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CHIESA E STATO

“Ogni qual volta un legislatore prende posizione in un modo o in un altro su una questione, è di fatto impossibile che non abbia qualche presupposto religioso.”

Abbiamo osservato che una posizione distintamente cristiana riguardo a legge e politica richiederà la promozione del vangelo totale propugnato dalla fede riformata — un vangelo che ha implicazioni religiose perché Cristo ha stabilito il regno di Dio (con la sua influenza in ogni ambito di vita) ed ora governa come Re dei re su tutta l’umanità. I veri credenti pregano che il regno si manifesti sempre più nella storia, e che la volontà di Dio sia fatta in terra come lo è in cielo. Lo studio della Scrittura ha dimostrato che la volontà di Dio per la giustizia e la politica è stata rivelata nello standard permanente della legge di Dio. Perciò, i cristiani devono operare per persuadere altri che sono in obbligo di rispettare i comandamenti di Dio, incluso il magistrato civile il quale deve essere informato del suo dovere di applicare le sanzioni penali della legge di Dio contro le attività criminali nella società. Senza la legge di Dio, il cristiano può assumere un interesse in politica, ma non ha nulla con cui contribuire che sia di concreto indirizzo che non possa provenire altrettanto dalla saggezza sociale autonoma. La legge di Dio è la chiave, dunque, dell’attitudine cristiana nei confronti della moralità sociopolitica.

Un’obiezione che si sente spesso nella nostra società laicista (e si sente perfino da cristiani che hanno ceduto alle pressioni della secolarizzazione) è che non si può riconoscere la legge di Dio come standard di moralità politica a causa della “separazione tra chiesa e stato”. Dobbiamo esaminare questa obiezione da varie angolature semplicemente per vedere quanto sia debole.

La separazione nel Vecchio Testamento

Prima di tutto, ci sono persone che rigettano la legge di Dio come standard per l’etica politica del giorno d’oggi perché credono che l’ordinamento del Vecchio Testamento non riconoscesse, come oggi noi facciamo, alcuna separazione tra chiesa e stato. Il concetto sembra essere questo: Poiché la legge di Mosè fu intesa per una situazione nella quale chiesa e stato erano congiunti, questi comandamenti sarebbero eticamente inappropriati per una situazione differente come la nostra dove chiesa e stato sono separati.

Questa linea di pensiero sarà anche comune, ma non è comunque valida. Possiamo cominciare prendendo nota del fatto che il Vecchio Testamento invece riconosceva sicuramente molti tipi di separazione tra l’aspetto della vita cultico-religioso e quello civile-politico. Nell’Israele del Vecchio Testamento i re non erano sacerdoti, e i sacerdoti non erano capi civili (come nelle culture pagane circostanti). Di fatto, quando un re come Uzza ebbe la presunzione di assumersi la mansione religiosa di un sacerdote, fu colpito da Dio con la lebbra per aver osato abbattere la riconosciuta separazione tra “chiesa” e “stato” (2° Cr. 26:16-21). Ci fu una chiara differenza tra l’ufficio e le prerogative di Mosè e Aaronne, tra quelle di Nehemia e quelle di Esdra. L’ordinamento sociale del Vecchio Testamento quindi non “univa” il culto religioso e l’amministrazione civile.

Leggiamo che Geosafat ben si attenne a questa distinzione in 2° Cronache 19:11. Una separazione funzionale tra re e sacerdote — ambedue responsabili a Dio — era conosciuta e seguita. Pertanto, re e sacerdoti avevano case diverse, funzionari diversi, tesorieri diversi, regole diverse, e forme diverse di disciplina da imporre. La ventilata confluenza di chiesa e stato nel Vecchio Testamento è basata semplicemente sulla poca familiarità con le realtà del Vecchio Testamento come sono presentate nella Scrittura.

