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Le conseguenze della vita non sono soggette

al controllo dell’uomo 9:11–11:8

 

Ormai sembra che l’incessante sermone del Predicatore sul tema centrale della sua opera – il peso di Dio – abbia iniziato a riverberare nella mente come un ritornello persistente e incessante. Il peso di Dio è, in primo luogo, la maledizione di Dio sulla peccaminosità e sulla “stortura” dell’uomo, le ragioni principali del fallimento e della frustrazione che rovinano costantemente ogni suo sforzo per realizzare gl’ideali del regno dell’uomo. Il Predicatore si erge sulle solide basi della sapienza salomonica, sapienza biblica pattizia nel suo insieme. Non esita ad attaccare l’autoproclamata autonomia da Dio dell’uomo, poiché sa benissimo che l’uomo dovrà fare i conti con Dio se spera di trovare una soluzione al problema della “vanità” che sovrasta la sua vita e i suoi sforzi. Più volte ci ha mostrato che solo nel patto il peso di Dio può essere trasformato da maledizione in benedizione, poiché non è il peso di Dio in quanto tale che deve essere sollevato dal mondo dell’uomo, ma il peso come maledizione. L’uomo deve riconoscere che a causa della sua stessa “stortura”, da lui non si può sperare provenga nessuna liberazione. Egli guarda invano ai suoi ideali di civiltà, che in verità sono l’aspirazione all’auto-liberazione. La vita e la cultura genuine si possono trovare solo nel patto.

Tuttavia, il Predicatore ha spesso sottolineato che coloro che fanno parte del patto potrebbero non aspettarsi sempre un sollievo immediato dalla pressione del peso di Dio. A volte possono dover affrontare prove più ardue di quelle che affrontano coloro i quali prendono le distanze dal patto e rifiutano di riconoscere le azioni di Dio. Il predicatore ci ricorda che Dio ha il suo scopo, pertanto il suo popolo non dovrebbe prendere le proprie sofferenze come scusante per allontanarsi dal patto e adottare gli ideali e gli stili di vita delle nazioni, anzi, tanto più fermamente deve aderire con fede alla sua gloriosa promessa. Il futuro messianico appartiene a loro; Dio non li dimenticherà. Sebbene possano sorgere incertezze e delusioni, Dio, che è Dio di “tempi e stagioni”, ha il potere di raddrizzare le cose per il suo popolo. Non devono permettere che la disperazione controlli la loro visione; dovrebbero lavorare con gioia e speranza, sapendo che Dio favorisce ciò che fanno.

Il predicatore non ha terminato la sua dichiarazione sulla futilità che perseguita la vita dell’uomo. Nel suo ultimo lamento sottolinea che le conseguenze della vita non sono soggette al controllo dell’uomo. L’uomo può possedere splendidi doni e abilità per costruire la vita, ma non può garantire che sarà in grado di usarli. Può trovarsi in balia di eventi e situazioni che possono annullare i suoi talenti. I successi dell’uomo non sono in stretto accordo con i mezzi che possiede in sé. In questo modo il Predicatore estende il suo pensiero, iniziato nell’ultima sezione, che l’uomo non dovrebbe guardare alla sua esperienza per valutare il successo o il fallimento delle sue fatiche in questa vita. Il tempo e il caso sono sullo sfondo di tutto il lavoro dell’uomo e governano la sua vita senza che egli sia in grado di controllarli. Tuttavia, mentre la vita dell’uomo non è sotto il suo controllo, è sotto il controllo di Dio, poiché “il tempo e il caso” sono a sua disposizione. Ancora una volta il Predicatore chiarirà che questa lezione può essere appresa nel patto solo dopo che si sia riflettuto sull’impotenza dell’uomo di essere dio sulla propria vita e quindi d’assicurarsi che gli eventi si concludano come pianifica e anticipa.

