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I TEMI ETICI DEL NUOVO TESTAMENTO
SOTTOSCRIVONO LA LEGGE

“Il presupposto degli autori del Nuovo Testamento è continuamente e coerentemente che la legge del Vecchio Testamento è valida oggi.”

Il Nuovo Testamento utilizza un gran numero di espressioni e di concetti nel comunicare istruzioni morali al popolo di Dio — un numero talmente grande che un breve studio non li può menzionare tutti. La varietà di temi che si trovano nell’etica del Nuovo Testamento aiuta a far giungere ai nostri cuori il messaggio e le richieste di Dio. Contempla i nostri obblighi morali da molte prospettive, ci offre numerosi modelli e motivazioni per un corretto modo di vivere, e facilita la produzione e il mantenimento in noi della maturità etica.

Eppure, la grande varietà di temi etici del Nuovo Testamento non implica una corrispondente grande diversità di sistemi etici con aspettative conflittuali. Dio è coerente e non muta (Ml. 3:6); in Lui non c’è mutamento né ombra di rivolgimento (Gm. 1:17). La sua parola non è equivoca, non dice “sì” da una prospettiva ma “no” da un’altra (2 Co.1:18; cf. Mt. 5:37). Perciò i suoi standard di comportamento non si contraddicono, approvando e disapprovando la stessa cosa a seconda di quale tema etico nel Nuovo Testamento stiamo considerando. Il Signore ci vieta di seguire autorità conflittuali (Mt. 6:24) e richiede che il nostro comportamento nel mondo rifletta la “sincerità di Dio” — cioè un’attitudine non ambigua e unità di mente e di giudizio (2 Co. 1:12).

L’istruzione etica del Nuovo Testamento pertanto mostra una diversità d’espressione ma un’unità d’aspettativa. Questo equivale a dire semplicemente che i vari temi morali che ci sono nel Nuovo Testamento sono in armonia tra loro. Mentre esaminiamo alcuni di questi temi neo- testamentari, sarà significativo notare come essi assumano coerentemente o propaghino esplicitamente gli standard della legge di Dio del Vecchio Testamento — cosa che, dato il carattere immutabile di Dio e la coerenza dei suoi standard etici, non sorprende affatto. La legge di Dio è intessuta dentro a tutti i temi etici del Nuovo Testamento.

La giustizia del regno

La richiesta centrale di Gesù nel Sermone sul Monte è quella di una giustizia confacente al regno di Dio. La giustizia e il regno di Dio sono intimamente correlati: la persecuzione per amore della giustizia è premiata nel regno (Mt. 5:10). Proprio come Mosè consegnò un pronunciamento divino dal Monte, asserendo gli standard di giustizia di Dio, così anche Gesù parla dal monte con i requisiti di Dio per la giustizia, confermando ogni dettaglio perfino del minimo dei comandamenti contenuto nel Vecchio Testamento (Mt. 5:19). Egli proclamò: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia!” (Mt. 6:33). Come deve essere compiuta tale giustizia del regno? Gesù spiegò nel Padre Nostro: quando chiediamo “Venga il tuo regno” stiamo pregando “Sia fatta la tua volontà in terra come in cielo” (Mt. 6:10). Il fare la volontà di Dio, che Gesù trovò nella legge del Vecchio Testamento, è cruciale al tema del NT della giustizia del regno.

Nel Nuovo Testamento Dio è ritratto come un Dio di giustizia (Gv. 17:25), e il frutto che porta nelle persone è quello della giustizia (Ef. 5:9). “Se voi sapete che egli è giusto, sappiate che chiunque pratica la giustizia, è nato da lui” (1 Gv. 2:29), e “Chiunque non pratica la giustizia non è da Dio” (1 Gv. 3:10). Come dice Paolo non dobbiamo ingannarci: “Gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio”, e come esempi di ingiustizia elenca trasgressori della legge di Dio (1 Co. 6:9-10). La giustizia del regno, dunque, è richiesta a tutti i credenti. Per Paolo “Procaccia la giustizia” può servire come breve sommario dei doveri morali di Timoteo (1 Ti. 6:11).

Ma per gli scrittori del Nuovo Testamento, dove si deve trovare il carattere di questa giustizia del regno? Cosa comporta la giustizia in comportamento e attitudine? Paolo dice a Timoteo che un’ “istruzione alla giustizia” del tutto sufficiente si trova in tutta la Scrittura del Vecchio Testamento (2 Ti. 3:16-17), comprendendo con ciò la legge di Dio che vi si trova. Infatti, parlando della legge del Vecchio Testamento, Paolo dichiara categoricamente che “il comandamento è …giusto” (Ro. 7:12). La giustizia del regno, perciò, non può essere compresa come contraria ai giusti comandamenti del Re. Nella prospettiva di Paolo sono quelli che “mettono in pratica la legge” che saranno dichiarati giusti (Ro. 2:13).

La giustizia nel Nuovo Testamento è descritta come non avere assolutamente nessuna relazione con l’anomia (la parola greca per “iniquità”, 2 Co. 6:14). Amare la giustizia è precisamente odiare ogni anomia (iniquità, Eb. 1:9). La legge di Dio non può essere scartata o disprezzata da chi voglia praticare la giustizia del regno di Dio secondo la comprensione dell’etica del Nuovo Testamento. Questa comporta, come abbiamo visto, fino all’ultimo comandamento di tutta la Scrittura del Vecchio Testamento — l’ “integrità” non permette deviazioni dalla perfetta conformità alla norma di Dio (cf. De. 6:25).

