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Guida divina per la comprensione del libro dell’Apocalisse – Parte 10

Di Phillip G. Kayser, sermone del 2/08/2015

Parte della serie “Progetto Apocalisse”

Questo sermone illustra i presupposti ermeneutici dal n. 21 al n. 24. Mostra come i principi della grazia, della pace, del regno, del potere di Dio e degli uffici di Cristo in quanto profeta, sacerdote e re siano strettamente intrecciati in tutta l’Apocalisse. Il libro inizia col Dio Onnipotente che benedice i suoi con grazia e pace e si conclude con la dimostrazione dei risultati meravigliosamente pervasivi che questi due elementi apportano al mondo. Nel mezzo ci sono i capitoli che mostrano i tentativi dell’uomo di resistere alla grazia e alla pace di Cristo. Ma, come apprenderemo negli ultimi capitoli del libro, tale resistenza risulterà vana – ciò che Dio ha pronunciato si realizzerà.


Leggiamo Apocalisse 1, versi da 4 a 6:

4 Giovanni alle sette Chiese che sono in Asia: grazia e pace a voi da Colui che è, che era e che viene, e dallo spirito composto di sette parti che è davanti al suo trono, 5 e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A lui, che ci ha amati, ci ha lavati dai nostri peccati con il suo sangue 6 – che ha fatto di noi un regno, dei sacerdoti al suo Dio e Padre – a lui sia la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen.[1]

Introduzione (i versetti da 4 a 6 presentano un linguaggio altamente oltraggioso per la Roma imperiale)

Ci sono due regni che sono in competizione per il dominio totale di tutte le cose: il regno umanistico dell’uomo, che ha ricevuto il potere da Satana, e il regno salvifico e redentivo del Signore Gesù Cristo, che ha ricevuto il potere dallo Spirito Santo. Uno porta alla schiavitù e l’altro alla libertà. E il conflitto tra questi due regni non cesserà semplicemente perché ci sentiamo fiacchi e incapaci di combattere. Lodo Dio per questi versi pieni di gloria, perché ci valgono come grande stimolo ed incoraggiamento: ciò che Dio ci chiama a compiere, fa sì che possiamo pure realizzare.

Tuttavia, dev’essere chiaro come ostilità ed opposizione non mancheranno, anzi. Difatti, questi versetti contengono parole che sarebbero state altamente oltraggiose per la Roma imperiale ed  avrebbero attratto l’accusa di tradimento, se lette alla luce delle affermazioni pretenziose e blasfeme di Cesare. Giovanni descriverà tali affermazioni nei capitoli da 13 a 19. Ma già questi tre versetti si pongono in piena e conflittuale contraddizione con tutto ciò che la figura di Cesare rappresenta.

Il commentario sulla Lettera ai Romani di Ian Rock dimostra come l’espressione “grazia e pace”, proveniente da Dio, sia in netto contrasto con le ripetute affermazioni di Roma indicanti Cesare come la fonte della grazia e della pace per tutte le genti[2]. Ciò che Roma chiamava grazia, Dio apostrofa negli sritti dell’Apocalisse come tirannia – altro che grazia! Roma si mostrava magnanima (quindi piena di grazia) con chiunque si sottomettesse incondizionatamente alla signoria di Cesare. Ma l’Impero romano, uno stato (non diversamente da quelli moderni) dalla spiccata natura messianica, era in diretta ribellione e competizione con il vero regno messianico di Gesù Cristo.

Ciò che Roma chiamava pace, Apocalisse (capitoli da 6 a 19) dichiara essere l’esatto opposto della pace: la Pax Romana era tutt’altro che pace. In opposizione a Cesare – le cui monete e la cui propaganda ne attestavano e ricordavano di continuo la presunta natura divina – nel versetto 4 abbiamo l’unico e vero Dio. In opposizione ai testimoni romani che deposero contro i cristiani, Cristo si erge come testimone fedele per deporre contro i suoi nemici. In opposizione all’Imperatore di Roma, che reclamava l’intero mondo per sé, Gesù viene nominato sovrano dei re della terra. In opposizione a Cesare, che affermava di possedere tutte le cose, nonché tutti i suoi sudditi, Gesù ci dichiara suoi schiavi, acquistati a prezzo del suo sangue. In opposizione sempre a Cesare, che sosteneva come nessun regno potesse godere di alcun potere senza la sua autorizzazione, Gesù è il sovrano e “ha fatto di noi un regno”, senza naturalmente che Cesare autorizzasse un bel niente.

Insomma, capiamo bene come l’Apocalisse fosse un libro capace di minare pericolosamente le pretese messianiche dell’Impero romano, come pure quelle dello stato d’Israele. E vi sono molte pubblicazioni interessanti che trattano dettagliatamente tali aspetti. Detto ciò, per quel che riguarda l’esposizione di oggi, Roma e le sue arroganti pretenziosità non avranno ulteriore spazio. Per questa volta, la nostra enfasi verrà posta completamente sul regno di Cristo.

E con ciò passiamo, quindi, all’enunciazione del nostro ventunesimo presupposto ermeneutico.

 

Il principio n. 21 dice: quello di “grazia e pace” è un elemento tematico che tiene insieme l’intero libro dell’Apocalisse. Sebbene Satana resista alla dichiarazione divina di grazia e pace contenuta nel versetto 4b, essa verrà pienamente compiuta entro la fine del libro (capitoli da 20 a 22).

La bellezza della grazia e della pace sullo sfondo del giudizio e della guerra

Il principio n. 21 è tratto dalla seconda parte del versetto 4: “Grazia e pace a voi…”. Dovremmo prendere questa benedizione come un meraviglioso raggio di sole che irrompe nel buio del giudizio, della guerra e della distruzione che pervaderà i capitoli successivi. Il libro inizia con il Dio Onnipotente che benedice i suoi con grazia e pace e si conclude con la dimostrazione dei meravigliosi effetti che questi due elementi apportano al mondo alla fine della storia. Quello di “grazia e pace” rappresenta un elemento tematico da gustare in modo particolare proprio considerando la tremenda ira che vediamo dispiegarsi nel mezzo del libro.

In un certo senso, le parole grazia e pace non hanno alcun senso se non viste alla luce del giudizio divino e dello scontro intercorrente tra Dio e l’umanità. La grazia è un favore immeritato. Ecco, quindi, come non si possa davvero afferrare la sostanza della buona notizia finché non si sia compresa la cattiva notizia dei capitoli successivi. Ognuno di noi risulta meritevole dei severi giudizi descritti sotto i sette sigilli, le sette trombe, le sette coppe d’ira divina e le sette condanne. Meritiamo di essere gettati all’inferno insieme alla bestia e al falso profeta, eppure Dio ci fa destinatari della sua grazia. Meritiamo che Dio guerreggi contro di noi, eppure egli ci concede pace, non guerra.

