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Guida divina per la comprensione del libro dell’Apocalisse – Parte 1

Di Phillip G. Kayser, sermone del 3/05/2015

Parte della serie “Progetto Apocalisse”

Questo sermone affronta le prime otto delle trenta indicazioni interpretative che Dio ha dato nei primi undici versetti di Apocalisse 1. Questi otto principi sono fondamentali perché restringono in maniera decisiva il focus del libro escludendo in tal modo diversi approcci errati a questo tipo di testo.


Continuiamo i nostri sermoni introduttivi sul libro dell’Apocalisse. Puntualizzo come, invece di leggere dalla Nuova Re Giacomo (NKJV, la versione della Bibbia di Re Giacomo del 1982), leggerò dal “tipo testuale bizantino” (noto anche come “maggioritario”) confezionato da Wilbur Pickering. E lo faccio per tre motivi.

Primo, perché Dio ha conservato la sua Bibbia nel “maggioritario” che è stato il testo utilizzato dalla Chiesa nel corso dei secoli (e che è anche, per esempio, alla base del textus receptus, importante per le tradizioni risalenti all’età della Riforma). Purtroppo, il libro dell’Apocalisse è l’unico libro della Bibbia in cui la Nuova Re Giacomo risulta essere, per così dire, un po’ debole, in quanto non pare seguire in maniera sufficientemente adeguata il “maggioritario”.

Secondo, Gesù ci ordina di vivere secondo ogni parola che esce dalla bocca di Dio. E questo è davvero molto importante. Se Dio ha preservato provvidenzialmente ogni sua singola parola (e sicuramente lo ha fatto!), allora è fondamentale prenderne atto e reagire di conseguenza.

Terzo, dato che il traduttore, Pickering, è un premillenarista, allora non ci saranno dubbi su pregiudizi di sorta per quel che riguarda la traduzione da me considerata. Chiaramente, vi saranno a volte dei disaccordi, ma non mancherò di evidenziarli nel corso della serie.

 

Introduzione – esegesi contro eisegesi

I primi undici versetti di questo capitolo ci forniscono trenta presupposti divini (o, se volete, trenta principi ermeneutici) in base ai quali possiamo interpretare il resto del libro. Dio non ha voluto che leggessimo Apocalisse con la nostra ermeneutica, importandovi le nostre idee o cercando di capire come imporvi forzatamente eventi dell’attualità in ogni suo capitolo. In effetti, a causa di tali approcci difettosi, centinaia di commentatori del passato (e del presente) son finiti miseramente fuori strada nei loro tentativi di analisi ed interpretazione. Oggi leggiamo divertiti i loro commenti futuristi di venti, cinquanta oppure anche di cento anni fa.

Lo storico della teologia, Francis Gumerlock, ben documenta la continua evoluzione delle opinioni dei futuristi negli ultimi 200 anni: il costante cambio dell’identità della bestia, dell’Anticristo, del significato della Russia, dell’Europa, del Medio Oriente, delle varie guerre e di molti altri eventi storici. Parte del problema, cioè di questa gran confusione, è che gli autori di questi commentari ignorano, oggi come allora, tanti di questi 30 principi che Dio stesso ha voluto inserire nei primi undici versetti dell’Apocalisse.

Vedete, Dio ci ha detto esattamente come vuole che leggessimo quest’ultimo libro della Bibbia. E quando si assimilano questi suoi presupposti, queste sue regole di interpretazione, il resto del libro diventa sorprendentemente facile da comprendere. Certo, non mancano alcuni punti ostici, alcune sfide, che ci forzano ad una profonda e faticosa opera di riflessione, ma per la maggior parte, Apocalisse diventa un libro, per così dire, meravigliosamente aperto.

Tuttavia, quelli di voi che hanno imparato ad essere cinici potrebbero già chiedermi: “Se davvero fosse come dici, come mai allora ci sono in giro così tante interpretazioni divergenti di questo libro?”. Ebbene, da parte mia vi inviterei ad effettuare un test: andate un po’ a vedere cosa scrivono i commentari a proposito di questi primi undici versetti: capirete come solitamente non vi viene detto quasi nulla d’importante. Io direi che le altre scuole di interpretazione semplicemente non hanno reso giustizia a questi versetti, con la conseguenza rovinosa di perder d’occhio le preziose coordinate interpretative in essi contenuti.

E permettetemi di illustrare come sia estremamente facile per le persone imporre il proprio pensiero in qualsiasi cosa facciano, leggano, analizzino. Il dottor Carl Springer, professore di letteratura inglese all’Università statale dell’Illinois, ha scritto una splendida analisi sui critici di letteratura inglese, apparentemente molto impegnati nell’eisegesi di famosi brani della letteratura inglese piuttosto che nella loro esegesi[1]. In altre parole, costoro finiscono per proiettare le proprie filosofie ed agende politiche nel testo analizzato, piuttosto che lasciare che questo parli da sé  – e questa, in pratica, è anche la definizione di ciò che vuol dire “eisegesi”.

Il dottor Springer ci dice come, ad esempio, vi siano più di “25.000 libri, saggi, articoli, documenti e altre dissertazioni” solo sull’Amleto di Shakespeare. 25.000! È incredibile! E ci dice che, mentre alcuni di questi 25.000 articoli e libri meritino veramente di essere consultati, cito, “la stragrande maggioranza degli studi dedicati all’Amleto… getta meno luce sul malinconico danese o sul suo creatore di quanta ne faccia sui presupposti teorici e sui programmi politici dei critici”.

Ma cosa intende dire con ciò? Beh, se, per caso, aveste studiato letteratura all’università, sapreste esattamente cosa vuol dire. Io mi sono laureato proprio in letteratura e una delle cose più frustranti mai sperimentate durante i miei anni di studio era il confronto con tutti i critici letterari che avrebbero dovuto insegnarmi il vero significato di un romanzo o di una poesia. E mentre sprecavo centinaia di ore a leggere commenti radicalmente contraddittori su questa o quell’opera, mi è successo di sviluppare un gran cinismo nei confronti della critica letteraria in quanto disciplina. Chiaramente, esiste buona critica letteraria, non v’è dubbio; eppure, molto spesso ero costretto a leggere bislacche interpretazioni marxiste di un dato romanzo oppure a dover barcamenarmi tra analisi e commenti di saggi di stampo femminista, foucaultiano, derridiano, decostruzionista, liberazionista e, che ci crediate o meno, già negli anni Ottanta mi toccava persino leggere alcune interpretazioni queer. Una cosa è certa: i miei studi sono stati un’esperienza poco edificante e godibile. Anzi, spesso e volentieri, semplicemente odiosa.

In ogni caso, durante quegli anni mi accorsi come molti autori – insoddisfatti ed irritati a causa delle strane interpretazioni di questi critici letterari sul presunto significato di una loro opera – finissero di frequente per sbottare dicendo: “Ma no: questo non è assolutamente quanto intendevo comunicare!”. Allora i critici dichiaravano prontamente come la loro analisi, in realtà, stesse cogliendo la volontà inconscia dello scrittore. Lo scrittore stava inconsciamente comunicando l’impatto della sua cultura sul suo pensiero. Quando, invece, ciò non andava, allora i critici finivano per dire come, in fin dei conti, l’intento autoriale fosse davvero irrilevante. Oggi come oggi, questi principi vengono applicati soprattutto dai postmodernisti al nostro patrimonio letterario, nonché teatrale e cinematografico.

Permettetemi di citare alcuni esempi di come i critici letterari usino proiettare spudoratamente nei romanzi ciò che desiderano vedervi. Si tratta di esempi recenti di un gruppo attivo in ambito letterario. Uno di questi critici ha detto:

L’interpretazione dell’autore non equivale necessariamente ad un’interpretazione corretta, tanto meno all’unica interpretazione. L’arte esiste a prescindere dall’artista; una volta creata, l’interpretazione di un artista non è più o meno valida di quella di chiunque altro. Può dirvi che cosa aveva in mente, ma fino a che punto questo è ciò che la storia dice, è una domanda a cui non è più qualificato a rispondere di chiunque altro (jefgodesky).

Beh, è una dichiarazione assurda: ciò che l’autore dice che la sua letteratura significhi viene semplicemente ignorato e il proprio significato personale viene imposto al testo.

Eccovi un’altra citazione, un altro esempio:

La critica letteraria non ritiene più che ciò che un autore pensava realmente del suo libro sia definitivo nell’interpretazione del libro ed è perfettamente ragionevole trattare il testo in assenza dell’autore, anche se l’autore dice cose che sono completamente in disaccordo con voi[2].

