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Guida divina per la comprensione del libro dell’Apocalisse – Parte 4

Di Phillip G. Kayser, sermone del 24/05/2015

Parte della serie “Progetto Apocalisse”

Questo sermone esplora il libro dell’Apocalisse esponendo le dinamiche legate alle azioni legali pattizie.


Siamo ancora alle prese con i primi tre versetti di Apocalisse 1. Li leggiamo secondo il testo greco “maggioritario”:

1 Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi schiavi le cose che devono presto accadere, e che egli comunicò mandando il suo angelo al suo schiavo Giovanni, 2 il quale attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha visto: le cose che sono e quelle che devono accadere dopo di esse. 3 Beato chi legge e chi ascolta le parole della profezia e osserva le cose che sono scritte in essa, perché il tempo è vicino[1].

 

Introduzione

Prima di iniziare, vorrei provare a riassumere in modo conciso gli undici presupposti che abbiamo trattato finora individuando per ognuno di essi una sola parola chiave, così da avere un concetto associativo forte per ogni principio:

1) apokalupsis, vale a dire “rivelazione” (svelamento), si potrebbe riassumere e concentrare nella parola chiarezza (chiarezza nel vedere);

2) la locuzione “di Gesù Cristo” ci mostra chiaramente verso cosa dovremmo rivolgere il nostro focus, la nostra attenzione – quindi focus o attenzione potrebbe essere la parola chiave del secondo principio;

3) alla frase “che Dio gli diede” associamo il concetto di ispirazione (divina);

4) l’espressione “per render noto” è importante per la sua funzione anti-gnostica;

5) “ai suoi schiavi” indica il concetto di accessibilità di questi scritti a tutti i cristiani, non solo ai dotti;

6) la proposizione “le cose che devono presto accadere” ha la sua parola chiave in storia, poiché indica come questo libro si occupi di vera storia, non semplicemente di concetti ideali;

7) il verbo “devono” indica il tipo di storia a cui l’Apocalisse appartiene: è un superbo esempio di Storia della Provvidenza, nella quale Dio si mostra Signore ed ha il controllo assoluto. Provvidenza è, quindi, la nostra parola chiave per il settimo principio;

8) l’indicatore temporale “presto” indica che la maggior parte di questo libro stava per adempiersi (o, almeno, cominciare ad adempiersi) nel I secolo. Quindi, l’ottavo principio lo possiamo associare al concetto di imminenza;

9) simbolico non può che essere la parola chiave per il nostro nono principio. Infatti, il verbo “comunicò” (o il più letterale “significò” della Re Giacomo: ‘comunicare per mezzo di segni, immagini e simboli’) ci mostra inequivocabilmente come abbiamo a che fare con un testo di carattere simbolico, per l’appunto;

10) “egli comunicò mandando il suo angelo…” – questo coinvolgimento angelico nella prefazione del libro, oltre che per la partecipazione all’opera di trasmissione della rivelazione da parte degli angeli, lo registriamo anche come elemento introduttivo al mondo dell’invisibile (cioè, il “dietro le quinte” della storia). Pertanto, soprannaturale potrebbe essere la nostra parola chiave da associare a questo principio;

11) la proposizione “al suo schiavo Giovanni, il quale attesta…” (cioè, “rende testimonianza”) ci mostra quello che è il lato umano dell’ispirazione, nonché l’importante intento autoriale di Giovanni, proprio in quanto testimone. E questa è pure la nostra parola chiave per l’ultimo principio esaminato la scorsa volta.

Questo termine, “testimone”, ci porta direttamente al prossimo punto; ci rivela un principio fondamentale nell’interpretazione di questo libro, ossia quello secondo cui l’Apocalisse è da vedersi come un’azione legale, un procedimento giudiziario pattizio.

Il resto del verso 2 e il verso 3 contengono, a dire il vero, tutta una serie di principi interconnessi che si presuppongono a vicenda, anche se non saremo in grado di affrontarli in blocco, tutti in una volta. Mi spiego meglio: il principio n. 19 consiste nel fatto che questo libro è chiamato una profezia nel versetto 3 e, alla stregua delle profezie dell’Antico Testamento, è anche una vera e propria causa giudiziaria pattizia (principio n. 12) che si riferisce alla rivelazione del passato (principio n. 13), che scagiona i credenti (principio n. 16), che si occupa di aspetti etico-giuridici (principio n. 18), ecc., ecc. Quindi, anche se questa volta non avremo direttamente a che fare con la parola “profezia”, ​​anticiperemo comunque, proprio a causa di questo intreccio tra vari principi, la trattazione di diversi aspetti impliciti nel termine profezia.

Bene, chiarito ciò, passiamo adesso ad enunciare il dodicesimo principio, quello sul quale sarà incentrata questa nostra esposizione.

 

Il principio n. 12 dice: questo libro è da vedersi come un procedimento giudiziario intentato contro la chiesa (cap. 1-3 – che tuttavia viene scagionata dalle accuse), contro Israele (cap. 4-19) e contro Roma (cap. 13-19) (v. 2b ἐμαρτύρησεν – emartýrisen: portare testimonianza in quanto testimone giudiziale)

Il principio n. 12 afferma che dobbiamo vedere questo libro come un procedimento giudiziario. È questa una chiave interpretativa assolutamente fondamentale per comprendere correttamente il libro dell’Apocalisse. E molti commentatori, soprattutto futuristi, non sembrano rendersene per nulla conto. Più in là avremo occasione di raccogliere prove a supporto di questo particolare principio in tutto il libro; in ogni caso, nel termine (reso in molte traduzioni con) “attesta” (ἐμαρτύρησεν – emartýrisen) è già chiaramente visibile. Rileggiamo ancora una volta il versetto 2 per capire dove esso appaia: “…il quale attesta [vale a dire “rende testimonianza”] la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo”.

 

La questione generale delle cause in tribunale e di Giovanni come testimone (μαρτυρέω – martyréo)

Il commento di Kendall Easley dice della parola “testimone”: “Giovanni usa il linguaggio di un testimone giudiziale chiamato a comparire in un’aula di tribunale. Il suo ruolo è semplicemente quello di testimoniare in modo attendibile tutto ciò che ha visto”[2].

Man mano che la storia del libro prosegue e si sviluppa, vedremo sempre più questa drammatica scena da tribunale, nella quale i cristiani presentano il loro caso davanti alla sala del trono chiedendo a Dio di giudicare in loro favore e contro i loro persecutori. Personalmente trovo questa una delle parti più emozionanti ed avvincenti dell’intera Apocalisse: in questo passaggio abbiamo il privilegio di assistere in anteprima ad un vero e proprio processo in cielo – quindi non solo alla fine della storia, ma già in questa parte dell’eternità.

Il problema è, però, che oggi tra i cristiani quasi nessuno si impegna in questa pratica: non siamo più avvezzi a formulare e porgere petizioni e suppliche di intervento presso lo scranno del Giudice della Storia, che è nostro Padre. Ricordo come anni fa, in una piccola serie di due sermoni, mi posi l’obiettivo di fornire istruzioni specifiche su come portare in giudizio Satana davanti al tribunale del cielo al fine di ottenere giustizia, vale a dire risarcimento. Dal Salmo 5 traiamo quei principi giuridici da applicare nei confronti degli agenti di Satana, dei persecutori della chiesa. Si tratta di più di una semplice preghiera. Pregare è importante in questo libro, ma la pratica al quale mi riferisco va oltre: implica chiedere alla corte celeste di aprire le sue porte per la celebrazione di un processo vero e proprio; implica un incontro formale per il dibattimento di un caso in base alla legge di Dio (seguendo, quindi, tutti i principi biblici della giurisprudenza biblica), fornendo ed esaminando prove, chiamando testimoni, facendo appello al tipo di restituzione previsto dal codice di legge divino ed infine formulando una richiesta al giusto giudice di tutta la terra per deliberare in nostro favore.