Nel capitolo 1 abbiamo duqnue Dio, l’autore stesso di grazia e pace, e questa sua meravigliosa dichiarazione nella quale rivolge grazie e pace ai santi. L’Apocalisse termina con tre capitoli che ci fanno capire come questi due elementi siano riusciti a trasformare profondamente e stupendamente quella terra che nei capitoli intermedi vediamo afflitta dal caos dei giudizi e della guerra. Quindi, all’inizio troviamo una dichiarazione augurante grazia e pace; alla fine la realizzazione concreta di questa grazia e di questa pace, con i capitoli intermedi che ci mostrano l’ostilità e l’opposizione alla grazia e alla pace di Dio. Chi vince? Ovviamente la grazia e la pace. L’ostilità e la resistenza del mondo che caratterizzano la parte intermedia del libro risulta vana. Ecco spiegato come mai tanto apprezzo questi due termini.

Il significato di “pace”

Molti commentatori indicano come la parola greca per “pace” nell’Apocalisse sia la controparte della parola ebraica shalom. Nella Versione dei Settanta, infatti, questa parola greca εἰρήνη (eirēnē) traduce shalom più e più volte. E siccome questo è un libro ebraico, con vocabolario ebraico, per cristiani ebrei, allora i suoi lettori non avrebbero di certo mancato di considerare tutte le implicazioni della parola shalom.

Si tratta di una parola concettualmente molto densa. Se provaste, infatti, a dare un’occhiata ad una concordanza, vi imbattereste in una nutrita lista di possibili significati. Per ben 172 volte viene tradotto con “pace”; ma altre traduzioni valide sono: “bene”, “salute”, “prosperità”, “sicurezza”, “benessere”, “felicità”, “favore”, “essere restaurato/completato/integro”. Insomma, capiamo bene come la parola dell’Antico Testamento per “pace” presenti una vasta gamma di accezioni. E, per inciso, mi piace far notare come molti di questi concetti coincidano proprio con quei benefici concessi da Cesare, il quale avanzava per l’appunto la pretesa di essere l’esclusiva fonte di pace, benessere, salute, prosperità e sicurezza.

Quindi, oltre a “pace”, vediamo come il termine ebraico, per la sua ricchezza di significato, presenti un lungo e complesso elenco di possibili traduzioni. Un autore ha provato a riassumere le varie definizioni di shalom in questo modo: “Le varie sfumature di significato contenute in questa parola indicano tutte che ogni benedizione, temporale e spirituale, è inclusa nel ricondurre l’uomo a quella pace con Dio andata perduta con la caduta”. Secondo questo pensiero, quindi, shalom indica   complessivamnete il ristabilimento di una dimensione di ordine divino.

La traiettoria della grazia e della pace in questo libro

E penso che sia un ottimo riassunto. La shalom di Dio recupera e riordina tutto ciò che era andato perduto e deformato con la caduta. Ed è proprio quest’azione di recupero che vediamo dispiegarsi nell’Apocalisse. Il libro inizia con una proclamazione della pace di Dio sul suo popolo e, quando poi si arriva alla fine, si possono gustare le illustrazioni delle dimensioni più ampie e complete di ogni definizione possibile della parola shalom. Quanto era caduto sotto la maledizione viene progressivamente recuperato, vale a dire tutto. Nell’inno natalizio Joy to the World, il verso 3 dice: “Non crescano più i peccati e i dolori, né le spine infestino la terra; Egli viene a far scorrere le sue benedizioni, ovunque si trovi la maledizione”. Ed è proprio questa la traiettoria tracciata in questo libro: la maledizione del peccato viene sostituita con la shalom eterna portata dalla grazia.

L’ordine di “grazia e pace”

Ed è importante considerare come vi sia un ordine preciso per quel che riguarda l’apparizione di queste parole nella proclamazione che ne fa Dio. Infatti, non viene detto “pace e grazia”, ma “grazia e pace”. Queste due parole ricorrono insieme ben 18 volte e, senza alcuna eccezione, la “grazia” precede la “pace”.

Sapete, le Nazioni Unite vorrebbero avere una pace senza grazia – qualcosa di impossibile. Citano la Bibbia sulla trasformazione delle spade in vomeri; tuttavia, ignorano la grazia di Gesù, unico mezzo per il cui tramite questo obiettivo sarà raggiunto per davvero. Finché non siamo riconciliati con Dio mediante la sua grazia non possiamo godere di nessuna pace.

L’Impero cercò di stabilire la Pax Romana (cioè, la pace universale del governo di Roma) ma, come vedremo nei capitoli dal 6 al 19 dell’Apocalisse, tutto ciò che riuscì a fare fu portare miseria, distruzione, dominazione, tirannia e guerra. Siete curiosi di capire a cosa porti lo statalismo? Beh, basta dare un’occhiata ai capitoli dal 6 al 19. Magari potrebbe risultarvi strano come Roma finisse per chiamare “pace” la sua politica fatta di guerre e sottomissione opprimente. Eppure, è proprio ciò che successe. Quanto leggiamo in 1984 di George Orwell circa l’uso improprio della lingua da parte di uno stato non è un fenomeno moderno, anzi. L’Apocalisse descrive la pace di Roma come una realtà che scatena l’ira di Dio, piaghe, carestia, depressione economica, tribolazione, afflizione demoniaca e ogni sorta di giudizio su coloro che sono al di fuori di Cristo. Come ho detto prima, questo libro mina tutto ciò che Roma rappresentava – lo statalismo messianico di allora, come pure quello di oggi.

Le ricchezze della grazia

E della grazia, invece, cosa dire? In inglese qualcuno, partendo dalla parola grace (“grazia”), si è divertito con inventiva a farne un acrononimo stante per “God’s Riches At Christ’s Expense”, vale a dire “le ricchezze di Dio a spese di Cristo”. In noi stessi siamo descritti nel capitolo 3 come abbietti, miserabili, poveri, ciechi e nudi. Ma in Cristo lo stesso brano ci descrive come ricchi, rivestiti di belle vesti, con i nostri occhi ciechi finalmente resi sani dal collirio spirituale. Leggendo Apocalisse ci rendiamo conto che fuori di Gesù siamo in pericolo, ma in Cristo niente può separarci dall’amore di Dio, nemmeno il martirio. Non c’è un capitolo in questo libro che non metta in evidenza la grazia e la pace di Dio contrapposte alla contraffazione rappresentata dalla grazia e dalla pace di Satana.

E il libro fa davvero un ottimo lavoro nel descrivere quelle ricchezze che a spese di Cristo giungono fino a noi. Ad esempio, le ricchezze del cielo sono descritte in termini che vanno oltre qualsiasi ricchezza che potremmo concepire sulla terra. L’oro sulla terra è estremamente prezioso, eppure l’intera città del cielo è fatta di oro puro (Apocalisse 21:18). E quell’oro, diversamente da quello terreno, ci viene anche descritto come, in qualche maniera, rassomigliare il cristallo trasparente. Questo simbolismo ci dà un’idea di quanto le ricchezze del cielo trascendano le ricchezze della terra. Apocalisse 21:21 dice che anche la piazza della Nuova Gerusalemme era di oro puro. Le vere perle sulla terra sono molto rare e costose, eppure ogni porta della Nuova Gerusalemme è descritta come una perla gigante – qualcosa di assolutamente impensabile per gli standard terreni. Ancora una volta, questi sono simboli di ricchezze incommensurabili, per noi inconcepibili, che Dio a spese di Cristo ci ha acquistato. Questo è ciò che significa “grazia”: le ricchezze di Dio a spese di Cristo.