La via della giustizia

Nella sua seconda epistola Pietro descrive il cristianesimo del Nuovo Testamento come “la via della giustizia” (2:21). “La Via” fu una prima designazione per la fede cristiana (per esempio, At. 9:2; 19:9, 23; 22:4; 24:22); probabilmente scaturita dalla dichiarazione di Cristo di essere Egli stesso “la via” (Gv. 14:6). L’espressione è adottata attraverso tutto il Nuovo Testamento dove leggiamo “la via della salvezza” (At. 16:17), “la via di Dio” (Mt. 22:16; At. 18:26), “la via del Signore” (At. 13:10), “la via della pace” (Lu. 1:79; Ro. 3:17), “la via della verità” (2 Pi. 2:2), e “la retta via” (2 Pi. 2:15). Ad ogni modo, la terminologia distintiva di 2 Pietro 2:21 è “la via della giustizia” e in questo verso Pietro tratta la frase “il comandamento santo” come intercambiabile con essa. Quelli che si professano cristiani e conoscono la via della giustizia e poi voltano le spalle al santo comandamento sono apostati. Michael Green, nel suo commentario qui dice che “È una buona deduzione dal testo dire che la prima fase nella loro apostasia fu il rigetto della categoria della legge … Il rigetto della legge di Dio è il primo passo verso il rigetto di Dio, perché Dio è un essere morale” [1]. La “via della giustizia” descrive il vero regno di Dio nel Nuovo Testamento. Pertanto, il cristianesimo del Nuovo Testamento non può essere messa contro la legge di Dio, a opporre il suo standard, perché tale opposizione ammonterebbe a voltar le spalle ai santi comandamenti datici dal nostro Signore e Salvatore (cf. 2 Pi. 3:2).

Cristo stesso parlò de “la via della giustizia” in connessione con il ministero e il messaggio di Giovanni Battista: “Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia” (Mt. 21:32). Certamente Giovanni fu preminentemente un giusto predicatore appartenente all’era della legge e dei profeti (Mt. 11:11, 13). Egli proclamò che la venuta del regno di Dio esigeva il pentimento (Mt. 3:2), la confessione dei peccati (3:6) e la produzione di buoni frutti degni di ravvedimento (3:8, 10). In quanto l’ultimo predicatore nell’era della legge e dei profeti (e precursore del Signore), deve essere ovvio che lo standard di peccato, pentimento, e buoni frutti sarebbe stato per Giovanni e per chi l’udiva —la legge di Dio. La conferma di questo si trova nei dettagli della sua predicazione dove le richieste della legge di Dio sono state esposte (Lu. 3:10-14, 19; Mc. 6:18).

Giovanni venne nella “via della giustizia” applicando la legge di Dio. Questo era da aspettarsi solo di colui che adempì l’attesa venuta di Elia a ristabilire ogni cosa (Mt. 11:14; 17:10-13). Il messaggio angelico della prossima nascita di Giovanni rende chiaro che il ministero di Elia che Giovanni avrebbe eseguito era in accordo col modello della profezia di Malachia: “Ricordatevi della legge di Mosè, mio servo, al quale in Horeb ordinai statuti e decreti per tutto Israele. Ecco, io vi manderò Elia, il profeta, prima che venga il giorno grande e spaventevole dell’Eterno” (Ma. 4:4-5; cf. vs. 6 con Lu. 1:17). La predicazione di Giovanni nella “via della giustizia” era tutt’altro che ostile alla legge del Signore che si trova nel Vecchio Testamento. Allo stesso modo, quelli che appartengono oggi alla “via della giustizia” devono riconoscere il posto importante che la legge di Dio ha nell’etica cristiana.

Ovviamente, sia che consideriamo la giustizia del regno di Dio o la via della giustizia, la nostra attenzione deve essere focalizzata su Dio stesso come modello di ogni giustizia. I fedeli descritti in Apocalisse 15 che hanno vinto la Bestia sono descritti mentre cantano al Signore “giuste e veraci son le tue vie o Re dei santi” (v.3) Quelli che qui magnificano la giustizia del Signore sono i credenti che hanno resistito il tentativo della Bestia di rimpiazzare la legge di Dio con la propria (cf. Ap. 13:16 e De. 6:8), e il cantico che innalzano è chiamato “il cantico di Mosè, il servo di Dio” – una frase che riflette Giosuè 22:5: “Soltanto abbiate cura di mettere in pratica i comandamenti e la legge che Mosè, servo dell’Eterno, vi ha prescritto, amando l’Eterno il vostro DIO, camminando in tutte le sue vie, osservando i suoi comandamenti, tenendovi stretti a lui e servendolo con tutto il vostro cuore e con tutta la vostra anima”.

La giustizia di Dio è espressa nella sua legge. Di conseguenza, la giustizia del regno richiesta da Cristo, dagli apostoli e dalla “via della giustizia” che abbracciano tutta la fede cristiana, sia adotta che applica la legge di Dio. Ogni qual volta questi temi compaiono nell’etica del Nuovo Testamento, sono espressioni dello standard dei comandamenti di Dio come si trovano attraverso tutto il Vecchio Testamento. Tale era la comprensione degli stessi scrittori del Nuovo Testamento.