Le parti principali di questo libro costituiscono un vero e proprio manuale di istruzioni su come intentare e strutturare un’efficace azione legale presso la corte celeste al fine di ottenere un verdetto a noi favorevole. E nel momento in cui anche in Occidente l’atmosfera si surriscalda e gli atti persecutori nei confronti dei cristiani aumentano, beh, sarebbe cosa molto importante per i credenti informarsi ed impegnarsi maggiormente in tal senso. Capiamo bene, quindi, come già solamente questo punto, questo nostro dodicesimo presupposto, sia in grado di rendere il contenuto del libro dell’Apocalisse incredibilmente prezioso per noi.

 

Il rapporto dei capitoli 4 e seguenti con Daniele 7

Nel capitolo 4 Giovanni è chiamato a salire nell’aula del tribunale celeste davanti al trono di Dio. Viene dunque convocato in tribunale. Gli anziani della chiesa sono già seduti sui propri seggi. Anche loro, i santi del cielo, sono chiamati a giudicare insieme a Dio.

E (anticipando già adesso il principio che tratteremo nel prossimo sermone – secondo cui l’Apocalisse riceve la propria struttura dall’Antico Testamento) quasi tutti concordano sul fatto che i capitoli 4 e 5 dell’Apocalisse sono basati sulla scena da tribunale di Daniele 7, nella quale vediamo venire collocati i troni, la corte prender posto e i libri venire aperti; così il giudizio in favore dei santi può essere emesso e per il tramite di ciò Cristo fa grandi passi in avanti nello stabilire il proprio regno mondiale. C’è da dire come i futuristi, per quel che riguarda la sostanza di questi accadimenti, sono ovviamente d’accordo; ritengono, però, come tutto trovi la propria realizzazione solo in un futuro prossimo.

Andiamo adesso a vedere più da vicino il capitolo in questione. Vi leggerò alcuni dei versetti chiave che mostrano una corretta sequenza temporale degli avvenimenti. Vedremo come tutto accadde già durante il tempo della quarta bestia di Daniele, Roma, vale a dire la stessa bestia descritta pure nell’Apocalisse nei capitoli 13 e 17.

In Daniele 7, al versetto 13, leggiamo: “Io guardavo nelle visioni notturne, ed ecco sulle nubi del cielo venire uno simile a un Figlio dell’uomo; egli giunse fino all’Antico di giorni e fu fatto avvicinare a lui.”

Attenzione – qui non è descritta la Seconda venuta. Non viene, infatti, detto “egli ritornò dall’Antico di Giorni (sulla terra)”. Non c’è un “moto da luogo”, bensì un “moto a luogo”: giunse fino all’Antico di Giorni. Questa di quando Gesù giunge fino all’Antico di Giorni non può che, quindi, essere la sua ascensione al cielo.

Proseguiamo col verso 14: “A lui fu dato dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, nazioni e lingue lo servissero; il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà mai distrutto”.

Quindi, vediamo come Cristo riceva il regno alla sua ascensione. Ma proprio come Giosuè (a cui fu data Canaan quarant’anni prima di potervi effettivamente metter piede), Gesù ha da fare i conti con una generazione che avrebbe commesso apostasia prima del 70 d.C., subendo da parte della bestia, Roma, un’enorme opposizione. Infatti, il versetto 21 dice che la bestia inizialmente avrebbe vinto la battaglia per un periodo di tempo: “Io guardavo e quello stesso corno faceva guerra ai santi e li vinceva”. E il versetto seguente, il 22, dice: “…finché giunse l’Antico di giorni e fu resa giustizia ai santi dell’Altissimo, e venne il tempo in cui i santi possedettero il regno”.

Prestate attenzione alla giusta successione degli eventi: Cristo eredita il regno, eppure ha luogo una tale persecuzione che la bestia prevale contro i santi. Prevale non vuol dire ovviamente che alla fine li sconfigge. Non in ogni periodo della storia, però, i santi hanno avuto la meglio nel confronto col nemico. Pensate un po’ alla generazione dei quarant’anni di vagabondaggio nel deserto – beh, quella gente non vinse molte battaglie. Gesù riprende questo motivo in Matteo 24 e predice una grande persecuzione che avrebbe quasi distrutto la chiesa prima del 70 d.C. E questo prevalere, questo vincere momentaneo da parte della bestia, descrive la tribolazione contro la chiesa iniziata nel 62 d.C., che si infiamma ulteriormente nel 64 d.C., in seguito all’incendio di Roma. Quando si arriva al 66 d.C., quindi, ai cristiani sembra che la chiesa stia in procinto di essere completamente sterminata. Questo è ciò che spinge Gesù a dire in Luca 18 (commentando proprio questo passaggio di Daniele 7 e mettendo in chiaro come il Giudice del cielo sia pronto a render giustizia ai suoi eletti che lo supplicano): “Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?” Qui Gesù non si riferisce alla Seconda venuta; sta parlando della celere e prossima venuta in giudizio (del 70 d.C.) su Israele e Roma. Il Signore Gesù promette un pronto giudizio da parte di Dio, purché la chiesa prenda sul serio il prerequisito di Daniele 7 di impegnarsi responsabilmente in un’azione legale, un procedimento giudiziario pattizio. Ma vi saranno persone sulla terra che con fede viva si faranno trovare pronte per questo? In ciò consiste la domanda posta da Gesù.

Ebbene, Daniele 7:25 descrive i tre anni e mezzo di persecuzione che Nerone scatena contro i cristiani dal 64 al 68 d.C., anno in cui l’imperatore muore. E in relazione a quella persecuzione, i versetti 26-27 parlano della causa giudiziaria pattizia di Dio. Vi leggiamo: “Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre. Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno”.

Notate, quindi, come a Cristo venga dato il regno quarant’anni prima, proprio come a Giosuè fu data Canaan quarant’anni prima del suo effettivo ingresso in quella terra. D’altra parte, l’epistola agli Ebrei presenta Giosuè proprio come un tipo di Gesù. Gesù e Giosuè sono anche praticamente lo stesso nome in ebraico. E proprio come Giosuè riuscì ad ottenere vittorie durante quei quarant’anni nel deserto, pure la chiesa conseguì conquiste che le permisero di avvicinarsi al Regno. Ma è solo nel 70 d.C. (quarant’anni dopo) che i santi cominciano ad entrare in concreto possesso dei loro beni. Roma viene data loro ed è destinata a diventare una nazione cristiana. Ai cristiani spettano quei loro beni. E il passo iniziale per arrivarvi è trascinare Roma nell’aula del tribunale del cielo facendo sì che venga giudicata e condannata. Andiamo dunque a leggere Daniele 7:9-10, dove ci viene illustrata la visione della scena del tribunale ripresa da Apocalisse:

Io continuai a guardare finché furono collocati troni e l’Antico di giorni si assise. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come lana pura; il suo trono era come fiamme di fuoco e le sue ruote come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scorreva, uscendo dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano e miriadi di miriadi stavano davanti a lui. La corte sedette e i libri furono aperti.