La fonte della grazia e della pace

Ma voglio che notiate che questa grazia e questa pace sgorgano da ogni persona della Trinità. Ciò che viene proclamato nel primo capitolo e adempiuto negli ultimi capitoli di questo libro, può essere realizzato solo grazie all’opera e al carattere del Dio Uno e Trino da cui grazia e pace fluiscono. I versetti 4 e 5 sono da vedersi come un’unità di pensiero. Leggiamoli: “Grazia e pace a voi da Colui che è, che era e che viene, dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra”.

Esamineremo tra poco questa che è una descrizione trinitaria. Prima di ciò, vorrei, però, fare un appunto: se doveste pensare che la grazia non sia in grado di realizzare la cristianizzazione del mondo descritta in questo libro, allora dovreste riflettere sul fatto che il vostro Dio sia eventualmente un Dio troppo piccolo. È necessario leggere il libro dell’Apocalisse per avere una visione più ampia della grandezza di Dio, in particolare i capitoli 4 e 5. Se doveste pensare che il conflitto (le spade) non possa essere tramutato in pace tra le nazioni (i vomeri), allora il vostro Dio è senz’altro troppo piccolo. Il Dio che proclama grazia e pace al regno del suo popolo sarà di certo capace di concretizzare gli effetti meravigliosi di questi due elementi nel mondo. Come afferma Mounce nel suo commentario relativamente alla formula “grazia e pace”: “Più che un saluto casuale, conferisce ciò che proclama”[3].

Ora, è vero che i capitoli 2 e 3 ci presentano una chiesa del I secolo molto debole ed inguaiata. Ma poiché la grazia di Dio fluisce in quella chiesa, allora non potrà che trasformarla nella sposa gloriosa, come da Dio preordinato. E i dispensazionalisti mancano completamente di considerare questo sviluppo tematico della grazia e della pace che tiene insieme il libro nel momento in cui affermano come grazia e pace esistano sì nei capitoli da 1 a 3, ma in seguito non più. Ho ascoltato sermoni secondo i quali il rapimento avverrebbe tra i capitoli 3 e 4 e dopo di ciò sulla terra non vi sarebbe più nessuna grazia, dato che presumibilmente sia la Chiesa che lo Spirito Santo avranno lasciato la terra. So che sembra strano, ma questa è una dottrina davvero molto comune. Vi farò un esempio. Oliver Greene ha scritto un commentario premillenarista molto popolare, nel quale dice: “Il Rapimento avrà luogo tra i capitoli tre e quattro: i vincitori verranno rapiti e le masse verranno respinte. È vero che Giovanni non registra i fatti riguardanti il rapimento…”.

E nonostante dica ciò di Giovanni, rimane tuttavia convinto che debba avvenire da qualche parte tra questi due capitoli. A mio parere, il rapimento pre-tribolazione è da ritenersi null’altro che un mito. Quando Greene dice che l’Apocalisse non descrive il rapimento, ma che questo evento si colloca comunque tra i capitoli tre e quattro, sta evidentemente inserendo qualcosa nella sua lettura del testo che al testo non appartiene in nessuna maniera. E peggiora le cose affermando come in seguito a questo presunto rapimento né la grazia né lo Spirito Santo saranno ancora sulla terra. Ve lo cito: “Dopo che la Chiesa sarà stata rapita e lo Spirito Santo non sarà più qui per frenare le forze del male, questa terra diventerà letteralmente un inferno… i sistemi di questa terra saranno interamente affidati al diavolo…”[4]. Beh, che dire, Greene pare un tipo davvero allegro, non pensate?

In realtà, nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Infatti, Apocalisse 5:6 ci dice dello Spirito Santo che viene mandato per tutta la terra. Non viene, quindi, rimosso alla fine del capitolo 3, come lascerebbe intendere Greene. È al lavoro sul pianeta Terra. E l’Apocalisse termina facendo dire allo Spirito e alla sposa: “Vieni!”, invitando le persone a prendere in dono, per grazia, l’acqua della vita. Il capitolo 7 ci dice dei 144.000 ebrei che diventano cristiani e che sopravvivono alla guerra descritta nei capitoli da 6 a 19. E il capitolo 14 dice che furono redenti dall’Agnello e che hanno Dio come loro Padre. Se questa non è grazia, non so cosa sia. Eppure, i dispensazionalisti storici diranno: “Eh sì, ma quelli erano per l’appunto ebrei!”. Ma ciò non fa nessuna differenza: la divisione dispensazionalista tra la Chiesa e gli ebrei in due corpi completamente separati dimostra solamente come loro abbiano una visione del mondo completamente diversa dalla nostra. Di sicuro non si tratta del cristianesimo storico. Eppure, la maggior parte degli scritti odierni sull’Apocalisse sono proprio di marca dispensazionalista. Ed è bene saperlo!

E comunque, i dispensazionalisti hanno torto nel dire come solo i cristiani ebrei possano godere della grazia dopo il capitolo 3. I giudizi redentivi di Dio sulle nazioni nei capitoli 6 e 7 produssero, infatti, un gran numero di convertiti. Il capitolo 7 dice di “una grande folla che nessuno poteva contare” salvata proprio tra i Gentili e il versetto 9 di quel capitolo li descrive come provenienti da “tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue”. Da ciò capiamo come, a quanto pare, lo Spirito Santo fosse stato piuttosto impegnato nel convertire le persone, anche dopo il capitolo 3. Il capitolo 14:14-16 descrive un incredibile raccolto dei santi nel regno. E i capitoli 20 e seguenti mostrano che il regno di Cristo trionferà su tutti i nemici e su ogni aspetto della maledizione.

Quindi, è importante che sappiate dell’esistenza di molti commentari biblici che si riferiscono al nostro tempo usando l’espressione “età della grazia” (un concetto che teologicamente non sta né in cielo né in terra) e pongono un’enorme divisione tra i primi tre capitoli dell’Apocalisse (che presenterebbero applicazioni utili per il nostro tempo) e il resto del libro (il cui contenuto avverrebbe nel futuro – dopo l’età della grazia). Inutile dire come tutto ciò vada a destabilizzare rovinosamente l’unità tematica del libro.

Bene, detto ciò, passiamo adesso al prossimo principio.

 

Il principio n. 22 dice: il Dio trinitario (v. 4c-5) è pienamente in grado di fornire la grazia e la pace necessarie per adempiere le profezie del regno (vedere il contesto dell’Antico Testamento in Zaccaria 4, Isaia 11, Salmo 89, ecc.)

Questo principio può essere riassunto come segue: il Dio trinitario che troviamo nei versetti 4 e 5 è un Dio pienamente capace di far evolvere la storia da come ci appare nel capitolo 1 portandola fino alla meravigliosa condizione del capitolo 20. E questo è un punto assolutamente fondamentale e necessario da considerare: può e deve valere da incoraggiamento per tutti coloro che purtroppo sono convinti di come la chiesa non disponga di alcuna chance di vittoria nella storia. Ad esempio, sentite un po’ cosa hanno da dirci Wayne House e Tommy Ice: “Dio non ha dato alla Chiesa una giusta dose di grazia per cristianizzare il mondo”[5]. E questo fa parte di una lunga lista di citazioni tratte da commentari i cui insegnamenti vanno nella direzione di una chiesa perdente. Molti affermano che il numero dei santi prima della Seconda venuta sarà ridotto al lumicino oppure addirittura pari a zero. E non si tratta solo di dispensazionalisti. Harold Camping sostiene proprio questa opinione, come pure molti altri suoi colleghi amillennialisti. Che dire – questa è una visione delle cose completamente contraria allo sviluppo tematico e alla struttura stessa del libro dell’Apocalisse.