A partire dalle 9:11, il Predicatore attira la nostra attenzione su una varietà di fattori e incidenti che dimostrano che per la vita dell’uomo in generale, non vi è alcuna garanzia che i mezzi che l’uomo è in grado di impiegare per i suoi obiettivi possano per forza raggiungerli. “Il tempo e il caso” (v.11) possono facilmente cassare le attività dell’uomo. Pertanto, i corridori più veloci non vincono sempre la gara, anche se questo è ciò che nella maggior parte dei casi ci si aspetta che accada. Ma questo è esattamente il suo punto! Le circostanze non sono affidabili. Un corridore si sloga una gamba. Uno più lento per natura e meno allenato vince la gara. Allo stesso modo, gli uomini più forti non sempre prevalgono in combattimento. Le ragioni possono variare; non importa. Ciò che accade normalmente non accade invariabilmente. Né i dotati intellettualmente possono contare di diventare ricchi, anche se potremmo supporre che essi in particolare avrebbero la conoscenza per guadagnare ricchezze. Un uomo di abilità superiori non ha successo garantito. L’uomo non può confidare nei doni e nei talenti che sono suoi. E, come il Predicatore ci ha spesso ricordato, la morte è il fattore più importante di tutti. All’improvviso può prendersi l’uomo, senza preavviso; “Poiché l’uomo non conosce la sua ora: come i pesci che sono presi in una rete crudele, e come gli uccelli che sono colti in un laccio, così i figli degli uomini sono presi nel laccio al tempo dell’avversità, quando piomba su di loro improvvisamente” (v.12). Quando ciò dovesse accadere, i più grandi talenti dell’uomo non sarebbero d’aiuto.

Un uomo può possedere capacità eccezionali, ma a causa delle circostanze in cui è nato o che circondano la sua esistenza, i suoi doni unici giacciono non riconosciuti e inutilizzati. Nei versi 13–16, il Predicatore fornisce un esempio di tale trascuratezza immeritata, la disastrosa conseguenza dell’incapacità di riconoscere il genio. In una città assediata ogni mezzo conosciuto è stato esaurito nello sforzo di respingere il nemico. Tuttavia, intona il Predicatore, c’era un uomo in quella città che con la sua sapienza avrebbe potuto liberare e avrebbe liberato1 quella città, ma non fu consultato. L’unico, magnifico talento che possedeva non poteva essere impiegato per la semplice ma sorprendente ragione che a quell’uomo era capitato di essere povero. Poiché viveva in condizioni di povertà, era trascurato dai ricchi e dai potenti, da coloro che avevano la responsabilità della gestione degli affari pubblici. Forse i pregiudizi sociali delle persone li avranno indotti a guardare sdegnosamente quest’uomo e così a ignorare la sua speciale sapienza. La sua posizione sociale ed economica ha impedito l’utilizzo dei suoi doni. E così “la sapienza del povero è disprezzata … le sue parole non sono ascoltate” (v.16). Questa città fu catturata e seguì una grande distruzione, tutto perché “il tempo e il caso” determinarono le circostanze.

Il dominio di “tempo e caso” sugli affari umani mette in moto una razionale ripugnanza, non solo perché nega il talento speciale di una persona e lo rende inutile, ma, cosa ancor più angosciante, perché controverte in generale il dominio della sapienza giusta nell’esperienza sociale umana. La sapienza – quella sviluppata comprensione e perspicacia così necessaria per l’edificazione della vita – viene improvvisamente trascurata, mentre al suo posto viene esalta la vessatoria e miope predilezione dello stolto, con l’inevitabile risultato che la vita di tutti è in balia della sua stoltezza e tutti soffrono per la sua condotta. Da 9:17 alla fine del capitolo 10, il Predicatore riflette proverbialmente sui vari modi in cui la stoltezza, una volta che abbia preso il timone della vita e della società, possa distruggere il lavoro della sapienza e far avanzare la vita su un corso d’instabilità e precarietà. È una verità inquietante che le persone spesso preferiscano il dominio dello stolto a quella del saggio, malgrado il fatto che il comportamento dello stolto produca solo distruzione e perdita. La storia presenta la chiara testimonianza del successo dello stolto e della singolare riluttanza dell’uomo a seguire il consiglio della vera sapienza. La follia degli empi mina fermamente lo sforzo che la sapienza fa per essere ascoltata.