Santità e consacrazione

Un concetto biblico strettamente correlato a quello della giustizia è il concetto di santità. Mentre il primo enfatizza una giusta e retta conformità con uno standard di perfezione morale, il secondo mette l’accento sulla completa separazione da ogni impurità morale. Ad ogni modo, nella Scrittura, la norma per ambedue è la stessa. Un uomo non santo non può essere visto come giusto (o retto).

Soprattutto Dio è “il Santo” (1 Gv. 2:20; applicato a Cristo, Mc. 1:24; Gv. 6:69; Et. 3:14; Ap. 3:7). Quando ci salva e ci attira a Sé, Egli ci rende santi — cioè anche ci “santifica”. Noi siamo stati scelti in Cristo prima della fondazione del mondo “affinché fossimo santi e irreprensibili” (Ef. 1:4); fin dal principio Dio ci ha scelti ad essere salvati nel credere la verità ed in santità (santificazione) prodotte in noi dallo Spirito Santo (2 Te. 2:13). Col suo sacrificio e l’opera di riconciliazione compiuta con la sua morte (Eb. 10:14; Cl. 1:22), Cristo santifica la chiesa, al fine di presentarla santa e senza difetto davanti a Dio (Ef. 5:26-27). È Dio che ci fa santi (1 Te. 5:23), specialmente mediante il ministero in noi dello Spirito Santo (1 Pi. 1:2).

La santità è pertanto un tema etico importante nel Nuovo Testamento. I credenti sono chiamati da Dio precisamente ad essere individui consacrati — cioè “santi” (Ro. 1:7; 1 Co. 1:2). I cristiani in una località o chiesa particolare sono usualmente designati come i “santi” di Dio (At. 9:13, 32; Ro. 15:25; 2 Co. 1:1; Fl. 4:22); e questi santi sono quelli per i quali lo Spirito Santo intercede (Ro. 8:27), ai quali Dio manifesta i suoi misteri (Cl. 1:26), e verso quali dobbiamo rivolgere la nostre azioni d’amore (Cl. 1:4; Ro. 12:13; Eb. 6:10; 1 Ti. 5:10). Essi sono stati scelti, redenti e chiamati ad essere “santificati” cioè messi da parte, consacrati al servizio di Dio, ovvero santi davanti a Lui.

L’inclusione dei Gentili nel regno redentivo di Dio significa che essi sono diventati “concittadini dei santi” (Ef. 2:19) nella “cittadinanza d’Israele” (2:12). Di conseguenza la chiesa è costituita da quelli santificati in Cristo Gesù e chiamati ad essere “santi” (1 Co. 1:2). I cristiani sono chiamati “fratelli santi” (Eb. 3:1), un “santo tempio di Dio” (1 Co.3:17; Ef. 2:21), vasi ad onore, purificati “utili al servizio del padrone” e pronti per ogni opera buona (2 Ti. 2:21).

Ogni concetto di etica del Nuovo Testamento che eluda la santità o incoraggi qualsiasi cosa contraria ad essa è diametralmente opposta al testo della parola di Dio. La santità nella vita è un requisito ineludibile per il popolo di Dio. Essi devono presentare i propri corpi un sacrificio vivente, santo (Ro. 12:1) e le loro membra come serve di giustizia, per la santificazione o santità (Ro. 6:19). Dio li ha chiamati alla santificazione anziché all’impurità (1Te. 4:7) e li ha liberati dal peccato affinché possano produrre il frutto della santità (Ro. 6:22).

Come credenti dobbiamo rendere fermi i nostri cuori affinché siano irreprensibili nella santità davanti a Dio (1 Te. 3.13) e assicurarci che il nostro comportamento nel mondo sia di santità (2 Co. 1:12). Da qualsiasi parte andiamo nel Nuovo Testamento il tema etico della santità continua a fare capolino; la sua richiesta è costante. La commovente esortazione di Paolo ben riassume questa richiesta: “Purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio” (2 Co. 7:1).

Qual’è il carattere di questa santità che il Nuovo Testamento assume come pervasivo tema morale? Con che standard si misura la santità e dove si trova una guida concreta in santità? Il fatto che i cristiani devono essere santi è dichiarato talmente spesso nel Nuovo Testamento che dobbiamo certamente assumere che la norma o il criterio di santità fosse già ben conosciuto; è necessario dire ben poco per spiegare ai lettori del Nuovo Testamento cosa richieda questa santità. È inevitabile il suggerimento che gli standard di moralità del Vecchio Testamento definivano già sufficientemente la santità che Dio ricercava nel suo popolo. Ebrei 12:10 indica che Dio ci corregge affinché siamo “partecipi della sua santità”, e pertanto la santità del Nuovo Testamento è niente di meno che un riflesso del carattere di Dio al livello della creatura.