Ciò detto, occupiamoci però adesso della Trinità. I commentatori non credenti negano come i versetti 4 e 5 descrivano la Trinità. In effetti, alcuni pensano che il tutto abbia a che fare con qualche forma di politeismo. Nel suo commentario del 1989, Krodel scrive:

L’idea di sette spiriti davanti al trono di Dio ha la sua origine nella religione astrale babilonese. Lì il sole, la luna e i cinque pianeti allora conosciuti erano adorati come divinità che controllavano il tempo in termini di settimane, mesi e anni. Il calendario, in possesso dei sacerdoti, controllava la vita sulla terra[6].

Che dire – penso che anche un bambino potrebbe riconoscere quanto grottesca sia tale affermazione. E ringrazio il Signore di come la maggior parte dei commentari evangelici abbiano fatto un ottimo lavoro esegetico nel dimostrare che il testo in questione tratti in realtà proprio del Dio Uno e Trino dimostrando, inoltre, come il linguaggio di Giovanni sia perfetto al fine di rappresentare la Trinità ed evitare ogni sorta di eresia.

Dio Padre (v. 4c)

La prima proposizione, ossia “da Colui che è, che era e che viene…”, si riferisce a Dio Padre. E, badate bene, quel “che viene” non è un riferimento a Gesù. La maggior parte dei commentari più recenti mostra come questo sia un modo incredibilmente perspicace da parte di Giovanni di tradurre in greco il difficile ebraico dell’espressione “IO SONO colui che SONO” di Esodo 3:14. Immaginando come la maggior parte di voi non abbia sufficiente confidenza con l’ebraico o con il greco, temo purtroppo di non riuscire ad illustrarvi in maniera adeguata quanto questa frase sia sorprendente. In ogni caso, ci proverò.

Moses Stuart[7] dedica ben due pagine in caratteri piccoli a questa espressione dimostrando al di là di ogni dubbio che questo era il modo in cui gli ebrei comunicavano il nome Yahweh: “Io sono colui che sono” – il nome che mostra più chiaramente l’attributo centrale di Dio, vale a dire la sua aseità. Aseità significa che Dio è totalmente autosufficiente, il che significa che non ha bisogno di nulla, il che a sua volta significa che non presenta egoismo alcuno traboccando, invece, di costante generosità rivolta verso gli altri. E questo era vero prima che esistessero angeli o esseri umani a cui destinare i suoi doni. Prima che il mondo venisse ad essere, il Padre dava al Figlio e allo Spirito tutte le cose; porprio come il Figlio dà al Padre e allo Spirito tutte le cose e lo Spirito dà con amore al Padre e al Figlio. Aseità significa che dalla sovrabbondante autosufficienza di Dio deriva un’inondazione generosa ed incessante di doni. E il nome di Dio, “IO SONO” (che è la radice di Yahweh), racchiude questa meravigliosa dottrina dell’aseità.

In ogni caso, oltre a questo aspetto, il passaggio ebraico in Esodo[8] mostra anche come Dio sia eterno, immutabile, autoesistente e come, inoltre, sperimenti il passato, il presente e il futuro nella forma di un eterno presente. Insomma, questa espressione, questo nome di Dio, è un incredibile pezzo di teologia. Yahweh è il Dio che è sempre esistito, continua ad esistere nel presente ed esisterà sempre in un eterno presente. E purtroppo, a differenza del greco, nessuna traduzione italiana è in grado di rendere giustizia a questa straordinaria espressione ebraica.

Dovete sapere come vi sia una certa eresia detta “Teismo Aperto” oppure “Teologia del Processo”, che ha pretese di essere evangelica, ma che, in realtà, adora un Dio diverso. I suoi esponenti affermano come Dio non possa prevedere il futuro (e che sia capace solamente di fare buone supposizioni), il che significa (dicono) che è soggetto ad errore e che è coinvolto in un processo evolutivo che lo vede crescere costantemente in esperienza e conoscenza. Ebbene, i due versetti che stiamo esaminando oggi hanno il pregio di spazzare via questo tipo di eresia. Se Giovanni avesse voluto assecondare tale eresia, allora avrebbe usato la parola greca γίνομαι (gínomai) illustrando in tal modo un Dio in evoluzione, in procinto di divenire. Tuttavia, non è ciò che Giovanni fa.

Di questo verbo, invece, “IO SONO” (εἰμί), egli usa il presente continuativo (ὢν) e il passato continuativo (noto come tempo imperfetto – ἦν). E c’è da dire come, così facendo, finisca pure per attirare su di sé le critiche di chi sosteneva che non conoscesse la grammatica greca. Ma ricordate cosa abbiamo detto la settimana scorsa? L’Apocalisse è un libro ebraico indirizzato ai cristiani ebrei e redatto per il tramite di forme grammaticali ebraizzate – forme, quindi, che i destinatari di questi scritti avrebbero capito di certo. E non possiamo non osservare come quello di Giovanni sia davvero un modo brillante di tradurre Esodo 3:14, esattamente nello stesso modo in cui Isaia 41:4 traduce la medesima espressione – compreso l’uso di “venire”[9] (“Colui…che viene”). E questo è effettivamente un verbo interessante. Quando si riferisce a Dio nel nostro futuro, è interessante che Giovanni non usi il futuro di “IO SONO” per riferirsi al Grande IO SONO nel futuro. E c’è una buona ragione per cui fa ciò. Infatti, in greco sarebbe una soluzione suscettibile a fraintendimento: indicherebbe un Dio che diviene o si sviluppa. Ecco, quindi, che Giovanni usa invece il participio presente di “venire”, un tempo verbale capace di indicare come qualsiasi cosa futura sia ancora nel presente di Dio. Analizzare il greco di questo passaggio è per me fonte di continuo stupore. La resa che ne fa Giovanni in Apocalisse ci mostra come Dio sperimenti passato, presente e futuro come se fosse uno. In quanto Creatore del tempo, egli è al di sopra del tempo.

Ma c’è di più. Swete sottolinea che quel “Colui che viene” porta acqua al nostro mulino indicando molteplici venute nel corso della storia[10]. C’è un’abbondanza di Dio non solo nelle tre Persone della Trinità, ma anche in noi e nel pianeta terra tutto. È a causa della sua venuta che avviene la trasformazione redentiva di ogni cosa.

