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ARGOMENTI CONTRO LA VALIDITÀ GENERALE DELLA LEGGE

“Insistere che siamo credenti del Nuovo Patto o che i comandamenti mosaici devono pervenirci per mezzo di Cristo non sottrae nulla
dal nostro obbligo nei confronti della
legge del Vecchio Testamento”

Questi studi hanno trovato ampie evidenze bibliche a favore della posizione che la legge di Dio sia pienamente vincolante per l’etica moderna (a meno che non siano state rivelate alterazioni). Abbiamo visto che si debba presumere la continuità col Vecchio Testamento degli standard morali, e che questa presunzione sia valida per le porzioni socio-politiche della legge quanto per quelle personali. Solo la parola di Dio possiede sufficiente autorità per alterare i nostri obblighi verso i comandamenti rivelati da Dio in precedenza.

Alcuni insegnanti o scrittori cristiani vorrebbero contendere, comunque, che la legge di Dio non abbia una validità generale nell’era del Nuovo Testamento. Tenteranno di mettere insieme argomenti contro le conclusioni a cui siamo stati orientati dal nostro studio della Scrittura. Per correttezza dovremo esaminare alcune della principali ragioni che la gente offre per affermare che la legge di Dio non è generalmente valida nella dispensazione del Nuovo Patto, chiedendoci se tali considerazioni genuinamente confutino ciò che abbiamo detto fin qui.

Matteo 5:17-19

Un passo della Scrittura che sembra insegnare chiaramente la presunzione della continuità morale oggi con i comandamenti del Vecchio Testamento è Matteo 5:17-19. Tuttavia alcuni scrivono come se questo passo non dica niente del genere. Argomentano, per esempio, che il verso 17 non tratta con l’attitudine di Cristo nei confronti della legge del Vecchio Testamento, ma piuttosto con la vita di Cristo come realizzazione profetica di ogni cosa contenuta nel canone veretotestamentario.

È vero, naturalmente, che la portata della dichiarazione di Cristo qui sia l’intero Vecchio Testamento (“la Legge e i Profeti”). Però, non c’è assolutamente nulla nel contesto del verso o nella terminologia usata che vada a toccare la vita di Cristo (in distinzione dal suo insegnamento) o la profezia-tipologia. Il centro dell’attenzione è ovviamente gli standard morali mediante i quali Cristo vorrebbe vivessimo, e in particolare viene assunta la questione dei comandamenti del Vecchio Testamento. Il verso 16 parla delle nostre “buone opere”. Il verso 17 nega due volte che Cristo abroghi la rivelazione del Vecchio Testamento—per cui qualsiasi interpretazione che faccia implicare a “portare a compimento” l’abrogazione della legge renderebbe simultaneamente auto-contraddittorio il verso.

Il verso 18 parla più specificamente “della legge” e nel verso 19 Gesù fa di nuovo riferimento all’oggetto delle sue osservazioni nei versi 17-18 chiamandolo “questi comandamenti”. Verso 20 e successivi parlano della questione della rettitudine e di come i farisei abbiano distorto i requisiti dei comandamenti di Dio. È piuttosto evidente che in questo passo troviamo una diretta affermazione di Gesù sulla validità della legge, e ciò che egli disse fu che neppure il più piccolo dei comandamenti, né il segno più piccolo di una lettera dell’alfabeto della legge — sarebbe stato abrogato o passerà fino alla fine del mondo spazio-temporale.

Qualcuno potrebbe suggerire che la parola “ma” in Matteo 5:17 potrebbe non esprimere un diretto contrasto tra “abrogare” e “portare a compimento”. Tuttavia, il greco ha due avversativi, e quello che compare qui è il più forte. Gesù non parla meramente di un generico contrasto, ma di una diretta antitesi tra abrogare e compiere. A questo punto potrebbero suggerire che la negazione, (il non) in verso 17 non è necessariamente di carattere assoluto, perché altrove leggiamo frasi nel Nuovo Testamento che hanno la stessa forma (non questo, ma quello) e il senso ovvio è quello di una negazione relativa ( cioè non tanto questo come quello). Però, in tali casi abbiamo qualcosa come una forma introduttiva fatta con un paradosso, dove qualcosa viene prima affermato e poi negato, per risolvere poi la contraddizione con la relativa negazione (per esempio “chiunque riceve me, non riceve me, ma [ancor più] colui che mi ha mandato, Marco 9:37). Questo non è ciò che troviamo in Matteo 5:17.

