebraico alla fede cristiana… In effetti, cercare di convertire gli ebrei è una perdita di tempo. Gli ebrei hanno già un patto con Dio e questo non è mai stato sostituito dal cristianesimo.

Il popolo ebraico ha una relazione con Dio attraverso la legge di Dio data tramite Mosè… Credo che ogni gentile possa giungere a Dio solo attraverso la croce di Cristo. Credo che ogni ebreo che vive alla luce della Torah, che è la parola di Dio, abbia una relazione con Dio e arriverà alla redenzione.

La legge di Mosè è sufficiente per portare una persona alla conoscenza di Dio finché Dio non gli dà una rivelazione più grande. E Dio non lo ha fatto…[5]

L’autore di questi pensieri eretici è lo scrittore dispensazionalista John Hagee, autore, come già detto, di Four Blood Moons e di molti altri libri di successo. E vi sono stati amici sinceri che nel passato hanno pensato bene di farmi dono di questi libri pensando che fossero davvero entusiasmanti. Fatto sta che lo stesso Hagee, dopo essere finito nell’occhio del ciclone a cause di queste sue affermazioni (accolte come eretiche, tra l’altro, pure da alcuni suoi compagni dispensazionalisti) le ritrattò e riscrisse il suo libro eretico, In Defense of Israel (“In difesa di Israele”). Tuttavia, Hagee pare persistere nell’errore di contraddire gli scritti dell’Apocalisse a destra e a manca tacciando di antisemitismo chiunque provi a mostrarsi in disaccordo, finendo così per bollare – ironia della sorte – lo stesso Giovanni, l’apostolo “ai circoncisi”, come antisemita.

Abbiamo, quindi, da una parte Hagee, il quale afferma come il favore di Dio riposi su Israele, e dall’altra il libro dell’Apocalisse, che mostra invece l’ardente indignazione di Dio abbattersi proprio su Israele[6]; Hagee afferma come Gerusalemme sia la Città Santa e la città di Dio, mentre in Apocalisse 11:7, senza mezze misure, di Gerusalemme leggiamo “che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il nostro Signore è stato crocifisso”. Ora, non fraintendetemi: gli ebrei giungeranno a salvezza in futuro, ma solo mediante la fede in Gesù Cristo – nel frattempo sono sotto l’ira di Dio. Mentre Hagee invita i cristiani a trasferirsi in Israele e a sostenere incondizionatamente Israele, Giovanni dice: “Uscite da essa, o popolo mio, affinché non abbiate parte ai suoi peccati e non vi venga addosso alcuna delle sue piaghe” (Ap. 18:4). Hagee si riferisce agli ebrei moderni non credenti come il ​​popolo santo di Dio, Apocalisse 2:9 e 3:9 vi si riferiscono, invece, chiamandoli una sinagoga di Satana. Insomma, vedete come l’Apocalisse si mostri incompatibile con l’intera teologia del cosiddetto “sionismo cristiano”?

E la domanda sorge spontanea: “Come mai queste differenze di veduta tra l’apostolo Giovanni e i sionisti cristiani quando entrambi sembrano amare gli ebrei?” La risposta è semplice. Il fatto è che gli evangelici moderni confondono il Talmudismo con l’Antico Testamento. Ma parlate pure con qualsiasi rabbino e vi dirà come, in realtà, sia il Talmud e non l’Antico Testamento a definire il giudaismo. Difatti, accade come, laddove i due entrino in contraddizione, il Talmud prevalga sempre sulla Bibbia. Ed è bene ricordare come il Talmud sia semplicemente quella raccolta di scritti delle tradizioni dei padri che Gesù condannò tanto duramente nei Vangeli. Contrariamente a quanto si tende a pensare, il giudaismo, in quanto sistema religioso, non corrisponde all’Antico Testamento. Sarebbe un errore pensarlo. Infatti, è molto lontano da esso. Gesù disse che i farisei e gli scribi avevano annullato l’Antico Testamento con le loro tradizioni inventate dall’uomo. Quindi, alla luce di ciò, chi è il vero ebreo che aderisce alla religione dell’Antico Testamento? È l’apostolo Giovanni.