Come può uno che è un peccatore in pensieri, parole ed opere, giungere a sapere cosa la santità di Dio gli richiede? Pietro rende chiaro ciò che è implicito nel pervasivo tema della santità del Nuovo Testamento quando scrive: “ma come colui che vi ha chiamati è santo, voi pure siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: «Siate santi, perché io sono santo” (1 Pi. 1:15-16). Qui Pietro cita la legge del Vecchio Testamento da passi come Levitico 11:44-45; 19:2, e 20:7, dove è evidente che il popolo di Dio si sarebbe santificato e sarebbe stato santo seguendo tutti gli statuti della legge rivelata di Dio. Cristo stava sicuramente includendo il Vecchio Testamento nel proprio riferimento quando pregò che i suoi fossero santificati dalla sua parola di verità (Gv. 17:17). Di fatto, Paolo dice esplicitamente che la legge del Vecchio Testamento è il nostro standard di santità oggi proprio come lo fu per i santi d’Israele: “Così la legge è santa, e il comandamento santo, giusto e buono” (Ro. 7:12). Nel libro di Apocalisse, Giovanni non lascia dubbio riguardo al posto della legge di Dio nella santità del popolo di Dio. Egli definisce i “santi” precisamente come “coloro che osservano i comandamenti di Dio” (Ap. 14:12; cf. 12:17).

Nella teologia morale di Gesù, Pietro, Paolo e Giovanni, il concetto di santità si conforma esplicitamente alla legge di Dio contenuta nella parola di verità del Vecchio Testamento. Pertanto, vediamo ancora che l’etica del Nuovo Testamento non può essere contrapposta alla legge di Dio senza danneggiare il tema centrale della Scrittura del Nuovo Testamento.

Separazione dal mondo

Un altro tema etico nel Nuovo Testamento, uno che è uno stretto alleato con quello della santità (cioè della “separazione” a Dio e dalla contaminazione), è il tema della separazione dal mondo. Ovviamente questo non denota un desiderio di ritirarsi dalle questioni della vita o dalla comunità degli uomini. Cristo lo ha reso abbondantemente chiaro pregando per noi in questo modo: “Io non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno” (Gv. 17:15).

Quando il Nuovo Testamento parla di separazione dal mondo, il termine “mondo” è usato per la condizione etica di peccaminosa ribellione contro Dio. Il “corso di questo mondo” è satanico e fa di una persona un disubbidiente figlio d’ira (Ef. 2:2-3). “L’amicizia del mondo è inimicizia contro Dio” (Gm.4:4), e perciò la vera religione è “conservarsi puro dal mondo” (1:27). Il “mondo” è considerato il locus della corruzione e della contaminazione (2 Pi. 1:4; 2:20). Giovanni si esprime drammaticamente e chiaramente quando dice: “Tutto il mondo giace nel maligno” (1 Gv. 5:19) — proprio come il suo vangelo mostra continuamente che “il mondo” è compreso come il dominio della disobbedienza, incredulità, tenebre etiche (Gv. 1:29; 3:17, 19; 4:42; 6:33, 51; 8:12; 9:5; 12:46, 47; 16:8). Altrove, Giovanni dice che “tutto ciò che è nel mondo” è “la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita” (1 Gv. 2:15-17).

Ebrei 12:14 ci esorta a “procacciare … la santificazione, senza la quale nessuno vedrà il Signore”, indicando che quelli che sono accettabili a Dio devono essere “separati” (santificati) a Lui e “separati” dalle contaminazioni peccaminose del mondo. Questo comporta purificarsi da ogni contaminazione (2 Co. 7:1), condurre una vita irreprensibile (2 Pi. 3:14) — espressione che ricorda la purezza delle leggi sacrificali del Vecchio Testamento. Seconda Timoteo 2:19 riassume il tema neo-testamentario della separazione dal mondo: “ Si ritragga dall’iniquità chiunque nomina il nome di Cristo”.

Come lo si deve fare? Qual’è la natura di tale separazione dall’ingiustizia e contaminazione? Con quale standard il cristiano del Nuovo Testamento si separa dal “mondo”? Giacomo ci istruisce che la parola di Dio — che per Giacomo includeva sicuramente la Scrittura del Vecchio Testamento del suo tempo — è la chiave di questa separazione etica: “… deposta a ogni lordura e residuo di malizia, ricevete con mansuetudine la parola piantata in voi, la quale può salvare le anime vostre. E siate facitori della parola e non uditori soltanto, ingannando voi stessi” (1:21-22). Noi possiamo deporre la corruzione mondana facendo ciò ch’è stipulato nella parola di Dio, incluse le stipulazioni del Vecchio Testamento e della sua legge: “…Ma chi esamina attentamente la legge perfetta, che è la legge della libertà, e persevera in essa, non essendo un uditore dimentichevole ma un facitore dell’opera, costui sarà beato nel suo operare” (1:25).

La teologia di Paolo concorda con quanto sopra. “Infatti la grazia salvifica di Dio è apparsa a tutti gli uomini, e ci insegna a rinunziare all’empietà e alle mondane concupiscenze, perché viviamo nella presente età saggiamente, giustamente e piamente” aspettando … l’apparizione di Cristo, “il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e purificare per sé un popolo speciale, zelante nelle buone opere” (Tt. 2:11-14). La salvezza provveduta da Cristo ci abilita, evitando un comportamento a- nomico, a disconoscere le direzioni contrarie all’etica della mondanità. Nel suo commentario su questo passo, Calvino scrisse: “La rivelazione della grazia di Dio porta necessariamente con sé esortazioni ad una vita santa … Nella legge di Dio c’è completa perfezione a cui non può mai essere aggiunto nient’altro”.