Il contrasto tra saggezza e follia è, come affermato nel capitolo I, una delle principali preoccupazioni della “letteratura sapienziale” delle Scritture. Il predicatore lo menziona qui per mostrare quale notevole differenza faccia quando gli uomini scelgono l’una o l’altra. A 9:17, 18 indica bruscamente quanto sia difficile ascoltare la saggezza, così come è facile per la follia sovrastarla. “Il tempo e il caso” sembrerebbero rendere debole la sapienza e forte la stoltezza. “La sapienza val più delle armi da guerra, ma un solo peccatore distrugge un gran bene” (v.18). Ma il Predicatore sa che il problema risiede nella differenza tra il giusto patto di Dio e il comportamento dell’uomo peccatore. È necessario chiarirgli che, separatamente dal patto di Dio, l’uomo non costruisce la vita, può solo distruggerla. Il problema è la stortura nell’uomo, perché, dice il Predicatore (10: 2), risiede nel suo “cuore”. Poiché il cuore dello sciocco è curvato nella direzione sbagliata, non è in grado di compiere alcun vero bene. Le cose più semplici rivelano prontamente quanto sia incorreggibile. “Anche quando lo stolto cammina per la strada, il senno gli manca e mostra a tutti che è uno stolto” (v.3). La sapienza viene acquisita a gran costo (un riferimento al “profumo” di v.1) ma la stupidità viene invece facilmente e le bastano pochi sforzi per sconfiggere il bene che la sapienza ricerca: “Un po’ di follia guasta il pregio della sapienza e della gloria” (v.1). La sapienza viene costantemente derubata e resa inefficace dalle azioni contrarie dello stolto. Dio ha dato all’uomo saggezza per rendere la vita prospera e produttiva, ma l’uomo peccatore sa solo come pervertire il buon dono di Dio.

Se diamo uno sguardo alla nostra cultura e società, possiamo facilmente capire cosa intenda il Predicatore. La stoltezza di coloro che hanno assunto posizioni di comando rivela chiaramente quanto sia difficile persuadere le persone che le politiche del socialismo e del welfarismo sono distruttive per la salute e la duratura prosperità dell’economia e della società nel suo insieme. La sapienza può dimostrare la virtù dei mercati liberi e delle imprese capitalistiche, tuttavia la cecità morale delle persone li porterà rapidamente a credere nelle visioni e negli obiettivi degli statalisti senza mai considerare gli oneri e i costi che impongono. Inoltre, le persone soccomberanno più facilmente agli argomenti che promuovono la presunta utilità dell’educazione statalista, a causa del suo dispendioso costo gratuito, piuttosto che riconoscere che ciò che è emerso è un sistema oppressivo progettato per favorire l’ignoranza e garantire l’incompetenza. Quando i peccatori ottengono il controllo del programma sociale, possiamo aspettarci che inevitabilmente seguiranno conseguenze folli.

Il predicatore ha osservato che ci sono momenti in cui allo stolto vengono assegnati gli onori e privilegi che giustamente appartengono al saggio, e al saggio ciò che merita lo stolto. È una contraddizione lampante, ma non una che generi sorpresa, perché un tale capovolgimento deriva dal potere della stessa stoltezza. Gli uomini sono pieni di “errore”, in questo caso “il tipo di errore che nasce da uno che governa” (v.5). Si tratta di una riflessione critica sugli ideali di governo e di società dell’uomo umanista, perché la menzione di “governanti” in entrambi i versi 4 e 5, può fare riferimento alle “autorità che esistono” in qualsiasi senso in cui la via dell’uomo venga stabilita. In tali circostanze, gli uomini esaltano volontariamente lo stolto e, allo stesso tempo, riducono i “ricchi” e “principi” (il “saggio” e “onorevole”) a vanità. Sembrerebbe che nulla possa impedire che tale cosa accada. Tuttavia, come sempre, il Predicatore non incoraggia né disperazione né escapismo. “Se l’ira di un sovrano si accende contro di te, non lasciare il tuo posto; perché la calma placa offese anche gravi” (v.4). Il Predicatore riconosce che gli eventi possono rivoltarsi contro i giusti; di fatto essi possono aspettarsi dei rovesciamenti. Ma non dovrebbero lasciare il patto per nessun motivo; anzi, dovrebbero continuare a lavorare “con calma” verso la sua restaurazione. Non dovrebbero fare nulla con fretta o precipitosamente, ma, in un clima di tranquilla confidenza, aspettare che “tempo e il caso” girino a loro favore. Il tempo del Messia arriverà.