Qualche settimana fa, esaminando il nostro principio n. 13 (ovvero quello secondo cui gli scritti dell’Apocalisse siano da leggere alla luce dell’Antico Testamento, oltre che dei Vangeli), ci eravamo soffermati su alcuni interventi di Beale, Carson e altri ancora, per il tramite dei quali avevamo chiarito come l’Apocalisse fosse, in effetti, un libro interamente basato sull’Antico Testamento. Difatti, ogni un suo versetto è intriso dell’Antico Testamento (di suoi riferimenti diretti o anche solo allusivi). I farisei citavano la tradizione; Giovanni, invece, in maniera massiccia e sistematica la Bibbia. Beale e Carson mettono in evidenza quanto segue: “È generalmente riconosciuto come l’Apocalisse contenga più riferimenti all’Antico Testamento di qualsiasi altro libro del Nuovo Testamento…”[7]. Il commentario di Van der Waal parla, invece, di addirittura 1000 allusioni all’Antico Testamento nell’Apocalisse, con una media di più di due allusioni per ogni suo singolo versetto.

Quindi, quando in Apocalisse 2:9 leggiamo: “Conosco (…) le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana”, non dovremmo in nessuna maniera pensare che Giovanni fosse antisemita. Non antisemita, bensì “anti-Talmud”, “anti-tradizioni dell’uomo”, “anti-occultismo”, tutti elementi, questi, che caratterizzano fortemente il giudaismo moderno. Sfido ognuno di voi a leggere cento pagine consecutive del Talmud integrale e a non vederlo pieno di concetti ed elementi tipici dell’occultismo babilonese. Ribadisco, quindi, come non esista nessun consenso giudaico-cristiano, nessuna conformità valoriale tra giudaismo e cristianesimo. Insistere nell’affermare il contrario significherebbe scadere nel sincretismo e attirare su di sé la forte condanna di Gesù. I seguaci del giudaismo fondamentalmente adorano un Dio diverso, si sottomettono ad un’autorità diversa, considerano una via di salvezza diversa e hanno un obiettivo diverso per la storia. Tornando dunque al punto di partenza, ripeto come sia davvero molto importante ben comprendere chi fosse l’apostolo Giovanni. Capite come questo sia un aspetto che fa la differenza nell’interpretazione dell’Apocalisse ed in particolare ci aiuta a mantenere un salutare equilibrio tra gli estremi del liberalismo, che bolla l’Apocalisse come antisemita, e di un certo dispensazionalismo radicale, che vorrebbe vedere, invece, il suo autore come sionista. Ma Giovanni sfugge ad entrambe queste categorie.

Un’altra curiosità utile sull’apostolo Giovanni è la seguente: sembra essere stato un parente molto stretto del sommo sacerdote; inoltre, prima di diventare seguace di Giovanni il Battista e di Gesù, sembra aver prestato egli stesso servizio come sacerdote. E ci sono una serie di indizi nei Vangeli che portano proprio a questa conclusione. Una volta preso visione di quest’aspetto, allora non sorprende più quanto profonda fosse la conoscenza di Giovanni circa la liturgia, i rituali, l’architettura, le preparazioni sacerdotali, le formule e i rituali del tempio. Il grande studioso ebreo Alfred Edersheim ha esaminato tutte le prove bibliche su questo argomento scrivendo poi quanto segue:

…gli altri scrittori del Nuovo Testamento si riferiscono ai [servizi del Tempio] …in un linguaggio che qualsiasi esperto adoratore a Gerusalemme avrebbe potuto utilizzare. Tuttavia, Giovanni non scrive come un normale israelita. Ha occhi e orecchie per i dettagli che altri avrebbero lasciato inosservati… i riferimenti al Tempio di cui abbonda il libro dell’Apocalisse sono per i più insignificanti, minuzie che uno scrittore che non avesse avuto familiarità con tali dettagli… avrebbe difficilmente potuto notare… [Queste informazioni] appaiono così naturali, spontanee ed inaspettate che il lettore a volte corre il rischio di non farci caso del tutto; [inoltre, appaiono] in un linguaggio simile a quello che utilizzerebbe un professionista, un linguaggio derivatogli dal precedente esercizio della sua vocazione. In effetti, alcuni dei riferimenti più sorprendenti non avrebbero potuto essere compresi senza i trattati professionistici dei rabbini sul Tempio e sui suoi servizi… Sembra altamente improbabile che un libro così pieno di allusioni liturgiche… [fino ai] dettagli più minuziosi – possa essere stato scritto da qualcuno che non fosse un sacerdote e che un tempo non fosse stato effettivamente in servizio presso il Tempio stesso, così da divenire tanto intimamente familiare con i suoi dettagli, da adoperarli in maniera naturale come parte del suo linguaggio figurato[8].

Beh, che dire, voi sapevate che Giovanni era stato attivo come sacerdote? Di certo per tanti di voi questa arriverà come una vera e propria novità. Proseguendo lo studio dell’Apocalisse ci renderemo sempre più conto di che differenza faccia la comprensione di questo dato per l’esito della nostra interpretazione del libro.

Ad esempio, davvero in pochi sono stati in grado di cogliere la portata e l’applicazione di Apocalisse 8 per i nostri incontri di preghiera. Alfred Edersheim ne è stato capace, seguito da pochi altri. Patrick Johnstone ha sconvolto la mia vita di preghiera mostrando quanto il capitolo 8 sia da leggere nella sua rilevanza per Giovanni, per il suo pubblico ebraico e per le persecuzioni che ebbero a soffrire in Asia.

Johnstone, basandosi su considerazioni di Edersheim, indica come la mezz’ora di silenzio che si fece in cielo e di cui leggiamo in Apocalisse 8:1, fosse la mezz’ora di silenzio totale che precedeva gli incontri di preghiera nel tempio mentre il sommo sacerdote effettuava i preparativi dietro la cortina così da far salire l’incenso. E non appena l’incenso saliva, superando la cortina, allora ciò valeva come segnale di inizio della preghiera dando il la a quella cacofonia prodotta da centinaia di migliaia di persone che pregavano tutte insieme. E Apocalisse 8 dice che le preghiere dei santi sollecitarono istantaneamente le trombe angeliche, le quali causarono i castighi e i cambiamenti provvidenziali sulla terra.

E quanto vorrei che il saggio di Johnstone su Apocalisse 8 fosse incluso in ogni singola edizione di Operation World (la celebre guida di preghiera internazionale per la missione) e non soltanto in quella del 1991. Quel saggio è ottimo, poiché mostra una superba applicazione del nostro ventesimo principio: se la situazione proibitiva in cui si trovavano i santi del I secolo veniva risolta con successo adoperando armi di natura spirituale, allora anche qualsiasi situazione impossibile che affrontiamo noi oggi può essere affrontata e superata emulando quei nostri fratelli di allora; se quei cristiani, una piccola minoranza vessata e stremata, riuscivano a mostrare una fede sufficiente per aspettarsi cose pazzesche dal trono di Dio ammirandone l’adempimento nella loro vita, cosa potrebbero fare oggi milioni di guerrieri della preghiera pieni di fede? In ciò risiede l’importanza applicativa della rilevanza del pubblico originale del principio n. 20.

Confesso come non veda l’ora di predicare sul capitolo 8. Vedremo come quel testo riservi ancora tanto materiale di valore, un valore che però moltissime interpretazioni futuriste sembrano lasciarsi sfuggire. Difatti, ignorando la rilevanza del pubblico originale nell’analisi di questi brani, si perdono inevitabilmente anche tutte le corrette e preziose applicazioni di quei contenuti per il nostro tempo e per la nostra vita. Per i futuristi il capitolo 8 non offre un paradigma spendibile per il presente. Dal loro punto di vista quei versi presentano semplicemente una circostanza destinata a realizzarsi in futuro una tantum. Insomma, nessun episodio che definisce uno standard per la storia.