Al posto di qualcosa che venga prima affermato e poi negato, abbiamo qualcosa di negato due volte di seguito: “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire”. Questo non è un paradosso introduttivo ma un’enfatica negazione di qualcosa bella e buona! Matteo 5:17, insieme con la grande maggioranza di casi di “non questo ma quello” nel vangelo di Matteo, esprime un forte contrasto o antitesi, non una negazione relativa.

Altri che oppongono la validità generale della legge nel Nuovo Testamento possono sperare di venire a termini con Matteo 5:17-19 argomentando che la clausola subordinata “prima che tutto sia adempiuto” nel verso 18 limiti la validità della legge al ministero obbediente di Gesù Cristo sulla terra. Per farlo devono leggere parecchio dentro ad una frase assai sbiadita con poco carattere distintivo; in greco la frase dice poco più che: “finché tutto avviene”. La struttura del verso sembra fare di questa una frase parallela a quella che la precede, una frase che dichiara specificamente “finché il cielo e la terra non passeranno”. L’interpretazione proposta dunque, renderebbe il verso auto-contraddittorio dicendo che la legge era sia valida fino alla fine del mondo e valida fino a che Gesù non l’avesse osservata tutta (nel cui caso sarebbe adesso sia accantonata che non accantonata). Oltretutto, questa interpretazione prende “tutto” nella frase “prima che tutto sia adempiuto” come riferirsi a tutti gli apici e gli iota della legge menzionati nel vero 18. Ma ciò è grammaticalmente incorretto visto che “tutto” e “apice e iota” non concordano per genere o numero secondo il testo in greco.

È evidente che non c’è via di sfuggire al succo di Matteo 5:17-19. Dobbiamo presumere una validità generale della legge del Vecchio Testamento oggi. Anche se qualcuno indicasse (correttamente) che l’insegnamento qui debba essere qualificato da rivelazione del Nuovo Testamento data altrove, il nostro punto rimarrebbe. La nostra presunzione è che la legge del Vecchio Testamento sia vincolante fino a che il Nuovo Testamento non c’insegni diversamente. Se un comandamento non è alterato o messo da parte dal Nuovo Testamento noi dobbiamo assumere un obbligo d’osservarlo.

Presunte dismissioni della legge nel Nuovo Testamento

Benché trascuri l’ampia evidenza positiva che è stata presentata in questo libro introduttivo e nel mio trattamento più completo Theonomy in Christian Ethics (II Edizione, 1984), una procedura per controbattere la generale validità della legge è di indicare isolati passi del Nuovo Testamento che sembrano dismettere la legge dell’Antico testamento per oggi. Il trattamento dato a tali versi in questo libro dimostra che tali passi di fatto non contraddicono la validità generale della legge; quanto meno possono essere compresi legittimamente in modo non contraddittorio. Quelli che insistono nel leggerli in un altro modo — talché confliggano con una chiara sottoscrizione della validità della legge nel Nuovo Testamento — creano una tensione teologica dove non ne è necessaria l’esistenza.

Atti 15

Alcuni passi del Nuovo Testamento sembrano comparire piuttosto spesso nelle polemiche di quelli che oppongono la validità generale della legge oggi. Atti 15 è comunemente citato, come se il decreto del Concilio Apostolico avesse inteso delineare precisamente quelle leggi e solo quelle leggi che erano rimaste valide dal Vecchio Testamento. Ma tale idea non è credibile. Secondo quest’idea, siccome il concilio non proibì la bestemmia e il furto, tale comportamento sarebbe oggi condonato — non essendo stata protratta al Nuovo Testamento la proibizione di queste cose.