Notate come tutto il popolo di Dio sia coinvolto in questo procedimento giudiziario – non solamente i giudici e gli angeli, ma tutti i santi entrano in giudizio contro la bestia. Tutti i soggetti coinvolti arrivano ad accordo unanime. I versi successivi, l’11 e il 12, ci comunicano l’esito di questa azione:

Io guardavo ancora, a motivo delle parole arroganti che il corno pronunciava; guardai fino a quando la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto, gettato nel fuoco per essere arso. Le altre bestie furono private del loro potere; ma fu loro concesso un prolungamento di vita per un tempo determinato.

In altre parole, anche se Roma sia già stata giudicata in quell’occasione e sebbene la bestia demoniaca che uscì dall’abisso e possedé Nerone, Vespasiano e Tito, vi sia stata definitivamente ricacciata nel 70 d.C., la storia continua comunque a presentare ancora tutta una serie di regni bestiali, tutti meritevoli di subire lo stesso trattamento di Roma. Anche loro devono essere portati dalla chiesa davanti al tribunale celeste. Ecco spiegato il diffuso linguaggio giudiziario dell’Apocalisse. Ed ora siamo pronti ad analizzare questi aspetti giurisprudenziali più da vicino.

 

I personaggi che svolgono un ruolo nella corte celeste

In tutto il libro dell’Apocalisse abbiamo vari partecipanti in quest’aula di tribunale. Giovanni veste i panni del testimone, come già detto. Ma di testimoni profetici ne abbiamo anche altri due e li troviamo nel capitolo 11. Quando vi giungeremo ne approfondiremo le figure: si tratta, comunque, degli ultimi dei profeti – quelli con i quali la rivelazione ispirata va a chiudersi definitivamente. Anche loro partecipano a questa causa legale, focalizzando la loro azione particolarmente su Israele.

Ma non abbiamo solo profeti. Anche i santi presentano la loro testimonianza in tribunale davanti al trono di Dio nel capitolo 6:9, 12:11 e 17. Il libro dell’Apocalisse presenta anche giudici, querelanti, imputati, pubblici ministeri e angeli, con questi ultimi che applicano le pene.

È davvero un libro fantastico se lo si guarda in termini di linguaggio giuridico, con Daniele 7 sullo sfondo. E sarebbe una buona idea quella di leggerlo almeno una volta proprio da questa prospettiva particolare. Al lettore del I secolo, infatti, sarebbe stato immediatamente presente l’aspetto prettamente giuridico e come nel suo insieme il libro fosse un resoconto di almeno uno o forse più casi giudiziari. Ma man mano che avanziamo nello studio del libro cominceremo a renderci conto di come la chiesa di tutte le epoche sia chiamata a perseguire i casi esattamente nello stesso modo in cui lo faceva quella del I secolo. Questo è un libro che ci istruisce su cosa dobbiamo fare durante i nostri momenti di persecuzione e difficoltà.

 

Definizione di μαρτυρέω (martyréo) e termini correlati (μαρτυρία, μαρτυρέω, μαρτύριον, διαμαρτύρομαι, καταμαρτυρέω, συμμαρ τυρέω, ψευδομαρτυρέω, ψευδομαρτυρία, ψευδόμαρτυς)

Ma facciamo adesso un passo indietro e definiamo la parola greca per “testimone”. In generale, tendiamo ad usare la parola testimonianza in relazione all’evangelizzazione, ma la parola greca non ha nulla a che fare con ciò. Il termine è μαρτυρέω (martyréo) e tutti i nomi e i verbi correlati trattano tutti della drammatica scena in tribunale. μαρτυρία (martyría) è la testimonianza in tribunale; μαρτυρέω (martyréo) significa testimoniare; μαρτύριον (martýrion) è la prova presentata alla corte; διαμαρτύρομαι (diamartýromé) è l’accusa solenne o l’abiura data a un testimone; καταμαρτυρέω (katamartyró) è la testimonianza o le accuse portate contro qualcuno; συμμαρτυρέω (symmartyréo) è l’opposto, ovvero la testimonianza a sostegno di un imputato; ψευδομαρτυρέω (psevdomartyréo) sta per rendere falsa testimonianza in tribunale; anche ψευδομαρτυρία (psevdomartyría) e ψευδόμαρτυς (psevdómartys) si riferiscono a falsi testimoni. La parola μαρτυρέω (martyréo) è chiaramente al centro di tutte le altre. Sono tutte correlate. Per quanto riguarda la definizione greca classica di questi termini, il The New International Dictionary of New Testament Theology dice: “La collocazione originale del gruppo di parole nel mondo greco è chiaramente la sfera giuridica. I testimoni sembrano portare prove in un processo riguardo ad eventi ormai passati… o vengono convocati come cosiddetti testimoni formali per fornire prove per il futuro, per transazioni legali…”[3].

È chiaramente una parola da aula di tribunale. Qualcuno potrebbe però obiettare: “Sì, va beh, ma le parole cambiano di significato nel tempo”. Questo è vero, ma il dizionario appena menzionato, con un saggio specifico dedicato a questo gruppo di parole, mostra come in realtà il significato sia rimasto piuttosto inalterato e costante nel tempo: sottolinea come la Septuaginta usi i termini esattamente allo stesso modo dei greci classici[4]. Essi presentano lo stesso significato nel Nuovo Testamento e specialmente negli scritti dell’apostolo Giovanni. Vi leggo il riassunto dell’opera in questione sull’utilizzo di questo termine, martyréo, nel Vangelo di Giovanni. Vi si dice:

Il Quarto Vangelo fornisce lo scenario per una delle più durature controversie nel Nuovo Testamento. Qui Gesù è in causa con il mondo. I suoi testimoni includono Giovanni Battista, le Scritture, le parole e le opere di Cristo, e più tardi la testimonianza degli apostoli e dello Spirito Santo. A loro si oppone il mondo, rappresentato dagli ebrei non credenti. Giovanni ha una causa da presentare, e per questo avanza argomentazioni, pone questioni giuridiche e presenta testimoni alla maniera della Grande Assemblea dell’Antico Testamento[5].

In altre parole, lo stesso Vangelo di Giovanni rientra nel contesto dell’azione legale intentata contro Israele per violazioni pattizie della Parola. Anche se è soprattutto nell’Apocalisse che poi si vede all’opera il tribunale di Dio.

 

Le entità sotto accusa nell’aula del tribunale di Dio

Cristo è il querelante che porta le accuse e ci sono almeno tre entità che vengono processate davanti al tribunale di Dio. Non si tratta solo di Israele, come sostenuto da alcuni preteristi integrali.

Lasciate che vi presenti alcuni degli imputati. Nei capitoli 2 e 3 vediamo che le chiese di Smirne e Filadelfia vengono scagionate dalle accuse in sede di giudizio; mentre le altre cinque chiese vengono dichiarate colpevoli e hanno da pagare un risarcimento. Nel capitolo 2, al verso 5, ad esempio, vediamo come ad Efeso venga detto di ravvedersi e compiere restituzione: “…ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò da te e rimoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi”. Le sette lettere sono difatti da intendersi come sette cause legali contro le chiese, i cui esiti le vedono alla fine parzialmente sollevate dalle accuse, con Smirne e Filadelfia dichiarate nella legge e, quindi, completamente scagionate da ogni capo d’accusa.