DESTINATARI: la maniera in cui cerchiamo di comprendere l’identità delle “sette chiese che sono in Asia” (i destinatari originale degli scritti di Giovanni) influisce sulla nostra comprensione dei passaggi successivi dell’Apocalisse

Bene – dopo aver lungamente detto di Giovanni, continuiamo adesso con il nostro versetto 4, nel quale leggiamo “Giovanni alle sette chiese…”. Perché solo sette quando il Nuovo Testamento chiarisce come, in realtà, vi fossero chiese pure in altre città, come Troas (Atti 20:5-12), Colosse (Col. 1:2) e Hierapolis (Col. 1:14)? Ebbene, Ramsay evidenzia come queste sette fossero presbiteri e come le chiese nelle altre città finissero sotto il loro governo. La provincia dell’Asia era, quindi, divisa in sette presbiteri regionali, recanti il nome dalla città principale di ogni distretto.

Capire questo è importante. Infatti, non immaginate quanta gente finisca per avere un approccio errato con questo brano e con i capitoli che seguono perché vede per ciascuna delle sette città elencate solamente una chiesa locale con un solo pastore locale. Da parte di preteristi parziali ho sentito dire che l’angelo di ogni chiesa insegnerebbe una “visione dei tre uffici”, nella quale l’angelo stesso parrebbe ricoprire l’ufficio di anziano insegnante. Io non la vedo così: l’angelo di ciascuna chiesa non è il pastore; è il moderatore o il messaggero assegnato a ciascuno di questi presbiteri. E perché dico che si trattava di presbiteri e non di singole chiese locali? Ebbene, vedete, nel 64 d.C. la fede aveva avuto modo di espandersi in maniera capillare in quelle regioni. È possibile che Efeso avesse centinaia di congregazioni locali (non soltanto una), comprese congregazioni in città ed aree periferiche, per le quali Efeso rappresentava il centro. Eppure, Giovanni parla della chiesa (quindi, al singolare) di quella regione. Lo stesso vale per Smirne, Pergamo e per le altre chiese cittadine menzionate.

E, capite bene, questo è un dato che presenta enormi implicazioni per quel che riguarda l’ecclesiologia e il cosiddetto connessionismo. Ora, c’è da dire come alcuni carismatici sembrino vedere tutto ciò e, infatti, in riferimento alla complessa realtà ecclesiale di queste città e delle loro tante chiese, usano il concetto collettivo di “chiesa cittadina”. Tuttavia, non riescono ancora a comprendere appieno il retroterra giudaico caratterizzante tali realtà. Vedremo che la chiesa era semplicemente una continuazione del sistema sinagogale stabilito in Esodo 18. E tale aspetto assume maggiore significato nel momento in cui si considera lo spiccato e pervasivo carattere giudaico del libro dell’Apocalisse.

Ma questo dato può e dev’essere capace di condizionare anche la nostra metodologia in campo missionario. Perché queste sette città? Numerose pubblicazioni argomentano e dimostrano come, in effetti, gli apostoli non svolgessero il proprio lavoro nei paesi. Nell’attuazione delle loro missioni avevano una strategia chiara: fondavano chiese nelle città principali di una data regione equipaggiando quelle prime chiese con i mezzi e con uno zelo missionario tale da permetter loro di impegnarsi nella diffusione di una rete che dal centro si espandesse verso la periferia raggiungendo anchei i più piccoli paesini. E un gruppo di studiosi mette in evidenza come queste sette città finirono nel mirino degli apostoli in quanto centri nevralgici di quella che era la religione imperiale[9].

Come sottolineato da Bojidar Marinov, nel suo saggio intitolato Missionaries of the Ax[10], le missioni di maggior successo negli ultimi 2000 anni sono state quelle che hanno frontalmente sfidato l’idolo o gli idoli principali di una data cultura. San Bonifacio, per esempio, non ebbe un successo molto duraturo nell’evangelizzazione personale. Ma quando abbatté l’Albero di Thor, dichiarò la signoria di Dio sull’intera nazione e dovette applicare le Scritture in maniera più olistica. Il suo impegno si concentrò, quindi, sul discepolato delle nazioni, proprio come Giovanni. Il suo esempio rappresenta il cristianesimo che entra nella fossa dei leoni e lega l’uomo forte. Ad ogni modo, ci sono molte implicazioni missiologiche nel comprendere la rilevanza del pubblico originale. E addentrandoci in questi capitoli metterò in evidenza tante altri aspetti interessanti ed applicazioni utili.