Paolo ci esorta a “non partecipare alle opere infruttuose delle tenebre” (Ef. 5:11), ed è evidente che per Paolo la legge del Vecchio Testamento indicasse al popolo di Dio come potessero evitare tale malvagia partecipazione. Citando la legge a Deuteronomio 22:10, Paolo disse: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo, perché quale comunione c’è tra la luce e le tenebre?” (2 Co. 6:14). Citando ulteriormente il Vecchio Testamento riguardo alle leggi di santità mediante le quali Israele era “separato dalle” nazioni dei Gentili, Paolo procede a scrivere: “Perciò uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d’immondo ed io vi accoglierò” (v. 17).

Un esempio di queste leggi del Vecchio Testamento che separavano Israele dal mondo si trova in Levitico 20:22-26, dove vediamo che l’osservanza di tali leggi (per esempio distinguere tra carni pure e impure) era semplicemente simbolico della separazione dalle usanze mondane. Tutte le carni sono ora considerate pure (Mc. 7:9; At.10:14-15), eppure il popolo di Dio è ancora in obbligo di separarsi dalla mondanità (Ro. 12:1-2) e dall’unirsi con non-credenti (2 Co. 6: 14-17). Come si compiva la santa separazione secondo Levitico 20? “Osserverete dunque tutti i miei statuti e tutti i miei decreti e li metterete in pratica, affinché il paese dove io vi conduco ad abitare non vi vomiti fuori” (v. 22).

La buona, accettevole, e perfetta volontà di Dio

Un passo che esprime il tema etico della santità e della separazione dal mondo è Romani 12:1-2. Lì Paolo dice: “Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi, il che è il vostro ragionevole servizio, quale sacrificio vivente, santo e accettevole a Dio. E non vi conformate a questo mondo (era), ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la buona, accettevole e perfetta volontà di Dio”. Andando oltre i temi della santità e separazione, Paolo parla della buona, accettevole e perfetta volontà di Dio. Questi stessi concetti sono combinati nella benedizione alla fine del libro di Ebrei: “Ora il Dio della pace, che in virtù del sangue del patto eterno ha fatto risalire dai morti il Signor nostro Gesù Cristo, il grande Pastore delle pecore, vi perfezioni in ogni buona opera, per fare la sua volontà, operando in voi ciò che è gradito davanti a lui per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen” (13:20-21).

Forse il concetto etico più fondamentale sia del Vecchio che del Nuovo Testamento è quello della volontà di Dio. Tutte le decisioni etiche e le attitudini morali del popolo di Dio devono essere in accordo con la volontà del Signore con la quale Egli prescrive ciò ch’è buono, o accettevole, o perfetto ai suoi occhi. È assai naturale che qualsiasi cosa sia in conflitto con quella volontà è immorale e non accettevole a Dio. Gesù disse che il suo “cibo” era fare la volontà del Padre che lo aveva mandato (Gv. 4:34), e che quelli che facevano la volontà del Padre celeste erano i suoi “fratelli e sorelle e madre” (Mt. 12:50); noi manifestiamo di chi siamo figli col nostro retto comportamento o con la sua assenza (1 Gv. 3:1). Cristo insegnò ai suoi discepoli a pregare: “sia fatta la tua volontà in terra come in cielo” (Mt. 6:10). Fare la volontà di Dio non è meramente una questione di parole ma di concreti atti d’ubbidienza (Mt. 21:28-31); la volontà di Dio deve essere fatta dal cuore (cf. Ef. 6:6). Perciò, non quelli che dicono: “Signore, Signore”, ma solo quelli che fanno la volontà del Padre in cielo entreranno nel regno (Mt. 7:21); quelli che conoscono la volontà del Signore e non la fanno saranno battuti con molti colpi (Lu. 12:47). Dall’altra parte, se un uomo fa la volontà di Dio, sarà capace di discernere la dottrina che proviene da Dio (Gv. 7:17), e le sue preghiere saranno ascoltate (Gv. 9:31; cf. 1 Gv. 5:14). Mentre il mondo con la sua concupiscenza passa, chi fa la volontà di Dio rimane in eterno (1 Gv. 2:17). Di conseguenza, Paolo può incapsulare l’etica del Nuovo Testamento con un sol tocco, dicendo: “Non siate disavveduti, ma intendete quale sia la volontà del Signore” (Ef. 5:17). Di fatto noi dobbiamo puntare a stare fermi, perfetti e compiuti in tutta la volontà di Dio (Cl. 4:12).

La fonte degli standard dell’uomo

Dove impariamo, comprendiamo, e diventiamo certi della volontà di Dio? Il Nuovo Testamento offre poco per via di risposta esplicita a tale domanda. Impariamo che la volontà di Dio si oppone alle passioni dell’uomo (1 Pi. 4:2) e in rari casi ci è detto ciò che la volontà di Dio specificamente richiede (per esempio astenersi dalla fornicazione e rendere grazie in tutte le cose, 1 Te. 4:3; 5:18). Ad ogni modo non c’è una dettagliata discussione dei requisiti della volontà di Dio, e una guida concreta nella volontà di Dio in quanto tale non è esplorata sistematicamente. Perché no? Specialmente considerando che la volontà di Dio è un tema etico talmente cruciale, avremmo potuto aspettarci diversamente.