Le chiese non sono le uniche ad essere andate alla sbarra. Anche alcuni individui e gruppi di persone appaiono in tribunale come imputati. Per esempio, Dio mette sotto accusa i Nicolaiti, in Apocalisse 2:15, e Iezabel, nei versetti da 20 a 23 (profetessa della città di Tiatira, accusata di indurre i membri della chiesa locale a sacrificare agli idoli e a commettere atti impuri). Tra l’altro, nel capitolo 2:2 vediamo Dio lodare la chiesa di Efeso per aver intentato in maniera corretta e responsabile una causa pattizia contro alcuni falsi apostoli. Questo ci dà un piccolo quadro di tutto ciò che ha a che fare col metter su azioni legali per violazioni pattizie della Parola di Dio. Come visto, il tribunale di Dio emette giudizi contro individui, gruppi di individui e intere chiese di una regione.

(E giunti a questo punto le cose inizierebbero a farsi parecchio interessanti anche in termini di risoluzione del dibattito generale sulla Teonomia. Ma su questo punto faremo qualche accenno più in là).

Dio, inoltre, muove accuse anche contro le nazioni. Nei capitoli dal 4 al 19 vediamo esposta l’azione legale di Dio sia contro Israele che contro Roma. Noi inizieremo con l’esaminare quella mossa contro Israele.

Poiché Israele si rifiuta ripetutamente di compiere pentimento, i verdetti giuridici a suo carico continuano ad accumularsi uno dopo l’altro, finché alla fine non viene condannato a morte (in quanto recidivo) – sentenza questa messa in atto nel 70 d.C. con la definitiva conquista e distruzione di Gerusalemme. Ora, tutti concordano sul fatto di come le azioni legali dei profeti dell’Antico Testamento fossero mosse al fine di rimproverare e richiamare Israele alle proprie responsabilità pattizie a causa delle sue continue violazioni della legge di Dio. Ebbene, se pure l’Apocalisse è da vedersi come un’azione legale contro Israele, proprio sul preciso modello di quelle del Vecchio Testamento, allora ne deriverebbe che Dio ritiene la condotta di Israele ancora vincolata alla sua legge.

Esamineremo l’esatta struttura di questa porzione del libro più avanti nel corso della serie, ma l’Apocalisse, dal capitolo 6 all’11 e dal capitolo 16 al 19, segue il medesimo schema di Levitico 26, secondo cui quando Israele si mostra impenitente, Dio interviene castigandolo “sette volte di più”. E se con ciò non si addiviene ancora a nessun pentimento, allora egli interviene nuovamente castigandolo “sette volte di più”. Dio ripete ciò per ben quattro volte. E pure nell’Apocalisse abbiamo quattro giudizi, ognuno dei quali peggiora “sette volte di più”. Dopo ognuno di essi Dio dà l’opportunità di pentirsi; quando pentimento non c’è, procede con ulteriori giudizi.

Quindi, contrariamente alla “teoria ricapitolazionista”, che vede sette immagini della stessa cosa ripetersi nel libro sempre uguali, Apocalisse, nella sua prima metà, mostra invece degli sviluppi, dei progressi caratterizzati da un visibile climax per quel che concerne l’intensità degli avvenimenti. E la stessa cosa è possibile affermare pure per gli avvenimenti descritti nella seconda metà del libro. I ricapitolazionisti affermano come, in realtà, i sigilli, le trombe e le coppe descrivano esattamente la stessa cosa, perché presentano tutti la distruzione del mare, della terra, del cielo, ecc. Ciò è, però, inesatto: con i sette sigilli del capitolo 6 viene distrutto 1/4 di ciascuna di quelle cose; con le sette trombe 1/3 di esse; con le sette coppe segue un giudizio ancora peggiore – quindi, con un evidente accrescimento dell’intensità del castigo; con le sette condanne dei capitoli 16 e 17 viene raggiunta, infine, una distruzione totale – al 100%. Senza dubbi questo è uno schema che ricalca quello delle cause legali pattizie di Levitico 26. Notare questa gradazione ascendente, questo aumento di intensità dei castighi, è ciò che mi ha fatto abbandonare qualsiasi schema ricapitolazionista. Oggi come oggi non condivido nemmeno più la visione ciclica di Ken Gentry. Per me, per quel che riguarda i fatti descritti in questi capitoli e avvenuti nella storia del I secolo, è visibile un evidente progresso lineare.

Passiamo ora alla descrizione dell’aula del tribunale che emette queste sentenze. È qualcosa di incredibilmente maestoso. Giovanni viene convocato a testimoniare in aula nel capitolo 4 e mentre inizia a dare la propria descrizione di questo ambiente, beh, si ha subito una chiara impressione di come si tratti di un’istituzione da temere e riverire profondamente. Il Padre è rappresentato come l’Antico di Giorni, tremendo in maestà; lo Spirito Santo come Persona capace di scrutare dentro ogni cuore umano e dal cui sguardo nessuno può sfuggire; gli ufficiali giudiziari e le guardie hanno sembianze semplicemente spaventose; e ci sono milioni di angeli guerrieri pronti ad agire impetuosamente non appena la corte lo permetterà. Insomma, si tratta di una scena che incute gran timore e inquietudine: meglio non essere dichiarati colpevoli davanti a questo tribunale!

Ma, nel capitolo 5, ecco apparire l’Agnello di Dio, la nostra salvezza. In Gesù solamente abbiamo garantita piena sicurezza avendo Egli preso il nostro posto ed essendo stato Egli immolato per noi. Gesù entra nell’aula a nome dei suoi eletti. Il nostro pentimento e l’implorazione del sangue di Cristo rappresentano la nostra unica garanzia di sicurezza davanti a quel tremendo tribunale e ai giusti giudizi divini. Questo è il messaggio di cui il mondo ha ancora disperatamente bisogno!

Come già menzionato, l’attenzione della corte nei capitoli 6-11 è rivolta principalmente verso Israele (sebbene venga menzionata anche Roma). Nei capitoli 13-19, invece, è sostanzialmente Roma ad essere al centro dell’attenzione (sebbene la condanna, ossia la distruzione di Israele, sia ancora ben visibile sullo sfondo). Quindi, diversamente da quanto fanno alcuni preteristi, non è davvero possibile dividere nettamente queste due sezioni. Insomma, è come se i due procedimenti giudiziari si sviluppassero in maniera parallela, intersecandosi tra loro.

Eccovi dunque illustrata quella che è la mia panoramica delle questioni relative alle azioni legali sulle quali è imperniato il libro dell’Apocalisse. Come visto, è μαρτυρέω (martyréo) a suggerirci di leggere fin da subito questi scritti nei termini di un vero e proprio dramma giudiziario – insomma, come se fossero degli importanti atti giudiziari. In ciò consiste il nostro dodicesimo presupposto.

Prima di concludere questo sermone, vorrei però lasciarvi anche sette implicazioni pratiche del principio appena esposto.

 

Sette implicazioni pratiche del principio n. 12

1) Nell’era del Nuovo Patto le nazioni sono soggette alla giurisdizione del tribunale divino.

Devo dire come, in realtà, sia cosa piuttosto triste che un tale verità – tanto ovvia – necessiti di essere ribadita. Purtroppo, la stragrande maggioranza dei cristiani occidentali di oggi si comporta come se Dio non emettesse giudizi nella storia. E, in particolare, come se non giudicasse le nazioni. Beh, questa è ​​un’idea non biblica e pertanto semplicemente assurda. Molti commentatori moderni presumono che Dio aspetti fino alla Seconda venuta (quindi fino alla fine della storia) per esercitare finalmente le proprie facoltà di giudice facendo valere la propria signoria e giurisdizione. Che dire, mi spiace, ma nulla potrebbe essere più lontano dalla realtà.