GEOGRAFIA: la maniera in cui cerchiamo di comprendere il contesto originale dell'”Asia” in quanto regione influisce sulla nostra comprensione dei passaggi successivi dell’Apocalisse

Molti insegnamenti mancano di mettere in luce il significato di queste chiese per l’Asia, come pure quello dell’Asia stessa per l’Impero romano. Questa volta non avrò tempo a sufficienza per trattare a dovere la materia, ma sappiate che il dato geografico è anch’esso importante; infatti, anche la geografia influenza l’interpretazione di questi scritti. Vediamo la cosa un po’ più da vicino.

Come mai il trono di Satana si trovava a Pergamo anziché a Roma?[11] Si potrebbe pensare alla capitale dell’Impero come il luogo naturale ed ideale per il suo quartier generale. Eppure, non è lì che stabilì la sua base operativa. Quello geografico è un elemento che suscita molti interrogativi interessanti. Per esempio, come si collega l’informazione su Pergamo come quartier generale satanico con la guerra demoniaca di cui leggeremo più avanti nel libro? Esistono spiriti territoriali? E come si relazionano tra loro? Se il trono di Satana era a Pergamo, perché il capitolo 2, al verso 10, dice che il diavolo getterà in prigione alcuni cristiani di Smirne? Le due città sono distanti l’una dall’altra. Come potrebbe Satana essere in entrambi i posti? Sappiamo che non può; eppure, in qualche maniera è all’opera in entrambi i luoghi. E se in Apocalisse 2:13 viene detto come Satana dimori a Pergamo, perché Tiatira conosce le profondità di Satana e la sinagoga ebraica di Filadelfia è chiamata sinagoga di Satana, un’espressione che letteralmente sta per “riunione di Satana”?

Quando si inizino a mettere insieme i frammenti delle varie informazioni riguardanti le dinamiche della guerra spirituale, ci si rende conto di come il regno di Satana sia un regno assolutamente unito, composto da vari principati con diversi poteri e scopi assegnati e dislocati in diverse città; è provvisto, inoltre, di un efficiente servizio di scambio di informazioni, con emissari che viaggiano avanti e indietro facendo la spola tra i vari centri di potere.

Ed eccovi un esempio, giusto per darvi un piccolo antipasto di quanto approfondiremo più in là: Pergamo, nell’ambito della medicina, fu un importante centro di riferimento per tutto l’Impero (tant’è vero che il simbolo stesso della medicina, il “bastone di Asclepio”, raffigurante un serpente attorno ad un bastone – quello che intravedete pure sull’emblema dell’OMS, per intenderci – proviene proprio da questa città greca dell’Asia Minore, il quale era un centro importante per le pratiche medico-occultistiche); Pergamo ebbe anche un’enorme influenza nel campo dell’istruzione (con una biblioteca di ben 200.000 libri), nel culto dell’imperatore e in molti altri ambiti. E Satana chiaramente usa a proprio vantaggio i punti di forza della società nel quale opera, non diversamente dagli apostoli Paolo e Giovanni. Ogni società, infatti, presenta sei o sette ambiti diversi nei quali è possibile far efficacemente leva per il raggiungimento di determinati obiettivi. E i vecchi missionari, come William Carey, erano soliti individuare questi punti di leva usandoli abilmente a proprio vantaggio: loro erano impegnati nel discepolato delle nazioni. Ad ogni modo, vedremo più in là come la geografica sia importante per comprendere il libro dell’Apocalisse.

 

Conclusione: rilevanza per il pubblico originale e applicazioni relative a noi

Vorrei concludere con alcune affermazioni riassuntive sul rapporto intercorrente tra la rilevanza per il pubblico originale e le applicazioni relative a noi. Abbiamo capito come sia davvero molto importante mettere in primo piano il significato degli avvenimenti con i quali ci stiamo confrontando in questi scritti come inteso dai santi del I secolo. Ma come rendiamo utile ed applicabile per noi oggi qualcosa accaduto 2000 anni fa?