E pensare che ho sprecato più di 40.000 dollari per i miei studi accademici e il conseguimento della mia laurea. Beh, credo, in realtà, che non siano stati del tutto sprecati. Ma potete, comunque, capire la mia frustrazione nei confronti della critica letteraria, una disciplina nella quale oggi l’intento autoriale – cioè, il messaggio diretto dell’autore – finisce spesso e volentieri per essere messo da parte. A me, invece, leggendo un romanzo di un certo scrittore, piace capire il suo retroterra biografico e culturale, il suo pubblico, la sua visione del mondo, il suo particolare uso del linguaggio e così via.

Comunque… Nonostante la maggior parte degli evangelici abbia intenzioni molto migliori rispetto ai moderni critici di letteratura, tanti di loro non riescono ancora a prendere sufficientemente sul serio l’intento autoriale esposto nei versi di introduzione dell’Apocalisse, come pure il tipo di stile che Giovanni stesso dichiara di adoperare. E molti ignorano gli indizi dell’autore sui tempi, sul contesto, sullo scopo, sugli obiettivi, sulla grammatica e su diversi altri aspetti che esamineremo.

Negli ultimi trent’anni mi sono dilettato nell’approfondimento di tutti i punti di vista sull’Apocalisse che mi capitassero a portata di mano. È evidente come molti commentatori abbiano un sistema preciso che cercano di tutelare e preservare ad ogni costo: ciò li porta di frequente a “maltrattare” il testo biblico. Ora, la tentazione di adattare il testo ad un sistema preconcetto è forte per chiunque di noi – l’ho visto fare anche a preteristi parziali. E – inutile dirlo – è sempre uno spettacolo alquanto avvilente.

Ma il nostro obiettivo nello studiare l’Apocalisse è quello di voler obbedire al comando ripetuto in questo libro: “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”. Perciò non avremo alcuna fretta nell’esaminare questi primi undici versetti. Già vi vedo impazienti di trattare finalmente dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, della Bestia o del 666; ma adesso è il momento di gettare le basi per tutta la nostra serie ed è cosa saggia far ciò con la massima dedizione. Una volta che ci saremo occupati di fornire solide fondamenta al nostro edificio, sarà più facile occuparsi del resto della struttura. Perciò oggi affronteremo solo la prima frase del versetto 1. È una sola frase, ricca però di ben otto presupposti importantissimi.

Eccola, ve la leggo: “1 Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi schiavi le cose che devono presto accadere…”[3] (Ap. 1).

 

Il principio n. 1 dice: si deve trattare questo libro come una rivelazione o un chiaro svelamento della verità (1:1a – Ἀποκάλυψις – apokalupsis)

Il primo principio è ben visibile già nella prima parola: “Rivelazione”. Questo libro è una rivelazione della verità, non un velamento della verità. La parola greca è apokalupsis. E la prima sillaba in greco, il prefisso, indica che si tratta del contrario di kalupto. Ma per cosa sta kalupto? Kalupto significa coprire, nascondere, velare. Gesù usa kalupto in Luca 8:16 per dire che nessuno accende una lampada e poi la copre con un cesto. Ciò andrebbe a schermare, nascondere la luce. Ebbene, apokalupsis è quindi il contrario di nascondere: sta per “svelare”.

In 2 Corinzi 4:3 Paolo usa kalupto per riferirsi al velo che copre gli occhi dei non credenti ed impedisce loro di comprendere o credere al Vangelo. L’Apocalisse, la rivelazione, è l’opposto di ciò. È lo svelamento degli occhi o l’apertura degli occhi in modo che si torni a poter vedere e vedere in maniera chiara. In effetti, alcuni, pensando all’Apocalisse, la paragonano scherzosamente ad un fumetto – insomma, ad un opera d’arte visuale – più che ad un noioso libro di testo. Risulta facile ed accessibile, se si parte dai principi enunciati in questi primi undici versetti. Si tratta, quindi, capiamo bene, di principi indispensabili.

Il dizionario definisce apokalupsis in tal modo: “svelare”, “far sì che qualcosa sia pienamente conosciuta – rivelare e rendere pienamente noto” (Louw & Nida). Quindi qualsiasi interpretazione che ribadisca l’impossibilità di comprendere pienamente questo libro non può che essere automaticamente sospetta. Affermare ciò significherebbe, in qualche maniera, esser partiti da presupposti di lettura e analisi errati. E se si parte da un principio sbagliato, beh, questo libro allora non può che risultare davvero molto poco chiaro. E che ci crediate o no, ci sono non pochi commentari che non si fanno problemi nell’ammettere di non capire alcune parti di questo libro, affermando, tra l’atro, come non vi sia nessuno in grado di poterlo fare. Da parte mia non posso che ripetere come ciò non sia vero. È fondamentale considerare i trenta principi ermeneutici esposti nei primi undici versetti. Seguendoli, è ben possibile intendere il resto del libro – garantito!

Lasciate adesso che vi spieghi perché ritengo che un’intera scuola di studiosi rispettati abbia sistematicamente violato questo primo principio (e più avanti vedremo che ha violato anche tutta un’altra serie di principi importanti). Si tratta della scuola di interpretazione storicista – quella della maggioranza dei Riformatori, per intenderci.

Mi soffermerò, a mo’ d’esempio, su un solo uomo. Io personalmente adoro Adam Clarke. Ha scritto molti buoni commentari. Ma il suo commento all’Apocalisse è irrimediabilmente confuso. Come mai? Beh, stava chiaramente cercando di salvare l’interpretazione storicista dei Riformatori; un’interpretazione screditata da innumerevoli previsioni mancate.

Ma prima ancora di ciò, lasciate che vi spieghi cosa sia lo storicismo. Lo storicismo ritiene che l’Apocalisse inizi nel I secolo e proceda capitolo per capitolo coprendo gli eventi di ogni anno fino alla Seconda venuta. La maggior parte dei Riformatori si è attenuta all’interpretazione storicista. E tra i sostenitori di questa visione vi sono amillenaristi, postmillenaristi e premillenaristi. Insomma, si tratta di una scuola con una duratura e rispettata rappresentanza in tutti e tre i principali campi escatologici.

I Riformatori, in quanto storicisti, avevano ragione in alcune cose: nel vedere, per esempio, che l’inizio del libro fosse nel I secolo. E avevano ragione nel vedere che la fine del libro mostrasse la Seconda venuta inaugurante l’eternità. Hanno, quindi, azzeccato l’inizio e la fine, potremmo dire. Tuttavia, si sbagliavano nel pensare che ci dovesse essere una cronaca d’eventi con esordio nel I secolo che, senza alcuna interruzione, indicasse ogni sua singola tappa evolutiva da individuare nel corso dei secoli.

E così vi sono stati infiniti tentativi di vedere in questo libro vari personaggi ed eventi storici: Costantino, il Medioevo, i vari pontefici, i musulmani, le crociate, la Riforma, la fine del papato e così via. Abbiamo avuto storicisti che hanno pensato di vedere l'”angelo recante il vangelo eterno” di Apocalisse 14:6 nell’imperatore Costantino, in Francesco d’Assisi e persino in Martin Lutero. C’è, poi, una tale moltitudine di candidati per i “due testimoni vestiti di sacco” del capitolo 11 che la cosa finisce per creare un grande imbarazzo per tutta la scuola storicista.

Ed oggi, leggendo i loro commentari, ci si potrebbe chiedere, per esempio, cose di questo tipo: “Ma come hanno fatto a far uscire orde di musulmani dal pozzo dell’Abisso del capitolo 9?”. Chiaramente, il brano parla qui di demoni. Ma il fatto è che gli storicisti indicano il re dei demoni-scorpione proprio come Maometto e gli sciami di locuste sono, invece, orde di tribù musulmane arabe nell’intento di invadere l’impero cristiano. Anche se non di tutti, questa è stata l’opinione della maggioranza in ambito storicista. Altri ancora, magari tra i cattolici, non hanno invece indugiato nel vedere le locuste come luterani; d’altra parte, alcuni luterani si sono affrettati a vederle come cattolici.

Il mio problema più grande con lo storicismo è che non sembra mostrare alcuna connessione esegetica necessaria, quindi logica, tra il testo biblico e ciò a cui si riferisce nella storia. Pare essere tutto così arbitrario: evidentemente, questa scuola parte dalla storia che, in qualche maniera, dev’essere poi proiettata, cioè infilata nel testo. Questa è eisegesi bella e buona. E non sorprende che le interpretazioni col passar del tempo vadano incontro a continui cambiamenti e modifiche. Gli storicisti si sono ridotti a compiere a più riprese numerosi aggiustamenti alle loro analisi – esattamente come successo pure ai premillenaristi.

Cento anni dopo la Riforma, ad esempio, la previsione della caduta del papato non si verificò e così agli storicisti non rimase che cambiare il significato dei simboli. Naturalmente, ciò andò a scombussolare anche la porzione di puzzle messo a punto prima di quel particolare evento. Possiamo dire come l’interpretazione storicista abbia dovuto spesso e volentieri operare alla maniera di un “bersaglio mobile”, perché ha dovuto modificare continuamente gli esiti interpretativi nel momento in cui le previsioni cambiavano e, quindi, non andavano a buon fine.