1 Corinzi 9:20-21

In 1° Corinzi 9:20-21 Paolo dice che “non era sotto la legge” e che poteva comportarsi come uno “senza la legge”. Però, queste constatazioni vennero nel contesto di dire che si comportava in un modo tra i giudei e in un altro tra i gentili. La differenza qui era sicuramente non una pertinente a questioni morali (come se Paolo fosse stato un ladro tra certe persone, ma non un ladro tra certe altre!), ma doveva essere una differenza che apparteneva alle leggi che separavano giudei dai gentili. Pertanto, Paolo stava qui parlando delle leggi cerimoniali che creavano un muro di separazione (cf. Efesini 2:13-16).

Per poter ministrare a tutti gli uomini, Paolo osservava tali leggi tra i giudei, ma le disattendeva tra i gentili. Al contempo, dichiara, di “non essere senza la legge di Dio, anzi sotto la legge di Cristo”. Ovviamente, dunque, Paolo non stava dismettendo la legge di Dio. Osservava la legge sotto l’autorità di Cristo, e Cristo stesso — lo sappiamo da altrove (per esempio Matteo 5.17-19) — insegnò che ogni minimo comandamento del Vecchio Testamento sia vincolante oggi.

Galati 3-4

In Galati 3-4 Paolo parla di un’epoca storica nella quale la legge servì come carceriere e come precettore fino a che l’oggetto della fede (Gesù Cristo) venne e fece dei credenti dei figli maturi che non avevano più bisogno di tale precettore. Alcune persone si sono impossessate di queste metafore e dichiarazioni e sono saltate all’affrettata conclusione che l’intera legge di Dio — che Paolo ha definito “Santa, giusta e buona” in Romani 7:22 — non sia altro che “deboli e poveri elementi”1 (Ga. 4:9) che ora sono passati. Però, una lettura migliore di Galati presterà attenzione al contesto storico: Galati è una polemica contro i giudaizzanti che insistevano nella necessità d’osservare la legge cerimoniale come mezzo di giustificazione (cf. Atti 15:1, 5; Ga. 5:1-6).

La porzione della legge dell’Antico Testamento di cui Paolo parla in Galati 3:23-4:10 fu un “precettore per portarci a Cristo” che ci insegnò che dovevamo “essere giustificati per fede” (v. 24). La legge morale (per esempio: “non ruberai”) non serve questa funzione; ci mostra il giusto comando di Dio, ma non indica la via della salvezza per grazia per quelli che violano il comando. Dall’altra parte, la legge cerimoniale sì era un istruttore nella salvezza per grazia, tipizzando l’opera redentiva di Cristo. Ora che l’oggetto della fede è venuto, però, non siamo più sotto questo precettore (v.25). Noi siamo figli maturi che godono la realtà che precedentemente era solo prefigurata. Quando non eravamo che bambini, eravamo sotto i “rudimenti” — i deboli e poveri elementi (4:3, 9). In Colossesi 2:16-23, Paolo ha parlato di “elementi” (rudimenti) e “precetti” spiegando che queste cose “sono ombra di quelle che devono venire; ma il corpo è di Cristo” (cf. Eb. 10:1).

Paolo stava parlando della legge cerimoniale che prefigurava l’opera del Redentore, ma che era debole e povera in confronto alla realtà introdotta da Cristo. Se questo non è sufficientemente evidente dal contesto storico (l’insistenza dei giudaizzanti con la circoncisione), dallo stesso vocabolario usato da Paolo (“rudimenti”) e dalla funzione assegnata alla legge specifica che Paolo aveva in mente (che indicava istruttivamente a Cristo e alla giustificazione per fede), dovrebbe essere ovvio dall’esempio che egli offre immediatamente alla fine del nostro passo. In Galati 4:10 Paolo specifica cosa intende con l’illustrazione dell’osservanza del calendario cerimoniale. Galati dismette le ombre della legge cerimoniale, ma sottoscrive la continua richiesta della legge morale dell’Antico Testamento, come vediamo in 5:13-14, 23b, dove l’amore e il frutto dello Spirito sono richiesti in modo da conformarci alla legge.