Considerate questo: ogni procedimento giudiziario per infrazioni pattizie implica come i soggetti citati in giudizio rientrino nella particolare giurisdizione del tribunale celeste e siano, quindi, sottoposti al potere di quel tribunale. Bene, in questo libro abbiamo visto come non vengano celebrati processi esclusivamente contro individui, gruppi di persone e chiese; ma – a prescindere dalla particolare interpretazione che si può avere dei capitoli dal 6° al 19° – è chiaro come pure almeno due nazioni vengano giudicate nella storia. Quindi, un’enorme prima implicazione, oggi largamente ignorata, è che le nazioni non sono esenti dai giudizi storici di Dio, ma rientrano pienamente sotto la ysua santa giurisdizione: vale a dire sono vincolate alla Legge di Dio. Le loro azioni vengono dunque giudicate secondo lo standard rappresentato dal santo codice divino. Quindi, diversamente da quanto alcuni vogliono dare ad intendere, il tribunale celeste non può ignorare e non ignora ciò che sta accadendo sulla terra tra le nazioni da duemila anni a questa parte. Il nostro approccio conseguentemente non può che essere teonomico: dobbiamo far sì che la legge di Dio impatti ed incida sulla nostra cultura se vogliamo essere fedeli al messaggio di questo libro.

 

2) I soggetti citati in giudizio già esistevano e avevano già commesso i reati rappresentati nei capi di imputazione.

Ma che significa ciò in realtà? Beh, il punto vuole semplicemente indicare come al fine di poter apprezzare l’intera portata del principio n. 12 (vale a dire considerare il contenuto del libro come un’azione legale mossa contro la chiesa, Israele e Roma per violazioni pattizie) sia indispensabile applicare un’interpretazione preterista almeno dei primi 19 capitoli del libro – quelli che, tra l’altro, contengono la maggior parte delle scene e del linguaggio giuridico. Assumendo, invece, un punto di vista interpretativo futurista, in particolar modo sui capitoli dal 6° al 19°, allora sarebbe come se gli imputati dei processi dell’Apocalisse fossero tutti soggetti ancora non apparsi nella storia; si tratterebbe, quindi, di imputatati “teorici” (nel senso di non ancora esistenti, dunque virtuali) e di loro incriminazioni e sentenze altrettanto “teoriche”.

Ciò non ha precedenti nelle profezie dell’Antico Testamento. Portare a giudizio e condannare un soggetto prima che questo compi effettivamente infrazioni e crimini non rientra nel modus operandi dell’azione profetica veterotestamentaria. Secondo quel modello è certamente possibile profetizzare, predire eventi futuri, ma non anticipare processi e condanne di violazioni ancora non commesse. Giovanni è un testimone giudiziale, un testimone oculare dei crimini di Isreale e Roma. Anche i due profeti che servono come testimoni nel capitolo 11 sono in vita a quel tempo (cioè, negli anni precedenti la distruzione del tempio). Le azioni legali dell’Apocalisse, sulla scorta di quelle del Vecchio Testamento, sono dunque da vedersi come intentate contro soggetti non di un futuro prossimo ma già esistenti nel I secolo, quando il tempio è ancora in piedi in quel di Gerusalemme. Ecco spiegata l’impossibilità di leggere questa grande porzione del libro con un approccio futurista.

Naturalmente, quanto detto è anche in totale accordo con il principio n. 8, quello dell’imminenza. Il versetto 1 dice che i fatti sui quali Giovanni viene chiamato a testimoniare in tribunale devono accadere presto. Ricordiamo: non l’interezza degli scritti dell’Apocalisse hanno a che fare con quello che abbiamo denominato il “dramma giudiziario”; tuttavia, le parti che vi fanno riferimento trattano di cose che sarebbero accadute presto – di lì a poco. Il versetto 3 dice: “…il tempo è vicino”.

Era davvero vicino? Sì, lo era: parliamo di eventi che hanno iniziato a verificarsi nel giro di alcune settimane o, comunque, mesi dal momento della stesura di questi scritti. Vedremo che la precisa punizione inflitta dal tribunale celeste contro le nazioni di Israele e Roma viene attuata nei minimi dettagli. Dio promette di uccidere la bestia, Roma, e poi di farla rivivere dopo un certo periodo di tempo. Ed è proprio ciò che accadde. Quando Nerone muore il 9 giugno del 68 d.C., si può dire che l’Impero romano muore con lui, perché va incontro a lotte intestine che ne causano una spaccatura in tre parti. E gli storici romani scrivono abbondantemente di quella che percepiscono come la morte e la resurrezione dell’Impero. Nelle loro cronache si legge di come, in realtà, non si aspettassero di un “ritorno” di Roma. Era da un anno e mezzo che l’Impero era stato dato per morto. La sua unità sembrava oramai essersi dissolta. Poi, però, Vespasiano riesce a sconfiggere gli eserciti delle fazioni rivali, con l’aiuto di suo figlio Tito, venendo così dichiarato imperatore il 21 dicembre del 69 d.C., vale a dire un anno e mezzo dopo la morte di Nerone. Ma ciò che accade durante quel lasso di tempo è un severissimo castigo per Roma – un tempo di estremi, tra carestie, pestilenze, guerre e morte. Allo stesso modo, anche Israele viene giudicato nella guerra dei sette anni, dal 66 al 73 d.C.

Capite bene come questi siano da intendere come i giudizi del tribunale di Dio emessi ed attuati nella storia del I secolo. Dio non aspetta la fine della storia per indossare la toga da magistrato. Il modello delle cause legali per infrazioni pattizie, come individuabile in tutta la Bibbia, non contempla imputati che faranno la loro comparsa solamente in un lontano futuro e dibattimenti di loro presupposti crimini virtuali, no; alla sbarra ci vanno soggetti ed entità che hanno già calcato il palcoscenico della storia e che già si sono macchiati di crimini contro la legge di Dio.

 

3) Avere in questo libro dei modelli storici esemplari di cause legali pattizie di una tale importanza può essere per noi di grande aiuto quando siamo chiamati a nostra volta ad interpretare e sbrogliare questioni controverse simili.

Apocalisse rende chiaro come il tribunale celeste sia già adesso nella storia abbondantemente operativo e noi ne possiamo osservare il modus operandi apprendendone il sistema giurisprudenziale.

In molti, quando messi davanti al fatto di come la maggior parte delle profezie del libro riguardino il passato (secondo, quindi, l’interpretazione del preterismo parziale), reagiscono contrariati indicando come in tal modo Apocalisse appaia loro diventare irrilevante per i credenti moderni. Ma questa è una critica insensata. Questi stessi commentatori credono forse che i profeti veterotestamentari siano oggi irrilevanti semplicemente perché la maggior parte delle loro profezie avevano trovato completa realizzazione già ai tempi dell’Antico Testamento? Ovviamente no. In effetti, è proprio l’adempimento fino al più minimo dei dettagli di tali profezie a rendercele tanto rilevanti per la nostra vita.

Difatti, comprendere come Dio sia stato sempre fedele alla sua parola fin dai tempi passati, ci rende fiduciosi di come Egli continuerà ad essere fedele anche oggi. Quando osserviamo Dio, il giusto giudice della storia, intervenire fedelmente nei procedimenti giudiziari del passato, possiamo allora essere fiduciosi di come lo farà anche oggi, nella nostra storia. Ovviamente, la rilevanza del libro che stiamo esaminando non si limita a questo solamente: è data da ancora tante altre applicazioni pratiche. Ma questo è un punto che voglio evidenziare ancora una volta: l’Apocalisse fornisce una chiara teologia su come i santi di oggi possano e debbano ancora impegnarsi in azioni legali contro individui, gruppi, chiese e nazioni.