Il motivo per cui dedico così tanto tempo alla critica dello storicismo è che, come già anticipato, i riformatori più rispettati ne erano grandi sostenitori, ed oggi vi sono studiosi, come ad esempio Francis Nigel Lee e ancora altri, che sono impegnati nel tentativo di “resuscitarlo”. Personalmente ho anche alcuni amici che ne sono fautori: dovesse loro capitare di ascoltare questo mio sermone, allora spero di poterli convincere della discutibilità della loro visione. Io non voglio offendere nessuno. Non è questo il mio obiettivo naturalmente. Ma è importante che provi ad esprimermi con la massima chiarezza, così da non incappare in fraintendimenti e confusione.

Quando avevo vent’anni, a causa del mio amore per i Riformatori, ho dedicato molto studio allo storicismo. Oggi, per la sua palese fallacia, gli storicisti rappresentano solo una minoranza.

Se, però, foste degli storicisti, allora il commentario di Adam Clarke, scritto nel 1825, potrebbe entusiasmarvi. Egli predisse che il papato avrebbe, infatti, cessato di esistere nel 2015 – questo straordinario evento, quindi, potrebbe forse accadere proprio mentre pubblico questi miei sermoni introduttivi. Piuttosto eccitante, vero? Potremmo essere alla vigilia, quindi, di qualcosa di grandioso. Il modo in cui Clarke arriva a questa conclusione è prendendo i 1.260 giorni della prima metà della grande tribolazione – che io, per inciso, considero essere esattamente 1.260 giorni letterali, proprio come dice il testo – e li converte in 1.260 anni (in modo piuttosto arbitrario), e poi, sempre molto arbitrariamente, rende il punto di partenza per il conteggio di questi anni il 755 d.C. Ebbene, cos’è che accadde di particolare in questo anno? Egli pensava che potesse avere un qualche significato l’elevazione del papa da suddito dell’Impero bizantino a capo indipendente dello Stato Pontificio per mezzo della Donazione di Pipino. Ecco com’è che nel corso di quest’anno potremmo assistere all’inizio del millennio. Ma prima che vi entusiasmiate troppo, lasciatemi leggere una confessione che Adam Clarke scrisse di proprio pungo a pagina 965 del suo commentario. Egli disse:

Non posso nemmeno fingere di spiegare il libro: Non lo capisco… [Ebbene sì – se si è obbligati e determinati ad essere storicisti e a far rientrare tutta la storia lineare nell’Apocalisse, si rischia di essere confusi. Comunque, prosegue così:] Sono convinto che non sia stato ancora trovato un modo certo di interpretare le profezie di questo libro… Lo ripeto, non lo capisco; e sono convinto che nessuno di quelli che hanno scritto sull’argomento ne sappia più di me[4].

I suoi editori non misero questa ammissione in bell’evidenza sul risvolto del libro, altrimenti non avrebbe venduto molte copie. Anche se altri storicisti non sono così schietti come Clarke, i loro commentari, però, non sono più chiari o meno arbitrari del suo.

Da parte mia, cercherò di attenermi allo standard di questo primo principio: se ciò che insegnerò nei prossimi due anni non sarà chiaro, non risulterà essere un’apertura del testo, un suo svelamento, allora sarò andato contro la prima indicazione dell’ermeneutica divina. Dovrò esprimere estrema chiarezza nell’indicare come vi sia una connessione necessaria e logica tra il testo e la storia. E spero di riuscirci.

Ancora una volta, mi piace ribadire la definizione del dizionario di questa prima parola, apokalupsis: “svelare”, “far sì che qualcosa sia pienamente conosciuta – rivelare e rendere pienamente noto” (Louw & Nida).

 

Il principio n. 2 dice: si deve trattare questo libro come una rivelazione su Gesù Cristo (1:1b)

Il secondo principio è individuabile nelle tre parole successive (“…di Gesù Cristo”): dobbiamo trattare questo libro – e attenzione, perché ciò risulterà piuttosto irritante alle vostre orecchie – come una rivelazione su Gesù Cristo.

Il fatto è che in greco quel “di” potrebbe dare adito ad una doppia interpretazione: Gesù come autore della rivelazione (che, tra l’altro, sarebbe pure quella più gettonata) oppure Gesù come oggetto, ovvero come l’argomento della rivelazione. I commentari, in effetti, sono divisi.

Ma credo che Reasoner e altri commentatori contemporanei abbiano dimostrato come la grammatica e il contesto pesino fortemente a favore del fatto che Gesù sia l’argomento di questo libro. In altre parole, Apocalisse ci parla di lui – ci rivela ciò che Gesù sta facendo nella storia umana. Come ha detto un commentatore – cito: “La visione di Giovanni rimuove il velo [apokalupsis] rivelando Gesù come Re dei re e Signore dei signori”[5]. Il pastore Reasoner mostra l’importanza critica di questo principio. Egli dice:

“Le prime tre parole del testo greco indicano chiaramente che il soggetto del libro è la rivelazione di Gesù Cristo. Il fatto che Gesù Cristo sia il personaggio centrale di questo libro è una delusione per i lettori carnali che sono più affascinati dall’anticristo che da Cristo, più dalla violenza e dalla distruzione che dal regno di Cristo, più dai mostri e dalle creature orrende che dalla sposa di Cristo, più dalla speculazione che dall’adorazione. Secondo Apocalisse 19:10 “la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia”. Poiché lo scopo della profezia è quello di testimoniare l’identità di Gesù, tutte le interpretazioni dei passi profetici che non pongono Cristo al centro dell’attenzione devono essere considerate sospette”[6].

Come mai ciò è per noi tanto importante? È importante perché, se i vostri occhi vedessero solo le tribolazioni, le distruzioni e le morti che si verificano nelle prime sei sezioni di questo libro (consistente di sette parti), beh, vi deprimereste. Ma Dio dà un’introduzione a ciascuna di queste sette sezioni che fondamentalmente ci comunica un Cristo Re assiso sul trono; ci dice di non lasciarci andare alla preoccupazione e che il suo regno avanzerà invincibilmente su tutta la terra. In realtà, queste introduzioni chiariscono che Dio sta usando proprio le cose che tendono a spaventarci come strumenti nelle sue mani per affliggere ed abbattere Satana. Eppure, in fin troppi commentari, queste sette introduzioni col loro messaggio trionfale non trovano posto.

Ma non si tratta solo di queste introduzioni. In tutto il libro sono disseminati incoraggiamenti per farci capire che, sebbene Satana possa ruggire, è difatti un nemico ferito e sconfitto. Per esempio, il capitolo 1, al versetto 5, dice che Gesù stava già allora (anche durante il periodo della grande tribolazione) governando sui re della terra: nulla poteva accadere alla Chiesa senza il permesso di Gesù.

Allo stesso modo, i capitoli 2 e 3 non esprimono semplicemente un messaggio sulle chiese. Se così fosse – dati i molti problemi in sei di quelle sette chiese – avremmo allora a che fare con una gran quantità di materiale assai sconfortante. Questi due capitoli hanno, però, una loro introduzione e questa si trova al capitolo 1, dai versi 12 a 20. Si tratta di un’introduzione incoraggiante, la quale mostra Gesù che cammina proprio nel mezzo di quelle chiese. Il Signore è lì con loro. È impegnato a far qualcosa per il loro tramite. E quelle che iniziano come chiese deboli e vacillanti nei capitoli 2 e 3, nel capitolo 12 vincono Satana e, quando si arriva agli ultimi capitoli, addirittura trionfano. Perché? Perché Gesù era all’opera in quelle chiese.

Per tutto il libro è lui a guidare la storia. È lui il centro dell’attenzione. E mantenendo l’attenzione su Gesù e su ciò che sta facendo, la nostra fede non può che uscirne fortemente ravvivata. Insomma, dobbiamo avere una prospettiva cristocentrica. E molti commentari, purtroppo, non ce ne offrono una.

 

Il principio n. 3 dice: si deve considerare questo libro come un messaggio ispirato da Dio (v. 1c)

Il terzo principio si trova nelle parole “…che Dio gli diede”. L’Apocalisse non è una semplice raccolta di scritti di uomini, come sostengono alcuni liberali. Questi liberali, riconoscendo come i primi diciannove capitoli appaiano così chiari in alcune descrizioni di avvenimenti del I secolo, finiscono per affermare che la stesura del libro sia stata realizzata a fatti già accaduti. Come mai vanno affermando ciò? Beh, perché non credono nella profezia soprannaturale – semplice. Non possono immaginare che qualcuno possa prevedere le cose con una precisione così dettagliata prima che gli eventi occorrano. Perciò sostengono come lo scrittore fingesse di essere Giovanni e fingesse di scrivere profezie, ma che, in realtà, descrivesse eventi storici passati. Così optano per una datazione al 95 d.C., così come è possibile leggere in diversi commentari liberali. Noi, però, ribadiamo con forza come l’Apocalisse sia la parola ispirata di Dio. È una profezia di Dio e, in quanto tale, è un libro sovrannaturale.