La vita è piena di cambiamenti inaspettati. Attraverso una serie di esempi (vv. 8-11) il Predicatore ci ricorda come gli uomini possano essere influenzati da eventi imprevedibili. L’uomo è facilmente frustrato nelle sue fatiche. I risultati della vita non stanno nella mano dell’uomo.

Non sorprende che il saggio e lo stolto imparino lezioni molto diverse da questo fatto. Mentre il saggio dà consigli prudenti, le parole dello stolto sono piene di stoltezza e di malvagia follia (vv. 12, 13). Lo stolto rifiuta di fare i conti con “tempo e caso” e quindi “moltiplica le parole” (v.14) senza alcun risultato. In verità, non può riconoscere Dio. Nella pretesa di essere come Dio la sua malvagità non conosce limiti. I giusti non si logorano come fa lo stolto, la cui mancanza di discernimento è evidente anche nelle questioni più banali (v.15).

È una buona cosa quando un magistrato avveduto ha il compito di governare il paese. Anche se in se stesso è malvagio, per grazia di Dio può comunque esercitare autorità con disciplina e responsabilità. Può davvero agire come un servitore, e anche i suoi consiglieri (v. 16), e quindi arrecare beneficio a coloro che stanno sotto la sua giurisdizione. Quando un principe governa con autocontrollo e per il bene del suo popolo, il paese può godere di pace, armonia e prosperità. Ma potrebbe non essere sempre così! Il sovrano nel paese può essere pigro (v.18), oppure può essersi dato a una vita lussuosa e tumultuosa (v.19). Arriva a credere che “il denaro viene incontro ad ogni bisogno” (V.19). Tali sono i principi dello stolto. I governi gestiti da tali uomini fanno soffrire tutti per le loro ingiustizie, poiché useranno i loro poteri per estrarre dalle persone ciò che altrimenti non sarebbero disposte a dare. Le tasse possono diventare un peso intollerabile quando i peccatori sono al comando. Tuttavia, avverte il Predicatore, i giusti non dovrebbero ribellarsi neppure nei loro pensieri, poiché quello è corteggiare il disastro degli stolti il cui unico desiderio è fomentare rivoluzione e caos. Tale comportamento è, ancora una volta, un rifiuto di fare i conti con “il tempo e il caso” e può rivelarsi dannoso per coloro che agiscono così sconsideratamente.