 

4) Poiché le dinamiche giurisprudenziali di cui abbiamo parlato si basano sulla legge di Dio, allora questo è un libro che si pone contro l’antinomismo.

Come vedremo più da vicino la prossima volta, l’esercizio della giurisdizione da parte della corte del tribunale celeste e, quindi, anche tutte le azioni legali pattizie sono vincolate al codice della legge di Dio. Ebbene, se però – come oggi è purtroppo usuale in molti circoli evangelici – si considera la legge di Dio non più valida, ne deriva allora come tutta questa storia del “dramma giudiziario” dell’Apocalisse e delle sue cause legali pattizie non avrebbe più ragione d’essere. Il tribunale, le cause e la legge sono elementi che necessariamente vanno insieme formando un sistema compatto e coerente. Difatti, gli unici casi che la corte celeste prende in considerazione sono quelli in cui si riscontrano esplicite violazioni delle leggi di Dio. La legge di Dio è la base di tutto ciò che viene fatto in tribunale. Nessun altro standard di giudizio è ammissibile: essere trovati nella legge o al di fuori d’essa è il criterio fondamentale. Permettetemi di presentarvi rapidamente tre esempi di quanto appena affermato:

In Apocalisse 12:17 leggiamo: “Il dragone allora si adirò contro la donna e se ne andò a far guerra col resto della progenie di lei, che custodisce i comandamenti di Dio ed ha la testimonianza di Gesù Cristo”.

Osservate lo stretto legame tra la testimonianza in tribunale (μαρτυρίαν, martyrían) e l’osservanza dei comandamenti di Dio.

Apocalisse 14:12 dice: “Qui è la costanza dei santi; qui sono coloro che osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù”.

Qual è il contesto di questo verso? Il contesto immediato è il giudizio che Dio effonde sui Suoi avversari in risposta alle petizioni formulate da parte della chiesa. Gli incredibili giudizi di questo capitolo scagionano in maniera completa i santi di Cristo, ovvero coloro che osservano i suoi comandamenti e hanno fede in lui.

Leggiamo adesso Apocalisse 22, versi 14 e 15: “Beati coloro che adempiono i suoi comandamenti per avere diritto all’albero della vita, e per entrare per le porte nella città. Fuori i cani, i maghi, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna”.

Non è solo la grazia di Dio a dividere tra chi è dentro e chi è fuori; la legge di Dio divide tra coloro che sono dentro e coloro che sono fuori. All’interno della Nuova Gerusalemme ci sono coloro che mettono in pratica i suoi comandamenti; fuori dalla città ci sono coloro che infrangono i comandamenti di Dio. Insomma, l’Apocalisse chiarisce in maniera decisiva come e quanto la legge di Dio continui ad essere rilevante nel Nuova Patto.

Se quest’ultimo libro della Bibbia è un libro che ci parla di procedimenti giudiziari, allora la legge di Dio continua necessariamente ad essere vincolante per tutti gli individui, gruppi, chiese e nazioni. Beh, ciò significa, però, che la chiesa moderna, quando decide di non prestare attenzione a questa legge, si mette davvero in grossi guai.

Dato l’anomismo o, peggio, l’antinomismo di gran parte della chiesa d’oggi, beh, come potrebbe sorprenderci la mancanza di efficacia d’azione della stessa in questo secolo? Quando le nostre denunce contro gli atti usurpatori del governo civile, come pure di qualsiasi altro avversario, non verranno formulate in base al codice della sua perfetta legge, allora a Dio non rimarrà altro che rigettare le nostre petizioni e i nostri casi.

Le dinamiche giurisprudenziali dell’Apocalisse richiedono necessariamente un impianto teonomico; altrimenti, se affrontate con approccio antinomico, perdono inevitabilmente qualsiasi coerenza, fondamento e ragione d’essere.

 

5) Non è sufficiente che una nazione si (auto)dichiari “sotto Dio”: è il suo carattere ad essere giudicato e a doverne dare prova.

Se Israele dovette comparire come imputato in tribunale subendo un severo giudizio di condanna, nonostante affermasse di continuo e convintamente di essere “una nazione sotto Dio”, beh, allora lo stesso destino può riguardare benissimo anche l’America col suo Pledge of Allegiance (il celebre “giuramento di fedeltà” alla bandiera, pronunciato per l’appunto “sotto Dio/al Suo cospetto). Se gli antichi farisei avessero avuto la canzone God Bless America, l’avrebbero certamente cantata a squarciagola (sostituendo “America” con “Israele” ovviamente). Ma Dio non benedice la ribellione, non importa in quanta professione di fedeltà possiamo impegnarci.

Non è la professione di lealtà o fedeltà a Dio che conta, ma evidentemente la sostanza stessa di questa lealtà. E la nostra nazione è tutt’altro che leale a Dio. Ha abbandonato i vincoli di Cristo molto tempo prima che io nascessi. E ciò che è peggio è che oggi ai cristiani del paese ciò non sembra importare più di tanto: la loro è una fede sostanzialmente privata, che riguarda il cuore dell’uomo soltanto; non sembrano pensare che la legge di Dio debba essere nuovamente applicata nella sfera civica. Non c’è da stupirsi, quindi, che la cristianità continui a perdere inesorabilmente terreno. Nel 1973, ad esempio, la Corte Suprema decise come Dio aveva torto riguardo all’aborto e adesso quella stessa Corte vorrebbe dar torto a Dio anche per quel che concerne l’omosessualità. Beh, che dire, siamo in guai seri. Il libro dell’Apocalisse mostra chiaramente come l’America finisca in tal modo per attirare su di sé l’inevitabile ira di Dio.

E la verità è che dobbiamo assolutamente prepararci a vivere i tremendi ed inevitabili tempi di giudizio che ci attendono. E possiamo far ciò, tra l’altro, supplicando Dio di concederci la sua protezione. Di come godere di questa preziosa protezione, possiamo leggere del “segno sulla fronte” di coloro che osservano i comandamenti di Dio in Apocalisse 7.

Ma se siamo tra coloro che persistono nell’ignorare la necessità di giudizio e se non riusciamo a nasconderci e a metter su piani correttivi di emergenza, allora evidentemente siamo noi stessi parte del problema. Non dobbiamo dare per scontato che l’America, come pure qualsiasi altra nazione, possa essere esente dal giudizio divino. Questa era anche l’errata supposizione fatta da Israele. E quando Nerone morì, gli israeliti pensarono che Dio li stesse liberando e ciò li spinse a combattere Roma in maniera ancora più dura, fino a soccombere disastrosamente. Essere una “nazione sotto Dio” è uno slogan vuoto se non siamo una nazione fedele al Patto. In God we trust (“confidiamo in Dio”) diventa così un’affermazione a dir poco blasfema. Siamo diventati una nazione pagana e siamo ormai pronti a subire il giudizio divino. Ma sono convinto che la chiesa sulla terra debba assolutamente giungere ad accordo con Dio. E ciò si può fare solo in un modo: dichiarando che Cristo è il nostro Re e che la sua legge è la nostra legge.

 

6) Se anche la pagana Roma dovette andare alla sbarra in una causa legale per violazioni del patto, allora lo stesso vale per qualsiasi nazione pagana oggi.