La risposta risiede nel riconoscere che la comune convinzione degli ispirati scrittori del Nuovo Testamento è che la volontà di Dio ha già ricevuto una spiegazione specifica e sufficiente nel Vecchio Testamento. Semplicemente si assume di poter parlare della “volontà di Dio” senza spiegazioni perché è ovvio che la volontà di Dio è riconducibile alla rivelazione della sua volontà nella legge precedentemente affidata alla Scrittura. Conseguentemente, può citare di Davide 1 Samuele 13:14: “Uomo secondo il mio cuore, il quale eseguirà ogni mio volere” (At. 13:22), e si aspetta che il lettore rammenti che nella situazione del Vecchio Testamento in cui viene fatta quest’affermazione Davide è confrontato con Saul precisamente riguardo all’osservanza dei comandamenti di Dio.

Paolo condanna quelli che si gloriano in Dio e affermano di conoscere la sua volontà, eppure disonorano Dio trasgredendo la legge (Ro. 2:17-18, 23). E Giovanni avrebbe aggiunto: “E da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Io l’ho conosciuto», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui” (1 Gv. 2:3-4). Il Nuovo Testamento assume che la volontà di Dio si trova nella sua legge e nei suoi comandamenti.

Il bene

Anche il bene, bontà, o “buone opere” è un tema chiave nell’etica del Nuovo Testamento. Giovanni dice: “Carissimo, non imitare il male ma il bene. Chi fa il bene è da Dio, ma chi fa il male non ha visto Dio” (3 Gv. 11). Paolo dichiara: “ Sicura è questa parola, e voglio che tu affermi con forza queste cose, affinché quelli che hanno creduto in Dio abbiano cura di applicarsi a opere buone. Queste sono le cose buone e utili agli uomini” (Tt. 3:8). Benché custodendo diligentemente la verità che la salvezza è per grazia mediante la fede, Paolo nondimeno insegnò che “Noi infatti siamo opera sua, creati in Cristo Gesú per le buone opere che Dio ha precedentemente preparato, perché le compiamo” (Ef. 2:10).

Con quale standard, dunque, giudichiamo ciò ch’è eticamente buono? Ancora una volta, il Nuovo Testamento qui si affida alla rivelazione della legge di Dio per la propria comprensione del tema etico del bene. Quando gli fu chiesto quali cose buone si debbano fare per ereditare la vita eterna, Gesù rispose: “Se vuoi entrare nella vita eterna, osserva i comandamenti” (Mt. 19:16-17) — e rende chiaro e limpido che si sta riferendo alla legge del Vecchio Testamento (vv. 18-19). Similmente Paolo potè dichiarare senza qualificazioni che “La legge è santa e il comandamento santo, giusto e buono … confermo che la legge è buona” (Ro. 7:12, 16). Altrove esprime la prospettiva comune della fede cristiana: “Noi sappiamo che la legge è buona” (1 Ti.1:8).

Accettevole

Un’altra preoccupazione dell’etica del Nuovo Testamento è fare ciò che è “accettevole” a Dio. Paolo dice: “Perciò ci studiamo di essergli graditi” perché tutti dobbiamo comparire davanti al suo tribunale per ricevere le cose fatte nel corpo, sia in bene che in male (2 Co. 5:9-10). Altrove Paolo identifica il regno di Dio con giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: “Infatti chi serve Cristo in queste cose è gradito a Dio” (Ro. 14:17-18). Quelli che non hanno comunione con le infruttuose opere delle tenebre ma cha camminano piuttosto come figli della luce, il cui frutto è ogni bontà, giustizia, e verità, stanno effettivamente “esaminando ciò che è accettevole al Signore” (Ef. 5:9-11).

Pertanto, per la moralità del Nuovo Testamento è basilare che le nostre azioni e attitudini siano accettevoli davanti a Dio, ma come le facciamo essere tali? Come si fa a sapere cosa piace a Dio e cosa no? Non è usuale per Paolo dare per questo ampio concetto un esempio specifico o concreto (per es. Fl. 4:18). Ad ogni modo, in punti ove lo fa, non è difficile vedere quale fosse il suo standard etico. In Colossesi 3:20 Paolo istruisce i figli ad obbedire i genitori “poiché questo è accettevole al Signore”. I comandamenti della legge, perciò, possono servire e di fatto servono per dettagliare ciò ch’è accettevole al Signore, anche nella moralità del Nuovo Testamento.

Perfezione

La perfezione è un altro tema morale del Nuovo Testamento che merita la nostra attenzione. Paolo vorrebbe i credenti “Fermi, perfetti e compiuti in tutta la volontà del Signore” (Cl. 4:12). Giovanni disquisisce contro la paura perché non è coerente con l’essere resi perfetti nell’amore (1 Gv. 4:18), e per Giovanni l’amore è provato dall’aderenza ai comandamenti di Dio (cf. 5:2-3). Giacomo insegna che la costanza attraverso le prove “compirà un’opera perfetta” talché saremo in nulla mancanti (1:2-4), ed egli vede ogni dono perfetto — in contrasto al peccato — come venire dall’alto, dal Padre (1:17). Con un’intuizione del potere speciale dei peccati della lingua, Giacomo ci dice che se uno non sbaglia nel parlare è un uomo perfetto (3:2).