Ma c’è di più. I commentatori fanno notare come, essendo il nome ebraico di Dio indeclinabile, Giovanni violi deliberatamente le regole della grammatica greca al fine di rendere il greco dell’intera frase un sostantivo indeclinabile in conformità all’uso ebraico del nome di Dio per IO SONO o Yahweh. Capite adesso perché nell’ultimo sermone ho tanto insistito nel mettere in evidenza l’ebraicità dell’autore Giovanni, il quale scrive a cristiani ebrei in un greco pieno di ebraismi. Ad ogni modo, Moses Stuart la mette in questi termini: “Le parole che seguono ἀπὸ [apó, vale a dire il “da” in “da Colui…”] sono tutte prese insieme come un sostantivo indeclinabile, corrispondente ed espressivo della parola ebraica… Yahweh…”[11].

Ma c’è di più. Il libro Grammatical Analysis di Zerwick e Grosvenor dice: “Il fatto che l’intero ‘nome’ non sia declinato dopo ἀπό aggiunge l’impressione di immutabilità a quella di eternità”[12].

Ora, come mai ho dedicato così tempo nella spiegazione di tutto questo? Ebbene, se questo passaggio si riferisce al Grande IO SONO autoesistente, onnipotenente e traboccante di ogni bene, allora ne segue che nulla per questo Dio possa essere troppo difficile da raggiungere. Non c’è da stupirsi che la grazia e la pace che egli proclama in questo verso vadano per davvero ad effetto più in là alla fine del libro. Lui è il Grande IO SONO. Per qualsiasi bisogno che potremmo avere, Dio dice: “SONO in grado di soddisfare quel bisogno”. Avete sete? Dio dice: “IO SONO l’acqua viva”. Siete sotto assedio da parte di Satana? Dio dice: “IO SONO la vostra fortezza ed alta torre”. Questo nostro Dio è ben capace di far sì che la sua proclamazione di grazia e pace produca effettivamente i suoi frutti nella storia. Ecco perché questa proposizione, “Colui che è, che era e che viene”, può e deve rappresentare per noi un fondamento incrollabile sul quale far giacere il resto della storia descrittaci nell’Apocalisse.

Dio Spirito (v. 4d)

Anche la frase seguente sullo Spirito Santo è sul piano linguistico davvero brillante. È un riferimento alla pienezza eternamente esistente della Divinità espressa nella Persona dello Spirito Santo. Ora, noi non siamo cristiani ebrei immersi nelle Scritture ebraiche, quindi non cogliamo immediatamente il pieno significato di queste parole. Abbiamo bisogno di approfondirle. Lasciatemi, quindi, provare a darvi qualche spiegazione a tal riguardo.

Per prima cosa, che dire dei “sette Spiriti” di cui si legge in tante traduzioni? Insomma, rappresentano un elemento fonte di grande confusione. A breve mostrerò perché ciò non avrebbe creato, invece, alcuna confusione nei cristiani ebrei. Wilbur Pickering ha giustamente tradotto questo passaggio come segue: “…e dallo spirito composto di sette parti che è davanti al suo trono”. Nella Nuova Re Giacomo, come pure in altre versioni, leggiamo invece: “…e dai sette Spiriti che sono davanti al trono”. Il fatto da considerare qui è, però, che il greco letterale di questa frase non segue in maniera corretta la grammatica greca. Non può. Difatti, la resa letterale del “maggioritario” sarebbe questa: “…e dai sette Spiriti che è [singolare] davanti al trono”[13]. Quindi Pickering ha ragione: per poter dare un senso a quel verbo coniugato al singolare non può che essere tradotto con “spirito composto di sette parti”. Ancora una volta, non si tratta di un cattivo uso grammaticale, bensí di greco ebraicizzato – in una forma, tra l’altro, davvero brillante, come già detto.

Quell’“è”, al singolare, dimostra come lo Spirito sia una Persona. Nei capitoli 4 e 5 Giovanni definisce ulteriormente i sette Spiriti (o più propriamente lo spirito composto di sette parti) come le sette lampade e i sette occhi di Zaccaria 4. E sapere ciò carica questa frase sullo Spirito Santo con un significato fortissimo. Zaccaria 4 chiarisce come le sette lampade e i sette occhi si riferiscano chiaramente all’unico Spirito Santo, il quale presenta un ministero composto di sette parti, il cui obbiettivo è quello di prendere la grazia di Cristo applicandola infallibilmente agli eletti, come pure quello di prendere i giudizi di Cristo applicandoli infallibilmente ai non-eletti. Lo Spirito, dunque, sta davanti al trono per compiere la volontà del Padre e del Figlio su tutta la terra. E questo senza alcun impedimento. Eccovi, quindi, il significato di questo “spirito composto di sette parti” che traiamo dal Vecchio Testamento.

La maggior parte dei commentatori, oltre al riferimento di Zaccaria 4, individua un’allusione anche ad Isaia 11 – l’altro passaggio in cui viene descritto uno Spirito composto di sette parti. In quel passaggio lo Spirito Santo che unge Gesù ha sette caratteristiche che consentono al Messia di dare inizio al suo regno salvifico. E man mano che il capitolo procede, lo Spirito consente a Cristo di far progredire il regno in modo così efficace che alla fine vi saranno persino ribaltamenti della maledizione nel mondo fisico e tangibile – come, ad esempio, il lupo che abiterà con l’agnello e il leopardo che giacerà col capretto, una speranza di vita di gran lunga maggiore, un mondo sempre più ripieno della conoscenza dell’Eterno e tutti i Gentili che si convertono. Ebbene, possiamo immaginare come leggere dello Spirito composto di sette parti che è davanti al trono di Dio avrebbe immediatamente allertato i cristiani ebrei portandoli a considerare i due famosi passaggi veterotestamentari sul regno, brani che parlano di uno Spirito composto di sette parti capace di carburare efficacemente l’avanzanzamento quel di regno.

Quando si prende visione del contesto messoci a disposizione dall’Antico Testamento circa la figura dello Spirito composto di sette parti, allora improvvisamente non si può non comprendere come non sia solo Dio Padre ad essere autosufficiente e capace di portare shalom sulla terra con la sua grazia. Anche lo Spirito è pienamente capace di servire per questo scopo. E così, proprio come Isaia 11 inizia con lo Spirito settemplice che dà potere al Messia e termina con il successo totale di Gesù, il libro dell’Apocalisse inizia con lo Spirito Santo davanti al trono e termina con il successo totale di quel trono.

Dio il Figlio (v. 5)

Giungiamo infine al Figlio. Nel versetto 5 leggiamo: “…e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra”.

Beh, questo è un ovvio riferimento a Gesù. Se tutta la grazia e la pace fluiscono equamente da Gesù così come dal Padre e dallo Spirito, il Figlio è chiaramente divino ed uno con il Padre e lo Spirito.

Tuttavia, se egli è altresì profeta, sacerdote e re, allora è anche umano. Così, in questo linguaggio incredibilmente condensato, Giovanni riesce a descrivere i grandi misteri della Trinità e della natura umano-divina della Persona Gesù.

Ma il punto chiave che volevo sottolineare in base al principio n. 22 è che il Dio trinitario qui descritto è pienamente capace di affrontare l’opposizione e la resistenza che gli si muove contro promuovendo la sua grazia e la sua pace. La verità è che noi serviamo davvero un Dio fantastico!

Passiamo con ciò al ventitresimo principio.