Approfitto di questo punto per chiarire qualcosa: noi dobbiamo rifiutare con determinazione ogni strana teologia tendente all’espressione di un qualsivoglia esclusivismo nazionalistico. È, per esempio, semplicemente qualcosa di inaccettabile ritenere l’America il “nuovo Israele di Dio” – come pure si è tende fare in alcuni circoli. Il fatto è che, in realtà, neppure importa se l’America una volta sia effettivamente stata una nazione cristiana (come Israele) oppure pagana (come Roma). Al tribunale divino semplicemente non ci si può sottrarre. Il libro dell’Apocalisse mette in chiaro come le cause legali pattizie nella storia siano qualcosa di inevitabile per chiunque. In effetti, leggendo la storia con questo principio in mente, si iniziano a scorgere negli avvenimenti riguardanti la vita delle nazioni negli ultimi duemila anni tutta una serie di interventi, verdetti e giudizi divini efficacemente emessi ed applicati. Dio è il Signore della storia.

Dio giudica le nazioni nella storia!

Ora, i pagani oggi potrebbero pensare di non aver stretto proprio alcun patto con Dio. La verità è, però, che anch’essi sono in un patto con l’Eterno: a tutte le nazioni viene imputata, infatti, la colpa del patto infranto da Adamo, a meno che non riconoscano e dichiarino Cristo, capo del Nuovo Patto, come loro Signore. Inoltre, tutte le nazioni sono soggette al patto di Noè, che tra l’altro prevede la pena capitale per l’omicidio in tutte le nazioni. E quante sono le giurisdizioni che oggigiorno si rifiutano di usare la spada come Dio comanda per fermare e scoraggiare il male? Beh, sempre di meno purtroppo.

Insomma, il punto è che non c’è nazione che abbia il diritto di sottrarsi dall’apparire alla sbarra del tribunale celeste per infrazioni pattizie. Considerate Levitico 18: vi viene affermato come i Cananei furono espulsi dal paese a causa delle loro violazioni della legge di Dio (comprese le gravi perversioni sessuali che stanno cominciando a prendere il sopravvento anche in tutto l’Occidente). Ebbene, da ciò capiamo come pure quelle genti fossero soggette alla legge di Dio e, conseguentemente, alla giurisdizione del tribunale di Dio tanto quanto Israele. Dio richiedeva ai Cananei di inchinarsi davanti alla sua legge oppure, in caso contrario, di subirne le conseguenze. E secondo Deuteronomio 2, la stessa cosa aveva riguardato anche le nazioni alle quali i Cananei avevano precedentemente tolto la terra. Anche quelle dovettero subire il giusto castigo divino per violazione della legge di Dio.

Non dobbiamo, quindi, pensare che i procedimenti e le azioni legali pattizie siano qualcosa che riguardino esclusivamente Israele in quanto popolo di Dio. Questa è un’eresia moderna, uno dei maggiori motivi per la mancanza di efficacia d’azione della Chiesa nella guerra per la cultura. Le leggi di Dio sono valide per tutte le nazioni; sono valide non solamente per l’ambito ecclesiastico, quindi per la comunità dei credenti, ma pure per le comunità civili. E l’Apocalisse ha molto da dirci a tal proposito. Nel corso della serie vorrei fornirvi ulteriori applicazioni pratiche per la vita pubblica della nostra nazione.

 

7) La chiesa deve essere ancora una volta spronata ad avere fede (Luca 18:1-8).

Concludiamo considerando un’importante esortazione di nostro Signore in Luca 18. Gesù stesso in questo passaggio ci chiama ad aver fede per affrontare quello che dev’essere il nostro impegno giuridico nell’imbastire azioni legali pattizie. E questo è qualcosa su cui vorrei che gli anziani e le comunità cominciassero seriamente e responsabilmente a discutere.

Prima di andare a leggere Luca 18, prendiamo visione – nel contesto della guerra del 70 d.C. – di alcuni versetti del capitolo precedente. Tra l’altro, questo è un capitolo in cui sono individuabili numerosi indizi di come Gesù stia spiegando Daniele 7. Non avremo tempo per discuterne. Per adesso, notate semplicemente come l’uso dell’espressione “Figlio dell’uomo”, relativamente alla “venuta”, ne sia una prova evidente.

Iniziamo, quindi, leggendo Luca 17:30. Vi viene detto: “Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà”.

Questa non è la venuta di Gesù dal cielo sulla terra, ma semplicemente l’apokalupsis (la rivelazione) di Cristo e dei suoi eserciti nel cielo – un evento che sia i cronisti romani che quelli ebrei confermarono accadde durante la guerra contro Gerusalemme. Ogni occhio vide Cristo venire nel cielo con tutti i suoi eserciti angelici. Non venne sulla terra ma si rivelò in cielo. E credo che fu allora che ebbe luogo la battaglia di Apocalisse 12 tra Michele e i suoi angeli e Satana e i suoi – nel 66 d.C., all’inizio della prima guerra giudaica. Ed è proprio allora che gli storici datano queste apparizioni degli eserciti celesti: nel 66 d.C. In ogni caso, proseguiamo adesso con il versetto seguente.

In Luca 17:31 leggiamo: “In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro”.

Alla Seconda venuta – alla fine della storia, quindi – non ci sarà né tempo né bisogno alcuno per tornare a casa e fare le valigie per partire. Sarà un evento immediato ed improvviso. Il verso, difatti, non descrive la Seconda venuta, bensì la venuta di Cristo in giudizio su Israele, un giudizio dispiegatosi tra il 66 e il 73 d.C. ad opera degli eserciti romani che lo distrussero. Continuiamo con Luca 17:32-36.

Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà. Vi dico: in quella notte due si troveranno in un letto: l’uno verrà preso e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà presa e l’altra lasciata; [due uomini saranno nei campi; l’uno sarà preso e l’altro lasciato].

Questi versetti non hanno nulla a che fare con il rapimento. Si riferiscono, invece, ai primi scontri che si ebbero nel paese al momento dell’arrivo dei romani e alle vittime degli stessi; coloro che vengono “presi”, contrapposti ai “lasciati”, sono da intendersi come coloro che finiscono ammazzati da parte dei soldati romani, i quali inizialmente miravano a lanciare semplicemente un avvertimento al resto della popolazione. E se i cristiani non fossero stati preventivamente avvisati da Gesù e non fossero fuggiti, allora non sarebbero sopravvissuti.

In Luca 17:37 leggiamo: “I discepoli risposero: «Dove sarà, Signore?» Ed egli disse loro: «Dove sarà il corpo, là pure si raduneranno le aquile»”. Le aquile erano il simbolo di Roma. Il simbolo dell’aquila era visibile sui loro stendardi. E le aquile romane sarebbero state presenti ovunque si trovasse il corpo di Israele: ogni parte del paese sarebbe stata “consumata” da Roma, Gerusalemme inclusa.

Ma ora Gesù racconta loro una parabola con l’obiettivo di incoraggiarli, così che non si perdano d’animo a causa dei tremendi tempi che li aspettano. Anzi, il Signore desidera, in realtà, che i suoi discepoli abbiano fiducia e determinazione a sufficienza per trascinare caparbiamente i loro nemici davanti al tribunale del cielo. Leggiamo Luca 18, dal verso 1 all’8:

Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: «In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: “Rendimi giustizia sul mio avversario”. Egli per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: “Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa”». Il Signore disse: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?».