Nello studiare la perfezione come concetto morale nel Nuovo Testamento, siamo di nuovo riportati indietro allo standard della legge di Dio. Cristo ha insegnato che la nostra perfezione deve prendere a modello il Padre celeste: “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro che nei cieli” (Mt. 5:48). È significativo che questa esortazione segue e compendia un discorso sulla piena misura delle richieste della legge del Vecchio Testamento (vv. 21-48). Quando più tardi Gesù fu avvicinato da uno che presumeva d’essere obbediente alla legge, Cristo gl’insegnò che per essere perfetto avrebbe dovuto rinunciare ad ogni peccato contro i comandamenti di Dio e ad ogni ostacolo alla loro completa obbedienza (Mt. 19:21). Di conseguenza, impariamo che la legge di Dio è il nostro standard di perfezione morale oggi. Giacomo istruisce i credenti che l’uomo che sarà benedetto (beato) da Dio è un facitore della parola, per aver “esaminato attentamente la legge perfetta” (Gm. 1:25).

Sommario

Possiamo adesso tornare a Romani 12:2 , dove per Paolo la guida etica del credente del Nuovo Testamento consiste nel seguire la volontà di Dio, ciò ch’è buono, accettevole e perfetto. Abbiamo visto che il Nuovo Testamento coerentemente assume che sia generalmente noto (e applica specificamente tale verità) che i comandamenti della legge di Dio nel Vecchio Testamento sono uno standard sufficiente e valido della volontà di Dio, di ciò ch’è buono, di ciò ch’è accettevole al Signore, e della perfezione. Ogni qual volta questi temi compaiono nella Scrittura del Nuovo Testamento l’autorità della legge di Dio viene ripetutamente applicata. Il nostro obbligo verso quella legge è avvalorato molte volte quando Paolo riassume lo standard etico per la moralità nel Nuovo Testamento come la “buona, accettevole, perfetta volontà di Dio”. Dio stesso ha da ricevere la gloria per aver portato la vita di tutti noi in conformità con questa incontestabile norma per il comportamento cristiano. Egli è Colui che mediante il ministero di suo Figlio ci rende “perfetti in ogni opera buona per fare la sua volontà, operando in voi ciò ch’è gradito davanti a lui” (Eb. 13:20-21).

Ogni tentativo di rigettare la legge di Dio nell’era del Nuovo Testamento si trova nell’imbarazzo davanti davanti al testo stesso del Nuovo Testamento. La giustizia del regno di Dio, la via alla giustizia, santità e consacrazione, la nostra separazione dal mondo, la buona, accettevole, perfetta volontà di Dio, tutte richiedono che il nostro comportamento si conformi allo standard dei comandamenti di Dio come sono stati rivelati una volta per sempre nell’Antico Testamento. Questo standard è implicitamente intessuto attraverso tutto l’insegnamento etico del Nuovo Testamento.

Libertà spirituale

Ulteriori temi etici importanti nel Nuovo Testamento vorrebbero includere anche la libertà nello Spirito Santo, l’amore, il frutto dello Spirito, e la regola d’oro. Gesù dichiarò: “Chi fa peccato è schiavo del peccato” (Gv. 8:34), e solo il Figlio di Dio può veramente liberarci da quella schiavitù (8:36). Lo fa applicando la redenzione che ha compiuto per noi nella sua morte e resurrezione — applicando la redenzione mediante lo Spirito Santo, il quale ci libera dalla schiavitù al peccato e alla morte (Ro. 8:1-2), Questa libertà spirituale non ci da la prerogativa di vivere o di comportarci giusto in qualsiasi modo ci piaccia; la libertà spirituale non è occasione di arbitrarietà morale. Paolo dice: “Ora, invece, essendo stati liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi avete per vostro frutto la santificazione” (Ro. 6:22). Lo Spirito Santo non ci dà la libertà di peccare — vale a dire la libertà di trasgredire la legge di Dio; anzi, lo Spirito ci dà la libertà di essere schiavi di Cristo e di produrre un comportamento santo. La persona rigenerata è felice e desiderosa di “servire la legge di Dio” (Ro. 7:25). La schiavitù stessa da cui lo Spirito ci rilascia è descritta da Paolo precisamente come l’incapacità della natura di peccato di assoggettarci alla legge di Dio (Ro. 8:7). È ovvio che la libertà da questa incapacità deve significare ora essere soggetti alla legge di Dio! Questa libertà non trasforma la grazia di Dio in dissolutezza (cf. Gd. 4) ma inclina i cuori di quelli un tempo schiavi del peccato alla legge-data-dallo Spirito (Ro. 7:14).

La “giustizia della legge” deve essere “compiuta in noi che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo Spirito” (Ro. 8:4). Pertanto, la bibbia rende piuttosto chiaro che la nostra libertà spirituale non è libertà dalla legge di Dio, ma libertà nella legge di Dio. Giacomo definisce i comandamenti di Dio (1:25) combinando così due descrizioni della legge date dal Salmista: “La legge del Signore è perfetta” (Sa. 19:7) e “Camminerò nella libertà perché ricerco i tuoi comandamenti” (Sa. 119:45). La genuina libertà non si trova nella fuga dai comandamenti ma nel potere di osservarli. La Spirito di Dio ci libera dalla condanna e dalla morte che la legge porta ai peccatori, e lo Spirito rompe la presa del peccato nella nostra vita.