 

Il principio n. 23 dice: questo libro presenta Gesù essere attualmente profeta, sacerdote e re (v. 5)

Il libro dell’Apocalisse espone la vigente opera di Gesù come profeta, sacerdote e re. Non dobbiamo aspettare che inizi un millennio nel prossimo futuro per vedere Gesù assumere questi ruoli. Il versetto 5 del capitolo 1 dice, infatti: “…e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra”.

In quanto profeta Gesù fu un testimone fedele nel suo ministero terreno

Il primo appellativo si riferisce a Gesù in quanto profeta. In quanto tale egli testimonia a nome del Padre. E la parola usata per testimone è μάρτυς (martus) ed è definita dal dizionario come segue: “Colui che testimonia in materia giuridica” (BDAG). Questo termine evidenzia il ruolo primario di un profeta veterotestamentario. L’attività profetica come visibile nell’Antico Testamento andava, infatti, nella direzione di intentare cause legali contro le nazioni e le chiese sulla base di infrazioni pattizie. E – ricorderete – già in un sermone precedente abbiamo detto come, in realtà, l’intero libro sia da considerare come quello che abbiamo denominato un “dramma giudiziario” – un vero e proprio processo celebrato nel tribunale celeste.

E la domanda da porsi è questa: “Gesù continua a testimoniare o a deporre contro le nazioni ancora oggi?” La risposta è un chiaro “sì”. Sebbene l’Apocalisse evidenzi la sua opera di testimonianza principalmente per il tramite di un particolare esempio del I secolo, ovvero la sua deposizione contro Israele e Roma, giacché “testimone fedele” è il suo nome, un titolo che continua a portare per sempre, allora ne deriva come la sua attività nelle vesti di martus si protrae.

E Beale e Carson fanno notare[14] come i tre titoli di Gesù (profeta, sacerdote e re) provengano dal Salmo 89 e come questo salmo descriva la sua testimonianza come un’opera che proseguirà ininterrotamente (al verso 37 leggiamo, infatti: “…sarà stabile per sempre come la luna, e il testimone nel cielo è fedele”). Quindi, nessuna nazione può sottrarsi dalla sua azione legale pattizia, perché Cristo sarà il “testimone fedele”. Ebbene, ciò significa che l’America, come qualsiasi altra nazione impenitente, è oggi passibile dei terribili giudizi di questo libro tanto quanto lo sono stati Roma ed Israele nel I secolo. E questo proprio perché Gesù rimane ancora il testimone fedele.

In quanto sacerdote Gesù risorge dai morti rendendo, in tal modo, la sua opera redentiva accettata da Dio

L’appellativo successivo, “il primogenito tra i morti”, mostra il culmine dell’opera di Cristo in quanto sacerdote. Nel libro dei Numeri, i sacerdoti levitici assumevano il ruolo dei primogeniti. Quindi la parola “primogenito” ci vale come importante indizio rispetto a come l’espressione si riferisca al suo ufficio sacerdotale. Ma c’è ancora altro che indica il sacerdozio. In Romani Paolo afferma come tutta l’opera di redenzione fu accettata da Dio nel momento in cui Gesù risuscitò dai morti. Con la sua risurrezione dimostrò in maniera definitiva come la sua redenzione avesse avuto successo e come Dio avesse inaugurato l’era in cui tutte le cose avrebbero cominciato ad essere rinnovate: prima quelle in cielo e poi quelle sulla terra. E questa è tutta l’opera di Gesù nelle vesti di sacerdote.

David Aune, a proposito della parola “primogenito”, afferma quanto segue: “Questa parola «implica che, mentre Gesù è il primo ad aver vinto la morte, non è neanche l’ultimo, ma fornisce il precedente per la successiva risurrezione dei credenti che sono morti»”[15]. Sempre Aune, insieme a Osborne e ad altri, afferma come la resurrezione fu il primo passo nell’inaugurazione della Nuova Creazione[16].

Quindi, anche in questo caso sorge un’importante domanda da porsi e vale a dire: l’opera sacerdotale di Cristo continua oggi proprio come nel caso del suo ufficio profetico? E la risposta è anche questa volta un chiaro “sì”. Il Salmo 110 dichiara Gesù sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedec. E il Salmo 2 dichiara che, quando egli fu generato dai morti, poté cominciare ad intercedere a nome di tutte le nazioni. Il Salmo, al verso 8, dice: “Chiedimi, e io ti darò le nazioni come tua eredità e le estremità della terra per tua possessione”. Il suo sacerdozio avrebbe avuto un successo universale. La Lettera agli Ebrei mette in chiara evidenza il fatto di come il sacerdozio di Cristo abbia da durare per sempre dicendo che egli deve intercedere alla destra del Padre (e, badate bene, l’intercessione è un’opera distintamente sacerdotale). E Cristo farà ciò finché tutti i nemici non saranno messi sotto i suoi piedi. Vedete, dunque, come la sua opera profetica, sacerdotale e regale sia un tutt’uno. I tre uffici sono strettamente collegati: la sua profezia abbatte ogni resistenza e chiama le persone ad un preciso standard etico-giuridico; il suo sacerdozio risana ed edifica; il suo regno domina.

In quanto re, Gesù ora governa alla destra di Dio

Bene, giungiamo adesso al terzo appellativo indicante Gesù, “il principe dei re della terra”. E la sostanza e il significato di questo titolo sono così chiari che resto sorpreso di quanti commentari insistano nel negare possibili applicazioni di questo ufficio di Cristo per la nostra storia. Poiché i dispensazionalisti negano che siamo nel regno, spesso negano pure come Gesù governi alchunché in questa nostra epoca. Pensate un po’, un commentario di marca dispensazionalista di questa espressione dice: “Egli sarà il principe dei re nel dolce futuro”[17]. Ma il testo non dice che Gesù sarà il sovrano dei re della terra. Questo è il suo titolo adesso e designa la sua occupazione proprio nel presente. Tuttavia, in campo dispensazionalista si insiste sul fatto di come questo debba essere un riferimento a qualcosa che sarà realtà due millenni dopo la stesura degli scritti dell’Apocalisse. Tant’è vero che, per esempio, John Walvoord dice di Gesù: “Egli non sta esercitando questo diritto sui re della terra adesso”[18]. È chiaro come sia costretto a giungere ad una tale conclusione al fine di conservare il proprio sistema dispensazionalista.

Per noi è interessante capire come poterci confrontare con tali posizioni. Come si affrontano questi dibattiti? Beh, in diversi modi.

Primo, è importante considerare il contesto. Se solo poco prima abbiamo avuto a che fare con una proclamazione dell’avanzata inesorabile di grazia e pace, i cui effetti – abbiamo visto – saranno compiutamente visibili alla fine del libro, allora una tale proclamazione non può che essere stata rilasciata dal sovrano in carica dei re della terra; ci si aspetterebbe di conseguenze che la sua reggenza sia effettiva proprio adesso. Come potrebbero altrimenti sgorgare grazia e pace da un re il cui ufficio risulta ancora inesistente?

Secondo, siccome il versetto successivo dichiara che egli ci ha fatti diventare re e sacerdoti o, più propriamente, “un regno e sacerdoti”, ciò implica che la regalità di Cristo sia da ritenersi effettiva già in questo tempo. Un non-re difficilmente potrebbe fare concessioni rendendoci, quindi, un regno.