Recentemente è stato suggerito da un professore di Vecchio Testamento in un seminario che lo statuto di membro nello stato giudaico del Vecchio Testamento fosse collimante con quello della chiesa giudaica del Vecchio Testamento, perché (egli sostiene) la circoncisione e la partecipazione alla Pasqua erano richieste a tutti i cittadini in Israele. Malgrado la forza che questo suggerimento sembra avere a prima vista, lo troveremo accettabile solo se trascuriamo di leggere l’effettivo resoconto biblico della situazione sociale del Vecchio Testamento. In realtà, c’erano invece cittadini d’Israele (membri dello stato) che non erano circoncisi (che non portavano il segno d’appartenenza alla comunità pattizia), vale a dire le donne. Ma ancor più fondamentalmente, c’erano uomini in Israele che godevano i privilegi e la protezione della cittadinanza, che tuttavia non erano membri della “chiesa” — che non erano circoncisi e non partecipavano al pasto redentivo della Pasqua. Erano gli ospiti, quelli che “soggiornavano” in Israele. Avevano la stessa legge (Le. 24:22) e gli stessi privilegi (Le. 19:33-34) dei nativi israeliti, ma a meno che non fossero disposti a subire la circoncisione e aggregarsi alla comunità religiosa, non mangiavano la Pasqua (Es. 12:43, 45, 48).

In molti modi questo corrisponde alla situazione di oggi. Tutti gli uomini vivono sotto le stesse leggi e privilegi nel nostro stato, ma solo quelli che assumono il segno del patto (il battesimo nel Nuovo Testamento) possono essere membri della chiesa e liberi di mangiare la cena del Signore (il pasto redentivo). Perfino a questo livello non troviamo in Israele una situazione che sia completamente differente dalla nostra. Chiesa e stato non convergevano in alcun modo ovvio ai tempi del Vecchio Testamento.

Ovviamente c’erano molti aspetti unici nella situazione goduta dagli Israeliti del Vecchio Testamento. In molti modi il loro ordinamento sociale non era ciò che il nostro è oggi. E il carattere straordinario dell’Israele del Vecchio Testamento potrebbe benissimo essere appartenuto a qualche aspetto della relazione tra il culto religioso e il governo civile nel Vecchio Testamento. Ciò nonostante, faticheremo invano per trovare qualche indicazione nella Scrittura che la validità della legge mosaica per la società dipendesse in qualche modo da qualsiasi di queste caratteristiche straordinarie dell’arrangiamento sociale del Vecchio Testamento. Nonostante l’unicità d’Israele, il suo codice giuridico fu presentato come un modello che altre nazioni potevano imitare (De. 4:6-8). Ciò che non era straordinario o unico era la giustizia che prendeva corpo nella legge di Dio; la sua validità era universale, avendo attinenza perfino a nazioni che non corrispondevano in nessun modo alla situazione sociale (o chiesa-stato) in Israele. Di conseguenza, anche se indicassimo che oggi il nostro ordinamento sociale differisce in qualche modo da quello dell’Israele del Vecchio Testamento, non saremmo con ciò giustificati nel concludere che la legge rivelata a Israele non sia moralmente valida per la società dei nostri tempi. Quale che sia stata la precisa relazione chiesa-stato in Israele, la legge rivelata a Israele deve essere obbedita anche dalle società che hanno oggi una relazione chiesa- stato leggermente diversa.

Una considerazione della separazione di chiesa e stato (o della sua assenza) nell’Israele del Vecchio Testamento non invalida dunque l’autorità della legge del Vecchio Testamento per la società attuale. Cristo insegnò che dobbiamo rendere a Cesare le cose che sono di Cesare e a Dio la cose che sono di Dio (Mt. 22:21). Certo, c’è una differenza tra Cesare e Dio, e noi dobbiamo obbedirli entrambi tenendo a mente quella distinzione. E tuttavia, mentre noi dobbiamo obbedienza alle autorità che esistono (Ro. 12:1-2), il magistrato civile deve fedeltà alla volontà di Dio rivelata perché egli è il “ministro di Dio” (Ro. 13:4).

Ammettere che la chiesa è separata dallo stato non è la stessa cosa che dire che lo stato sia separato da obblighi nei confronti di Dio stesso e del suo governo. Ambedue, chiesa e stato, come istituzioni separate con funzioni separate (la chiesa misericordiosamente amministra il vangelo mentre lo stato giustamente amministra la legge pubblica mediante la spada), servono sotto l’autorità di Dio, il Creatore, Sostenitore, Re, e Giudice di tutta l’umanità in tutti gli aspetti della vita di tutti.