Però, la libertà prodotta dallo Spirito non ci distoglie mai dal compiere la legge di Dio: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà; soltanto non usate questa libertà per dare un’occasione alla carne ma servite gli uni gli altri per mezzo dell’amore. Tutta la legge infatti si adempie in questa unica parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso»” (Ga. 5:13-14). Quando Paolo insegna che “Dov’è lo Spirito del Signore, lì vi è libertà” (2 Co. 3:17), colloca questo insegnamento nel contesto del ministero dello Spirito nel Nuovo Patto il quale scrive la legge di Dio sul cuore del credente e con ciò lo abilita all’obbedienza di quella legge (2 Co. 3:3-11; cf. Gr. 31:33; Ez. 11:20). Di conseguenza, il concetto etico di libertà spirituale nel Nuovo Testamento è tutt’altro che indifferente alla legge di Dio. Lo Spirito ci libera dal trasgredire la legge al fine di farci osservare la legge.

Amore

Uno dei temi etici più cospicui del Nuovo Testamento è quello dell’amore. Difatti il Nuovo Testamento è una storia sull’amore — l’amore di Dio per i peccatori. (Gv. 3:16) e il loro conseguente amore per Lui e per gli altri (1 Gv. 4:19). Uno dei saggi etici più sostenuti nella letteratura del Nuovo Testamento è di fatto un discorso sulla necessità, supremazia e caratteristiche dell’amore (1 Co. 13). L’amore sta al cuore sia del vangelo che del comportamento cristiano (1 Gv. 4:10-11). Pochi che conoscano bene gli scritti del Nuovo Testamento negherebbero che l’amore riassuma in una parola l’etica cristiana.

È degno di nota che gli scrittori del Nuovo Testamento dimostrino l’autorità etica dell’amore facendo riferimento alla legge del Vecchio Testamento. Perché l’amore è così importante? Cosa dà all’amore la sua preminenza etica? Perché i dettami dell’amore devono essere rispettati? Cosa fa dell’amore uno standard così autoritativo? Precisamente perché comunica la sostanza delle richieste della legge! Nel riassumere nell’amore il nostro dovere morale, Cristo ha in effetti citato i comandamenti dell’amore dalla casuistica del Vecchio Testamento (Mt. 23:37-39). Egli disse che l’amore per Dio e per il prossimo sono cruciali perché “Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti” (v. 40).

Per Paolo l’amore è una necessità morale precisamente perché adempie la legge (Ro. 13:8-10; Ga. 5:14). Amore per il vostro prossimo significa che non commetterete adulterio con sua moglie, non ruberete la sua auto, o non lo calunnierete alle spalle — proprio come richiede la legge. Similmente, Giacomo considera l’amore l’adempimento della legge regale (2:8), e Giovanni scrive specificamente: “Questo è l’amore di Dio, che osserviamo i suoi comandamenti” (1 Gv. 5:3). Il presupposto degli scrittori del Nuovo Testamento e lo svolgimento del loro pensiero è che la legge di Dio è moralmente autorevole; poiché l’amore esprime e segue quella legge, anche l’amore è un adeguato standard di guida morale. L’autorità fondamentale dell’amore non può essere separata della legge di Dio.

Il frutto dello Spirito e la regola d’oro

Si può dire la stessa cosa degli altri sunti neo-testamentari del nostro dovere morale. Un modello prominente di vita pia è presentato da Paolo nell’elenco del “frutto dello Spirito” che Paolo contrappone ai frutti della natura di peccato (o carne) in Galati 5:16-24. Le attitudini o i tratti del carattere menzionati da Paolo come risultato dell’opera dello Spirito Santo (“amore, gioia, pace…”) sono un modello per la moralità cristiana. Eppure Paolo acclara che l’autorità etica di quesi tratti si posa sul sottostante fondamento dell’autorità della legge di Dio. Dopo aver elencato il frutto dello Spirito, Paolo spiega perché questi tratti siano così importanti nell’etica cristiana: “Contro tali cose non vi è legge” (v. 23). Nella stessa maniera possiamo osservare che il popolare e pervasivo riassunto del vivere neo-testamentario conosciuto come “la regola d’oro” — o tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro — è presentato da Cristo come moralmente autoritativo giusto “perché questa è la legge e i profeti” (Mt. 7:12). La regola d’oro comunica la richiesta essenziale della legge del Vecchio Testamento, e come tale è uno standard dell’etica che noi dobbiamo rispettare. Osserviamo quindi che i sunti più comuni della moralità del Nuovo Testamento — che si tratti dell’amore, del frutto dello Spirito, o della Regola d’Oro — derivano la loro importanza e il loro carattere vincolante dalla legge di Dio che esprimono. Il presupposto degli autori del Nuovo Testamento è continuamente e coerentemente che la legge del Vecchio Testamento è valida oggi.

Conclusione

Qualsiasi tentativo di parlare dell’etica del Nuovo Testamento, o della santità dei santi di Cristo e della loro separazione dal mondo, o della buona, accettevole, perfetta volontà di Dio, o della statura di Cristo, o della vita di resurrezione, o di libertà Spirituale, o di amore, o del frutto dello Spirito, o della regola d’oro, separatamente dalla giustizia del regno è destinato ad essere inadeguato. Qualsiasi tentativo di comprendere questi concetti separatamente dalla legge del Vecchio Testamento è destinato ad essere inesatto.

Note:

1 Michael Green: The Second Epistle of Peter and the Epistle of Jude, Tyndale New Testament Commentaries, ed. R.V.G. Tasker; Grand Rapids, MI: Eerdmans, 1968, p. 120.


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