Ebbene, quando si studia, per esempio, il sistema bancario internazionale esistente nel I secolo e si vede come Dio abbia abbattuto ciò che sembrava impossibile da abbattere, allora quell’avvenimento di 2000 anni fa e l’opera potente di un Dio che non cambia non possono che donarci speranza e fiducia anche per le dure sfide del presente. Leggendo i capitoli dal 13 al 19, acquisiamo una visione incredibile di come gli agenti finanziari e di potere vengano utilizzati dai demoni per controllare re e paesi. L’Apocalisse tratta tali questioni con piglio pratico e diretto, non si dà alla predizione di eventi e fatti di un futuro lontano, quindi non parla di Wall Street, Monsanto, delle riunioni del club Bilderberg e compagnia bella. L’Apocalisse descrive le specifiche cospirazioni del I secolo, illustra l’opera malevola di agenti finanziari e figure di potere di quel tempo particolare – specialmente come palesato nelle figure della meretrice e della bestia – e poi mostra come Dio li affronta e li elimina grazie alle preghiere e alle testimonianze dei santi. Quale insegnamento possiamo, dunque, noi trarre da tutto ciò? Beh, semplice, che Dio è stato in grado di sconfiggere i suoi nemici allora e che, quindi, può ripetersi anche oggi. Considerare la rilevanza del pubblico originale e il corretto intendimento del messaggio dell’Apocalisse da parte dei santi di allora fa sì che quei principi biblici siano davvero in grado di produrre applicazioni pratiche e concrete anche per la nostra storia e per la nostra vita.

Quando vediamo come Dio si relazionava con le chiese del I secolo, questo ci dà un’idea di come egli si relazioni con la chiesa di ogni epoca. Quegli avvenimenti e quelle esperienze di cui leggiamo nell’Apocalisse diventano così per noi il messaggio di Dio, utile e spendibile nella nostra battaglia spirituale.

Quando, per esempio, nel capitolo 6 e seguenti studiamo ed intendiamo le prese di posizione di Dio sullo statalismo e sull’imperialismo, allora possiamo comprendere come lo stesso Gesù, che odiava l’idolatria dello statalismo nel I secolo, continui ad odiarla anche oggi. Se, invece, siamo dell’opinione di come Dio si sia semplicemente disinteressato a tutti questi problemi negli ultimi 2000 anni e di come improvvisamente se ne occuperà durante un periodo di sette anni nel futuro, non ci rimane allora che ritenerci sprovvisti di qualsiasi paradigma storico da seguire per il presente. Non ci sarebbe da parte nostra alcuna fede da applicare a nessuna battaglia spirituale e non ci sarebbe nulla da aspettarsi da parte di Dio.

Quando consideriamo il capitolo 7 come trattante di giudei veri e propri, giudei per davvero appartenenti alle dodici tribù di Israele, che furono salvati e risparmiati dalla grande ira scatenatasi contro Gerusalemme nel I secolo, che applicazione pratica possiamo trarre per noi? Beh, in quell’episodio possiamo vedervi l’eterno amore e la perfetta cura di Dio per il suo popolo. In quel capitolo alcuni furono ammazzati come martiri; altri, invece, furono miracolosamente risparmiati. Entrambi i gruppi, però, parteciparono al trionfo del regno di Cristo sul regno di Satana. Ebbene, questo ci fornisce un paradigma concreto per affrontare i problemi della vita e della morte oggi, non solo alla Seconda venuta.

La conclusione è che dobbiamo prendere sul serio il contesto storico originale, specialmente quando Dio dice più e più volte in questo libro che queste cose accadranno presto, rapidamente, perché prossime e vicine. La mia speranza e la mia preghiera è che aver dedicato così tanto tempo a questo principio ci sarà di grande beneficio nella comprensione di quanto ci attende nei capitoli successivi. Che sia così. Amen!