Ebrei 7:11-25

Un altro passo a cui viene comunemente fatto appello da quelli che oppongono la validità generale della legge oggi è Ebrei 7:11-25, perché al verso 12 parla di un necessario “cambiamento di legge”. Se consultiamo il passo attentamente, però, sarà chiaro che il cambiamento che è in mente qui è un cambiamento particolare o singolare pertinente ai requisiti per il sacerdozio. Il sacerdozio è stato cambiato dall’ordine Levitico all’ordine di Melchisedek (vv. 11-12), che indica ovviamente il fatto che il sacerdote di cui si parla in Ebrei non debba necessariamente provenire dalla tribù particolare di Levi, scelto nella legge mosaica per servire all’altare (vv. 13-14). Invece il grande Sommo sacerdote, Gesù Cristo, venne nella somiglianza di Melchisedek — “non per una legge di comandamento carnale [vale a dire di provenienza dalla famiglia di Levi]” — talché c’è stato “l’annullamento del comandamento precedente” in modo che si potesse realizzare la speranza migliore promessa in Salmo 110:4 (vss. 15-21). Questo singolo cambiamento nella legge è, primo, uno che appartiene alla legge cerimoniale, e che pertanto non contraddice la validità generale della legge del Vecchio Testamento come presentata in questo libro. Secondo, questo cambiamento è definito un “cambiamento” necessario, che scaturisce dal suo carattere cerimoniale e dall’insegnamento scritturale che il Sommo Sacerdote finale sarebbe venuto secondo l’ordine di Melchisedek. Questo tipo di necessità non prova che alcun’altra legge di Dio sia stata cambiata a meno che essa pure sia di natura cerimoniale e dettata dalla parola di Dio stesso. Di conseguenza, Ebrei 7 non si pone in opposizione alla presunzione che la legge del Vecchio Testamento sia vincolante oggi fino a che la parola di Dio non insegni diversamente.

Considerazioni teologiche circa la rivelazione e il patto

Se passiamo adesso dagli argomenti contro la validità generale della legge che scaturisce dalla considerazione di specifici passi della Scrittura, veniamo a una varietà di considerazioni teologiche che sono intese a militare contro la prospettiva che è stata assunta in questi studi.

Ci sono alcuni che tradiranno concetti sbagliati di ciò che è la nostra posizione dicendo che dobbiamo prestare un’attenzione correttiva al “progresso della rivelazione” che appartiene alla storia della redenzione. La difficoltà è che la nostra posizione è stata formulata studiando ciò che il Nuovo Testamento dice della legge del Vecchio Testamento, insieme a ciò che l’intera bibbia rivela del carattere delle norme etiche. Conseguentemente, siamo sempre stati molto consapevoli della rivelazione progressiva che ci ha portati alla convinzione che i comandamenti del Vecchio Testamento devono essere presi per vincolanti fino a che i cambiamenti siano dichiarati dalla parola di Dio stesso. Quelli che si appellano vagamente alla “rivelazione progressiva” come ipoteticamente una refutazione sufficiente della posizione presa in tutti questi studi sembra aver confuso il progresso della rivelazione riguardo la legge di Dio con l’evoluzione etica degli standard stessi di Dio. Un’altra considerazione teologica che è stata avanzata nel dibattito sulla validità generale della legge di Dio è l’osservazione che Gesù Cristo è il Mediatore del Nuovo Patto, l’apice dell’opera di rivelazione di Dio e il Signore della nostra vita — nel cui caso dobbiamo dare ascolto a Lui e modellare la nostra vita sulla sua vita se vogliamo avere un’etica cristiana. La domanda che rimane, comunque, è se Cristo con la sua parola e con il suo esempio ci abbia insegnato di onorare l’autorità dei comandamenti del Vecchio Testamento. Siccome lo ha fatto, come dimostrano abbondanti evidenze, allora il suggerimento che noi dovremmo seguire Gesù e non Mosè è una antitesi falsa e fuorviante. Siccome il Nuovo Testamento sottoscrive gli standard morali del Vecchio Testamento, non siamo costretti a scegliere tra un’etica del Vecchio Testamento e un’etica del Nuovo Testamento. Dobbiamo seguirle entrambe perché costituiscono uno standard morale unitario.