Noi il liberalismo lo rigettiamo in maniera determinata e convinta. Eppure, mi è capitato di trovare commentari evangelici che accolgono idee liberali, come la leggenda di un ritorno in vita di Nerone dopo la sua morte (passata alla storia come Nero Redivivus) o anche la datazione tardiva del libro. A proposito, colgo l’occasione per precisare come la prima datazione in cui il libro potrebbe essere stato scritto sia il 62 d.C. e l’ultima, invece, il 66. Il libro di Ken Gentry, Before Jerusalem Fell, fa un ottimo lavoro nel dimostrare una datazione precedente al 70 d.C. con prove interne ed esterne. Ed in effetti, il suo lavoro è talmente convincente che ormai persino alcuni liberali si ritrovano persuasi dalle prove schiaccianti presentate.

Ma torniamo al nostro punto principale: dobbiamo trattare questi scritti con la riverenza dovuta ad un libro ispirato da Dio. Troppi commentari accantonano alcune descrizioni come se fossero irrilevanti. E c’è un motivo per cui lo fanno: quei piccoli dettagli sono scomodi per il loro sistema. Ma se questa è davvero la Bibbia ispirata, allora ogni singola parola di questo libro è importante.

Alcuni preteristi integrali e alcuni futuristi (su posizioni, però, opposte) vogliono che si guardi solo al significato complessivo di alcuni paragrafi e che non si faccia troppo caso alle singole parole o ai singoli dettagli. Ma come vedremo, ogni parola, e persino i tempi dei verbi utilizzati, sono molto importanti per la comprensione del messaggio. Inoltre, come poter dimenticare le parole di Gesù in Matteo 4:4 (“Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”). Dobbiamo dunque avvicinarci al testo con riverenza e trattarlo come un vero e proprio dono di Dio. E ciò significa lasciare che sia il testo a guidare la nostra interpretazione, non il nostro sistema.

 

Il principio n. 4 dice: Dio ha mostrato apertamente il significato di questo libro a tutti i lettori; non è un “mistero” segreto per pochi (come nello gnosticismo) (v. 1e; cfr. 1:1,3; 13:9; 2:7,11,17: 2:29; 3:6,13,22)

Il quarto principio consiste nel fatto che Dio ha mostrato apertamente il significato di questo libro a tutti i lettori – e non solamente ad un segreto gruppetto di pochi scelti. Gli gnostici non avrebbero rivelato a nessuno il significato dei loro misteriosi scritti, se non per l’appunto oralmente in riunioni segrete. Ma il versetto 1 dice che Dio ha dato questa rivelazione “per render noto ai suoi schiavi” il significato. Vuole che i suoi schiavi lo conoscano. Sette volte Dio ripete alle chiese: “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (2:7,11,17,29; 3:13,22), e nel capitolo 13 lo ribadisce ancora in questa forma: “Se qualcuno ha orecchi, ascolti”. Quando Dio è risoluto nel passarci un messaggio, ciò avverrà allora in maniera chiara, possiamo starne certi. Il nostro Dio non è uno comunicatore scarso.

Questa è una delle tante cose che distinguono l’Apocalisse dalla letteratura gnostica del tempo. Ricorderete, nel precedente sermone avevo affermato come vi fossero alcuni commentatori trattanti l’Apocalisse come letteratura apocalittica (gnostica). Questo tipo di letteratura era così astrusa che nessuno aveva veramente idea di cosa significasse. E, in realtà, non era nemmeno previsto che i più arrivassero a capirne il significato. Lo scopo era quello di indurre le persone ad unirsi ad una certa società segreta per poter essere iniziati ai misteri nascosti. Questi misteri venivano deliberatamente occultati e, come fatto notare da un commentatore, apparivano come “qualcosa di futile per l’estraneo, ma significativo per l’iniziato che ne possedesse le chiavi”[7].

L’idea di fondo consisteva in ciò: una volta ricevute le chiavi per decodificare questo tipo di scritti nella cornice delle riunioni segrete, allora ci si sentiva parte di una certa “cerchia esclusiva”. Naturalmente, si ricevevano solamente poche rivelazioni alla volta. C’erano sempre gradi più alti da raggiungere, dove si acquisivano significati sempre più profondi, con la possibilità di scalare la gerarchia della società, non diversamente da quanto accade nella Libera Muratoria. Vi sono parecchi commentari che vedono l’Apocalisse come un libro misterico, un libro che nascondeva deliberatamente l’interpretazione al popolo e per il quale solo gli iniziati del I secolo avevano le chiavi interpretative. Pertanto, se ciò fosse vero, allora per noi il suo significato sarebbe perso, dal momento che queste chiavi non le abbiamo.

I misteri e i segreti dell’Apocalisse, però, non rimangono tali: Dio li condivide apertamente all’interno del libro stesso; non sono, infatti, cose da riunioni segrete. Per esempio, guardate il versetto 20 – dice: “Il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia destra, e dei sette candelabri d’oro”: [Quindi, vediamo come effettivamente vi siano misteri e segreti, ma, a differenza della letteratura apocalittica, questi vengono spiegati direttamente nel testo, il quale continua dicendo: “le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese e le sette lampade sono le sette Chiese”. Dio interpreta i suoi simboli proprio all’interno del libro. Gli autori gnostici, invece, non lo avrebbero fatto: il senso recondito dei loro scritti aveva da rimanere segreto. Dio, invece, nell’Apocalisse spiega i simboli più e più volte (4:5; 5:6; 5:8; 7:13,14; 12:9; 17:9,12,15,18). Egli rivela i segreti in modo che tutti possano conoscerli chiaramente.

E, badate bene, quanto detto sinora vuol dire che non si ha la possibilità di essere “pan-millennialisti”. Sapete, vi sono alcune persone che scherzano dicendo di non sentirsi né premillenaristi, né amillenaristi, né postmillenaristi. Si accontentano, invece, di essere pan-millenaristi, confidando nel fatto che comunque alla fine ogni cosa (quindi ‘tutto’, dal greco pan) si risolverà per il meglio (N.d.T.: il gioco di parole in inglese è dato dal verbo ‘pan out’ che sta proprio per “dare risultati”, “avere successo”, “risolversi per il meglio”). Questa del panmillenialismo pare qualcosa di intelligente, ma non è per nulla biblica. Dio ci ha mostrato queste cose perché è determinato a darcene conoscenza e c’è una ragione ben precisa per cui Dio vuole ciò. Lo capiremo subito nel prossimo punto.

 

Il principio n. 5 dice: è necessario che si comprenda e si obbedisca al messaggio di questo libro perché esso comunica le istruzioni di Cristo ai suoi “schiavi” (v. 1d)

Il quinto principio è che noi siamo schiavi che hanno la responsabilità di fare ciò che il nostro padrone ci ha comandato in questo libro. Questo è il suo manuale di istruzioni per i suoi schiavi. Il versetto 1 dice infatti: “…che Dio gli diede per render noto ai suoi schiavi”.

Ora, in quanto occidentali, non siamo per nulla abituati a pensarci schiavi di nessuno. E, infatti, molte moderne traduzioni preferiscono rendere il termine greco con “servi”. È un po’ più morbido. Ma se si cerca questa parola in un qualsiasi dizionario, beh, non c’è tanto da girarci attorno: si finisce dritti dritti a “schiavo”. D’altra parte, Paolo dice in 1 Corinzi 6:20 e di nuovo nel capitolo 7:23 che non siamo liberi di far ciò che vogliamo. Al contrario, siamo stati comprati da Gesù Cristo al mercato degli schiavi. E adesso siamo suoi schiavi.

Ora, mi affretterò a chiarire come la schiavitù di Cristo è libertà. In molti hanno grandi difficoltà a capire questo concetto. Ma provate a vederla in questi termini: qual è l’unico modo in cui il motore di un treno può essere libero, potente, veloce ed utile? Ciò potrà accadere solamente dopo che lo si è acquistato dalla fabbrica e lo si è messo sui binari di una ferrovia, al servizio di un’azienda di trasporti. Da quel momento in poi, il treno è schiavo di quei binari e dell’azienda. Non può andare dove vuole. Se aspirasse alla libertà umanistica saltando giù dai binari, cosa otterrebbe? Cadrebbe in prigionia. Così la schiavitù a Cristo è come quei binari: se siamo schiavi fedeli, avremo potere, gioia e libertà.