Come già menzionato, l’unico passaggio nell’Antico Testamento che parla della venuta del Figlio dell’uomo è Daniele 7. Questo brano parla della sua venuta “fino all’Antico di giorni” (che è la sua ascensione) e parla della sua venuta in giudizio su Israele e Roma. Poiché Daniele 7 profetizza di come i santi sarebbero stati perseguitati e sconfitti, quella di Gesù non è dunque una domanda fine a sé stessa; Egli, infatti, chiede: “Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?”

Potreste rispondere dicendo: “Certo, dopo tutto in Apocalisse 7 si vede un’immensa folla che nessuno può contare. E dato che tutto ciò pare avvenire nel 66 d.C. e che Paolo, secondo alcuni, fosse convinto di come il Vangelo avesse a quel tempo già raggiunto tutto il mondo, allora è certamente pensabile che un gran numero di persone si fosse davvero convertito a Cristo”.

Beh, sì, tutto vero.

Ma leggendo la seconda metà di Apocalisse 7, vedreste come in quella scena l’immensa folla (che nessuno poteva contare – proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue) si trovi davanti al trono di Dio. Quindi, già passata a miglior vita: erano stati tutti ferocemente perseguitati e martirizzati – anche se alla fine ogni loro lacrima era stata asciugata. Apocalisse 7, infatti, ci presenta una vasta moltitudine di martiri del I secolo, reduci da una grande tribolazione ed unitisi ai milioni di altri santi che li avevano preceduti in cielo.

Il Signore con quella sua domanda non stava chiedendo dunque se la chiesa sarebbe cresciuta. Quella era una prospettiva semplicemente certa. Gesù si stava, invece, chiedendo: “Ci saranno dei sopravvissuti che con fede si mostreranno determinati nel trascinare i propri avversari nel tribunale di Dio, impegnandosi in azioni legali contro di loro?” Molto più tardi Gesù darà la risposta a questa domanda in Matteo 24:21-22, dicendo: “…perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. Se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a motivo degli eletti, quei giorni saranno abbreviati”.

Nel passato pensavo che questo brano si riferisse alla distruzione degli ebrei. Adesso mi è chiaro come, invece, si tratti dell’eliminazione dei cristiani in tutto l’Impero romano – principalmente tra il 64 e il 68 d.C. (anche se tecnicamente la persecuzioni ebbero inizio nel 62 d.C.).

Comunque, dei superstiti vi sarebbero stati, visto che il tentativo di Nerone di sterminare la chiesa si interruppe con la sua morte il 9 giugno del 68 d.C. In Apocalisse 8 troviamo infine la risposta diretta alla domanda di Gesù: “Sì, ci saranno alcune persone pronte ad impegnarsi nei procedimenti giudiziari, a formulare e porgere petizioni presso la corte celeste”. E mentre il fumo della loro preghiera collettiva sale al trono, Dio risponde, e ci sono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto, e gli angeli cominciano ad uscire al suono delle trombe e cominciano a riversare i giudizi sulla terra d’Israele. E questo porta anche alla morte di Nerone, di cui ho appena parlato.

Quindi, anche se i santi e la loro fede furono quasi del tutto eliminati per la persecuzione ebraica e romana nel 66 d.C., Dio assicurò che ci sarebbe stata in ogni caso ancora una rappresentanza tale capace di avanzare la propria istanza presso la corte di giustizia celeste e portare la propria causa legale pattizia davanti alla sala del trono di Dio. E Dio risponde prontamente distruggendo Israele, uccidendo Nerone, destabilizzando l’Impero e dando nel frattempo ossigeno e sollievo ad una chiesa stremata, così da permetterle di riorganizzarsi e rilanciare quella che sarà l’azione di incremento missionale più grande di sempre. Nel giro di 300 anni Roma stessa divenne cristiana.

Sono dell’idea che la domanda posta da Gesù relativamente alla “fede sulla terra” sia molto rilevante anche per noi oggi. Quando la persecuzione arriverà in Occidente, ci sarà fede da parte dei credenti per intraprendere con determinazione e coraggio le azioni legali presso il tribunale celeste o i cristiani continueranno a snobbare tale responsabilità fondamentale? Se non abbiamo la fede necessaria per portare Satana e i suoi malvagi servi umani nell’aula del tribunale del cielo, allora non dovremmo aspettarci di vedere il tribunale agire in nostro favore. Proprio come sarebbe sciocco aspettarsi che un tribunale umano agisca senza che il soggetto danneggiato vesta i panni del querelante sporgendo denuncia formale, alla stessa maniera sarebbe irragionevole aspettarsi che il tribunale di Dio agisca senza che i santi si costituiscano parte lesa in un procedimento giudiziario. Nel libro dell’Apocalisse Giovanni serve come testimone e chiama tutti i cristiani a fare lo stesso in pieno accordo con la legge di Dio.

Siete disposti ad impegnarvi in tal senso? La Chiesa non può continuare ad essere un gruppo di persone dai modi miti e cordiali che insegnano ad altre persone miti e cordiali come diventare ancora più miti e cordiali. La chiesa necessita di essere spronata ed incoraggiata a tornare ancora una volta pugnace e militante – una chiesa pronta ad affrontare ogni battaglia per la cultura, ogni battaglia spirituale, prendendo sul serio le proprie responsabilità giuridiche e legali.

Concluderò semplicemente leggendo i due versetti che costituiscono il centro e il cuore dell’intero libro dell’Apocalisse. L’intero libro è un chiasmo. E Apocalisse 12 è un chiasmo che funge da introduzione alla sezione centrale del libro. E il cuore del chiasmo nel capitolo 12 sono i versetti 10 e 11. Quindi i due versetti che vi leggerò sono proprio il cuore del cuore del libro, per così dire. Leggiamoli:

Allora udii una gran voce nel cielo, che diceva: “Ora è venuta la salvezza e la potenza, il regno del nostro Dio e il potere del suo Cristo, perché è stato gettato giù l’accusatore dei nostri fratelli, colui che giorno e notte li accusava davanti al nostro Dio. Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e con la parola della loro testimonianza; e non hanno amato la loro vita, anzi l’hanno esposta alla morte”.

“Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e con la parola della loro testimonianza (μαρτυρίας – martyrías), e non hanno amato la loro vita, anzi l’hanno esposta alla morte”. Ciò di cui abbiamo parlato oggi è dunque il tema centrale del libro dell’Apocalisse.

Fratelli e sorelle, vinciamo Satana con la grazia e la legge, con il sangue dell’Agnello e con la parola della nostra testimonianza, e non amiamo la nostra vita – siamo impavidi davanti alla morte. Amiamo invece il regno di Dio e il Re di quel regno, il Signore Gesù Cristo. Amen.


 

Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%201_1-11/Revelation%201_2a?utm_source=kaysercommentary.com

[1] Questa è una traduzione basata sul testo “maggioritario” di Wilbur Pickering.

[2] Kendall H. Easley, Revelation, ed. Max Anders, vol. 12 del Holman New Testament Commentary. Accordance electronic ed. (Nashville: B & H Publishing Group, 1998), 12.

[3] NIDNTT, s.v. “WITNESS, TESTIMONY,” 3:1,041-1,042.

[4] È possibile leggere: “L’analisi dell’uso della parola mostra che, a parte il caso speciale dell’uso del martirio per l’ebr. môʿēḏ (vedi sopra, 1 [a]), le parole di questo gruppo rimangono essenzialmente già nel quadro adombrato nel greco classico o, almeno, non subiscono l’influsso della comprensione plasmata dagli stoici”.

[5] NIDNTT, s.v. “WITNESS, TESTIMONY,” 3:1,048.


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