 

Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%201_1-11/Revelation%201_4a?utm_source=kaysercommentary.com

[1] Traduzione di Wilbur Pickering, in The Sovereign Creator Has Spoken: New Testament Translation With Commentary (WalkinHisCommandments.com, 2013).

[2] Gary D. Blevins, 666: The Final Warning! (Kingsport, TN:  Vision of the End Ministries, 1990). Molti altri insegnanti offrono variazioni su questo tema. Una variazione di queste collega James Brady (che fu colpito alla testa) con Apocalisse 13:3.

[3] http://www.grudge-match.com/History/evil.shtml Per un divertente screditamento di questo vedere http://www.answering-islam.org/Religions/Numerics/www.html Tutti erano senza dubbio destinati ad essere divertente, ma illustra il modo arbitrario in cui alcuni calcolano 666.

[4] William White, Jr. “Revelation,” in The Zondervan Pictorial Encyclopedia of the Bible, vol. 5, p. 96.

[5] Julia Duin, “San Antonio Fundamentalist Battles Anti-Semitism”, The Houston Chronicle, 30 aprile 1988, 1., Pastore John Hagee. Molte altre dichiarazioni di Hagee possono essere trovate su CRI Statement, http://www.equip.org/article/pastor-john-hagee/#christian-books-3; https://carm.org/john-hagee-denies-jesus-claimed-to-be-the-messiah; Hank Hanegraaff, Christianity in Crisis, (Nashville: Thomas Nelson, 2009); http://www.monergism.com/thethreshold/articles/onsite/zionism.html

[6] in 1 Tessalonicesi 2:16 leggiamo a proposito dei giudei: “…impedendoci di parlare agli stranieri perché siano salvati. Colmano così senza posa la misura dei loro peccati; ma ormai li ha raggiunti l’ira finale”.

[7] G. K. Beale e D. A. Carson (a cura di), Commentatry on the New Testament Use of the Old Testament, (Grand Rapids: Baker, 2007), p. 1082.

[8] Alfred Edersheim, The Temple – Its Ministry and Services as They Were in the Time of Christ, (Grand Rapids: Eerdmans Publishing, 1980), pp. 141 e seguenti.

[9] Barry, J. D., Heiser, M. S., Custis, M., Mangum, D., & Whitehead, M. M. (2012). Faithlife Study Bible (Re 1:4). Bellingham, WA: Logos Bible Software.

[10] https://de.scribd.com/document/236526593/2010-Issue-2-Missionaries-of-the-Ax-Counsel-of-Chalcedon

[11] Eccovi una piccola anticipazione: sebbene Satana a volte dimorasse nelle capitali degli imperi (come nel caso di Babilonia – Isaia 13-14), spesso governò anche da altri centri di influenza, come Tiro (Ezechiele 28). Ciò che è comune a tutte queste città è l’influenza che hanno avuto attraverso la finanza, la religione, i legami politici, l’istruzione e altri “punti di leva”. Pergamo fungeva da centro nevralgico per gran parte delle questioni legate alla politica, alla religione, alla medicina e all’istruzione di Roma. Era un centro di culto ufficiale dell’imperatore, un centro ufficiale per l’istruzione (avendo una delle più grandi biblioteche antiche – una biblioteca contenente oltre 200.000 volumi scritti a mano), aveva un magnifico altare a Zeus a forma di trono, era un importante centro per il culto di Asclepio (popolare divinità della guarigione pergamese), con persone che affluivano in cerca di guarigione da tutto il mondo romano. L’influente medico Galeno legò la medicina e l’occultismo al santuario di Asclepio. È interessante notare che il moderno simbolo medico del serpente attorno a un palo ha la sua origine proprio in questo culto. Pergamo era anche punto di riferimento di tanti culti occultistici e religiosi. Capiamo, quindi, come si trattasse di una città importante ovviamente non in quanto capitale dell’Impero, bensì in quanto portatrice di tutta una serie di caratteristiche strategicamente fondamentali nell’influenza e nel controllo dell’Impero.


Altri Studi che potrebbero interessarti