Ebbene, questo libro è da vedersi come l’ultima pubblicazione in materia di istruzioni per schiavi, indirizzata specificamente a quelli di Gesù Cristo. Quelle che ci vengono date non sono istruzioni facoltative. Ma neppure istruzioni capaci di renderci appesantiti ed infelici. Al contrario, il versetto 3 dice: “Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e mettono in pratica le cose che vi sono scritte”. Interessante notare come qui ci venga detto che il presente libro non è solo per accademici e teorici, ma per tutti, dato che le benedizioni deriveranno sì dallo studio, dall’ascolto, ma anche dall’obbedienza pratica. Si tratta, infatti, di un libro che può essere messo in pratica. È un manuale che deve essere praticato. La mia speranza è quella di riuscire a mostrarvi nel corso della serie i modi pratici in cui gli schiavi di Cristo possono vivere questo manuale per far avanzare il suo regno.

 

Il principio n. 6 dice: si deve considerare questo libro come un libro che tratta di storia (v. 1f,h)

Ecco un altro punto dall’importanza fondamentale: l’intero libro tratta di storia. Parla di “cose che devono presto accadere“. Sono veri e propri fatti storici, “cose” che “accadono”, che “hanno luogo”. Quindi l’intero libro tratta di storia reale.

Questo sesto principio si pone in netto contrasto sia con l’apocalitticismo che con l’idealismo. L’idealismo dice che Apocalisse fornisce principi che in teoria potrebbero essere applicati, ma che non si trovano in nessun momento della storia pienamente soddisfatti. Gli idealisti insistono nel dire che si tratta solo di principi e modelli d’applicazioni – di idee, per l’appunto; è un libro di idee, non una profezia della storia futura. Davanti a tale opinione, non mi resta però che ribadire con decisione: “No. I fatti dell’Apocalisse hanno a che fare con storia vera”.

Ora voglio fare una precisazione per ovviare ad un fraintendimento abbastanza comune. Il mondo spirituale invisibile degli angeli e dei demoni fa parte della storia e questo libro svela ciò che non possiamo vedere con i nostri occhi fisici. Così, per esempio, il Vangelo di Matteo ci racconta che appena nato Gesù, Erode mandò dei soldati ad ucciderlo. Ma il libro dell’Apocalisse ci dice di più circa questa storia. Svela (apokalupsis), tira su il velo, in modo che i nostri occhi possano vedere nel regno spirituale ciò che accade dietro le quinte della storia. E quando il sipario dell’atto di Apocalisse capitolo 12 viene aperto, notiamo che c’è un essere spirituale, simboleggiato da un drago, il quale sta cercando di uccidere Gesù appena dopo la sua nascita. In altre parole, ci mostra che Erode non agiva di propria iniziativa. Era stato spinto da Satana stesso ad uccidere Gesù. Ora, se non fosse stato per questa particolare apocalisse (cioè, per questo svelamento), noi non lo avremmo potuto sapere. Questo libro ci fornisce indicazioni su come impegnarci nella guerra spirituale contro i demoni quando affrontiamo il nostro equivalente di Erode.

Un’altra precisazione che ci tengo a fare è che i simboli di questo libro sono spesso essi stessi eventi storici reali. Attenzione: non è necessario che lo siano, ma spesso lo sono. Forse ricorderete che nello scorso sermone ho spiegato che, anche se l’Apocalisse è piena di simboli, ciò non nega in alcun modo che i simboli stessi possano esistere nella storia. Il sole oscurato è simbolo della caduta di un impero, vero; ma le cronache del I secolo ci dicono come l’oscuramente del sole sia stato anche un evento storico vero e proprio. La volta scorsa ho posto la domanda: “La roccia che Mosè colpì era una roccia letterale o semplicemente un simbolo?” E la mia risposta è stata che erano entrambe le cose: era letteralmente una roccia storica, come pure un simbolo. È rimasta nella storia come un simbolo di Gesù. Mounce dice: “Il simbolismo non è una negazione della storicità ma un metodo figurativo di comunicazione della realtà”[8].

Ma se questo sesto principio è vero, allora va ad escludere chiaramente l’intera scuola dell’idealismo, che – ammetto – presenta gran belle applicazioni dei principi esposti nel libro dell’Apocalisse, ma che purtroppo nega che esso si occupi di storia reale.

Anche coloro che vedono l’Apocalisse come un mito entrano, ovviamente, in contrasto con questo nostro sesto principio ermeneutico. Questa gente adotta, in un certo qual modo, lo stesso punto di vista di C. S. Lewis. Lewis parlava dell’Apocalisse come di un mito. Certo, non intendeva dire che fosse falsa. Voleva invece dire che si trattava di una storia mitica comunicante la verità, proprio come Le Cronache di Narnia, suo romanzo di successo appartenente al fantasy epico.

Ma non è possibile accettare questa che è una violazione chiara del principio in questione. Dio dice che questo libro tratta di “cose che devono presto accadere”. Questo – badiamo bene – è il linguaggio della storia. Se fosse un mito, non avrebbe senso che Apocalisse 17:10 parli di sette re, cinque dei quali sono già morti, uno dei quali regna, come scrisse Giovanni, “e l’altro non è ancora venuto”. Questo è chiaramente un linguaggio che si addice ad una progressione storica.

Quindi, anche se rispetto molti commentatori idealisti (specialmente quelle che sono le loro applicazioni), hanno completamente torto nel non vedere questo libro come un libro di storia.

 

Il principio n. 7 dice: la storia raccontataci nel libro e da vedersi come una Storia della Provvidenza predestinata da Dio (v. 1g – δεῖ – “devono”) – questo principio gira attorno alla domanda “chi controlla la storia?”

Il settimo principio precisa a che tipo di storia il racconto che ci apprestiamo a leggere appartiene. La parola “devono”, nella frase “cose che devono presto accadere”, è lì per mostrarci che ciò che verrà descritto in questo libro è predestinato a verificarsi, non come un incidente fatalistico nella storia, bensì come provvidenzialmente predestinato da Dio stesso. Ora, ciò non riduce nessuno degli attori coinvolti a dei robot passivi. È necessario tener ben presente l’insegnamento della nostra ortodossia secondo cui sia la responsabilità umana che la sovranità divina sono entrambe vere, anche quando troviamo molto difficile conciliarle razionalmente.

Questo principio è importante perché dimostra che la storia ha un significato, fermo e stabile. Se dietro gli eventi di questo libro c’è un Dio buono, santo, determinato ed amorevole, ciò non può che dare enorme fiducia alle persone che si ritroveranno ad affrontare gli eventi descritti in questo libro. È un punto di grande incoraggiamento comprendere come Dio operi nella storia. In un certo senso, questo libro ci offre una filosofia biblica della Storia della Provvidenza considerando esemplificativamente un determinato periodo storico: nell’Apocalisse Dio ci dà una dimostrazione di come egli abbia operato nella storia del I secolo. E siccome egli è lo stesso ieri, oggi e in eterno, allora lo studio di questo libro ci permette di afferrare il modus operandi generale di Dio nella storia tutta, compresa quella nostra attuale.

Lasciate che ora vi spieghi la parola “devono”, la parola greca δεῖ (dei). Eccovi la definizione del dizionario: “…essere nella necessità di accadere, in maniera dovuta, necessaria…” (BDAG). Si parla qui di qualcosa che è stato fissato ed andrà ineluttabilmente a compimento. Quindi, capiamo bene, non si tratta solamente di un avvertimento su qualcosa che eventualmente potrebbe accadere, no. I fatti in questione semplicemente accadranno.

E questa parola è usata di frequente nei Vangeli in riferimento a Gesù. Non poteva, ad esempio, morire un giorno prima rispetto a quanto stabilito: era necessario (δεῖ) che morisse il giorno di Pasqua. E lasciate che vi legga ulteriori esempi:

In Luca 4:43 leggiamo: “Egli però disse: «è necessario che io annunzi il regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato»”.

Luca 13:33 ci dice: “Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”.

Si noti qui come Gesù avesse da morire in un dato giorno, in un dato luogo, nel distretto di Gerusalemme – che, tra l’altro, si estendeva al di fuori delle sue mura. E, infatti, alla fine la sua morte avvenne nell’area di Gerusalemme, anche se fuori dalle mura cittadine. Ad ogni modo, capiamo come Dio abbia fissato ogni singolo dettaglio della sua crocifissione. Ma ciò non ha reso in alcun modo Gesù passivo. Anzi, è vero il contrario. Ribadiamo ancora una volta come la sovranità divina vada a braccetto con la responsabilità umana.

In Matteo 16:21 leggiamo: “Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno”.

Matteo 24:6 ci dice: “Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine”.

Tutte quelle guerre e voci di guerre che portarono al 70 d.C. dovevano verificarsi prima che l’Antica Alleanza potesse essere conclusa. Non c’era modo di evitarli. Eppure, il resto di quel capitolo diede ai suoi lettori il conforto dei buoni propositi di Dio per loro nel bel mezzo di quelle terribili prove.

In Matteo 26:54 leggiamo: “Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?”.