Terzo, si considerino le allusioni all’Antico Testamento che presenta questo passaggio. Diversi commentatori fanno notare come questo gruppo di proposizioni provenga dal Salmo 89, nel quale vengono menzionati i tre uffici (profetico, sacerdotale e regale) mettendo in chiaro come questi siano vigenti nel nostro periodo di tempo attuale. Il versetto 27 di questo salmo lo mostra come re nel momento in cui Gesù diventa primogenito dei morti. Il Salmo 110 (probabilmente il salmo più citato nel Nuovo Testamento) fa lo stesso e lega chiaramente anche il sacerdozio di Cristo alla sua regalità poiché lo rende un re-sacerdote come Melchisedec per sempre. La verità è che tra questi due uffici non v’è separazione, diversamente da quanto sostenuto dai dispensazionalisti.

Nondimeno, questi obietterebbero dicendo: “Ma se il regno di Dio sussiste già ora e Gesù ne è il monarca, allora come mai vediamo una chiesa angariata e perseguitata da così tanti nemici? E la risposta, in realtà, è semplice. Questo è esattamente ciò che la Bibbia promette che sarebbe accaduto nel momento in cui il Messia avrebbe stabilito il proprio regno: questo regno sarebbe iniziato piccolo piccolo e sarebbe poi cresciuto sempre di più, fino a riempire la terra intera; alla sua inaugurazione i suoi nemici sarebbero stati numerosi, ma la sua crescita li avrebbe poi visti venire abbattutti uno dopo l’altro, fino al raggiungiumento di un loro completo assoggettamento a Cristo. Ad esempio, il Salmo 110 dice: “L’Eterno dice al mio Signore: «Siedi alla mia destra finché io faccia dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi». L’Eterno estenderà da Sion lo scettro della tua potenza. Domina in mezzo ai tuoi nemici”.

Notate quest’ultima frase: “Domina in mezzo ai tuoi nemici”. Il Salmo 110 profetizza come i nemici sarebbero chiaramente rimasti in giro per molto tempo ancora dopo che il Messia si fosse insediato presso il suo trono inaugurando, quindi, il suo regno. Il Salmo 2 ci mostra i re del I secolo complottare contro Cristo resistendo al suo dominio e cercando di rovesciare le sue leggi (tant’è che dicono sfidando Dio e il suo Unto: “Rompiamo i loro legami e sbarazziamoci delle loro funi”). E difatti, inizialmente lo faranno al punto da far arrabbiare il Padre e il Figlio, così che Dio “parla loro nella sua ira, e nel suo grande sdegno li spavent[a]”. Ebbene, Apocalisse, capitoli da 6 a 19, si riferisce proprio a questo scontro illustrato nel Salmo 2. È Dio che tormenta le nazioni che rifiutano di sottomettersi a Gesù e parla contro di loro nel suo profondo sdegno.

I versetti successivi del Salmo 2 parlano del Figlio che riceve gradualmente tutte le nazioni e tutte le estremità della terra come sua eredità. Così, man mano che la sua parola profetica si propaga, così fa pure il suo ufficio sacerdotale e quello regale. Ma gli ultimi versetti danno lo stesso avvertimento che l’Apocalisse rivolge ai governanti: “Sottomettetevi al Figlio, affinché il Signore non si adiri e non periate nella vostra via, perché la sua ira può accendersi in un momento. Beati tutti coloro che si rifugiano in lui”. Da ciò capiamo come i tanti nemici che si oppongono a Cristo Re (nei capitoli dal 6 al 19 dell’Apocalisse) non rappresentano la prova che il regno, in qualche maniera, sia stato rinviato; anzi, tutto procede completamente secondo i piani di regno messanico in trionfante espansione.

Daniele 7 dice che Gesù sarebbe diventato re una volta asceso alla destra del trono di Dio: a questo punto tutte le nazioni gli sarebbero state date legalmente, anche se i regni bestiali avrebbero continuato ad operare per un certo periodo di tempo (il verso 12 dice, infatti: “Le altre bestie furono private del loro potere; ma fu loro concesso un prolungamento di vita per un tempo determinato”). In Matteo 28:18, nel giorno della sua ascensione, Gesù disse: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque…”. È proprio come se a Giosuè viene data Canaan e ai suoi seguaci viene comandato di andare a conquistarla per Giosuè.

Quindi, il ventitreesimo principio per interpretare il libro dell’Apocalisse consiste in ciò: dobbiamo vedere Gesù mentre attualmente fa avanzare il suo regno essendo in pieno possesso dei suoi uffici di profeta, sacerdote e re. E, andando avanti, mostrerò come ciascuno di questi uffici venga esposto in maniera sempre maggiore man mano che la storia del libro si evolve.

E con ciò passiamo, quindi, al principio n. 24.

Il principio n. 24 dice: il libro dell’Apocalisse descrive il graduale avanzamento della redenzione e del regno (vv. 5-6)

Ecco perché l’apostolo Giovanni viene portato a formulare una dossologia raffigurante questo graduale avanzamento della redenzione e del regno. Non arriva tutto in una volta come insistono i premillenialisti, ma in un certo periodo di tempo prolungato. Leggo dalla metà del versetto 5: “A lui, che ci ha amati, ci ha lavati dai nostri peccati con il suo sangue — che ha fatto di noi un regno, dei sacerdoti al suo Dio e Padre – a lui sia la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen.”

Cambiamenti in noi (v. 5d)

In che modo Gesù rende nuove tutte le cose? Beh, inizia dai cambiamenti che apporta in noi individualmente. “A lui, che ci ha amati, ci ha lavati dai nostri peccati con il suo sangue” – è da qui che inizia la redenzione: parte dall’individuo.

Invasione del regno sulla terra (v. 6a)

E già questo costituisce un’invasione del Regno dei Cieli sulla terra. Ogni volta che una persona si converte, il Regno dei Cieli si espande ulteriormente sulla terra. Il testo dice: “…che ha fatto di noi un regno”. Lo stesso popolo di Dio costituisce sulla terra un regno corporativo. Ecco, quindi, che il regno dei cieli invade la terra.

Diffusione del regno sulla terra (v. 6b)

E questo regno non è stato concepito per essere statico. Nel passaggio che stiamo considerando viene, infatti, detto: “…ha fatto di noi un regno, dei sacerdoti al suo Dio e Padre”. I sacerdoti intercedono sempre per conto di altri. Quindi, se quel “noi” sta per tutti i credenti e tutti i credenti devono essere sacerdoti che riconciliano gli altri con Dio, allora automaticamente stiamo parlando di un’espansione del regno, no?

Alcune persone insistono, però, sul fatto che il regno di Cristo non si espanda mai; che è quello che è e che Cristo è già sovrano su tutte le cose. Si mostrano contrariati quando intoniamo l’inno Mighty Lord, extend your kingdom (“Potente Signore, estendi il tuo regno”). Ma come Warfield ha brillantemente dimostrato[19], questo argomento non tiene conto delle distinzioni bibliche tra il regno sovrano eterno di Dio (che è sempre esistito) e il regno mediatore di Cristo (o regno salvifico), che ha inizio con la sua ascensione e che Isaia 9:6 dice godere di incremento senza fine.