È forse vero, come alcuni asseriscono, che siccome oggi viviamo sotto il Nuovo Patto dovremmo formulare la nostra etica cristiana esclusivamente sulla base delle Scritture del Nuovo Testamento, considerando obsoleti gli standard del Vecchio Patto? Se prestiamo attenzione ai termini precisi del Nuovo Patto, la nostra risposta deve essere: No! Geremia 31:33 stipulò che quando Dio avrebbe fatto un Nuovo Patto avrebbe scritto la sua legge nei cuori del suo popolo — non che avrebbe abrogato la sua legge, rimpiazzato la sua legge, o dato una nuova legge. Conseguentemente, vivere in sottomissione al Nuovo Patto è gioire nella legge del Vecchio Patto, perché è scritta sul nostro cuore, dal quale sgorgano le sorgenti della vita.

Promesse e richieste

Quelli che suggeriscono che l’instaurazione del Nuovo Patto annulli la validità generale della legge dell’Antico Testamento sembrano aver confuso il senso in cui il Vecchio è diventato obsoleto (Eb. 8:13) e il senso in cui continua eguale (Eb. 10:16). Tutti i patti di Dio sono unificati. Fanno le stesse richieste morali e focalizzano sulle stesse promesse. Però, le promesse richiedono il compimento storico — il cambiamento dall’anticipazione alla realizzazione — in un modo che le richieste non fanno; c’è una differenza di prospettiva tra il Vecchio e il Nuovo Patto riguardo alle promesse di Dio, mentre gli standard morali di ambedue sono assoluti e immutabili. Pertanto l’amministrazione del Vecchio Patto (sacrifici, segni pattizi, tempio) possono essere accantonati per le realtà del Nuovo Patto benché la legge morale del Vecchio Patto rimanga fondamentalmente la stessa. Gli eventi storici sono cruciali riguardo alle promesse, mentre sono irrilevanti per le richieste. Infatti, il bisogno che avevamo che Cristo venisse e compisse storicamente le promesse redentive nasce precisamente perché i giusti standard di Dio non possono essere accantonati. Ebrei insegna specificamente che il Nuovo Patto è un “patto migliore” perché fondato su “migliori promesse” (8:6) — non una migliore legge. Anzi, la legge del Vecchio Patto è scritta nel cuore del credente del Nuovo Patto (v.10). Perciò noi viviamo sotto le promesse realizzate — le realtà compiute — del Nuovo Patto, non sotto le ombre di redenzione del Vecchio Testamento, e tuttavia viviamo sotto lo stesso patto essenziale sotto cui vissero i santi del Vecchio Testamento perché tutti i patti di Dio sono uno: costituiscono “i patti della promessa” (Ef. 2:12), sviluppi progressivi dell’una promessa di salvezza. All’interno di quelle amministrazioni del Vecchio Patto, la legge non fu contraria alle promesse di Dio (Ga. 3:21). Proprio questa stessa legge è scritta sul cuore nel compimento della promessa del Nuovo Patto (cf. Eb. 8:6-12).

Pertanto, il fatto che Gesù Cristo sia Signore del Nuovo Patto e che il suo esempio sia il modello per l’etica cristiana, e il fatto che il Nuovo Patto sia l’amministrazione della singola promessa di Dio sotto cui abbiamo ora il privilegio di vivere, non implicano in alcun modo logico o biblico che gli standard morali del Vecchio Testamento siano oggi stati accantonati come nulli. Insistere che siamo credenti del Nuovo Patto o che i comandamenti mosaici devono pervenirci attraverso Cristo non significa sottrarre alcunché dal nostro obbligo nei confronti della legge del Vecchio Testamento come interpretata e qualificata dall’avanzata rivelazione del Nuovo Testamento.