In Marco 13:10 – “Ma prima è necessario che il vangelo sia proclamato a tutte le genti”.

Bene, penso che con tutti i “dovere” (coniugati in varia maniera) e gli “è necessario” appena visti in questi esempi si è potuto ben capire il punto in questione: il libro dell’Apocalisse nel suo insieme verrebbe gravemente frainteso, nel caso non lo si considerasse come una rappresentazione della Storia della Provvidenza divina. Alcune persone si danno un gran da fare nell’escludere dalle loro analisi la predestinazione. Ma ciò ha come effetto principale quello di dissipare il grande potenziale di fiducia e speranza di cui il libro è carico. Se tutte queste cose non accadessero secondo la sovrana volontà divina, allora non sarebbero portatrici né di scopo né di speranza.

Quindi la questione fondamentale affrontata da questo settimo principio è la seguente: “Chi è al comando? Chi controlla la storia? È forse Satana?”. Che dire, in effetti, è proprio questa l’impressione che spesso si ricava dalla lettura di certi commentari. Alcune scuole d’interpretazione danno ad intendere che Satana controlli quasi tutto ciò che accade sulla terra e che nulla si possa fare per opporvisi.

Altri ancora, invece, danno l’impressione che sia l’uomo stesso ad essere al timone della storia. Il modo in cui costoro disquisiscono delle grandi cospirazioni globali induce a pensare che gruppi di potere, più o meno segreti, quali gli Illuminati, la Commissione Trilaterale, il Gruppo Bilderberg o qualsiasi altra organizzazione umana abbiano il controllo totale e siano invincibili. Ciò ovviamente non ha né capo né coda! L’Apocalisse esprime un messaggio che va esattamente nella direzione opposta: questo libro chiarisce che anche il più potente degli agenti umani può essere facilmente eliminato dal Re Gesù. E questa è una verità che merita un deciso “amen” da parte nostra.

Anche perché, d’altra parte, Dio usa quegli stessi imperi e l’opera malvagia delle loro cospirazioni come strumenti per il bene della sua chiesa. Questo libro chiarisce che nemmeno Satana può competere con i servi di Cristo. Agli occhi degli uomini del I secolo sarebbe potuto facilmente sembrare che Satana e/o l’uomo avessero vinto la battaglia nel momento in cui i santi venivano martirizzati da Nerone. Eppure, Apocalisse 12:11 ci dice: “Ma essi lo hanno vinto [cioè Satana] per mezzo del sangue dell’Agnello e con la parola della loro testimonianza; e non hanno amato la loro vita, anzi l’hanno esposta alla morte”. Stando a ciò, possiamo considerare quei credenti come vincitori nella vita, come pure nella morte. Le loro fatiche nel Signore non furono vane e non c’era nulla che Satana potesse fare per fermare l’avanzamento del regno di Cristo attraverso gli sforzi dei suoi servi. Nemmeno la morte avrebbe potuto essere d’ostacolo.

Questo libro ci incoraggia mettendo le cose ben in chiaro: né i cospiratori di questo mondo, né Satana sono al comando. Gesù Cristo governa come Re dei re e Signore dei signori. È lui stesso a far sì che ogni singolo “deve/devono”, “è necessario” di questo libro giunga a compimento. Le cose devono andare nel modo in cui Dio ha ordinato – e Dio ha ordinato che tutti i suoi nemici alla fine vengano posti sotto i piedi di Cristo.

 

Il principio n. 8 dice: l’adempimento (o almeno un adempimento parziale) di tutte e sette le sezioni dell’Apocalisse si deve considerare avendo ben presenti questi riferimenti temporali: “presto”, “vicino” o “star per (accadere)” (v. 1i; cfr. 1:3,7, 19; 2:5,10,16; 3:10,11; 6:11; 11:14; 22:6,7,10,12,20)

Il principio n. 8, l’ultimo di quelli considerati in questo sermone, dice che dobbiamo vedere l’adempimento (o almeno un adempimento parziale) di tutte e sette le sezioni di cui è composto il libro dell’Apocalisse come prossimo, vicino o sul punto di accadere. E questo è un dato che – inutile dirlo – crea molta confusione nel pensiero di alcune persone. Mi piacerebbe nei prossimi minuti riuscire a dissipare quanta più confusione possibile a tal riguardo. Il versetto 1 del primo capitolo ci dice subito che si tratterà di “cose che devono presto accadere”. Questo principio esclude lo storicismo e il futurismo di ogni genere e sorta, siano essi in salsa amillenarista, postmillenarista o premillenarista. Semplicemente non è possibile trasformare quel “devono presto accadere” in “devono accadere tra… 2000 anni”.

Ora, dovete sapere che ci sono alcuni che ritengono come ogni lettera indirizzata a ciascuna delle sette chiese nei capitoli 2 e 3 rappresenti un’epoca diversa della chiesa. Ciò è vero soprattutto per quel che riguarda lo storicismo premillenarista. Secondo questo modo di vedere le cose, noi oggi ci troveremmo nell’epoca di Laodicea e a breve avrebbe inizio la grande tribolazione. Ma, se le cose stessero veramente così, non ci sarebbe nulla in questo libro che sarebbe dovuto accadere presto o (come indica il greco) molto presto. Lo stesso identico problema si presenta anche con lo storicismo di tipo amillenarista o postmillenarista.

Andiamo a considerare brevemente questa posizione, ovvero quella secondo cui si possa credere che almeno i capitoli da 1 a 3 raccontino di avvenimenti che sarebbero effettivamente accaduti di lì a poco, ma che il resto del libro si riferisca a fatti, la cui realizzazione si sarebbe verificata in un lontano futuro, 2000 anni più tardi o giù di lì. Beh, anche una tale visione delle cose rimarrebbe difettosa, poiché l’imminenza degli eventi dell’Apocalisse è qualcosa di ben diffuso in tutto il libro, compreso l’ultimo capitolo. Diamo un’occhiata ad alcuni versi:

Apocalisse 1:3 ci dice: “Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e mettono in pratica le cose che vi sono scritte. Perché il tempo è vicino”.

Ma il tempo per cosa? Evidentemente il tempo per le cose scritte in questo libro – non solo il capitolo 1, ma l’intera profezia. E questo punto è causa di non poca irritazione per certi commentatori, i quali vorrebbero che l’adempimento di alcune delle cose di questo libro sia da collocarsi molto lontano dal tempo della sua stesura.

Sentite un po’ cosa dice Apocalisse 1:19 – “Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo.”

Ora, la frase “che accadranno dopo” significa letteralmente “che sono in procinto di accadere dopo di ciò”. La parola greca è μέλλει (mélli) e si riferisce sempre a qualcosa che sta per accadere, che è sul punto di accadere.

Guardiamo Apocalisse 2:5 – “Ricordati, dunque, da dove sei caduto; pentiti e compi le opere di prima, altrimenti verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, a meno che tu non ti penta.”

La parola “presto” è la parola greca τάχος (táchos), che il dizionario definisce così: “In breve tempo; celermente; [si riferisce] a un tempo relativamente breve successivo a un altro punto temporale”. Qualunque cosa Gesù stesse dicendo, sarebbe dunque avvenuta di lì a poco.

In Apocalisse 2:10 leggiamo: “Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita”.

Saltiamo adesso un intero capitolo e andiamo ad Apocalisse 3:10 – “Poiché hai osservato con costanza la mia parola, anch’io ti preserverò nell’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra”.

Beh, sappiate che le grandi difficoltà, le ardue prove di cui parlano questi versetti stavano davvero per arrivare di lì a poco, proprio per mano dell’imperatore Nerone: si verificarono nel giro di poche settimane, al massimo nel giro di pochi mesi dopo la stesura di questo libro. E in tutto il mondo conosciuto, i cristiani iniziarono ad essere veramente gettati in prigione, torturati e uccisi in gran numero: era questa la grande tribolazione! Ma non furono solo i cristiani a soffrire: anche “gli abitanti della terra”, i pagani in Israele e a Roma, sperimentarono gli effetti di una grande ira. Quindi quando ci imbattiamo nei vari “sta per…” di questi passi, beh, c’è da prenderli sul serio.

Apocalisse 3:11 dice: “Vengo presto [cioè, in greco ταχύ (tachý) – vale a dire “molto, molto presto”]! Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona”.

Nel capitolo 6 al verso 11 i santi aspettano ancora un po’ prima che si realizzasse il giudizio.