Il progresso della gloria e del dominio di Dio (v. 6c)

E lo scopo di tutto nel regno è il progresso della gloria e del dominio di Dio. Il versetto 6 termina dicendo: “…a lui sia la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen.”

E queste quattro proposizioni appena esaminate mostrano come Cristo abbia scelto di far avanzare il suo regno attraverso di noi, per quanto deboli possiamo pur essere. Se (come sostenuto da molti premillenaristi) siamo sacerdoti ora ma non re fino a dopo la Seconda venuta, allora saremmo sprovvisti della fede necessaria per cambiare questo mondo, per sconfiggere Satana e per iniziare a sottomettere tutte le cose a Cristo. Ma Efesini 2:6 dice che siamo stati davvero risuscitati insieme a Cristo e Dio ci ha fatti sedere nei luoghi celesti in Cristo Gesù.

E Dio si aspetta che abbiamo fede a sufficienza per governare come re nella nostra posizione in Cristo. In Apocalisse 2:26-27 leggiamo, ad esempio, come i vincitori abbiano la capacità di governare sulle nazioni e persino di frantumarle con la verga di ferro di Cristo. Beh, che dire, questa è una promessa fantastica che è troppo trascurata dalla chiesa, purtroppo!

Se la chiesa in maniera unita si aspettasse quanto Dio ha promesso e tentasse di attuare quanto Dio ha promesso, allora sì che vedremmo cambiamenti sorprendenti sulla terra. Vorrei quindi concludere il sermone leggendo ancora una volta Apocalisse 1, versi 4, 5 e 6:

Giovanni alle sette Chiese che sono in Asia: grazia e pace a voi da Colui che è, che era e che viene, e dallo spirito composto di sette parti che è davanti al suo trono, e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A lui, che ci ha amati, ci ha lavati dai nostri peccati con il suo sangue – che ha fatto di noi un regno, dei sacerdoti al suo Dio e Padre – a lui sia la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen.


Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%201_1-11/Revelation%201_4b-6?utm_source=kaysercommentary.com

[1] Traduzione di Wilbur Pickering, in The Sovereign Creator Has Spoken: New Testament Translation With Commentary (WalkinHisCommandments.com, 2013).

[2] Ian Rock dice: “Le nozioni di grazia e pace – sebbene siano una caratteristica comune della norma epistolare delle lettere paoline – sono concetti altamente imperialistici basati sull’evergetismo del rapporto gerarchico patrono-cliente prevalente nella società romana, nella quale l’imperatore rappresentava l’exemplum delle opere di bene attraverso le quali venivano ordinate le relazioni sociali, così come i mezzi militari erano atti al mantenimento del dominio”. Ian E. Rock, Paul’s Letter to the Romans and Roman Imperialism: An Ideological Analysis of the Exordium (Romans 1:1-17), (Eugene, OR: Wipf and Stock Publishers, 2012), p. 122. Allo stesso modo, a pagina 210 afferma: “Dal nostro studio di cui sopra abbiamo notato che le tematica della grazia e della pace, sebbene per Paolo ben radicate nel contesto della teologia pattizia ebraica, erano usate per criticare nozioni simili nel pensiero imperiale romano”.

[3] Mounce, R. H. (1997). The Book of Revelation (Grand Rapids, MI: Wm. B. Eerdmans Publishing Co., 1997), p. 45.

[4] Oliver B. Greene, The Revelation (Greenville, SC: The Gospel Hour, 1963), p. 150.

[5] Wayne House & Tommy Ice, Dominion Theology: Blessing or Curse? (Portland, OR: 1988), p. 340.

[6] Krodel, G. A., Revelation, (Minneapolis, MN: Augsburg Publishing House, 1989), p. 83.

[7] Moses Stuart, Commentary on the Apocalypse, volume two (New York: Van Nostrand & Terrett, 1851).

[8] Vari commentatori fanno risalire il contesto a Esodo 3:14 attraverso la parafrasi in Isaia 41:4 (vedi traduzione LXX). Trafton dice: «L’uso da parte di Giovanni del participio presente (lett. “sta arrivando”), piuttosto che del futuro (“sarà”), potrebbe riflettere l’uso del participio presente nella versione LXX di Is. 41:4, che è un’elaborazione di Esodo 3:14: “Io, il Signore, il primo e le cose future, io sono”». Trafton, J. L. (2005). Reading Revelation: A Literary and Theological Commentary (Rev. ed., p. 19). Macon, GA: Smyth & Helwys Publishing.

[9] Fa ciò sottostando dall’uso che fa Isaia 41:4 di Esodo 3:14. Come spiega Trafton: “L’uso da parte di Giovanni del participio presente (lett., ‘sta arrivando), piuttosto che di un futuro (“sarà’), potrebbe riflettere l’uso del participio presente nella versione LXX di Is. 41:4, che è un’elaborazione di Esodo 3:14: ‘Io, il Signore, il primo, e le cose future, io sono.'” J. L. Trafton, Reading Revelation: A Literary and Theological Commentary, (Macon, GA: Smyth & Helwys Publishing, 2005), p. 19.

[10] Henry Barclay Swete, a cura di, The Apocalypse of St. John, 2a ed., Classic Commentaries on the Greek New Testament (New York: The Macmillan Company, 1906), p. 5.

[11] Moses Stuart, A Commentary on the Apocalypse, (originariamente pubblicato da New York: Van Nostrand & Terrett, 1851; ristampato da Nabu Press, 2011), p. 15.

[12] Zerwick, M., & Grosvenor, M. A, Grammatical Analysis of the Greek New Testament, (Rome: Biblical Institute Press, 1974), p. 742.

[13] καὶ ἀπὸ τῶν ἑπτὰ πνευμάτων ἅ εστιν ἐνώπιον τοῦ θρόνου αὐτοῦ.

[14] G. K. Beale and D. A. Carson (a cura di), Commentatry on the New Testament Use of the Old Testament, (Grand Rapids: Baker, 2007).

[15] David E. Aune, Revelation 1-5, Volume 52A of Word Biblical Commentary, (Dallas: Word, 1997), p. 38.

[16] Grant R. Osborne, Revelation. Baker Exegetical Commentary on the New Testament, (Grand Rapids: Baker, 2002), pp. 62-63.

[17] Oliver B. Greene, The Revelation: A Verse By Verse Study, (Greenville, SC: The Gospel Hour, 1963), p. 27. Enfasi mia.

[18] John F. Walvoord, The Revelation of Jesus Christ, (Chicago: Moody Press, 1966, 1989), p. 38.

[19] Questo punto particolare è riscontrabile in diverse sue opere: Benjamin B. Warfield, The Works of Benjamin B. Warfield: Biblical Doctrines, vol. 2 (Bellingham, WA: Logos Bible Software, 2008), 625 ss.; Benjamin B. Warfield, Are They Few That Be Saved? (Bellingham, WA: Logos Bible Software, 2008); Benjamin B. Warfield, The Saviour of the World (Edinburgh; Carlisle, PA: The Banner of Truth Trust, 1991).


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