Precisazioni pertinenti le categorie della legge

Infine, possiamo esaminare alcuni argomenti popolari contro la validità generale della legge del Vecchio Testamento, che sono tutti relativi alle categorie comunemente riconosciute dai teologi (vale a dire: legge morale, legge giudiziale, legge cerimoniale).

Primo, c’è l’argomento che la bibbia non parla mai di queste categorie, nel cui caso la legge deve essere considerata un insieme indivisibile. L’idea è che se la legge è stata accantonata in qualsiasi senso, allora, ne consegue che l’intera legge è stata accantonata. Tale modo di pensare è semplicistico e fallace.

Tanto per cominciare, la bibbia può essere spesso riassunta in modi che non sono effettivamente espressi nella bibbia stessa (per esempio, la dottrina “della Trinità”), e pertanto l’opportuna categorizzazione della legge non è inaccettabile a priori. Dipende tutta da se le categorie e le loro implicazioni sono aderenti all’insegnamento biblico. In secondo luogo, c’è un senso in cui la legge si presenta insieme come un’unità; infatti la bibbia non classifica attentamente le leggi per noi secondo qualche schema esplicito. Dovremmo tenere a mente questo fatto se la nostra tentazione sia d’ignorare a priori un intero segmento della legge del Vecchio Testamento come annullata in virtù dei nostri schemi di classificazione; i comandamenti non possono essere facilmente incasellati per essere dismessi. Ciononostante, in terzo luogo, l’insegnamento biblico richiede il nostro riconoscimento di una fondamentale differenza tra le leggi morali e le leggi cultuali-simboliche- redentive. Dio ritenne implicita quella differenziazione quando dichiarò “desidero la misericordia, non i sacrifici” (Os. 6:6); la differenziazione è chiara anche dal diverso trattamento che il Nuovo Testamento dà ai comandi del Vecchio Testamento — alcuni vengono rinforzati come nostro dovere, mentre altri sono accantonati come ombre obsolete.

Alcune leggi nel Vecchio Testamento hanno un proposito redentivo, guardando avanti all’opera del salvatore (per esempio i codici sacrificale e sacerdotale), ma sarebbe erroneo asserire che tutte le leggi (per esempio: “Non rubare”) avessero quel carattere o indicazione. Pertanto, non dovremmo ripudiare la nozione che ci sia una divisione cerimoniale all’interno della legge (probabilmente meglio chiamate “leggi riparatorie”). Inoltre, le leggi cerimoniali, che nella loro stessa natura o proposito imponevano una separazione tra giudei e gentili, sono state designate da Paolo “la legge di comandamenti fatta di prescrizioni” (Ef. 2:15; cf. Cl. 2:14, 17 per “ordinamenti”). Egli riconosce un sistema di leggi “in ordinamenti” (una categoria di comandamento speciale) che era stata abolita dall’opera di redenzione di Cristo.

La casuistica

Un altro argomento correlato alla categoria, contrario alla validità generale oggi della legge del Vecchio Testamento, sostiene che le applicazioni e illustrazioni del Decalogo che troviamo nella casuistica (o “leggi giudiziali”) del Vecchio Testamento non siano perpetuamente vincolanti. Qualche persona lo dice e intende niente di più che l’ovvia verità che gli esempi culturali e le applicazioni degli standard di Dio saranno diversi tra l’antico Israele e il moderno Occidente. Tuttavia, altri sembrano reclamare qualcosa di più: vale a dire che i principi rivelati con illustrazioni nella casuistica del Vecchio Testamento debbano oggi essere riapplicati con flessibilità in un modo nuovo — in un modo che sia personale o adattato alla nuova forma- ecclesiale del regno di Dio, e che la loro applicazione corrente debba essere ristretta solo a questi ambiti.