Ed ora poniamoci una domanda importante: “Sulla base di quanto detto finora, si vuol dire forse che ogni singolo dettaglio del libro si sia già realizzato nel I secolo? Nulla, ma proprio nulla, troverà adempimento in un futuro più lontano?” La risposta è un chiaro “no”. Il preterismo integrale direbbe di sì; tutti gli altri, invece, converrebbero col mio “no”. Credo che ci siano indicatori chiari nel testo per ben distinguere quanto sarebbe dovuto accadere in maniera celere da quanto profetizzato per un futuro lontano. Ma affinché queste frasi temporali comunicanti imminenza funzionino, come minimo, qualcosa in ogni sezione del libro deve avere almeno un adempimento parziale nel I secolo. Il libro è costituito di sette parti, sette avvenimenti, e tutti e sette questi avvenimenti hanno il proprio inizio nel I secolo, proseguendo poi nel futuro.

La nostra posizione – scansando attentamente gli errori del preterismo integrale – non può, comunque, che tener pienamente conto dei tre termini greci che stanno per: “presto”, “vicino” e “star per (accadere)”. Questi termini indicanti imminenza risultano essere decisivi nell’escludere la validità di ogni interpretazione storicista, idealista e futurista. Ora, non è che queste scuole non cerchino di formulare delle obiezioni contro questo punto particolare. Lo fanno eccome! Permettetemi di illustrarvi rapidamente le quattro interpretazioni che i commentatori forniscono circa il “problema” rappresentato dagli indicatori comunicanti imminenza. Capirete come tutti abbiano i loro rompicapo a causa di questi particolari elementi temporali.

(1) Eccovi la prima interpretazione: nei commentari di stampo liberale leggerete come la chiesa pensasse alla seconda venuta di Cristo come incombente e che semplicemente si fosse – udite, udite! – sbagliata. Beh, noi siamo evangelici e perciò questa dei liberali non è per noi un’opzione da considerare. E, a dire il vero, non riesco neppure a ben comprendere come gli stessi liberali possano considerarla. Vediamo il perché di ciò.

In tutti i Vangeli si vede la chiesa credere in ogni genere di cose che sarebbero dovute accadere prima della fine della storia; quindi, semplicemente non è credibile, oltre che corretto, dire che Gesù credesse, o che gli apostoli credessero, o che la chiesa credesse che la Seconda venuta e la fine della storia fossero dietro l’angolo. E lasciate che vi faccia un piccolo esempio di ciò che i liberali ignorano. Matteo, nei capitoli 24 e 25, dice che la venuta di Cristo in giudizio su Israele e su Roma fosse prossima, vicina, sul punto di accadere, alle porte, con effetto in quella generazione stessa. Questi sono tutti indicatori di imminenza, la cui presenza nel testo rappresentava una garanzia di come la generazione delle persone allora viventi non sarebbe potuta morire finché Gesù non fosse venuto in giudizio.

Ma poi – attenzione – continua parlando di una venuta diversa (la Seconda venuta) che, secondo Gesù, sarebbe stata ritardata (Matteo 24:48 e 25:5) e sarebbe avvenuta “dopo molto tempo” (Matteo 25:19). Questi indicatori temporali sono in netto contrasto con quelli di imminenza relativi alla venuta di Cristo in giudizio su Israele.

In effetti, ci sono così tanti contrasti tra la (prima) venuta in giudizio su Israele e la Seconda venuta, che penso che sia assolutamente disonesto da parte dei liberali affermare che le Scritture siano sbagliate o che i suoi protagonisti si sbagliassero in certi loro intendimenti e aspettative. Disgraziatamente, molti evangelici moderni non sono di grande aiuto nel dipanare la matassa, in quanto a loro volta confondono ingenuamente la venuta in giudizio su Israele con la Seconda venuta alla fine della storia.

(2) Ora passiamo all’interpretazione e alle obiezioni dei preteristi integrali, i quali, nel tentativo di rispondere ai liberali, sostengono come la Seconda venuta sia qualcosa di verificatasi già nel I secolo e che null’altro della profezia abbia ancora da realizzarsi. Beh, la verità è che anche loro non riescono a distinguere i chiari confini tra la venuta di cui si parla in Matteo 24:1-36 e la Seconda venuta del resto dei capitoli 24 e 25.

Spieghiamo un po’ la cosa: primo, Gesù disse di non conoscere il tempo della Seconda venuta (Matteo 24:36 e Marco 13:32), ma di conoscere quello della grande tribolazione, che sarebbe sopraggiunta nel 70 d.C. (Matteo 24:34 e Luca 21:18-24).

Secondo, si dice in Matteo 24:4-34 come numerosi segni avrebbero preceduto la venuta del 70 d.C. e che quei segni sarebbero serviti ad avvertire il popolo di Dio in preparazione di tale evento. Leggendo Matteo 24:35-51, noteremo invece come non vi sia nessun elenco di segni precursori della Seconda venuta. La Seconda venuta semplicemente non sarà preceduta da alcun segnale di avvertimento.

Terzo, leggiamo in Matteo 24:4-34 come la venuta in giudizio del 70 sarebbe stata caratterizzata da una terribile “discontinuità” nella storia, per così dire; più tutta una serie di conflitti, terremoti, paura, guerre, ecc., ecc. Al contrario, prima della Seconda venuta, alla fine della storia, si assisterà ad un lungo periodo di pace. In Matteo 24:37-39 e in Matteo 25:1 Gesù descrive la vita come ordinaria: ci si sposerà e si metterà su famiglia in tutta normalità.

Quarto, nella grande tribolazione, subito prima della venuta di Cristo nel 70 d.C., le persone sarebbero potute fuggire sulle montagne per mettersi in salvo (Matteo 24:16), con l’avvertimento di non tornare alle loro case o ai loro campi (Matteo 24:18). E i primi padri della chiesa ci confermano come effettivamente i cristiani fuggirono da Gerusalemme, proprio a causa dei chiari avvertimenti di Gesù, sfuggendo in tal modo alla tribolazione di sette anni che si abbatté contro Israele. Al contrario, la Seconda venuta sarà istantanea e totalmente inaspettata (Matteo 24:40-41). Segnali ed avvertimenti per un’eventuale fuga non vi sono. E, comunque, nessuno, pur volendo, sarebbero in grado di darsi alla fuga. L’intero concetto di fuga sarebbe inutile poiché accadrà tutto in maniera improvvisa. Perché mai si dovrebbe dire alle persone di non far più ritorno ai loro campi o alle loro case alla Seconda venuta, se questa sarà improvvisa ed immediata non lasciando scampo a nessuno? Sarebbe un avvertimento inutile, contro ogni logica.

Insomma, ci sono così tanti contrasti e differenze tra l’imminente venuta di Gesù nel 70 d.C. e l’avvento della Seconda venuta, lontana e ritardata, che il preterismo integrale – alla stessa maniera del cristianesimo liberale – non riuscendole a distinguere, perde ogni credibilità. I preteristi integrali, come noi, prendono piuttosto sul serio gli indicatori temporali del libro dell’Apocalisse “presto”, “vicino” e “sta per (accadere)”, ma non prendono affatto sul serio il riferimento ai mille anni che troviamo in Apocalisse 20. I preteristi integrali sostengono come questi famosi mille anni simbolizzino il periodo di quarant’anni tra il 30 d.C. e il 70. Ciò, ovviamente, non ha né capo, né coda. Leggendo quei versi, è chiaro che alla grande tribolazione seguirà un lungo periodo di tempo.

Spero che quanto esposto finora sia stato utile a fugare ogni dubbio sulla fallacità della tesi di liberali e preteristi integrali secondo cui i passaggi sull’imminenza siano inerenti alla Seconda venuta.

(3) Una terza interpretazione comune è quella secondo cui “presto” non significherebbe davvero presto e “in procinto di / star per” potrebbe benissimo indicare un tempo distante migliaia di anni. Questa è l’interpretazione di molti amillenaristi, postmillenaristi e premillenaristi. Di solito, a supporto di tale idea, si cita 2 Pietro 3:8 – “Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo”.

Ma Pietro qui non sta dicendo che ogni volta che Dio dice “breve” può significare “lungo” e ogni volta che dice “lungo” può significare “breve”. Questo tipo di logica è inaccettabile perché distrugge il significato del linguaggio e induce i lettori delle profezie a un profondo scetticismo. Nel versetto appena citato, Dio sta semplicemente dicendo che egli è al di sopra del tempo. Non è soggetto al passar del tempo, né ai giorni né agli anni. Ma noi lo siamo e lui ci comunica questo concetto affinché affrontiamo la vita con la consapevolezza di ciò, comportandoci di conseguenza. Dev’essere per noi importante credere che Dio sappia comunicare chiaramente ai suoi schiavi come questi abbiano da comportarsi. Dopo tutto, egli ha appena finito di dire che questa rivelazione sarà una comunicazione chiara destinata ad essere pienamente compresa. Non può essere, quindi, sua intenzione confonderci indicando che un lasso di tempo di ben due millenni starebbe per “vicino”, “prossimo”, “alle porte”. Dio disse a Daniele di sigillare il libro che stava scrivendo perché il tempo era lontano. E “lontano” viene usato qui per poco più di 500 anni. Disse a Giovanni, invece, di non sigillare il libro che stava scrivendo perché il tempo era “vicino”. Eppure, molti commentatori vogliono farci credere che Dio si riferisca qui a cose che sarebbero avvenute molto lontano nel tempo. Ma se la Bibbia dice che 500 anni di Daniele sono lontani e non c’è nulla di cui preoccuparsi, ma 2000 anni sono vicini ed è meglio prepararsi, allora ne deriverebbe che tutto ciò che Dio dice riguardo al tempo sarebbe foriero di gran confusione.