Infine, il Predicatore, dopo aver rivelato la sua conoscenza di ciò che “tempo e caso” significano per la vita dell’uomo, si rivolge con parole positive di esortazione ai figli pattizi d’Israele. Sebbene si sia rivolto a loro in tutta questa sezione, ora li esorta direttamente su come comportarsi, sottoposti come sono a eventi incontrollabili. Devono elevare i loro cuori e le loro menti al Dio del tempo e del caso; devono elevarsi al livello di fede nella sua promessa. Invece di permettere che imperscrutabili cambiamenti di eventi dominino il loro pensiero, dovrebbero mettere mano al loro compito con la piena aspettativa che le loro fatiche alla fine non saranno vane nel Signore. I versetti 11: 1–8 incoraggiano le persone del patto a lavorare gioiosamente a favore del regno di Dio, nonostante ciò che il Predicatore aveva precedentemente detto sull’apparente capricciosità del tempo e del caso. Anche qui il predicatore compie la transizione finale nei suoi pensieri che porta alla clamorosa conclusione del suo libro. La “logica” del peso di Dio si sta avvicinando alla fine per quanto riguarda la sapienza salomonica pattizia. “Getta il tuo pane sulle acque, perché dopo molti giorni lo ritroverai. Fanne parte a sette, e anche a otto, perché tu non sai quale sventura può accadere sulla terra ” (vv.1, 2). Qui ci sono parole intese a ingiungere al popolo del patto di iniziare e di procedere, nell’unico modo a loro disposizione, vale a dire “in fede”. Molte interpretazioni sono state offerte per questo noto passaggio in Ecclesiaste. Molto probabilmente, si tratta di un’analogia tratta dall’assunzione di rischi nel commercio marittimo del tempo [2]. Il lancio di pane sulle acque si riferisce probabilmente all’investimento finanziario che è rischiato nel commercio e nella spedizione all’estero. Correre il rischio avrebbe sicuramente richiesto coraggio e fede, poiché sia la vita che la proprietà erano messe a repentaglio. Tali viaggi sottoponevano costantemente i commercianti ai pericoli di tempeste e di saccheggi da parte dei pirati. Uno rischiava di perdere tutto ciò che possedeva. D’altra parte, se l’impresa avesse avuto successo, ricchezza e tesori sarebbero sicuramente stati il ritorno sull’investimento fatto. La posta in gioco era davvero alta. Il punto è che se nulla viene mai rischiato, nulla viene mai guadagnato. Tuttavia, il Predicatore non intende suggerire che si tratti solo di un lancio di dadi, una scommessa e niente di più. È certo che il popolo del patto può contare su un eventuale successo, perché Dio lo garantirà. Ma devono imparare che non è prontamente concesso. Il loro lavoro raccoglierà la propria ricompensa mediante la fede e la pazienza. È il modo del Predicatore di dire “il giusto vivrà per fede” (Ro. 1:17). Anche se l’esperienza dice che tutto è inutile, la fede dice che ogni buona opera produrrà i suoi frutti [3]. Due enfasi si distinguono in questi pensieri, come commenta Leupold: “L’enfasi sta sulla certezza della ricompensa, nonché sul fatto che questa certa ricompensa non verrà ricevuta immediatamente” [4]. Sarà “dopo molti giorni”, cioè in futuro, ai giorni del regno del Messia. Anche così, la fede non è una fede cieca. Quindi, dice il Predicatore al verso 2, meglio spalmare il rischio in modo che se alcune cose dovessero fallire altre non lo faranno. Sebbene il giusto lavori in fede, il tempo e il caso continuano a operare sull’uomo. Solo ora sono visti nella giusta luce come “l’opera di Dio che fa tutto” (v.5). Anche se potremmo non avere una completa comprensione di quell’opera, possiamo essere certi che non fallirà. E nel tempio Dio ha rivelato che Egli opera per introdurre il futuro messianico.

Molto in questa vita sembra essere inevitabile o casuale [5]. “Se le nuvole sono piene di pioggia la riversano sulla terra. Se un albero cade verso sud o verso nord, nel posto ove esso cade, là rimane” (v.3). Ma ciò non dovrebbe causare insopportabile preoccupazione al popolo di Dio. Né dovrebbero lasciarsi distrarre dal lavoro di seminare e raccogliere il regno di Dio. Non possono sedere pigramente, aspettando supinamente l’arrivo di condizioni perfette [6] prima di decidere di agire. È vano e irresponsabile cercare tempi propizi per costruire il Regno di Dio. In ogni momento, nel bene e nel male, il popolo di Dio dovrebbe essere trovato diligentemente al suo servizio. Non sprecare il tempo e le opportunità tentando di penetrare il velo di segretezza che circonda l’opera di Dio nella sfera del “tempo e del caso!” (v.5). La sua promessa e il suo patto sono sufficienti. Perciò, che ogni momento, “mattina” e “sera” (v.6), trovi assiduamente le persone del patto ai loro compiti. Non sta a loro sapere come andranno a finire le cose. Gli obblighi del patto non possono essere fatti dipendere da ciò che sperimentiamo ora. Tu invece, afferra la vita con gioia come il tempo in lavorare per conto di Dio. Ricorda che ci sono innanzi tempi di “tenebre” in cui nessun lavoro sarà possibile (vv. 7, 8), né frutti conservati per la vita eterna.

Note:

1 L’autore segue la lezione della New America Standard che legge “might have delivered”, avrebbe potuto liberare. Questa versione sembra preferibile anche a chi traduce dato il contesto.
2 Cfr. Whybry, p. 159; Loader, p. 126,
3 Van Den Borne, Ibid.

4 Leupold, p. 256.
5 Whybry, p. 159.
6 Ibid.


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