Quest’ultima visione è erronea. Si consideri il seguente esempio: Osservare il Sesto Comandamento (“non ucciderai”) una volta significava, tra le altre cose, non essere negligenti ove la vita umana potesse essere in pericolo (per esempio tagliare con un’ascia la cui lama fosse allentata dal manico). Dire che il significato di questa specifica definizione del sesto comandamento non è più applicabile — vale a dire che la negligenza quando la vita è in pericolo è ora moralmente accettabile (per esempio uno potrebbe legittimamente guidare coi freni consumati) — significa di fatto alterare il significato stesso e il requisito del sesto comandamento. È contraffare ciò che Dio intende con i suoi comandamenti. Se cambiamo le spiegazioni e le applicazioni di Dio della casuistica (i principi che illustra o insegna), a quel punto dovremo rendere conto per aver manipolato il significato inteso dalla sua parola. Dire che il sesto comandamento sia perpetuamente vincolante, ma non le leggi giudiziali correlative o casuistica, è rendere “non ucciderai” un’etichetta arbitraria che copriva un tipo di comportamento nel Vecchio Testamento ma che è appiccicato sopra a un diverso tipo di comportamento nel Nuovo.

Poiché i principi della casuistica definiscono il Decalogo, i principi della casuistica (nel loro pieno campo d’applicazione: personale e sociale, ecclesiastico e civile) sono perpetui quanto il Decalogo stesso. Pertanto, la pratica neotestamentaria che abbiamo osservato in precedenza è citare la casuistica del Vecchio Testamento con la stessa facilità e direttamente a fianco dei dieci comandamenti (per esempio l’elenco di doveri morali ripetuto da Cristo al giovane ricco in Marco 10:19 include “non frodare” proprio a fianco del Decalogo.

Conclusione

Abbiamo esaminato specifici testi del Nuovo Testamento ed abbiamo riflettuto su vari temi teologici ma in nessuno di questi abbiamo ancora trovato qualche evidenza convincente che vada contro la prospettiva formulata in questo libro. Ci possono essere versi biblici isolati che, quando letti fuori dal contesto letterario e teologico, danno un’effimera impressione che “la legge” non vincoli più il nostro comportamento. Visti più da vicino, comunque, neanche un singolo testo del Nuovo testamento dice che gli standard di comportamento insegnati nella legge del Vecchio Testamento siano adesso immorali, datati, o incorretti nel modo in cui definiscono la pietà. “Noi sappiamo che la legge è buona” ha detto Paolo (1° Ti. 1:8).

In maniera simile, possono esserci certi concetti o certe considerazioni teologiche che inizialmente suggeriscono la scomparsa de “la legge” del Vecchio Patto. Quando compresi correttamente e analizzati biblicamente, però, nessuno di questi temi teologici implica logicamente la revoca degli standard morali del Vecchio Patto. Se lo facessero, non avremmo alcuna obiezione di principio al situazionismo o al relativismo culturale. Noi avremmo perso l’autorità oggettiva, assoluta, universale della moralità biblica. Il presupposto di Paolo fu chiaro: “Or noi sappiamo che tutto quello che la legge dice, lo dice per coloro che sono sotto la legge, affinché ogni bocca sia messa a tacere e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio” (Ro. 3:19).

Argomenti persuasivi contro la bontà e l’universale validità degli standard morali insegnati nella legge del Vecchio Testamento semplicemente non sono stati trovati. I critici non sono riusciti ad offrirci un principio non arbitrario, fondato sulla bibbia, univoco, mediante il quale possano complessivamente disconoscere le definizione del Vecchio Testamento di buon e cattivo comportamento o attitudini — o (ancor più difficile) mediante il quale possano distinguere tra porzioni valide e porzioni annullate delle istruzioni morali del Vecchio Testamento. La validità generale della legge di Dio per il nostro tempo, separatamente da particolari qualificazioni su di essa basate sulla bibbia, non può essere evasa con successo.

Note:

1 Molte traduzioni Inglesi danno “rudimenti” per elementi. L’Autore usa questo termine che sembra adattarsi bene con il concetto espresso dalla frase. (n.d.T.)


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