Tutto ciò semplicemente non può essere credibile. Le tre parole greche non possono che riferirsi ad avvenimenti di prossima realizzazione, il cui svolgimento si sarebbe verificato all’interno dei limiti biografici dei destinatari del libro. La parola greca μέλλω (mèllo) significa “che sta per accadere”; ταχύ (tachý) significa presto; ἐγγύς (engýs) significa vicino nel tempo o semplicemente vicino.

Permettetemi di leggere tre commenti sul perché questo è un principio tanto importante al fine di evitare analisi confuse e farraginose.

Reasoner ci dice:

Se Dio ci rivela le Sue verità adattandosi al linguaggio che ci è familiare, ma poi definisce le parole in modo diverso da noi, allora non possiamo comprendere la sua rivelazione. Quando la Scrittura dice ‘vicino’, ‘prossimo’ o ‘imminente’ Dio sta descrivendo un evento che è in procinto di accadere – altrimenti il linguaggio non avrebbe alcun significato[9].

Farrar afferma:

Il linguaggio è semplicemente privo di significato se manipolato da ogni commentatore successivo in modo da far sì che le parole ‘prossimo’ e ‘vicino’ implichino un qualsivoglia numero di secoli di ritardo[10].

Ed infine il commentario di Milton Terry dice:

…quando uno scrittore dice che un evento accadrà presto e celermente o è in procinto di accadere, è contrario ad ogni correttezza dichiarare che le sue dichiarazioni ci permettono di credere che l’evento sia in un lontano futuro. È un riprovevole abuso di linguaggio dire che le parole immediatamente o prossimo significhino tra secoli o tra molto tempo[11].

Eccovi così esposti i primi tre punti di vista fallaci, inadeguati e difettosi sul “problema” dell’imminenza.

(4) Permettetemi adesso di illustrarvi la quarta soluzione interpretativa, un punto di vista assai comune nelle epoche passate, al quale io credo fermamente. Secondo questa visione la prima venuta al quale si riferisce Gesù nei testi presi in considerazione poc’anzi non è la Seconda venuta alla fine della storia. Come avrete già compreso abbondantemente, si tratta piuttosto della promessa venuta in giudizio su Israele nel 70 d.C., quando l’Antica Alleanza sarebbe stata definitivamente terminata e la Nuova Alleanza sarebbe stata inaugurata, così da rendere nuove tutte le cose. E Gesù non aveva predetto che ciò sarebbe accaduto durante la vita dei suoi interlocutori? Sì, lo ha fatto. Lascia che ti legga alcuni versi a conferma di ciò:

Matteo 10:23 dice: “Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra; in verità vi dico: non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo”.

Qui gli interlocutori di Gesù sono gli apostoli, ai quali viene detto che saranno perseguitati dopo la sua morte e che non faranno in tempo ad attraversare ogni città d’Israele prima della venuta del Figlio dell’Uomo. Quella menzionata in questo verso non può che ovviamente essere una venuta diversa rispetto a quella che coinciderà con la fine della storia.

In Matteo 16:28 leggiamo: “In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nel suo regno”.

Il Signore Gesù anticipa agli apostoli che alcuni di loro sarebbero morti, ma altri no ed avrebbero assistito alla venuta del Re nel suo regno. Qui Gesù non si sta riferendo al Monte della Trasfigurazione perché in quell’occasione erano ancora tutti in vita e, comunque, quell’episodio non c’entra nulla con una venuta di Gesù nel suo regno, dato che non era ancora asceso al suo trono. Rileggiamo ancora una volta Matteo 16:28: “In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nel suo regno”.

Quindi, quando l’Apocalisse dice a più riprese: “Sì, verrò presto”, beh, dobbiamo prendere queste parole sul serio. Al suo processo, Gesù (in Matteo 26:64) disse al sommo sacerdote: “Tu l’hai detto (…), anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo”.

Ed è davvero accaduto che quel sommo sacerdote vide Gesù venire con potenza sulle nuvole del cielo? Sì, è accaduto per davvero. Giuseppe Flavio (nella sua raccolta di resoconti da testimone oculare denominato Yōsippōn) e Tacito affermano che quei governanti e notabili erano ancora in vita e che tutti in Palestina videro l’arrivo degli eserciti celesti e l’incredibile guerra che ebbe luogo tra i demoni e gli angeli nel cielo. Dio si assicurò che ogni occhio vedesse la venuta di Gesù in giudizio: gli occhi dei romani, come pure quelli degli ebrei. E, comunque, abbiamo notizia che quel sommo sacerdote fu ucciso dopo che quegli eserciti celesti furono visti nel cielo. Ma a questo arriveremo più avanti nel libro.

Quella descritta in Matteo 24:1-36 non è, quindi, la Seconda venuta. La Seconda venuta è la venuta fisica del corpo di Cristo sulla terra. E questo è davvero molto importante. Atti 1 dice che la Seconda venuta sarà proprio come la sua ascensione: ritornerà fisicamente sulla terra nella stessa maniera in cui la lasciò – non si tratterà solo di un’apparizione nel cielo (cosa che, avvenuta nel 70 d.C., fu vicina, come profetizzato), ma proprio sulla terra. Capite bene come sia indispensabile distinguere tra queste due venute, altrimenti un gran confusione ci perseguiterebbe durante la lettura del resto del libro inficiandone la comprensione. Quindi – repetita juvant – la prima venuta è vicina, prossima (rispetto al momento della stesura del libro), mentre la Seconda venuta non può che essere collocata dopo il millennio.

Una volta ben compreso questo principio, beh, io direi che si è quasi costretti a adottare il punto di vista del preterismo parziale, cioè quello che io stesso adopererò per illustrarvi ed insegnarvi il libro dell’Apocalisse. Il mio è un punto di vista postmillenarista preterista parziale, un approccio escatologico che è possibile trovare nella chiesa antica e, sebbene fosse una posizione minoritaria all’epoca della Riforma, non mancarono riformatori che ne furono rappresentanti. Inoltre, è stato il punto di vista prediletto di molti metodisti, anglicani, presbiteriani, battisti e altri ancora, a partire dal XVIII secolo fino agli inizi del XX secolo.

Ed eccoci giunti alla fine di questo sermone: la prossima volta continueremo a considerare i principi divini per la corretta interpretazione dell’Apocalisse. Ribadisco ancora una volta come una buona comprensione di questi trenta principi sia fondamentale, in quanto ci permetterà di affrontare il resto del libro con maggiore agilità. Per tal ragione, spero, in questa delicata fase introduttiva, di poter ancora far affidamento sulla vostra pazienza e perseveranza.

E spero anche che ciò di cui abbiamo parlato finora vi porti a comprendere come il nostro sia un Dio che desidera prendersi cura di noi e darci speranza, focalizzando la nostra attenzione su Gesù, suo Figlio. Il nostro è un Dio sovrano che ci assicura, per la sua perfetta Provvidenza, su come stia facendo avanzare la storia così da portare a compimento i suoi santi scopi.

Preghiamo e lodiamo Dio affinché tutte le cose siano ordinate secondo il perfetto consiglio della sua volontà. Amen.


 

Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%201_1-11/Revelation%201_1?utm_source=kaysercommentary.com

[1] http://www.leaderu.com/aip/docs/springer.html

[2] http://www.reddit.com/r/books/comments/25b2ea/ray_bradbury_was_once_told_his_interpretation_of/

[3] Dal testo greco di Wilbur Pickering.

[4] Adam Clarke, The New Testament…Commentary, volume VI (New York: Eaton & Mains, 1883), p. 573.

[5] Vic Reasoner, A Fundemental Wesleyan Commentary on Revelation, (Evansville, IN: Fundamental Wesleyan Publishers, 2005), p. 114.

[6] Reasoner, Revelation, p. 113.

[7] William Barclay, Revelation of John, volume one (Edinburgh: William Barclay Estate, 2004), p. 62.

[8] Robert H. Mounce, The Book of Revelation, NICNT (Grand Rapids: Eerdmans, 1977), p. 218.

[9] Reasoner, Revelation, p. 113.

[10] Frederic William Farrar, Cyclopedia of Religious Literature: The Early Days of Christianity, (vol. III) (New York: John B. Alden, Publisher, 1883), pp. 496-497.

[11] Milton Terry, Biblical Hermeneutics, (New York: Eaton & Mains, 1890), p. 385.


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