Sensi diversi di questa separazione

Quando oggi le persone parlano della loro dedizione alla separazione tra chiesa e stato, dobbiamo renderci conto che questa dedizione si può prendere o intendere in molti modi. “Io credo nella separazione tra chiesa e stato” potrebbe essere la risposta a una o più domande distinte per logica. Per esempio potremmo chiedere se la chiesa debba dominare lo stato (per esempio il Papa che dà i suoi dettami ai re) o se lo stato debba dominare la chiesa (per esempio che il Parlamento detti le prassi ecclesiali), e la risposta può benissimo essere che che dobbiamo attenerci alla separazione tra chiesa e stato — ossia, che nessuna delle due istituzioni dovrebbe dominare l’altra. Dovremmo avere una libera chiesa in libero stato.

Una seconda domanda potrebbe essere se lo stato debba stabilire una denominazione al di sopra delle altre come chiesa-dello-stato (o tassare la popolazione per sostenere finanziariamente i ministri di una particolare chiesa o denominazione), e la risposta, ancora una volta, potrebbe essere che dovremmo attenerci alla separazione tra chiesa e stato — ossia, che tutte le chiese dovrebbero sostenersi semplicemente mediante offerte volontarie, e che una denominazione non dovrebbe essere favorita sulle altre dallo stato. Questo, nella realtà storica, è ciò che il primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti ha dettato quando proibì l’ “instaurazione” della religione. Non proibì che fossero espresse visioni basate sulla religione da parte di politici o dei loro sostenitori; né proibì l’obbedienza alla bibbia da parte dei pubblici ufficiali. Proibì meramente che fosse stabilita una denominazione come chiesa di stato.

Infine, in tempi recenti, si è giunti a chiedere se un distinto sistema religioso o rivelazione debbano essere lo standard con cui individui col compito di legislatori determinano politiche pubbliche. In epoche precedenti la gente sarebbe stata sufficientemente intelligente da dirimere una tale domanda perché ogni qual volta un legislatore prende posizione in un modo o in un altro su una questione, è di fatto impossibile che non abbia qualche presupposto religioso. La sola domanda da chiedere sarebbe quale credo religioso debba guidarlo, non se un credo religioso debba farlo! Tuttavia, oggi quelli che favoriscono il pseudo-ideale della neutralità religiosa nelle questioni politiche tendono ad esprimere la propria posizione come una dedicazione alla “separazione tra chiesa e stato”. Con questo intendono la separazione della moralità (della moralità basata sulla religione) dallo stato; sono invece a favore di leggi laiciste o autonome nella società. Quelli che credono che i magistrati siano vincolati alla legge di Dio vengono (erroneamente) accusati di violare la separazione tra chiesa e stato — che dovrebbe significare la separazione di due istituzioni e due funzioni.

Conclusione

Dobbiamo essere attenti a comprendere come le persone stiano usando i loro termini. Il cristiano che promuove l’obbedienza alla legge di Dio all’interno della società non sta violando alcuna biblica comprensione della separazione tra chiesa e stato. Di fatto, si spera che i credenti promuovano fortemente tale separazione — intendendo che nessuna delle due istituzioni dovrebbe dominare l’altra in alcuna capacità ufficiale, e che nessuna denominazione dovrebbe essere stabilita come chiesa dello stato. Tuttavia, il cristiano starà sicuramente violando “la separazione tra chiesa e stato” quando l’umanesimo usa quella frase come slogan a favore della neutralità religiosa in politica pubblica. Ma a quel punto la nostra preoccupazione non è per la fedeltà ad uno slogan ambiguo ma per per la fedeltà al re dei re. “Sia Dio verace e ogni uomo bugiardo” (Ro. 3:4). Noi dobbiamo essere fedeli alle richieste della Scrittura, incluso l’obbligo del magistrato civile nei confronti della legge di Dio, piuttosto che ai dettami popolari della nostra epoca. In breve: “Noi dobbiamo obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At. 5:29).


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